Dopo la moltiplicazione dei pani e dei pesci san Matteo e san Marco dicono che Gesù si appartò su di un monte per pregare, ingiungendo ai suoi di andare in barca all'altra riva. Nel mezzo del lago gli apostoli furono sorpresi dalla tempesta, e Gesù li raggiunse camminando sulle acque. San Matteo narra in particolare l'episodio di san Pietro che al comando del Maestro camminò egli pure sulle acque (Mt 14,22ss; Me 6,46ss). Approdarono poi a Genesaret, dove Gesù operò molti miracoli, e di là si trasferì nei pressi di Tiro e di Sidone, dove avvenne l'episodio della Cananea (Mt 15,22ss; Me 7,25ss).
Ritornato in Galilea, Gesù vi guarì molti infermi, ed in particolare un sordo muto (Me 7,32ss). La folla nuovamente lo circondò, e Gesù l'alimentò con una seconda moltiplicazione, facendo bastare sovrabbondantemente a circa quattromila persone sette pani e pochi pesciolini (Mt 15,32-39; Me 8,1- 10). Dopo questa moltiplicazione avvenne una disputa coi farisei e i sadducei (Mt 16,1-4; Me 8,11-13). Tornato a Betsaisa Gesù vi guarì un cieco sputandogli sugli occhi (Me 8,22-26), ed andato coi suoi nei pressi di Cesarea di Filippo, domandò loro che cosa dicessero di Lui gli uomini.
San Luca non ricorda tutti questi avvenimenti e dalla prima moltiplicazione dei pani passa subito a parlare della domanda fatta da Gesù ai suoi apostoli sulle voci che correvano di Lui. A molti sembra inesplicabile questa lacuna di san Luca, e suppongono che sia andato perduto qualche foglio del suo manoscritto; ma è evidente che l'evangelista, avendo raccolto da altri le notizie dei fatti che narra, non ebbe particolari informazioni su quegli avvenimenti, o le ebbe frammentarie e pensò di non inserirle nel suo libro. Del resto gli evangelisti non raccontano tutto quello che avvenne nella vita di Gesù, e non è da meravigliarsi della lacuna di san Luca. Si potrebbe anche supporre che Gesù non abbia domandato una sola volta agli apostoli che cosa si dicesse di Lui, e che dopo la prima moltiplicazione, appartatosi con loro in preghiera sul monte sul quale s'era recato proprio per questo, abbia fatto quella domanda per risuscitare in loro la fede su quello che Egli era veramente.
A noi questo sembra più probabile anche dal punto di vista psicologico: Gesù, infatti, aveva raccolto gli apostoli dopo la missione da essi compiuta, per farli rifocillare e riposare, e principalmente per dare ad essi, nel raccoglimento della preghiera, un maggiore sentimento di umiltà, ed evitare che avessero potuto gloriarsi di quello che avevano operato. Raccoltasi sul monte la turba, Egli non poté badare ai suoi apostoli; ma, licenziatala dopo il grande miracolo, li riunì in preghiera e domandò loro che cosa dicevano le turbe di Lui.
E evidente dal contesto e anche dagli altri Vangeli, che gli apostoli avevano capito poco o niente del miracolo della moltiplicazione dei pani, e Gesù con quella domanda volle richiamare la loro attenzione su quello che Egli era. Essi, infatti, non avevano ancora in Lui un pieno abbandono ed una piena fede, si preoccupavano eccessivamente delle cose temporali, pensavano al loro esaltamento, e gareggiavano fra loro chi fosse il più grande, perché non riflettevano che Egli era il Figlio di Dio.
Perché Gesù vieta ai suoi apostoli di rivelare la sua identità divina
Alla domanda di Gesù gli apostoli risposero riferendo le varie opinioni del popolo: chi diceva ch'Egli era Giovanni Battista, chi Elia, e chi affermava che era qualcuno degli antichi profeti risorto. E voi, soggiunse Gesù, chi dite che io sia?
