sabato 25 febbraio 2017

26.02.2017 - Commento al vangelo di S. Matteo cap. VI par. 8-10

 

    8. Non si può servire due padroni. Fiducia nella divina provvidenza

L'anima, che non cerca Dio solo sopra tutte le cose, è divisa dall'opportunismo, e facilmente accondiscende al mondo, pur pretendendo di conservarsi fedele al Signore. È questa la grande piaga che infetta il carattere cristiano, e che dà origine a quei fedeli smidollati, che, praticamente, si danno al male conservando solo la maschera del bene.

Eppure sono così opposti i principi di Gesù Cristo e quelli del mondo, che non è possibile riconciliarli neppure coi ritrovati più o meno dissimulati della viltà e delle passioni, e perciò il Redentore ci ammonisce recisamente che non si può servire a due padroni. È impossibile ancora concentrare la vita tutta nelle cure materiali e nella preoccupazione delle ricchezze, e pretendere di concentrarla contemporaneamente nelle aspirazioni del cielo, poiché quello che ci lega alla terra ci distacca da Dio.

Perciò Gesù Cristo soggiunge: Non potete servire a Dio e a mammona, cioè, secondo il significato caldaico della parola, a Dio ed alla ricchezza. Non dice: non potete avere Dio e la ricchezza, perché questo è stato possibile a tanti santi, ma non potete servire, cioè dedicarvi con l'anima e con le forze.

La premura che hanno gli uomini di accumulare ricchezze è giustificata dalla necessità della vita, e da questo pretesto comincia in noi quella terribile passione delle cose terrene che degenera ben presto in avarizia. Perciò Gesù Cristo tronca alla radice la pessima pianta dicendoci di non prenderci affanno dell'alimento e del vestito. Non dice di non pensarci, ma di non preoccuparcene fino al punto da dimenticarci di Dio e della fiducia che dobbiamo avere in Lui come Padre di tutte le sue creature. Dio vuole che lavoriamo per provvederci di cibo ed il vestito; ma il lavoro non può e non deve diventare così assillante da troncare o danneggiare la vita dell'anima. Servendo Dio, il lavoro diventa una via di provvidenza; trascurando Dio, s'isterilisce miseramente e diventa fonte di assillanti preoccupazioni, come dolorosamente si vede nelle famiglie e nelle nazioni che hanno dimenticato il Signore.

Gesù Cristo rafforza la nostra confidenza in Dio; richiamando la nostra attenzione su quelle creature che, pur non lavorando o non avendo cura delle loro necessità, sono soccorse dalla bontà divina. Gli uccelli non seminano, non mietono e non empiono granai, eppure trovano sempre il loro sostentamento; i gigli del campo, cioè quelli che crescono senza speciali cure del giardiniere, non lavorano e non filano, eppure Dio li veste così elegantemente, che neppure Salomone con tutta la sua gloria vestì come uno di essi.

Il Signore che provvede con tanto amore a queste creature che passano dopo breve tempo, provvede con amore immensamente più grande a quelle che passano sulla terra per andare a Lui e per possederlo eternamente.

Egli dunque vuole da noi questa testimonianza di filiale abbandono, e questa confessione della sua dolcissima padronanza, ed esige che mettiamo come fondamento della vita non già le preoccupazioni temporali, ma quelle spirituali, non già le nostre forze o la nostra abilità ma la benedizione divina, giacché noi, con tutta la nostra preoccupazione, non siamo capaci di aggiungere alla statura già sviluppata un cubito, cioè mezzo metro, od alla vita, secondo il testo greco, un tempo di più.

Siamo nelle mani di Dio e sottoposti alle sue leggi nello sviluppo fisico, e siamo nelle sue braccia paterne per ciò che riguarda l'alimento e ciò che è necessario ai bisogni quotidiani. Egli sa ciò che ci occorre, e solo chi non crede in Lui vivente, come i pagani, ed ha come divinità degli idoli, può credere di doversene preoccupare fino a ridurre la vita a una ricerca assillante del mangiare, del bere e del vestire.

Dio vive veramente, è veramente, e vuol dimostrare la sua realtà provvedendo a chi cerca prima il regno eterno e la sua giustizia, cioè la gloria divina e la santità della propria vita.

Basta dunque pensare a quello che può servire ai bisogni quotidiani, basta a ciascun giorno il suo affanno, senza pretendere di dover assorbire tutte le attività per crearsi una posizione di sicurezza assoluta, che praticamente non raggiunge neppure lo scopo di privarci dell'affanno quotidiano della vita.

L'insegnamento di Gesù Cristo è di una importanza grandissima e riguarda le basi medesime della vita cristiana e del carattere che deve distinguerla da quella dei pagani. Non si tratta soltanto di delicate esortazioni a confidare nella divina provvidenza, ma dell'indirizzo pratico della vita e della giornata, nel terreno pellegrinaggio; si tratta di porre come fondamento la vita dello spirito e come accessorio la vita del corpo, mentre il mondo o quelli che pretendono essere anche suoi servi, essendo servi di Dio, stabiliscono come accessorio ciò che è spirituale, credendo esagerato tutto quello che si fa per l'anima, e riducono la vita ad una preoccupazione assillante di guadagni, di ricchezze, di benessere, di divertimenti e di peccati, che sono la rovina della vita stessa. Potremmo dire che in questo problema e nella sua pratica risoluzione si vede qual è la bandiera dei figli di Dio, e perciò è necessario approfondirlo.

