2. Divina padronanza sui tempi e sugli uomini
In un sabato che il Sacro Testo chiama secondo primo, perché forse era il secondo dei sette sabati che separavano la prima solennità dell'anno sacro, la Pasqua dalla Pentecoste, Gesù, insieme ai discepoli camminava per i campi ricchi di messe matura. Innanzi allo spettacolo dei campi pieni di grano, Gesù un'altra volta aveva parlato della messe delle anime, e può supporsi che anche in questa circostanza il suo Cuore divino fosse tutto compreso di amore per le creature che doveva redimere e doveva poi raccogliere nel cielo per il ministero degli apostoli. Nella sua vita non c'era nulla che non fosse armonizzato all'amore che gli ardeva nel Cuore per la gloria di Dio e per il bene delle anime, ed è logico anche il supporlo.
I discepoli erano ancora ignari della loro missione, benché Gesù ne avesse fatto loro cenno, dicendo ai primi chiamati: Vi farò pescatori di uomini', ma essi non avevano capito tutta la portata di questa espressione. Camminavano, dunque, fra i campi ubertosi come fanciulli, si preoccupavano solo della fame che li tormentava. Evidentemente avevano percorso già un lungo cammino e dovevano percorrerne ancora; perciò colsero le spighe di grano, e sfregandole con le mani ne mangiarono i chicchi.
Secondo la Legge era perfettamente lecito il cogliere con le mani e non con la falce qualche cosa necessaria al sostentamento personale nel campo altrui; era questa una forma di carità, e diremmo di ospitalità, della quale però non bisognava abusare, restringendosi alla pura necessità e non al capriccio od al furto.
Dio, padrone di tutto, l'aveva permesso.
Ma il giorno nel quale gli apostoli coglievano le spighe era sabato, e quel che è più, un sabato più solenne, e per questo i farisei se ne scandalizzarono. Per essi il coglierle era un mietere, e lo sfregarle con le mani equivaleva a trebbiarle; era una loro pedanteria, ma, credendo di aver ragione, ne mossero rimprovero agli apostoli dicendo: Perché fate ciò che non è lecito di sabato? Secondo san Matteo (12,2) e san Marco (2,24) il rimprovero lo mossero a Gesù, ma è evidente dal confronto dei testi che parlarono prima ai discepoli, tra i quali erano confusi, e poi al Maestro, vedendo che non avevano tenuto conto della loro riprensione.
Gesù Cristo avrebbe potuto rispondere che quell'atto non era una violazione del sabato, equivalendo semplicemente al mangiare. Ma, pieno come aveva il Cuore degli alti pensieri della sua lotta contro l'inferno e della conquista del suo regno, Egli si servì di un argomento più profondo, per affermare il dominio che come Re universale aveva su tutto il creato ed anche sui tempi.
L'argomento, poi, era mirabilmente proporzionato all'anima dei suoi oppositori, potendo Egli costringerli a considerare la stoltezza delle loro esagerazioni.
Era un argomento dal più al meno, come si dice, ed un argomento ad hominem. Se Davide, posto alle strette dalla necessità, non credette di peccare mangiando addirittura i pani sacri, egli e i suoi uomini, né credette di peccare il sacerdote che gliele diede, quanto più i suoi trovandosi stretti dalla fame, potevano cogliere e mangiare le spighe dei campi. Che se essi avessero supposto che a Davide lo permise il sacerdote, ebbene il Figlio dell'uomo, padrone dei tempi e del sabato stesso, l'aveva loro permesso.
Come un padre amoroso Gesù difendeva i suoi cari dall'accusa di violatori del sabato; ma quanta profondità v'era nelle sue parole! Il sabato, il grano, i pani della proposizione; un sabato pasquale che ricordava ancora l'immolazione dell'Agnello, il grano diventato cibo dei suoi discepoli, i pani sacri della mensa del tempio, tre immagini della grande santificazione che Egli voleva dare alle anime col suo sacrificio e col farsi loro cibo.
