5. L'infanzia. Lo smarrimento di Gesù e la sua vita nascosta
Maria e Giuseppe, dopo aver compiuto tutto ciò che ordinava la Legge, se ne ritornarono nella Galilea, andando a dimorare col Figlio divino nell'umile borgata di Nazaret. Siccome san Giuseppe, quando ritornò dalla fuga in Egitto, voleva fissare il suo domicilio a Betlem (Mt 2,22) si può supporre che, dopo la purificazione, la sacra Famiglia sia andata a Nazaret per un certo tempo, per ritornare poi a Betlem, dove più tardi avvenne l'adorazione dei Magi, e poi la fuga in Egitto ed il definitivo stabilirsi a Nazaret.
In questa dimenticata borgata Maria allevò il suo Bambino, e san Giuseppe cercò di sopperire alle necessità della casa col suo lavoro. L'idea che ebbe più tardi di stabilirsi a Betlem ci fa intendere che a Nazaret il lavoro doveva esservi scarso, e che la vita della sacra Famiglia conoscesse le angustie della povertà; ma in quella povertà splendeva Gesù, tesoro divino, ed era la felicità della casa. Il Sacro Testo dice che egli cresceva e s 'irrobustiva, pieno di sapienza, e la grazia di Dio era in Lui. Da queste brevi parole, che san Luca attinse dalla bocca di Maria, si può arguire quale fosse la sua vita col Figlio divino. Ogni madre è attratta teneramente a considerare il crescere e l'irrobustirsi fisico del figlio, ed è incantata dalle prime manifestazioni della sua intelligenza e del suo cuore.
Chi alleva un figlio sa quanta gioia si prova nel vederlo sano, forte, intelligente e buono, ossia nel constatarne lo sviluppo fisico e morale. Questa soddisfazione di amore in Maria era immensa, poiché Essa sentiva dalla vita del Redentore una continua comunione di grazie, ed era come immersa nei raggi della sua divinità. Cresceva Gesù e cresceva l'amore di Maria; si irrobustiva il piccolo corpo ed aumentava la sua tenerezza materna; Egli non balbettava ma le parlava da Dio al cuore, e le rivelava i tesori della sua carità.
Maria, quindi, era in continua contemplazione. Nessuna maternità fu più gioiosa della sua. Cresceva e s'irrobustiva Gesù, e quindi cominciava a camminare ed a prestare piccoli servigi in casa e nella bottega di san Giuseppe.
Quale tenerezza e quale esempio l'intimità della casa di Nazaret! Vi regnava sovrana la pace, il raccoglimento, la più intima e pura gioia, e la luce divina la mutava in un tempio. Che cosa era Gesù al petto materno! Con quale umilissimo amore Essa gli continuava a dare nel latte la sua vita, con quale tenerezza si sentiva succhiare la vita! Una delle più tenere funzioni materne è l'allattamento; aprirsi quasi il cuore, donare se stessa, sentirsi leggermente mordere, notare la soddisfazione del piccolo infante, i suoi occhi, la sua stessa avidità commuove le sue viscere. Si sente alleggerita dal suo piccolo, perché si vuota di quella pienezza che il suo amore vuol donare, e quando lo vede staccato dal suo petto, nel sonno, rimane a guardarlo e lo bacia soavemente, lo sfiora con un soffio di amore.
La Chiesa sintetizza questa funzione materna di Maria con una frase ammirabile: Sola virgo lactabat, ubere de coelo pieno-, aveva il petto verginale pieno di cielo perché fecondo per opera dello Spirito Santo. Essa dunque non gli donava solo il latte verginale, ma effondeva in Lui la sua vita di amore, e lo avvolgeva nei profumi della sua purezza e della sua umiltà. Quel petto immacolato era veramente un campo di gigli dove il Diletto suo discendeva per pascolarsi di amore, ed Essa gli donava tutto il suo Cuore Immacolato, attingendo a sua volta da Lui quella grazia della quale era ripieno.