Simon Pietro rispose subito per tutti: Il Cristo di Dio. La sua fede era piena, ed egli, nell'esuberanza del suo amore, parlò in nome di tutti, anticipando senza pensarlo, ma per divina disposizione, i giorni del suo primato, nei quali avrebbe illuminato tutta la Chiesa con la sua infallibile fede.
Era la verità, ma Gesù ingiunse severamente ai suoi apostoli di non dirla a nessuno, soggiungendo che era necessaria la sua Passione e morte, e poi la sua risurrezione.
A prima vista sembrerebbe che Gesù abbia voluto di proposito essere sconosciuto ai suoi nemici, per rendere possibile la sua Passione e morte, e sembrerebbe anche che essi non avessero colpa di non averlo riconosciuto, dato che Egli non voleva manifestarsi per quello che era. Gesù Cristo invece conosceva il cattivo animo dei suoi nemici e sapeva che una confessione esplicita e prematura della sua Divinità, fatta dai suoi apostoli, li avrebbe maggiormente aizzati contro di essi e contro di Lui, rendendoli più colpevoli. Egli doveva patire ed essere riprovato; era questa una necessità conseguente al suo disegno di amore ed all'utilizzazione che voleva fare della stessa perversità dei suoi nemici, ma non dava loro il pretesto per farlo, e nella sua misericordia li attendeva a salutare ravvedimento con l'evidenza dei fatti che compiva e voleva compiere.
Questo ci fa intendere l'ammirabile pazienza di Dio coi peccatori: Egli sa quello che faranno e non manca di dar loro tutti gli aiuti per operare il bene; sa che ne abuseranno, e li dà loro in modo da ridurre al minimo la responsabilità della coscienza. Si nasconde non per impedire che rinsaviscano, ma per renderli meno colpevoli.
Egli, poi, sa che i suoi eletti ricaveranno tesori di meriti dalle mani dei perfidi e, pur di arricchirli per l'eterna ricompensa, non ha ritegno di apparire Egli ingiusto e di dar mano lunga ai peccatori. Il suo divino gioco si vedrà subito, del resto; i pochi secoli della storia del mondo sono meno che attimi innanzi a Lui, e la sua grande carità, giustizia e misericordia verranno presto giustificate.
Non mormoriamo di Dio
Siamo troppo piccoli noi per potere apprezzare l'ordine mirabile del mondo fisico e di quello spirituale, e siamo estremamente stolti nel dubitare e mormorare di Dio. Diamo a Lui la responsabilità di quello che avviene di storto nel mondo, e non sappiamo riconoscere le nostre responsabilità; per questo ci smarriamo miseramente nei labirinti della vita ed abbiamo una fede tanto meschina.Ecco, per esempio, piove a dirotto e grandina di primavera, quando tutta la campagna è fiorita. Noi non pensiamo subito che quella rovina è frutto della nostra miseria; l'attribuiamo a Dio, del quale siamo sempre pronti a mormorare, e facciamo il gioco di satana che ci tende l'agguato per demolire la nostra fiacca fede.
E terribilmente strano e penoso che contro satana non ci rivoltiamo mai! Eppure, se si pensa, è proprio lui a provocare quei disastri, appena noi gliene diamo la libertà coi nostri peccati. Satana ci odia, ed odia tutto quello che è splendore di vita, perché egli è morte.
Una campagna fiorita, nell'ammirabile armonia dei suoi toni e dei suoi profumi, lode placida di Dio e promessa di abbondanza per l'uomo, lo urta. Satana sta in agguato, e quando i peccati ci rendono degni del castigo e le preghiere dei buoni non li controbilanciano mandando sui fiori la benedizione che li tutela, egli esce dal suo agguato, raccoglie le forze disastrose di cui può disporre, irrompe con l'uragano e la grandine contro i fiori che l'urtano, devasta la campagna, e poi sguinzaglia i suoi tetri ministri per spingere gli uomini alla maledizione di Dio.