Egli si sarebbe immolato prima cruentemente nella Pasqua, poi gli apostoli avrebbero colto il grano come cibo di vita e, rinnovando il suo sacrificio incruentemente, avrebbero posto innanzi a Dio i veri pani della proposizione per cibare i suoi, forti nella guerra di conquista del suo regno.
Il pensiero di Gesù trascendeva le misere beghe dei farisei, guardava lontano nei tempi della misericordia e dell'amore, ed annunziava velatamente il sabato delle anime, intente a cibarsi del Pane eucaristico. Egli era il vero Davide, Egli camminava per conquistare il suo regno di amore, e quella sua divina missione era più sacra delle stesse funzioni del tempio che la figuravano; poteva dunque permettere ai suoi apostoli di cibarsi anche di sabato, anche se fosse stato un lavoro il cogliere e sfregare le spighe, perché di questo sabato di giubileo vero e di vera misericordia Egli solo era il padrone.
I sacerdoti non lavorano forse nel tempio in giorno di sabato? Non immolano le vittime? Non offrono l'incenso? Eppure nessuno dice che violino il sabato; ora Gesù, Sacerdote eterno, compiva un'azione eminentemente sacerdotale nella sua divina missione, ed era padrone di permettere ai suoi che lo aiutavano di cibarsi delle spighe per sostenere una vita che doveva servire solo per la gloria di Dio. Essi, del resto, non mangiavano per avidità, ma perché non avevano avuto modo di rifornirsi di cibo e, mangiando le spighe camminando, donavano indirettamente a Dio anche il tempo del loro desinare.
Gli scribi e farisei non poterono replicare all'argomento di Gesù, benché non ne avessero capito tutta la portata, perché non osarono mettersi in contraddizione con un fatto scritturale, ma continuarono a seguirlo per sindacarne le azioni, e non tardarono a trovarsi di fronte ad un altro fatto per loro imbarazzante.
Gesù guarisce l'uomo dalla mano inaridita
In un altro sabato Gesù entrò in una sinagoga ed insegnava. La sua presenza, come avveniva comunemente, raccolse intorno a Lui tanti poveri infelici desiderosi di essere guariti, e tra gli altri un uomo con la mano inaridita. Gli scribi e farisei stavano ad osservarlo per vedere se in quel giorno li avesse guariti, per trovare modo di accusarlo e sbarazzarsene uccidendolo. La loro intenzione era dunque omicida, e l'osservavano non per zelo della Legge ma per volontà perfida di nuocergli.
Gesù Cristo, che conosceva questi loro pensieri, disse all'uomo dalla mano inaridita che si fosse alzato e fosse venuto in mezzo all'assemblea, per essere meglio osservato. Quindi, rivolto agli scribi ed ai farisei, domandò di proposito, richiamandoli sulle loro intenzioni perfide ed omicide: In giorno di sabato è lecito far del bene o del male, salvare una vita o perderla? E dopo aver detto queste parole, dette intorno uno sguardo a tutti i presenti, uno sguardo che da solo faceva loro intendere che Egli aveva scrutato le macchinazioni del loro cuore, uno sguardo da giudice che li fece ammutolire.
Essi nel sabato pensavano di fargli del male o di ucciderlo, ed Egli nel sabato voleva fare del bene ad un uomo e salvarlo; non potevano, dunque, osare di rimproverarlo in nome della Legge essi che la violavano così gravemente sotto gli occhi di Dio.
Nel silenzio dell'assemblea ammutolita Gesù si rivolse all'infermo e gli disse in tono di onnipotente comando: Stendi la tua mano, e subito la distese, perfettamente risanata. Gli scribi e farisei allora furono ripieni di pazzo furore, e complottavano fra loro che cosa dovessero fare di Gesù, cioè, come dicono gli altri evangelisti, come potessero ucciderlo. È terribile! Un miracolo così grande non apriva loro gli occhi e non faceva loro conoscere la piena padronanza che Gesù aveva su tutto! Avrebbero dovuto adorarlo e complottavano, avrebbero dovuto pentirsi e diventavano più tracotanti!