Certamente la vita materiale con i suoi bisogni e le sue necessità ci trae, e tenta prendere il sopravvento sulla vita spirituale. Se si pensa solo a quello che occorre in una casa, al cibo, alla bevanda, alla biancheria, al vestito, all'arredamento, alle più piccole cose, c'è da credere che ne rimanga assorbita la giornata. Se si cucina, per esempio, occorre fare prima la spesa, con le relative contrattazioni; poi bisogna preparare il cibo, e questo spesso assorbe ore intere; poi cuocerlo con cura, per evitare le possibili recriminazioni. Quando è pronto e va al desco familiare, dopo poco occorre ripulire le stoviglie, rimettere tutto a posto, e poi ricominciare per la cena. Se viene la sarta o il sarto, il calzolaio, il barbiere, ecc., la giornata viene assorbita tutta e, se vengono occupazioni straordinarie, sembra insufficiente. A questo si aggiungano il lavoro, l'ufficio, l'impiego, il commercio, e la vita appare attanagliata dalle premure temporali.

Che cosa si dà allo spirito e a Dio in tutto questo assillo quotidiano? Disgraziatamente nulla o quasi nulla, se non si crede addirittura la religione e la pietà una bega da teste vuote o da gente oziosa.

9. Gesù vuole demolire la concezione materialistica della vita

La vita è trascinata dall'andazzo moderno; è turbata dalle fatue necessità che vi ha creato il mondo coi suoi divertimenti obbrobriosi; è risucchiata dalle sventure che vi si accumulano, e sembra un fatale cammino verso la morte e nulla più. Gesù Cristo vuol demolire questa concezione materialistica, e vuole sostituire alla preoccupazione delle necessità della giornata la cura delle necessità spirituali; vuole alleggerire il peso delle preoccupazioni materiali, con le dolcissime occupazioni spirituali, vuole dare alla vita la consistenza e l'appoggio non più sulle umane forze, ma sulla divina provvidenza, promettendone con solenne affermazione l'assistenza materna nelle quotidiane necessità. Quello che avveniva nel deserto con la manna avviene nella vita veramente cristiana con la provvidenza; come Dio provvedeva al popolo ebreo con un miracolo giornaliero, che è un fatto storico innegabile, così vuole provvedere al nostro pellegrinaggio attraverso il deserto della vita, con un miracolo silenzioso e quotidiano, quasi come la silenziosa caduta della manna. È una delle affermazioni sensibili della sua infinita realtà, ed è una delle testimonianze quotidiane della nostra fiducia che Egli esige da noi.

Nella provvidenza quotidiana Egli vuol farsi sentire, nella nostra fiducia noi dobbiamo confessarlo vero Dio vivente; da questi due poli viene a noi ciò che occorre alla vita corporale.

È un atto di fede ohe ci richiede, e non di fede sterile ma pratica, alla quale promette di rispondere e risponde di fatto, anche con miracoli silenziosi della sua provvidenza.

I santi che hanno reso a Lui questa testimonianza di fede, hanno toccato con mano la risposta della sua provvidenza; basterebbe pensare alla casa di san Giuseppe Cottolengo a Torino.

Le famiglie che mettono alla base della loro vita le cure dello spirito lo toccano con mano; nelle nostre medesime conoscenze ne abbiamo esempi pratici. È un campo nel quale Dio si fa scorgere, purché l'anima riposi in Lui e cerchi il suo regno e la sua giustizia, servendolo ed osservando la sua Legge.

È questo il principio più sicuro di economia domestica e sociale, che bisogna avere il coraggio e la fede di applicare per vederne i frutti.

Una nazione che pone veramente, e non per ipocrita politica, alla base della sua vita i doveri verso Dio e l'osservanza della sua legge e dei precetti della Chiesa, è una nazione sulla quale cade la manna della benedizione. Una famiglia, che mette come fondamento della sua vita quotidiana la preghiera, la Santa Messa, la Comunione, il Rosario, l'onestà, la fedeltà ai digiuni, alle feste, alle leggi della Chiesa, e non fa questo per abitudine ma per fede, confidando in Dio, è una famiglia che non manca mai del necessario, anzi dell'agiatezza.

Dio non ci dà il superfluo quando interviene con una speciale provvidenza, perché il superfluo non serve alla vita e può nuocere allo spirito; ci dà il necessario, giorno per giorno, con ricami di bontà che commuovono. Non ci anticipa nulla, perché è fedele e non ha bisogno di anticiparci nulla; risponde alla nostra fiducia, e suscita l'intervento di tante cause seconde, delle quali si serve come ancelle della sua provvidenza.