Sapeva benissimo, poi, di avere al petto il Figlio di Dio, e la sua umiltà a quel contatto doveva essere immensa, ineffabile. Lo toccava come un'Ostia consacrata, lo avvolgeva con le sue braccia più dell'angelo dell'Arca, era tutta splendente di amore, era la Madre di Dio, l'unica Madre nella quale questo nome era veramente divino!
Cresceva Gesù e s 'irrobustiva, dando i primi passi, e poi prestando i primi servigi, come s'è detto. Il piccolino dolcissimo camminava per le umili stanze come una visione celeste; perfettissimo di forme, tutto riccioli d'oro, rifulgente nella sua divinità, amabile, soave, e i suoi occhi brillavano di un'intelligenza che costringeva all'adorazione. Era soffuso da una leggera mestizia, perché era, Vittima d'amore, e Maria nel guardarlo penetrava i misteri di quel Cuore infinito e li conservava nel suo Cuore gemendo in un profondo dolore. La profezia di Simeone le era sempre presente, ed il passare degli anni l'avvicinava sempre più al Calvario. Essa lo sapeva, ma si univa tutta alla divina volontà e pregava per gli uomini.
Cresceva Gesù [...] pieno di sapienza, e la grazia di Dio era in Lui. Egli, infatti, possedeva, come uomo, in modo mille volte più perfetto degli angeli e dei santi, la scienza beata e la scienza infusa, ed aveva anche la scienza sperimentale od acquisita proporzionata alla sua età ed alla perfezione ammirabile delle sue facoltà naturali. La sua anima umana era rivestita della pienezza della grazia santificante, e possedeva in sommo grado i doni dello Spirito Santo, le grazie gratis datce e tutte le virtù infuse od acquisite. Era perfettissimo anche nella piccola età, e spirava tale soave maestà da conquidere. Ogni atto suo era divino, e dai piccoli servizi che prestava spirava qualche cosa di solenne, perché Egli faceva tutto adorando, riparando, ringraziando e pregando il Padre per gli uomini che era venuto a redimere. La piccola casa di Nazaret, quindi, risuonava di arcane lodi più che un tempio, ed a quelle lodi divine rispondevano i Cuori di Maria e di Giuseppe, due cuori che palpitavano all'unisono col Verbo Incarnato.
Tratto dalla monumentale opera di dottrina esegetica di ben 30 volumi. Il frutto che si ricava da tale lettura è una maturazione profonda nella fede, una percezione della verità della Parola negli eventi del nostro tempo, una aspirazione santa alle promesse contenute nella Rivelazione.
domenica 27 dicembre 2015
venerdì 25 dicembre 2015
25.12.2015 - Commento al vangelo di S. Luca cap. 2 par. 2
2. Il momento solenne e pacifico della nascita di Gesù Cristo
Era stato predetto dai profeti che il Redentore doveva nascere in Betlem, ed il Signore, che tutto dispone attraverso i medesimi eventi umani, utilizzò una circostanza della vita civile per far trovare Maria a Betlem.
Nazaret distava da questa città circa 120 chilometri; ora, senza una pressione legale, Maria Santissima giovane madre prossima al parto, non avrebbe creduto prudente fare un viaggio così lungo. Il Signore avrebbe potuto, è vero, rivelarlo a san Giuseppe, ed ottenere lo stesso risultato, ma Egli volle escludere dalla nascita di Gesù tutto ciò che poteva sembrare appositamente voluto per far verificare la profezia; gli eventi, indipendenti dalla volontà, anzi contro la volontà umana, mostravano meglio le disposizioni divine nella nascita del Redentore.
Cesare Augusto, primo imperatore romano, nel fasto della sua gloria ordinò parecchi censimenti per accertarsi della popolazione dell'impero e dell'obbligo del tributo per tutti i suoi sudditi. Il primo di questi censimenti, esteso anche alla Palestina, fu fatto sotto Publio Sulpizio Quirino, che al modo greco è chiamato nel Sacro Testo Cirino. Il censimento fu fatto non secondo l'uso romano, per il quale ciascuno si faceva iscrivere nei registri del luogo dove abitava, ma secondo l'uso ebraico, per il quale ognuno andava ad iscriversi nella sua città di origine. Era logico, del resto, perché gli Ebrei erano tenaci conservatori delle tribù e delle famiglie, ed un censimento di semplice domicilio non avrebbe dato la vera prospettiva demografica della nazione.
