Al tempo di Erode re della Giudea, dice san Luca, vivevano due santi personaggi, giusti innanzi a Dio ed irreprensibili in tutti i comandamenti ed i precetti del Signore. Erode, detto il grande per i lavori pubblici compiuti nella Giudea, soprattutto restaurando il tempio, era figlio di Antipatro, che, sotto il pontificato d'Ircano, fu nominato da Giulio Cesare procuratore della Giudea. A forza d'intrighi, Erode, succeduto al padre, ottenne dal senato romano il titolo di re, e regnò dal 714 al 750 di Roma.
Sanguinario criminale fino al delirio, regnò fra stragi ed oppressioni di ogni genere, e fu il terrore dei suoi sudditi. La sua vita fu un obbrobrio per i vizi, e sul trono fu più una belva che un uomo; fece uccidere tre dei suoi figli ed un suo fratello, e per i più piccoli sospetti condannò a morte i migliori suoi amici. Ad un tale mostro coronato fa contrasto nel Sacro Testo la pacifica coppia di due santi: Zaccaria ed Elisabetta.
Davide, nell'organizzare il servizio religioso del tempio, aveva diviso i sacerdoti in 24 classi denominate ciascuna dal suo capo. Ogni classe serviva da un sabato all'altro, ed in questo ministero ebdomadario offriva l'incenso ed immolava le vittime, trovando nel fabbricato del tempio medesimo l'alloggio.
La loro casa era desolata e silenziosa, con la prospettiva della morte che l'avrebbe estinta per sempre, e le sue stanze avevano quasi la caligine di ciò che passa inesorabilmente, senza la luce gioiosa di novelle aspirazioni. Ormai era certo per essi che la luce del Messia non avrebbe potuto rischiararla.
Ma quale preghiera è vana innanzi a Dio? Anche quando sembra inesaudita, anche quando sembra oramai assurdo che possa essere esaudita, essa ottiene il suo effetto in una maniera superiore alla nostra aspettativa, e sboccia come albero fecondo nella primavera. San Zaccaria e santa Elisabetta avevano a lungo pregato per avere un figlio e, quando oramai non avevano più speranza perché vecchi, avevano pregato perché si affrettasse l'ora della venuta del Messia. La loro preghiera fu doppiamente esaudita, perché ebbero il figlio e videro il Messia, anzi lo ebbero congiunto alla loro parentela.
Per evitare questioni tra i sacerdoti di turno al servizio del tempio, gli uffici erano tirati a sorte ogni mattina. A Zaccaria era toccato quello di offrire l'incenso. L'incenso si bruciava sull'altare dei profumi, che stava innanzi al Santo dei Santi, nelle ore della pubblica preghiera, cioè alle nove del mattino ed alle tre di sera. Il sacerdote designato entrava solo nel santuario, ed il popolo, pregando, si tratteneva fuori, cioè negli atri o nei cortili degl'israeliti e delle donne. Probabilmente era l'ora del vespro, e Zaccaria entrò nel santuario per offrire l'incenso. Il popolo numeroso elevava a Dio i suoi ardenti sospiri, giacché era angariato dal dominio straniero in tutti i modi, e ne domandava la liberazione. La gloria d'Israele era tramontata, e non c'era giorno che non si assistesse a qualche sopruso del tiranno che governava; forse in quel giorno l'afflizione era stata maggiore, giacché, in generale, sono proprio le tribolazioni che rendono più fervide le preghiere ed affrettano l'ora di Dio.
Zaccaria, ascoltando i sospiri del popolo, elevò al Signore con più ardore l'anima propria e, considerando la sua stessa afflizione, si umiliò profondamente. Si riguardò come indegno di compiere quel sacro ministero, si credette come riprovato da Dio, si stimò l'ultimo ed il più spregevole dei sacerdoti. Certo stava in un momento di interiore annientamento, perché il Signore sceglie questi momenti per svelarsi ad un'anima. Il timore stesso che ebbe nel vedere l'angelo poté essere causato anche da questo stato di interiore umiltà, stimando che venisse a rimproverarlo.