La diabolica pazzia. I persecutori della Chiesa
Così, dolorosamente, s'accecano i persecutori di Gesù Cristo nella sua Chiesa! La vigilano come se fosse una raccolta di delinquenti, e ne cercano la distruzione quando essa fa solo il bene salvando gli uomini per l'eterna vita.
Che cosa possono opporle? Anche se i suoi membri a volte sono individualmente colpevoli, nessuno potrà dire che Essa sia pericolosa allo Stato.
La sua storia è storia di sapienza e di beneficenza, poiché Essa è faro di verità ed è vera benefattrice dei popoli.
Gl'ipocriti malversatori delle nazioni sanno che Essa è un pruno nei loro occhi, sanno che leva la voce contro le ingiustizie e le sopraffazioni, sanno che fulmina inesorabilmente gli errori, e cercano di distruggerla. E questa la storia passata e quella tristemente presente. Si cercano i pretesti ed i cavilli per farle del male, sotto la farisaica scusa di provvedere al bene nazionale e persino all'onore di Dio.
Dicono che la fede è l'oppio dei popoli, non perché ne siano convinti, ma per fare agire il loro oppio criminale, col quale li addormentano nel male e nelle scelleratezze, ed inaridiscono le loro attività nel bene.
La Chiesa invece è risveglio dei popoli, è salvaguardia di verità è tutela di libertà, è difesa dei deboli, è vendicatrice delle ingiustizie, ed è storicamente certo che senza di Essa il mondo sarebbe oggi in una barbarie da belve, come lo è dove la Chiesa non ha alcuna influenza.
Non è senza una profonda ragione che il Sacro Testo dice ripieni di rabbia quelli che complottavano contro Gesù. È questa infatti una caratteristica dei persecutori, una nota inequivocabile che li distingue: sono presi da vera pazzia, non ragionano, sono violenti, sono crudeli, e con le loro stesse mani si rovinano e rovinano i loro popoli. La pazzia non di rado, e diremmo quasi sempre, è un frutto diabolico, o per lo meno è sfruttata da satana per i suoi loschi fini. I pazzi portano spiccati i segni particolari di satana: l'orgoglio, la malignità, Tira, l'irruenza e l'impurità.
Ora i persecutori della Chiesa sono orgogliosi perché pretendono d'imporre le loro stoltissime idee; maligni perché ricorrono a tutti i mezzi della seduzione; iracondi, perché irrompono internamente con l'odio implacabile contro ciò che è bene, ed irruenti perché si servono della forza barbaramente.
La loro vita, poi, è tutta un cumulo di impurità, e proprio per questo avversano la Chiesa, fiera condannatrice d'ogni degradazione. Come satana, essi avversano il bene e promuovono il male, odiano la virtù e sublimano il vizio, amano il sangue e sono omicidi scellerati sotto l'orpello delle leggi da essi stessi formate per dare un'apparenza giuridica alle loro malvagità.
Dio però li confonde, e si serve spesso delle più umili forze per gettarli giù da un piedistallo che sembrava loro tetragono ad ogni potenza.
Uno sguardo solo della sua giustizia basta a sgominarli ed essi presto o tardi pagano il filo dei loro delitti e finiscono nell'obbrobrio.
Oggi che i persecutori della Chiesa dolorosamente sono molti, e spesso più violenti e sanguinosi degli antichi, non dobbiamo scoraggiarci ma pregare, perché la preghiera o li converte o li elimina. Dio mostra fino all'evidenza proprio nelle persecuzioni ch'Egli è padrone dei tempi e degli uomini, ed al momento opportuno si leva, compie i suoi disegni, e come vasi di creta riduce in frantumi i disegni dei perfidi.