È una cosa che dovremmo ponderare, per non essere ad ogni momento i critici stupidissimi della provvidenza, ed invece di mormorare dovremmo pentirci dei nostri peccati e ripararli. Oh, se ci abituassimo a stare sempre in adorazione innanzi a Dio, ed a ripetere chiudendo gli occhi: Omnia in sapientia fecisti!
Oh se ponderassimo la nostra distanza da Dio! Gli angeli gli sono tanto vicini; eppure se si considerasse la loro limitata natura e non l'amore che li congiunge a Dio, ci apparirebbero innanzi al Signore immensamente più distanti di quello che non siamo noi dalle stelle del firmamento. E se gli angeli sono faville innanzi a Lui, noi che cosa siamo? Quanta è la nostra distanza da Lui! E come possiamo ardire di mormorare di Lui?
Alle voci degli uomini su Dio dobbiamo contrapporre la voce amorosa della nostra fede, e ripetere con san Pietro a Gesù, nostro Redentore e nostro Re: Tu sei il Cristo di Dio.
Siamo tra mille voci disparate che si elevano su Dio dalla terra, e non sono voci di sapienza e di amore, ma di stoltezza e di odio.
Chi dice che Egli è come un morto sorto dalla nostra tabe, un'idea dell'io, vivificata dalla nostra miseria; chi dice che Egli è una terribile forza cieca, irrompente dalle cieche forze della natura; chi dice che Egli è la risurrezione di fantasmi antichi e di giochi di ombre, proprio come dicevano di Gesù che Egli era il Battista risorto, o l'irrompente Elia, o qualcuno dei profeti, risorti come ombre vaganti dalle tombe.
A noi Dio domanda: E voi chi dite che io sia?
Ci sono oggi quelli che credono Gesù persino malefico (è terribile, è terribile!), e lo combattono più che non si faccia con un nemico, e Dio domanda con l'impeto del suo amore alla nostra fede: E voi chi dite che io sia? Che cosa risponderemo noi? Oseremo ancora mormorare di Lui, o rimanere titubanti sulla sua infinita realtà, sulla sua sapienza e sul suo amore? Oseremo ancora giudicarlo alla stregua delle suggestioni di satana od a quelle del nostro maledetto orgoglio?
Rispondiamo con l'impeto dell'amore: Tu sei la Verità, la Sapienza e l'Amore per essenza; Tu sei l'Eterno, l'Infinito, l'Onnipotente Padre, Figlio e Spirito Santo.
Tu sei Potenza, Provvidenza e Carità, e compi tutto con forza, con soavità e con amore, o Santissima Trinità!
Che cosa dice di Te il mio intelletto? Ti credo!
Che cosa dice la mia volontà? Ti obbedisco!
Che cosa dice il mio cuore? Ti amo!
Che cosa dico di Te nelle oscurità della vita? Ti adoro!
Che cosa dico nei dolori? Ti ringrazio e ti amo!
Che cosa dico nelle tenebre e nelle angustie? Confido in
Te!
Che cosa dico quando mi chiami al compimento della tua volontà? Adsum! Ecce Ancilla Domini fiat mihi secundum verbum tuum.
Che cosa dico quando la vita mi si rende tribolata? Sono peccatore, merito mille volte di più, ti offro tutto in riparazione!
Che cosa dirò nella morte quando tutto mi sfuggirà? Ecce venio ad Te quem amavi, quem qucesivi, quem semper optavi, ecco vengo a te che ho amato, che ho desiderato, che ho sempre voluto!
Voglio che la mia vita sia tutta un atto di fede, di speranza e di amore, voglio renderti testimonianza di verità, di sapienza e di carità, anche a costo di agonizzare; voglio essere geloso della tua gloria e difenderla contro tutto e contro tutti.
