6. Gesù rimprovera gli scribi e i farisei
Mentre Gesù parlava di un argomento così importante, un fariseo lo invitò a desinare con lui. Dalle severe parole che il Redentore gli rivolse, può rilevarsi in quel fariseo almeno un'incoscienza supina per un problema dal quale poteva dipendere la salvezza o la perdizione. Orientare a Dio la ragione, tendere a Lui con tutte le forze interiori dello spirito, saper apprezzare i momenti della grazia e corrispondervi con una grande rettitudine era essenziale per ogni anima che tendeva alla perfezione ed a Dio; ma al povero fariseo quelle cose sembrarono involute utopie ed essendo già l'ora del pranzo, cioè del pasto che si faceva verso mezzogiorno, invitò Gesù, forse anche per troncare quel discorso.
Il poveretto non aveva l'abitudine di dare un solo sguardo interiore alla propria anima, viveva di esteriorità e credeva che in quello consistesse la perfezione. Probabilmente era uno di quelli che avevano partecipato alle insinuazioni dette contro Gesù, o per lo meno vi aveva assistito e, quasi per attenuare l'urto che, credeva lui, avevano determinato in Lui, e la confusione che la sua risposta aveva prodotto nei suoi nemici, lo invitò a pranzo con quel gesto familiare di ostentata cordialità che si usa quando si vuol troncare una questione amichevolmente, senza confessare il proprio torto.
L'aver detto, infatti, che Gesù scacciava i demoni in virtù di Beelzebul era stata una enormità troppo ripugnante, e la confutazione fattane dal Redentore un colpo troppo grave inferto al prestigio dei farisei e degli scribi, che si peritavano di essere eccellenti ragionatori; l'invito a pranzo troncava quell'istruzione troppo scottante della rettitudine della ragione e dell'intenzione ed era come non voler dare un lieto fine ad un'insinuazione estremamente ingiuriosa.
Gesù Cristo accettò l'invito perché al suo immenso amore verso quelle anime premeva l'illuminarle, senza troppo sminuirle innanzi al popolo; in una casa privata poteva parlare più chiaramente e più fortemente ed era necessario farlo per disingannare l'orgoglio loro che le faceva stimare perfette, quando stavano nel fondo della perdizione. L'avere attribuito a satana le più potenti manifestazioni della divina bontà era un'ingiuria spaventosa fatta a Dio, ed il far riflettere loro alle miserie nelle quali cadevano era un atto di misericordia per scuoterle e spingerle alla penitenza. Il linguaggio severo di Gesù deve considerarsi in questa luce per intenderlo: Egli guardava la gloria di Dio e l'estrema miseria di quelli che la manomettevano, ardeva di zelo e di carità, ed il suo accento severo era riparazione e medicina. Egli, poi, chiudeva la storia antica e cominciava la nuova, e logicamente doveva mostrare agli scribi e farisei le gravi responsabilità dei loro padri, sapendo che con la sua morte vi avrebbero messo il colmo. Voleva far loro capire che essi erano su di un falso cammino ed avevano bisogno di convertirsi, anziché di congiurare contro di Lui.
Gesù Cristo, entrato nella casa che l'ospitava, si mise a tavola senz'altro. Il fariseo si scandalizzò che Egli non avesse fatto le abluzioni di uso prima del pasto, giacché essi solevano sempre lavarsi le mani, non tanto per pulizia ed igiene, quanto per purificarsi di qualunque immondezza legale che avessero potuto contrarre. Era logico che Gesù, Santo dei Santi e purissimo giglio, non si lavasse con questa intenzione particolare, ma Egli lo fece sia perché era tutto compreso di dolore per l'ingiuria che avevano fatta a Dio sia per avere occasione di istruire i commensali.
Il fariseo non osò rimproverarlo; ma Gesù, leggendone l'intimo del cuore e rispondendo al suo pensiero, gli disse in tono severo, per rimproverare lui o qualcuno dei presenti di ingiustizie commesse e di peccati gravi consumati: Voi ora, o farisei, lavate il di fuori del bicchiere e del piatto, ma il vostro interno è pieno di rapina e d'iniquità. Stolti, chi ha fatto l'esterno non ha fatto anche l'interno? Evidentemente al suo sguardo divino non era sfuggito che quello stesso che stava a tavola era stato acquistato con esosi tratti d'ingiusta vessazione al mercato, né sfuggiva quello che era stato male acquistato nella casa, o male retribuito.
Stridevano sul suo delicatissimo Cuore quelle ingiustizie, stridevano quelle alle quali i farisei si abbandonavano senza scrupolo, e stridevano quegli stessi atti di apparente carità che facevano quando mangiavano, unicamente per rispetto umano. Presso gli Ebrei, infatti, la porta era tenuta aperta quando si pranzava, ed i poveri non raramente entravano per domandare qualche cosa. I farisei, dopo aver consumato cento ingiustizie al mercato, se c'era chi potesse osservarli facevano anche l'elemosina, ma con un tratto sprezzante che mal celava il loro disappunto interiore.
Perciò Gesù, dopo averli rimproverati di rapina e d'iniquità, assistendo forse in quel medesimo momento ad una di quelle elemosine fatte per ostentazione, soggiunse: Fate piuttosto elemosina di quello che vi avanza, cioè di quello che non avete male acquistato ed è vostra ricchezza, o secondo il testo greco, di quello che è dentro di voi, cioè di ciò che elargite con vera carità interiore e non con rispetto umano. Voi fate l'elemosina con quello che avete usurpato e questo non vi purifica dall'ingiustizia; dovete farla con quello che avanza a voi, con quello che è vostro, e farla con vera carità soprannaturale, perché questo solo può purificarvi dalle colpe.