In un sabato che il Sacro Testo chiama secondo primo, perché forse era il secondo dei sette sabati che separavano la prima solennità dell'anno sacro, la Pasqua dalla Pentecoste, Gesù, insieme ai discepoli camminava per i campi ricchi di messe matura. Innanzi allo spettacolo dei campi pieni di grano, Gesù un'altra volta aveva parlato della messe delle anime, e può supporsi che anche in questa circostanza il suo Cuore divino fosse tutto compreso di amore per le creature che doveva redimere e doveva poi raccogliere nel cielo per il ministero degli apostoli. Nella sua vita non c'era nulla che non fosse armonizzato all'amore che gli ardeva nel Cuore per la gloria di Dio e per il bene delle anime, ed è logico anche il supporlo.
I discepoli erano ancora ignari della loro missione, benché Gesù ne avesse fatto loro cenno, dicendo ai primi chiamati: Vi farò pescatori di uomini', ma essi non avevano capito tutta la portata di questa espressione. Camminavano, dunque, fra i campi ubertosi come fanciulli, si preoccupavano solo della fame che li tormentava. Evidentemente avevano percorso già un lungo cammino e dovevano percorrerne ancora; perciò colsero le spighe di grano, e sfregandole con le mani ne mangiarono i chicchi.
Secondo la Legge era perfettamente lecito il cogliere con le mani e non con la falce qualche cosa necessaria al sostentamento personale nel campo altrui; era questa una forma di carità, e diremmo di ospitalità, della quale però non bisognava abusare, restringendosi alla pura necessità e non al capriccio od al furto.
Dio, padrone di tutto, l'aveva permesso.
Ma il giorno nel quale gli apostoli coglievano le spighe era sabato, e quel che è più, un sabato più solenne, e per questo i farisei se ne scandalizzarono. Per essi il coglierle era un mietere, e lo sfregarle con le mani equivaleva a trebbiarle; era una loro pedanteria, ma, credendo di aver ragione, ne mossero rimprovero agli apostoli dicendo: Perché fate ciò che non è lecito di sabato? Secondo san Matteo (12,2) e san Marco (2,24) il rimprovero lo mossero a Gesù, ma è evidente dal confronto dei testi che parlarono prima ai discepoli, tra i quali erano confusi, e poi al Maestro, vedendo che non avevano tenuto conto della loro riprensione.
Gesù Cristo avrebbe potuto rispondere che quell'atto non era una violazione del sabato, equivalendo semplicemente al mangiare. Ma, pieno come aveva il Cuore degli alti pensieri della sua lotta contro l'inferno e della conquista del suo regno, Egli si servì di un argomento più profondo, per affermare il dominio che come Re universale aveva su tutto il creato ed anche sui tempi.
L'argomento, poi, era mirabilmente proporzionato all'anima dei suoi oppositori, potendo Egli costringerli a considerare la stoltezza delle loro esagerazioni.
Era un argomento dal più al meno, come si dice, ed un argomento ad hominem. Se Davide, posto alle strette dalla necessità, non credette di peccare mangiando addirittura i pani sacri, egli e i suoi uomini, né credette di peccare il sacerdote che gliele diede, quanto più i suoi trovandosi stretti dalla fame, potevano cogliere e mangiare le spighe dei campi. Che se essi avessero supposto che a Davide lo permise il sacerdote, ebbene il Figlio dell'uomo, padrone dei tempi e del sabato stesso, l'aveva loro permesso.
Come un padre amoroso Gesù difendeva i suoi cari dall'accusa di violatori del sabato; ma quanta profondità v'era nelle sue parole! Il sabato, il grano, i pani della proposizione; un sabato pasquale che ricordava ancora l'immolazione dell'Agnello, il grano diventato cibo dei suoi discepoli, i pani sacri della mensa del tempio, tre immagini della grande santificazione che Egli voleva dare alle anime col suo sacrificio e col farsi loro cibo.