Si raccolse, pose l'incenso sul fuoco, e nella solennità del momento pregò ardentemente. Era quasi sopra pensiero; la solennità del luogo gli dava un senso di profondo rispetto, la fede con la quale ministrava l'incenso gli faceva rivolgere tutto il cuore a Dio; non badava a quello che lo circondava, ed univa il suo cuore al crepitare tranquillo della fiamma che ardeva e la sua preghiera alle volute di profumato incenso che si elevavano in alto. Era come assorto, tutto in Dio e tutto nel suo ministero e pregava. Quand'ecco trasalì per un terrore misterioso che lo invase: a destra dell'altare, improvvisamente si era delineata una figura umana, bellissima, immobile, maestosa, fulgente, adorante Dio con un raccoglimento così profondo, da sembrare l'arresto improvviso di tutta la creazione. Non parlava in quel momento, ma tutta la sua persona era come una parola vivente: era come tratto in alto, quasi nube luminosa, aveva gli occhi scintillanti, del colore del cielo, ed in essi non si rifletteva la luce della terra, perché erano profondamente misteriosi, avevano i riflessi dell'eterna gloria. La luce l'avvolgeva tutto, e sembrava alle sue spalle come manto regale, che si spiegava in due ali potenti. Ma non erano ali; erano l'espressione vivente della sua natura veloce come folgore e pronta ai comandi di Dio. Le mani erano levate in alto, congiunte in un gesto d'amore immenso, ma non erano mani; erano l'espressione di una potenza placida ed irresistibile, che ordina e ricama, ed i cieli sembravano muti al loro cenno. Il corpo era tutto luce e fulgore che manifestava lo spirito, alone candido che avvolgeva una vita tutta attiva nella divina volontà. Zaccaria rimase come inebetito, s'arrestò, temette ma non si turbò che superficialmente. Ma profondamente lo inondava la pace, la pace di Dio.
L'angelo gli parlò; la sua parola era placida e penetrante, poiché non era un articolare di sillabe che esprimevano un concetto, ma un concetto luminoso, una vita che sembrava parole ed era verità.
La nostra parola è il vibrare della materia mossa dallo spirito; la parola dell'angelo era il fulgore dello spirito che manifestava la luce della divina volontà. Il fulgido sguardo del messaggero di Dio era pieno di bontà, di quella bontà che l'uomo non immagina neppure, ed i cui barlumi sono nelle espansioni della cristiana carità. Rassicurò Zaccaria con una parola: Non temere; lo trasse in alto con una grande novella; la sua preghiera era stata esaudita, ed Elisabetta avrebbe avuto un figlio che sarebbe stato la sua gioia e la sua allegrezza. Con poche parole tratteggiò la grandezza del figlio che Dio gli donava, una grandezza sconosciuta al mondo che si diletta di miserie, e crede altezze gli abissi.
Sarebbe stato grande innanzi a Dio, quindi avrebbe avuto l'anima piena di doni soprannaturali, e per necessità sarebbe stato in contrasto col mondo. Non avrebbe bevuto né vino, né sicera, ossia nulla di inebriante e di fortificante, perché sarebbe stato ripieno di Spirito Santo fin dal seno materno. La sicera era un liquore inebriante che si otteneva con la fermentazione del grano, dell'orzo, del miglio, dei datteri, ecc. una specie di birra che si beveva per prendere forza nel lavoro; ora, la forza del Battista sarebbe stato lo Spirito Santo, ebbrezza meravigliosa dell'anima. Le bevande alcoliche, prese moderatamente, sostengono le forze dell'organismo, gli danno calore e vigore, ne scuotono il torpore, e lo rendono così più atto a servire all'anima. Il materialismo balordo ha creduto che l'ebbrezza dei sensi possa diventare azione, e che la sovraeccitazione possa mutarsi in pensiero brillante, è un errore, perché l'anima operando nel corpo e per il corpo, può solo trovare negli organi fortificati, e per così dire sgranchiti, una maggior facilità di azioni, sempre nei poveri limiti delle cose umane. L'ubriachezza od anche semplicemente l'eccesso del vino abbrutisce, il vigore invece rende l'organismo più pronto e gli fa considerare più facile l'agire. Lo Spirito Santo è tutt'altra cosa, ed è per l'anima come una meravigliosa ebbrezza.