Non è uscita mai dal mio labbro una parola di lamento su Te, e col tuo aiuto non uscirà mai, anche se queste labbra mi si marcissero, o mio Dio; e se satana mi tenta, non farò mai affiorare dal mio spirito le sue tentazioni ma le soffocherò nella fede e nell'amore, perché il loro lezzo non ammorbi gli altri.
Voglio portare scritto sulla mia fronte coraggiosa: Dio è mia gloria; sul mio intelletto: Dio è mia luce; sul mio cuore: Dio è mio amore!
Voglio deridere tutto ciò che non viene da Lui, che non è per Lui, che non è con Lui; voglio aborrirlo, anche se avesse le parvenze del bello, del vero e del buono, perché Tu solo, o Dio, sei bellezza, verità e bontà!
Un libro che abbia una sola ombra contro la sua gloria per me è più fetido d'un sepolcro e più ripugnante d'un arto consunto dalla lebbra.
Un oggetto che è macchiato di obbrobrio, perché contro la sua volontà e contro la sua Legge è per me più abominevole d'un demonio.
Una conoscenza che non mi porti a conoscerlo e ad amarlo è per me più tenebrosa di un abisso !
Dio, Dio mio, che cosa dirò di Te, io, piccola tua creatura? Farò del mio intelletto un timpano di luce per osannare alla tua eterna verità; farò del mio cuore un cembalo d'amore, per cantarti amore; farò del mio corpo un'arpa a dieci corde, intonate ai tuoi comandi, per cantarti tutta la mia fedeltà!
Che cosa ti dirò io, creato dalla tua onnipotenza, mondato dalla tua misericordia, e vivificato dal tuo amore? Ti dirò che sono tuo, che canto le tue misericordie in eterno e che corro a Te come cervo alla fonte!
Oh, non mi dite che su di una parola del Vangelo io mi dilungo, poiché non è mai eccessiva la protesta dell'amore tra le voci folli che corrono nel mondo su Dio!
Ponderate quel che dicono gli uomini di Dio, e vedete se non erompe, se non deve erompere dal nostro cuore, percosso come la roccia del deserto, un fiume di amore, un devastante fiume che tenti trascinare nell'abisso tutte le brutture dell'ingratitudine umana.
Oh, come potrebbe essere eccessiva la testimonianza resa all'infinito?
O si può imporre un freno al cuore che geme, od un laccio all'impeto dell'amore ferito? Ed io gemo, o mio Dio, perché la tua gloria è manomessa dai vilissimi vermi umani, ed il mio povero amore è ferito dalle ingiurie che ti si rivolgono! Perché non mi dai le ali, perché non mi muti in un turbine, perché non divento una fiamma, perché non volo turbinando là dove è rinnegato il tuo Nome, e perché non consumo col mio amore quello che si oppone al tuo Amore?
Domandami ancora, mio Dio: e tu, cosa dici di me?
Domandamelo ancora, mio Dio: «Che cosa tu dici di me?». Domandamelo, perché non mi stanco di dirtelo: Tu sei carità!
Che cosa dico di Te? Ti risponda tutto Tessere mio fatto vittima di amore; ti risponda con le armonie del dolore, erompente dalla mia fragilità come scroscio di amore: Tu sei degno di ogni amore, Tu solo!
Che cosa io dico di Te? Ti risponda per me la mia sorella morte, spegnendo la mia fiamma, crepitante tra le angustie dell'agonia: sei vita!
Che cosa dico di Te? Ti risponda per me dal mio sepolcro la putredine che dissolverà il mio corpo: tutto invecchia come panno che si consuma, e Tu sei l'immutabile!
Che cosa io dico di Te? Ti risponda per me l'armonia dell'eterna gloria, nella quale spero che ti loderà l'anima mia in eterno: Santo, Santo, Santo, sei Tu, Dio della gloria, Padre, Figlio e Spirito Santo, Potenza, Sapienza ed Amore... O Santissima Trinità!
Sac. Dolindo Ruotolo
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