Egli si sarebbe immolato prima cruentemente nella Pasqua, poi gli apostoli avrebbero colto il grano come cibo di vita e, rinnovando il suo sacrificio incruentemente, avrebbero posto innanzi a Dio i veri pani della proposizione per cibare i suoi, forti nella guerra di conquista del suo regno.
Il pensiero di Gesù trascendeva le misere beghe dei farisei, guardava lontano nei tempi della misericordia e dell'amore, ed annunziava velatamente il sabato delle anime, intente a cibarsi del Pane eucaristico. Egli era il vero Davide, Egli camminava per conquistare il suo regno di amore, e quella sua divina missione era più sacra delle stesse funzioni del tempio che la figuravano; poteva dunque permettere ai suoi apostoli di cibarsi anche di sabato, anche se fosse stato un lavoro il cogliere e sfregare le spighe, perché di questo sabato di giubileo vero e di vera misericordia Egli solo era il padrone.
I sacerdoti non lavorano forse nel tempio in giorno di sabato? Non immolano le vittime? Non offrono l'incenso? Eppure nessuno dice che violino il sabato; ora Gesù, Sacerdote eterno, compiva un'azione eminentemente sacerdotale nella sua divina missione, ed era padrone di permettere ai suoi che lo aiutavano di cibarsi delle spighe per sostenere una vita che doveva servire solo per la gloria di Dio. Essi, del resto, non mangiavano per avidità, ma perché non avevano avuto modo di rifornirsi di cibo e, mangiando le spighe camminando, donavano indirettamente a Dio anche il tempo del loro desinare.
Gli scribi e farisei non poterono replicare all'argomento di Gesù, benché non ne avessero capito tutta la portata, perché non osarono mettersi in contraddizione con un fatto scritturale, ma continuarono a seguirlo per sindacarne le azioni, e non tardarono a trovarsi di fronte ad un altro fatto per loro imbarazzante.
Gesù guarisce l'uomo dalla mano inaridita
In un altro sabato Gesù entrò in una sinagoga ed insegnava. La sua presenza, come avveniva comunemente, raccolse intorno a Lui tanti poveri infelici desiderosi di essere guariti, e tra gli altri un uomo con la mano inaridita. Gli scribi e farisei stavano ad osservarlo per vedere se in quel giorno li avesse guariti, per trovare modo di accusarlo e sbarazzarsene uccidendolo. La loro intenzione era dunque omicida, e l'osservavano non per zelo della Legge ma per volontà perfida di nuocergli.
Gesù Cristo, che conosceva questi loro pensieri, disse all'uomo dalla mano inaridita che si fosse alzato e fosse venuto in mezzo all'assemblea, per essere meglio osservato. Quindi, rivolto agli scribi ed ai farisei, domandò di proposito, richiamandoli sulle loro intenzioni perfide ed omicide: In giorno di sabato è lecito far del bene o del male, salvare una vita o perderla? E dopo aver detto queste parole, dette intorno uno sguardo a tutti i presenti, uno sguardo che da solo faceva loro intendere che Egli aveva scrutato le macchinazioni del loro cuore, uno sguardo da giudice che li fece ammutolire.
Essi nel sabato pensavano di fargli del male o di ucciderlo, ed Egli nel sabato voleva fare del bene ad un uomo e salvarlo; non potevano, dunque, osare di rimproverarlo in nome della Legge essi che la violavano così gravemente sotto gli occhi di Dio.
Nel silenzio dell'assemblea ammutolita Gesù si rivolse all'infermo e gli disse in tono di onnipotente comando: Stendi la tua mano, e subito la distese, perfettamente risanata. Gli scribi e farisei allora furono ripieni di pazzo furore, e complottavano fra loro che cosa dovessero fare di Gesù, cioè, come dicono gli altri evangelisti, come potessero ucciderlo. È terribile! Un miracolo così grande non apriva loro gli occhi e non faceva loro conoscere la piena padronanza che Gesù aveva su tutto! Avrebbero dovuto adorarlo e complottavano, avrebbero dovuto pentirsi e diventavano più tracotanti!