Esso non fortifica il corpo rendendolo strumento dell'anima, ma fortifica l'anima, rendendola dominatrice del corpo e della materia; accende una gran luce interiore, infonde un immenso amore nel cuore. Non la scuote semplicemente ma l'arricchisce, e dona alle sue potenze un vigore spirituale che le trasforma, e le rende capaci di azioni grandi, secondo i particolari disegni di Dio.
Nelle azioni materiali od umane il corpo fortificato è uno strumento più pronto; in quelle spirituali e soprannaturali il corpo dominato dalla penitenza e dalla sobrietà rende l'anima più docile strumento dello Spirito Santo, poiché rende minima la sua tensione verso la vita materiale. È questa la ragione profondissima per la quale l'angelo, dopo aver detto che il Battista non avrebbe bevuto né vino né bevande inebrianti, soggiunse che sarebbe stato ripieno di Spirito Santo. Egli sarebbe stato tanto penitente da essere come una creatura di puro spirito, tutta fortificata ed inebriata dalla grazia di Dio.
La pienezza della grazia gli avrebbe dato potere sulle anime, e sarebbe stato un dominatore di spiriti, convertendo a Dio molti peccatori. E questa, infatti, l'espressione più grande della potenza spirituale, poiché qualunque forza e qualunque dominio sono vani di fronte all'ostinazione di un cuore, e soggiogarlo non opprimendolo ma mutandolo è il sommo della fortezza.
Ripieno di Spirito Santo, il Battista avrebbe compunto e dominato i cuori; convertendoli a Dio, li avrebbe predisposti alla venuta del Messia, ed avrebbe ricondotto i cuori dei padri verso i loro figli, e gli increduli alla sapienza dei giusti, facendo rivivere, nella sua generazione degenere, smidollata ed incredula, i grandi desideri e le grandi aspirazioni dei primi padri, e la fede nelle divine promesse.
Zaccaria diventa muto
Il programma era magnifico, ma Zaccaria ne comprese ben poco, come si rileva dalla sua risposta; egli era tutto concentrato nella promessa di un figlio, e la credeva assurda, giacché egli e la moglie oramai erano vecchi; perciò, invece di esultare e ringraziare Dio, disse con grande diffidenza ed incredulità: Come comprenderò io questo? Anche la Vergine Santissima all'annunzio del medesimo angelo oppose una interrogazione, ma c'è un abisso tra la risposta di Zaccaria e quella di Maria: Zaccaria era concentrato in se stesso: Come comprenderò io questo? Maria Santissima era concentrata nella divina volontà: Come avverrà questo? Zaccaria rifiutava l'annunzio come assurdo, Maria domandava che cosa Dio voleva da Lei, ed in qual modo avrebbe compiuto la sua volontà.Come comprenderò io questo? Era l'espressione dell'io, di quell'io che pretende erigersi a giudice dei disegni di Dio, di quell'io che soffoca i più delicati germi di grazia presumendo di voler tutto valutare col proprio criterio; era il verbo della propria mente opposto al verbo di Dio; era la parola umana meschinissima che osava sostituirsi a quella di Dio; perciò giustamente Zaccaria fu privato della propria parola e divenne muto. L'angelo si fece severo, e la sua maestà rifulse come una folgore. Zaccaria nel rispondergli non aveva riflettuto che parlava con un spirito eccelso, ed era stato imprudente; ora, l'angelo lo richiamò alla realtà dicendo: Io sono Gabriele, (che significa il forte di Dio) e sto innanzi a Dio.