La legge umana è inesorabile e non ammette scuse; bisogna sottostarvi per forza, se non vi si vuole sottostare per amore. San Giuseppe, però, e Maria Santissima, abituati all'obbedienza alla divina volontà, accettarono l'ordine non come un'imposizione inopportuna per essi, subita per timore, ma come una disposizione indiretta del Signore, ed intrapresero subito il faticoso viaggio per recarsi a Betlem, loro città di origine perché discendenti di Davide.
E commovente il pensare a questo viaggio intrapreso quando la stagione era già fredda, giacché è tradizione costante nella Chiesa che Gesù sia nato nelFinvemo. Due creature ignote al mondo, ma immensamente privilegiate innanzi a Dio, camminavano portando con loro, nascosto nel seno materno, il Verbo di Dio! Camminavano in pace, nella povertà, lodando e benedicendo il Signore.
Un asinelio, com'è tradizione e com'è giusto pensare, serviva loro di cavalcatura e portava il loro piccolo bagaglio. Giuseppe lo guidava, e Maria vi sedeva sopra; erano tutti e due il quadro vivo della purezza, dell'amore e della pace. L'asinelio doveva sentire inconsciamente il benessere di avere dei padroni così sereni e, guidato dall'angelo di Dio, come potrebbe supporsi, prendeva il giusto cammino. Aveva quel portamento di sicurezza e di fedeltà che hanno gli animali vicino ai padroni benefìci e, senza ripugnare o recalcitrare, andava avanti mansueto. Maria tutta raccolta pregava. Era più bella nella sua avanzata gravidanza, aveva il volto soffuso di pace, e sembrava l'Arca di Dio, perché portava nel seno il suo Figlio divino. San Giuseppe andava avanti raccolto, con quel suo bel volto pieno di verginale fulgore, ingenuo, semplice, umile, servo fedele della divina volontà, col sensibile suo cuore pieno di angustia per il disagio della sua immacolata Sposa.
Nel silenzio della strada deserta, fra la solitudine degli alberi già spogli, risuonava lo scalpitare dell'asinelio ed echeggiavano gli ultimi canti sommessi degli uccelli... La natura sembrava un'immagine dell'uomo, intristito dalla colpa, ed il Verbo divino, fatto per amore pellegrino della terra, avanzava nel seno materno verso Betlem, per compiere le promesse della misericordia e salvarlo. Nessuno supponeva che si avverassero in quel momento tanti vaticini dei profeti, e che il Sole di giustizia cominciasse a sorgere dalle tenebre della povera terra brumosa, carica di colpe e di affanni.
Giunsero in Betlem dove, a causa del censimento, era un gran concorso di gente sia nei pubblici alberghi, sia nelle case ospitali, di modo che san Giuseppe non poté trovare chi lo accogliesse con la sua Vergine Sposa Immacolata. Dovette cercare rifugio in una grotta, adibita per ricoverarvi gli animali nelle notti fredde o tempestose, ed ivi procurò d'allestire un poverissimo alloggio, dato che per Maria si avvicinava il tempo del parto. Non può dirsi che fossero angosciati per quella povera dimora, giacché erano ambedue immersi nella divina volontà, ed amavano immensamente il nascondimento e la povertà; ma san Giuseppe, come custode di Maria, era afflitto dal disagio di Lei, e Maria pensava con immensa pena e tenerezza al suo Figlio che mancava di tutto nel venire alla luce. S'intrecciavano, per così dire, due rami fioriti di carità e di amore, e formavano essi soli l'ornamento fragrante di quella grotta desolata.
Era stato predetto dai profeti che il Redentore doveva nascere in Betlem, ed il Signore, che tutto dispone attraverso i medesimi eventi umani, utilizzò una circostanza della vita civile per far trovare Maria a Betlem.