Mentre Gesù parlava di un argomento così importante, un fariseo lo invitò a desinare con lui. Dalle severe parole che il Redentore gli rivolse, può rilevarsi in quel fariseo almeno un'incoscienza supina per un problema dal quale poteva dipendere la salvezza o la perdizione. Orientare a Dio la ragione, tendere a Lui con tutte le forze interiori dello spirito, saper apprezzare i momenti della grazia e corrispondervi con una grande rettitudine era essenziale per ogni anima che tendeva alla perfezione ed a Dio; ma al povero fariseo quelle cose sembrarono involute utopie ed essendo già l'ora del pranzo, cioè del pasto che si faceva verso mezzogiorno, invitò Gesù, forse anche per troncare quel discorso.
Il poveretto non aveva l'abitudine di dare un solo sguardo interiore alla propria anima, viveva di esteriorità e credeva che in quello consistesse la perfezione. Probabilmente era uno di quelli che avevano partecipato alle insinuazioni dette contro Gesù, o per lo meno vi aveva assistito e, quasi per attenuare l'urto che, credeva lui, avevano determinato in Lui, e la confusione che la sua risposta aveva prodotto nei suoi nemici, lo invitò a pranzo con quel gesto familiare di ostentata cordialità che si usa quando si vuol troncare una questione amichevolmente, senza confessare il proprio torto.
L'aver detto, infatti, che Gesù scacciava i demoni in virtù di Beelzebul era stata una enormità troppo ripugnante, e la confutazione fattane dal Redentore un colpo troppo grave inferto al prestigio dei farisei e degli scribi, che si peritavano di essere eccellenti ragionatori; l'invito a pranzo troncava quell'istruzione troppo scottante della rettitudine della ragione e dell'intenzione ed era come non voler dare un lieto fine ad un'insinuazione estremamente ingiuriosa.
Gesù Cristo accettò l'invito perché al suo immenso amore verso quelle anime premeva l'illuminarle, senza troppo sminuirle innanzi al popolo; in una casa privata poteva parlare più chiaramente e più fortemente ed era necessario farlo per disingannare l'orgoglio loro che le faceva stimare perfette, quando stavano nel fondo della perdizione. L'avere attribuito a satana le più potenti manifestazioni della divina bontà era un'ingiuria spaventosa fatta a Dio, ed il far riflettere loro alle miserie nelle quali cadevano era un atto di misericordia per scuoterle e spingerle alla penitenza. Il linguaggio severo di Gesù deve considerarsi in questa luce per intenderlo: Egli guardava la gloria di Dio e l'estrema miseria di quelli che la manomettevano, ardeva di zelo e di carità, ed il suo accento severo era riparazione e medicina. Egli, poi, chiudeva la storia antica e cominciava la nuova, e logicamente doveva mostrare agli scribi e farisei le gravi responsabilità dei loro padri, sapendo che con la sua morte vi avrebbero messo il colmo. Voleva far loro capire che essi erano su di un falso cammino ed avevano bisogno di convertirsi, anziché di congiurare contro di Lui.
Gesù Cristo, entrato nella casa che l'ospitava, si mise a tavola senz'altro. Il fariseo si scandalizzò che Egli non avesse fatto le abluzioni di uso prima del pasto, giacché essi solevano sempre lavarsi le mani, non tanto per pulizia ed igiene, quanto per purificarsi di qualunque immondezza legale che avessero potuto contrarre. Era logico che Gesù, Santo dei Santi e purissimo giglio, non si lavasse con questa intenzione particolare, ma Egli lo fece sia perché era tutto compreso di dolore per l'ingiuria che avevano fatta a Dio sia per avere occasione di istruire i commensali.
Il fariseo non osò rimproverarlo; ma Gesù, leggendone l'intimo del cuore e rispondendo al suo pensiero, gli disse in tono severo, per rimproverare lui o qualcuno dei presenti di ingiustizie commesse e di peccati gravi consumati: Voi ora, o farisei, lavate il di fuori del bicchiere e del piatto, ma il vostro interno è pieno di rapina e d'iniquità. Stolti, chi ha fatto l'esterno non ha fatto anche l'interno? Evidentemente al suo sguardo divino non era sfuggito che quello stesso che stava a tavola era stato acquistato con esosi tratti d'ingiusta vessazione al mercato, né sfuggiva quello che era stato male acquistato nella casa, o male retribuito.
Stridevano sul suo delicatissimo Cuore quelle ingiustizie, stridevano quelle alle quali i farisei si abbandonavano senza scrupolo, e stridevano quegli stessi atti di apparente carità che facevano quando mangiavano, unicamente per rispetto umano. Presso gli Ebrei, infatti, la porta era tenuta aperta quando si pranzava, ed i poveri non raramente entravano per domandare qualche cosa. I farisei, dopo aver consumato cento ingiustizie al mercato, se c'era chi potesse osservarli facevano anche l'elemosina, ma con un tratto sprezzante che mal celava il loro disappunto interiore.
Perciò Gesù, dopo averli rimproverati di rapina e d'iniquità, assistendo forse in quel medesimo momento ad una di quelle elemosine fatte per ostentazione, soggiunse: Fate piuttosto elemosina di quello che vi avanza, cioè di quello che non avete male acquistato ed è vostra ricchezza, o secondo il testo greco, di quello che è dentro di voi, cioè di ciò che elargite con vera carità interiore e non con rispetto umano. Voi fate l'elemosina con quello che avete usurpato e questo non vi purifica dall'ingiustizia; dovete farla con quello che avanza a voi, con quello che è vostro, e farla con vera carità soprannaturale, perché questo solo può purificarvi dalle colpe.
Don Dolindo Ruotolo
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