Nel dire queste parole, rifulse in lui quello che il suo nome significava, e lo avvolse un raggio della divina Maestà; egli era il forte, l'espressione della vera fortezza, qualche cosa d'immenso, di profondo, di largo, di alto, qualche cosa di gigantesco e di potente, capace di scuotere i cardini del mondo... Io sono Gabriele, era una parola celeste che esprimeva ciò che significava e che esprimendolo lo faceva vivere, e perciò dovette colpire Zaccaria come una folgore di straordinaria potenza, che gli contrasse i nervi e lo rese muto prima ancora che l'angelo glielo dicesse. Non aveva creduto, era rimasto muto nelPanima, prima di esserlo nel corpo, e la sua mutezza diventava un segno di verità: egli manifestava con un castigo visibile che quello che aveva ascoltato non era illusione.
Nel miscredente lo spirito diventa muto e la preghiera tace
Quale lezione per noi, abituati con tanta facilità ad opporre ai disegni di Dio quelli del nostro io, ed a far capo sempre alla nostra stoltezza nell'apprezzare le vie del Signore! Come comprenderò io questo? Ecco il programma nostro di fronte alla grazia che ci penetra e ci trasporta; arrestiamo il passo e vorremmo tutto valutare alla luce del nostro io, per questo langue lo spirito e la preghiera diventa muta in noi.
Oh, se ci sapessimo abbandonare alla divina volontà ed alla divina azione! Come comprenderò io questo? Ecco la parola dell'umana stoltezza di fronte ai misteri dell'eterna verità; ecco l'atteggiamento di chi vede nell'abisso della propria impotenza, e non sa credere alla potenza di Dio!
Zaccaria guardò alla propria vecchiaia ed alla sterilità della moglie, e pretese di valutare a questa morta luce la promessa del Signore; per questo si smarrì e divenne muto.
Chi non crede guarda alla materia ed alle leggi della carne, e per questo è incapace di assentire alle verità della fede. Non crede e rimane muto spiritualmente, non avendo più in sé una parola di verità. Non c'è un muto più desolante di un miscredente; egli non parla con la parola della verità, ma, diremmo quasi, parla a segni, come Zaccaria, e la sua parola è tutta materiale, manca del verbo interno della verità ed è un segno troppo evidente del castigo di Dio.
Noi crediamo che sia una nostra condiscendenza ed una nostra degnazione il credere ed il pregare, mentre è un dono di Dio; quando siamo indegni del Signore per la nostra superbia, non crediamo e non parliamo a Dio. È una verità che dobbiamo ponderare profondamente.
Le nostre parole di fede e le voci della nostra preghiera sono il termometro della nostra anima; appena questa si disorienta nelle miserie orgogliose dell'io o nelle degradazioni dei sensi, perde la parola, il verbo interno che le fa dire credo, ed il verbo esterno che la fa parlare a Dio.
Un sacerdote potrebbe misurare la sua vita da questo, e potrebbe constatare a tal segno la sua vicinanza a Dio. Quando stenta a prendere il suo Breviario in mano e non sa parlare, allora è segno che la sua fede è in ribasso, e che il suo cuore è immeschinito nella vita del mondo.
Quando un fedele non sa parlare a Dio, ha bisogno di purificarsi e rinnovarsi, perché la sua mutezza spirituale è segno di paralisi interiore.
Il popolo attese invano che Zaccaria comparisse e si meravigliò che tardasse ad uscire dal santuario, segno che dovette rimanere a lungo dopo l'annunzio dell'angelo. L'essere rimasto effettivamente muto era per lui un segno troppo chiaro che la visione non era stata un'illusione; perciò rimase pieno di rammarico per la sua poca fede, e sostò in intima preghiera innanzi al Signore per domandargli perdono.
Quando uscì fuori portava evidenti i segni dell'interna emozione, e da questo il popolo capì che gli era avvenuto qualche cosa di soprannaturale. Molti cercarono di interrogarlo, poiché una visione avuta nel santuario poteva essere un annunzio di cose future od un ammonimento di Dio al popolo; ma Zaccaria non poté rispondere che a segni. Forse fece segni di pentimento percuotendosi il petto, forse esortò il popolo semplicemente a pregare per lui, forse cercò di imporre silenzio al popolo per calmarne l'ansia; non può dirsi con precisione; certo rimase in profondo raccoglimento in tutto il resto della sua settimana.