Nazaret distava da questa città circa 120 chilometri; ora, senza una pressione legale, Maria Santissima giovane madre prossima al parto, non avrebbe creduto prudente fare un viaggio così lungo. Il Signore avrebbe potuto, è vero, rivelarlo a san Giuseppe, ed ottenere lo stesso risultato, ma Egli volle escludere dalla nascita di Gesù tutto ciò che poteva sembrare appositamente voluto per far verificare la profezia; gli eventi, indipendenti dalla volontà, anzi contro la volontà umana, mostravano meglio le disposizioni divine nella nascita del Redentore.
Cesare Augusto, primo imperatore romano, nel fasto della sua gloria ordinò parecchi censimenti per accertarsi della popolazione dell'impero e dell'obbligo del tributo per tutti i suoi sudditi. Il primo di questi censimenti, esteso anche alla Palestina, fu fatto sotto Publio Sulpizio Quirino, che al modo greco è chiamato nel Sacro Testo Cirino. Il censimento fu fatto non secondo l'uso romano, per il quale ciascuno si faceva iscrivere nei registri del luogo dove abitava, ma secondo l'uso ebraico, per il quale ognuno andava ad iscriversi nella sua città di origine. Era logico, del resto, perché gli Ebrei erano tenaci conservatori delle tribù e delle famiglie, ed un censimento di semplice domicilio non avrebbe dato la vera prospettiva demografica della nazione.
La legge umana è inesorabile e non ammette scuse; bisogna sottostarvi per forza, se non vi si vuole sottostare per amore. San Giuseppe, però, e Maria Santissima, abituati all'obbedienza alla divina volontà, accettarono l'ordine non come un'imposizione inopportuna per essi, subita per timore, ma come una disposizione indiretta del Signore, ed intrapresero subito il faticoso viaggio per recarsi a Betlem, loro città di origine perché discendenti di Davide.
E commovente il pensare a questo viaggio intrapreso quando la stagione era già fredda, giacché è tradizione costante nella Chiesa che Gesù sia nato nelFinvemo. Due creature ignote al mondo, ma immensamente privilegiate innanzi a Dio, camminavano portando con loro, nascosto nel seno materno, il Verbo di Dio! Camminavano in pace, nella povertà, lodando e benedicendo il Signore.
Un asinelio, com'è tradizione e com'è giusto pensare, serviva loro di cavalcatura e portava il loro piccolo bagaglio. Giuseppe lo guidava, e Maria vi sedeva sopra; erano tutti e due il quadro vivo della purezza, dell'amore e della pace. L'asinelio doveva sentire inconsciamente il benessere di avere dei padroni così sereni e, guidato dall'angelo di Dio, come potrebbe supporsi, prendeva il giusto cammino. Aveva quel portamento di sicurezza e di fedeltà che hanno gli animali vicino ai padroni benefìci e, senza ripugnare o recalcitrare, andava avanti mansueto. Maria tutta raccolta pregava. Era più bella nella sua avanzata gravidanza, aveva il volto soffuso di pace, e sembrava l'Arca di Dio, perché portava nel seno il suo Figlio divino. San Giuseppe andava avanti raccolto, con quel suo bel volto pieno di verginale fulgore, ingenuo, semplice, umile, servo fedele della divina volontà, col sensibile suo cuore pieno di angustia per il disagio della sua immacolata Sposa.
Nel silenzio della strada deserta, fra la solitudine degli alberi già spogli, risuonava lo scalpitare dell'asinelio ed echeggiavano gli ultimi canti sommessi degli uccelli... La natura sembrava un'immagine dell'uomo, intristito dalla colpa, ed il Verbo divino, fatto per amore pellegrino della terra, avanzava nel seno materno verso Betlem, per compiere le promesse della misericordia e salvarlo. Nessuno supponeva che si avverassero in quel momento tanti vaticini dei profeti, e che il Sole di giustizia cominciasse a sorgere dalle tenebre della povera terra brumosa, carica di colpe e di affanni.