La diabolica pazzia. I persecutori della Chiesa
Così, dolorosamente, s'accecano i persecutori di Gesù Cristo nella sua Chiesa! La vigilano come se fosse una raccolta di delinquenti, e ne cercano la distruzione quando essa fa solo il bene salvando gli uomini per l'eterna vita.
Che cosa possono opporle? Anche se i suoi membri a volte sono individualmente colpevoli, nessuno potrà dire che Essa sia pericolosa allo Stato.
La sua storia è storia di sapienza e di beneficenza, poiché Essa è faro di verità ed è vera benefattrice dei popoli.
Gl'ipocriti malversatori delle nazioni sanno che Essa è un pruno nei loro occhi, sanno che leva la voce contro le ingiustizie e le sopraffazioni, sanno che fulmina inesorabilmente gli errori, e cercano di distruggerla. E questa la storia passata e quella tristemente presente. Si cercano i pretesti ed i cavilli per farle del male, sotto la farisaica scusa di provvedere al bene nazionale e persino all'onore di Dio.
Dicono che la fede è l'oppio dei popoli, non perché ne siano convinti, ma per fare agire il loro oppio criminale, col quale li addormentano nel male e nelle scelleratezze, ed inaridiscono le loro attività nel bene.
La Chiesa invece è risveglio dei popoli, è salvaguardia di verità è tutela di libertà, è difesa dei deboli, è vendicatrice delle ingiustizie, ed è storicamente certo che senza di Essa il mondo sarebbe oggi in una barbarie da belve, come lo è dove la Chiesa non ha alcuna influenza.
Non è senza una profonda ragione che il Sacro Testo dice ripieni di rabbia quelli che complottavano contro Gesù. È questa infatti una caratteristica dei persecutori, una nota inequivocabile che li distingue: sono presi da vera pazzia, non ragionano, sono violenti, sono crudeli, e con le loro stesse mani si rovinano e rovinano i loro popoli. La pazzia non di rado, e diremmo quasi sempre, è un frutto diabolico, o per lo meno è sfruttata da satana per i suoi loschi fini. I pazzi portano spiccati i segni particolari di satana: l'orgoglio, la malignità, Tira, l'irruenza e l'impurità.
Ora i persecutori della Chiesa sono orgogliosi perché pretendono d'imporre le loro stoltissime idee; maligni perché ricorrono a tutti i mezzi della seduzione; iracondi, perché irrompono internamente con l'odio implacabile contro ciò che è bene, ed irruenti perché si servono della forza barbaramente.
La loro vita, poi, è tutta un cumulo di impurità, e proprio per questo avversano la Chiesa, fiera condannatrice d'ogni degradazione. Come satana, essi avversano il bene e promuovono il male, odiano la virtù e sublimano il vizio, amano il sangue e sono omicidi scellerati sotto l'orpello delle leggi da essi stessi formate per dare un'apparenza giuridica alle loro malvagità.
Dio però li confonde, e si serve spesso delle più umili forze per gettarli giù da un piedistallo che sembrava loro tetragono ad ogni potenza.
Uno sguardo solo della sua giustizia basta a sgominarli ed essi presto o tardi pagano il filo dei loro delitti e finiscono nell'obbrobrio.
Oggi che i persecutori della Chiesa dolorosamente sono molti, e spesso più violenti e sanguinosi degli antichi, non dobbiamo scoraggiarci ma pregare, perché la preghiera o li converte o li elimina. Dio mostra fino all'evidenza proprio nelle persecuzioni ch'Egli è padrone dei tempi e degli uomini, ed al momento opportuno si leva, compie i suoi disegni, e come vasi di creta riduce in frantumi i disegni dei perfidi.
Sac. Dolindo Ruotolo