Elisabetta attende un figlio
Tornato Zaccaria a casa manifestò alla moglie, forse per iscritto, la visione avuta, ed essa dopo poco si accorse di avere veramente concepito. La sua gioia fu immensa, perché l'ignominia della sterilità, che l'escludeva quasi dalla benedizione data da Dio ad Abramo (Gen 22,17; 30,23), le era tolta, ed il Signore mostrava di non averla ricacciata da sé, com'essa tante volte aveva temuto. Stette cinque mesi in casa senza mostrarsi, forse per assicurarsi prima della realtà della sua gravidanza, ed anche per evitare domande indiscrete sulla infermità del marito. Si tratteneva in preghiera, e si direbbe che con quella volontaria solitudine, comunicava in certo modo al figlio quell'amore al deserto ed al silenzio che doveva prepararlo un giorno alla sua grande missione. Elisabetta era santa, fedele al Signore ed irreprensibile, e con tutto ciò era stata colpita dalla sterilità. Ma questa serviva nei fini di Dio a farla esercitare nell'umiltà e nella preghiera, per prepararsi, poi, ad una grazia più grande. Il suo claustro materno fu così preparato come una cella profumata di annientamenti, e quando accolse il Precursore lo avvolse nella nube dell'umiltà.
Quante anime spirituali sembrano colpite dalla sterilità, quando Dio prepara in loro una più grande fecondità! A volte esse debbono formare una generazione di anime capaci di glorificare Dio e di annunziarne il regno, ed hanno necessità di sospirare al Signore coi gemiti di quell'ardente amore che cerca Lui solo e la sua gloria; in questi ardori che sembrano inappagati, l'anima invece si addestra ai desideri del cielo, e si forma a quella spirituale maternità che un giorno dovrà allietare la sua vita.
Come si combatte la sterilità spirituale
Non si combatte la sterilità spirituale sfiduciandosi o disperandosi, ma la si combatte umiliandosi e pregando; è così che si raggiunge il fine per il quale Dio la permette o la manda. Credere impossibile il liberarsene significa cadere nella poca fiducia che ebbe san Zaccaria per le parole dell'angelo, e rimanere muti nella preghiera.
San Zaccaria, offrendo l'incenso, ebbe il grande annunzio, ed il Signore lo consolò quando esercitava le funzioni sacerdotali; così deve fare l'anima inaridita: pregare ed esercitarsi nelle opere di zelo, che hanno un grande segreto di interiore fecondità. Satana invece la tenta di sfiducia e d'inerzia, e le fa credere persino di essere sull'orlo della perdizione; egli così perfidamente vuol renderle impossibile quella sincera fede e quell'umile abbandono in Dio, che fa sperare anche contro la speranza. L'angelo che parla all'anima è il sacerdote, e bisogna che essa presti fede alle sue assicurazioni, se non vuol cadere in un abisso di tenebre fitte che le rendono impossibile il rialzarsi ed il rifiorire. Il pessimismo è sempre mortale nelle vie dello spirito, mentre la speranza e l'abbandono nella divina misericordia è un segreto di grande vita.
Non si pota la pianta per farla fiorire più riccamente? Dio pota le anime con l'aridità, le sprofonda nell'umiltà, le rende consce della loro debolezza, e poi al momento opportuno le inonda di grazia e compie in loro i suoi grandi disegni.
Non si ripara alla sterilità di una pianta scerpandola ma concimandola; ora l'umiltà è il concime più proprio delle nostre interiori potenze, e quando ha raggiunto il grado di profondità proporzionato all'altezza del disegno di Dio, allora esse rifioriscono inaspettatamente, e danno un frutto vero di vita santa.
Sac. Dolindo Ruotolo
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