Giunsero in Betlem dove, a causa del censimento, era un gran concorso di gente sia nei pubblici alberghi, sia nelle case ospitali, di modo che san Giuseppe non poté trovare chi lo accogliesse con la sua Vergine Sposa Immacolata. Dovette cercare rifugio in una grotta, adibita per ricoverarvi gli animali nelle notti fredde o tempestose, ed ivi procurò d'allestire un poverissimo alloggio, dato che per Maria si avvicinava il tempo del parto. Non può dirsi che fossero angosciati per quella povera dimora, giacché erano ambedue immersi nella divina volontà, ed amavano immensamente il nascondimento e la povertà; ma san Giuseppe, come custode di Maria, era afflitto dal disagio di Lei, e Maria pensava con immensa pena e tenerezza al suo Figlio che mancava di tutto nel venire alla luce. S'intrecciavano, per così dire, due rami fioriti di carità e di amore, e formavano essi soli l'ornamento fragrante di quella grotta desolata.
sabato 19 dicembre 2015
20.12.2015 - Commento al vangelo di S. Luca cap. 1 par. 3
3. L'annunzio della miracolosa concezione del Battista. La mancanza di fede che rende senza parola
Al tempo di Erode re della Giudea, dice san Luca, vivevano due santi personaggi, giusti innanzi a Dio ed irreprensibili in tutti i comandamenti ed i precetti del Signore. Erode, detto il grande per i lavori pubblici compiuti nella Giudea, soprattutto restaurando il tempio, era figlio di Antipatro, che, sotto il pontificato d'Ircano, fu nominato da Giulio Cesare procuratore della Giudea. A forza d'intrighi, Erode, succeduto al padre, ottenne dal senato romano il titolo di re, e regnò dal 714 al 750 di Roma.
Sanguinario criminale fino al delirio, regnò fra stragi ed oppressioni di ogni genere, e fu il terrore dei suoi sudditi. La sua vita fu un obbrobrio per i vizi, e sul trono fu più una belva che un uomo; fece uccidere tre dei suoi figli ed un suo fratello, e per i più piccoli sospetti condannò a morte i migliori suoi amici. Ad un tale mostro coronato fa contrasto nel Sacro Testo la pacifica coppia di due santi: Zaccaria ed Elisabetta.
Davide, nell'organizzare il servizio religioso del tempio, aveva diviso i sacerdoti in 24 classi denominate ciascuna dal suo capo. Ogni classe serviva da un sabato all'altro, ed in questo ministero ebdomadario offriva l'incenso ed immolava le vittime, trovando nel fabbricato del tempio medesimo l'alloggio.
Al tempo di Erode re della Giudea, dice san Luca, vivevano due santi personaggi, giusti innanzi a Dio ed irreprensibili in tutti i comandamenti ed i precetti del Signore. Erode, detto il grande per i lavori pubblici compiuti nella Giudea, soprattutto restaurando il tempio, era figlio di Antipatro, che, sotto il pontificato d'Ircano, fu nominato da Giulio Cesare procuratore della Giudea. A forza d'intrighi, Erode, succeduto al padre, ottenne dal senato romano il titolo di re, e regnò dal 714 al 750 di Roma.
Sanguinario criminale fino al delirio, regnò fra stragi ed oppressioni di ogni genere, e fu il terrore dei suoi sudditi. La sua vita fu un obbrobrio per i vizi, e sul trono fu più una belva che un uomo; fece uccidere tre dei suoi figli ed un suo fratello, e per i più piccoli sospetti condannò a morte i migliori suoi amici. Ad un tale mostro coronato fa contrasto nel Sacro Testo la pacifica coppia di due santi: Zaccaria ed Elisabetta.