Invece di cercare la soluzione dei problemi sociali in tante leggi di economia politica, che non approdano a nulla, bisogna cercarla nel porre come base della vita il regno di Dio e la sua giustizia. Quindi gli orari d'ufficio, e tutto l'andamento della nazione deve essere subordinato alle esigenze dello spirito.

    10. Perché l'economia moderna è un fallimento totale

Non si può e non si deve rendere la vita schiava del lavoro o della tirannide dell'industria, la quale porta praticamente la miseria come lo dimostra il fallimento completo e clamoroso dell'economia moderna; bisogna persuadersi che ciò che serve alla vita non può sostituire la vita. Non si può dire che la moderna civiltà esige un ritmo assillante di lavoro, perché se questo rende schiavi gli uomini, non è più civiltà.

Che importa un forno elettrico acceso in permanenza, se il tenerlo acceso esige il sacrificio della vita spirituale anche di un solo operaio?

Che importa la comodità di viaggiare senza interruzione, se questo deve abbrutire i ferrovieri, quasi fossero creature senz'anima?

Che importa il mantenere in continua vertiginosa attività gli opifici colossali, che poi praticamente servono ad immiserire le nazioni?

Si rimane inorriditi nel leggere, per esempio, la relazione della schiavitù cui sono sottomessi gli operai delle grandi fabbriche americane, e molto più quella delle bestiali industrie nazionalizzate della Russia; si rimane spaventati nel sentir parlare delle condizioni dei cercatori di perle, dei cacciatori di pelli, dei minatori, e di tante classi di uomini sacrificati alla tirannia dell'industria e del guadagno. A che serve tutto questo?

Quale necessità può esservi di avere delle perle? E quale delitto non è il condannare un povero negro o bianco che sia a morire di consunzione per questo? Lo diciamo a fronte alta, sicuri di interpretare lo spirito delle grandi parole di Gesù Cristo: tutto quello che rende assillante la vita, e non riguarda prima di tutto la dignità umana e le necessità dello spirito, non solo non è civiltà ma è barbarie, non solo non è progresso ma è regresso.

Non si può e non si deve in nessuna maniera rendere la vita un affanno per molti, con lo specioso pretesto di renderla più comoda per gli altri, perché questo è un ritorno più o meno larvato alla schiavitù.

Senza certe grandi industrie, che praticamente danno prodotti a volte meno accurati di quelli dell'artigianato, non si avrebbe la pesante e sterile ricchezza di alcuni a danno degli altri, e neppure i raffinati perfezionamenti degli strumenti di morte.

Quando non si cerca prima di tutto il regno di Dio e la sua giustizia, si acuisce il dissidio delle nazioni e dei popoli, perché ognuno tende al proprio egoismo, e si hanno gli spaventosi frutti della civiltà moderna, che a volte ha tutto il carattere di un'insidia diabolica .

Non oscuriamo il sole della vita dell'anima col fuligginoso fumo dei fumaioli; non riduciamo la vita ad una corsa affannosa senza meta, perché questa è rovina delle nazioni.

Gli operai senza vita spirituale, lo dimostra l'esperienza, sono delle tremende riserve di esplosivo morale nelle convulsioni epilettiche dei popoli.

Cercano il respiro, cercano uno scopo alla vita, cercano la pace, e poiché passano la giornata in una tensione terribile di nervi, unicamente per ingozzare un boccone e ricominciare da capo, credono facilmente ai mestatori che danno loro prospettive di brutali felicità, e si gettano a capo fitto nell'abisso di ogni delitto sociale, trascinandovi le nazioni, come s'è visto nella Spagna e in tante parti del mondo.

Non si può vivere sotto terra o sotto acqua, abbiamo bisogno di cielo, di luce, di aria, e tutto questo ce lo dà Gesù Cristo dicendo: Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia.

L'anima non riposa nelle mefitiche sale dei dopolavori, o nelle sbornie delle passioni, riposa nel Signore, nella sua parola, nell'alimento spirituale. Il dopolavoro che si va introducendo nei paesi di ordine, per dare agli operai un diversivo, è praticamente un soffocamento fatto con un preteso ossigeno.

Date ai lavoratori una vita spirituale e la possibilità di coltivarla, e avrete dato loro il dopolavoro più vero e più tranquillo.

L'anima non si muta con le creazioni di ripieghi umani e materiali; un uomo non può diventare un pesce, non può diventare alato sol perché nuota o vola; ha bisogno di ritornare al suo ambiente di vita; ora l'ambiente della nostra vita è l'elevazione spirituale, è il respirare l'aura del cielo, è il regno di Dio e la sua giustizia. Il nostro domani non è tanto quello del tempo quanto quello dell'eternità; al domani temporale ha promesso di pensarci Dio, al domani eterno dobbiamo pensare noi, perché è premio della nostra vita.

O Signore, traici a Te, e fa' che si muti questo triste andazzo del mondo che tenta stratificare di materia lo spirito immortale che ci hai dato!

Venga il tuo regno e la tua giustizia, venga il tuo santo amore ed infiammi tutte le anime del desiderio di Te sopra tutte le cose!

Sac. Dolindo Ruotolo

 

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