Davide, nell'organizzare il servizio religioso del tempio, aveva diviso i sacerdoti in 24 classi denominate ciascuna dal suo capo. Ogni classe serviva da un sabato all'altro, ed in questo ministero ebdomadario offriva l'incenso ed immolava le vittime, trovando nel fabbricato del tempio medesimo l'alloggio.
sabato 5 dicembre 2015
06.12.2015 - Commento al vangelo di S. Luca cap. 3 par. 2
2. La condizione politica della Palestina al tempo del Battista
San Luca, da storico accurato qual'è, prima di parlare dell'apostolato di san Giovanni Battista, accenna alla situazione politica della Palestina, cioè a quelli che la governavano ed ai sommi sacerdoti che la reggevano nella parte religiosa. Non è a caso che lo Spirito Santo glielo fa fare, giacché i governanti stranieri ed il sommo sacerdozio, assoggettato alla politica e decaduto fino al punto da essere dominato da principi pagani e da essere esautorato a loro piacere, dimostravano la pienezza dei tempi predetti per la venuta del Messia, ossia la completa rovina del regno di Giuda.
Tiberio Cesare, figlio di Livia Drusilla e di Tiberio Claudio Nerone, adottato come figlio dall'imperatore Augusto dopo che questi sposò Livia sua madre, fu prima associato al governo dell'impero e preposto all'amministrazione delle province, e poi, alla morte di Augusto, gli successe e fu imperatore dal 767 al 791 di Roma. San Luca computa gli anni dell'impero di Tiberio non dalla morte di Augusto, ma dalla sua prima assunzione al governo nel 764-765 di Roma; essendo nato Gesù Cristo nel 748-749 di Roma, al quindicesimo anno del governo di Tiberio aveva circa trent'anni, come dice san Luca al versetto 23.
Il governo della Palestina era così costituito: la Giudea, annessa alla provincia della Siria dopo la deposizione e l'esilio di Archelao, era retta da governatori dipendenti dal Preside della provincia. Il primo governatore fu Coponio, il quinto fu Ponzio Pilato, il quale governò dal 26 di Gesù Cristo fino al 36-37. Alla morte di Erode, detto il grande, il suo regno fu diviso in 4 parti, ciascuna delle quali fu detta tetrarchia, cioè governo di 4 persone. La Giudea, la Samaria e l'Idumea toccarono ad Archelao, il quale fu poi deposto, come s'è detto, e la Galilea e la Perea toccarono ad Erode Antipa, il quale regnò dall'anno 4° prima di Gesù Cristo fino all'anno 39-40 di Gesù Cristo. Filippo, figlio di Erode, il grande, ebbe in eredità dal padre l'Iturea, che comprendeva la Bitinia, la Traconitide, l'Auranitide ecc. e sposò Salomè, figlia di Erodiade, moglie di un altro suo fratello, per parte di padre, chiamato anch'esso Filippo Erode, colui al quale Erode Antipa tolse la moglie. Filippo Erode fu diseredato dal padre e visse da privato. La moglie Erodiade, ambiziosissima, si fece sedurre da Erode Antipa e lo seguì sul regno, diventandone moglie adultera ed incestuosa; Filippo il tetrarca poi governò con una certa equità, e fu colui che edificò Cesarea di Filippo ai piedi dell'Ermon, e Betsaida Giulia sulla spiaggia Nord del lago di Tiberiade.
L'Abilene, regione situata tra il Libano e l'Ermon a nord-ovest di Damasco, era governata da un certo Lisania, del quale non si conoscono fatti particolari. Un'iscrizione, trovata recentemente ad Abila, capitale della regione, conferma ciò che dice san Luca, indicando chiaro che al tempo di Tiberio vi era un tetrarca di nome Lisania.
Per ciò che riguardava la religione, il Sacro Testo dice che a capo del Giudaismo v'erano i pontefici Anna e Caifa. Il pontefice presso gli Ebrei era uno solo ed a vita; ma i Romani non tollerarono questa legge e praticamente vollero un pontefice che dipendesse dalla loro autorità, tanto per la nomina quanto per la durata del pontificato. Anna aveva ottenuto il supremo potere religioso dal preside della Siria, Cirino, nell'anno 7 di Gesù Cristo, ma ne fu deposto nel 14 da Valerio Grato. Egli, però, benché deposto, continuò ad avere una grande autorità, ed era riguardato come pontefice insieme a Caifa, suo genero, nominato nell'anno 18 e rimasto pontefice fino al 36 di Gesù Cristo.
San Luca, da storico accurato qual'è, prima di parlare dell'apostolato di san Giovanni Battista, accenna alla situazione politica della Palestina, cioè a quelli che la governavano ed ai sommi sacerdoti che la reggevano nella parte religiosa. Non è a caso che lo Spirito Santo glielo fa fare, giacché i governanti stranieri ed il sommo sacerdozio, assoggettato alla politica e decaduto fino al punto da essere dominato da principi pagani e da essere esautorato a loro piacere, dimostravano la pienezza dei tempi predetti per la venuta del Messia, ossia la completa rovina del regno di Giuda.
Tiberio Cesare, figlio di Livia Drusilla e di Tiberio Claudio Nerone, adottato come figlio dall'imperatore Augusto dopo che questi sposò Livia sua madre, fu prima associato al governo dell'impero e preposto all'amministrazione delle province, e poi, alla morte di Augusto, gli successe e fu imperatore dal 767 al 791 di Roma. San Luca computa gli anni dell'impero di Tiberio non dalla morte di Augusto, ma dalla sua prima assunzione al governo nel 764-765 di Roma; essendo nato Gesù Cristo nel 748-749 di Roma, al quindicesimo anno del governo di Tiberio aveva circa trent'anni, come dice san Luca al versetto 23.
Il governo della Palestina era così costituito: la Giudea, annessa alla provincia della Siria dopo la deposizione e l'esilio di Archelao, era retta da governatori dipendenti dal Preside della provincia. Il primo governatore fu Coponio, il quinto fu Ponzio Pilato, il quale governò dal 26 di Gesù Cristo fino al 36-37. Alla morte di Erode, detto il grande, il suo regno fu diviso in 4 parti, ciascuna delle quali fu detta tetrarchia, cioè governo di 4 persone. La Giudea, la Samaria e l'Idumea toccarono ad Archelao, il quale fu poi deposto, come s'è detto, e la Galilea e la Perea toccarono ad Erode Antipa, il quale regnò dall'anno 4° prima di Gesù Cristo fino all'anno 39-40 di Gesù Cristo. Filippo, figlio di Erode, il grande, ebbe in eredità dal padre l'Iturea, che comprendeva la Bitinia, la Traconitide, l'Auranitide ecc. e sposò Salomè, figlia di Erodiade, moglie di un altro suo fratello, per parte di padre, chiamato anch'esso Filippo Erode, colui al quale Erode Antipa tolse la moglie. Filippo Erode fu diseredato dal padre e visse da privato. La moglie Erodiade, ambiziosissima, si fece sedurre da Erode Antipa e lo seguì sul regno, diventandone moglie adultera ed incestuosa; Filippo il tetrarca poi governò con una certa equità, e fu colui che edificò Cesarea di Filippo ai piedi dell'Ermon, e Betsaida Giulia sulla spiaggia Nord del lago di Tiberiade.
L'Abilene, regione situata tra il Libano e l'Ermon a nord-ovest di Damasco, era governata da un certo Lisania, del quale non si conoscono fatti particolari. Un'iscrizione, trovata recentemente ad Abila, capitale della regione, conferma ciò che dice san Luca, indicando chiaro che al tempo di Tiberio vi era un tetrarca di nome Lisania.
Per ciò che riguardava la religione, il Sacro Testo dice che a capo del Giudaismo v'erano i pontefici Anna e Caifa. Il pontefice presso gli Ebrei era uno solo ed a vita; ma i Romani non tollerarono questa legge e praticamente vollero un pontefice che dipendesse dalla loro autorità, tanto per la nomina quanto per la durata del pontificato. Anna aveva ottenuto il supremo potere religioso dal preside della Siria, Cirino, nell'anno 7 di Gesù Cristo, ma ne fu deposto nel 14 da Valerio Grato. Egli, però, benché deposto, continuò ad avere una grande autorità, ed era riguardato come pontefice insieme a Caifa, suo genero, nominato nell'anno 18 e rimasto pontefice fino al 36 di Gesù Cristo.
Iscriviti a:
Post (Atom)