sabato 28 novembre 2015

29.11.2015 - Commento al vangelo di S. Luca cap. 21 par. 4

4. Noi, nell'attesa delle grandi tribolazioni, del regno di Dio e del giudizio universale

Dopo il terribile annunzio della distruzione di Gerusalemme e della fine del mondo Gesù Cristo si rivolge ai suoi uditori ed agli uomini tutti del mondo, per indicare loro quale dev'essere l'atteggiamento che devono avere nelle grandi tribolazioni delle quali saranno testimoni. Il primo atto da compiere sarà quello di elevare gli occhi al cielo e confidare in Dio, aspettandosi le sue misericordie spirituali: Mirate in alto ed alzate le vostre teste perché si avvicina la vostra redenzione. Ogni castigo ha un fine di misericordia nelle vie di Dio e il castigo finale preluderà al regno del Signore ed al trionfo pieno della Chiesa; dunque, quando incominceranno a verificarsi le parole divine di Gesù l'anima deve confortarsi e sperare nel regno di Dio.

Quando germoglia il fico e produce il suo frutto e quando gli alberi sono carichi, si capisce che l'estate è vicina, ora quando vengono sulla terra le grandi tribolazioni predette è segno che si avvicina il regno di Dio.

La distruzione di Gerusalemme fu il preludio della diffusione del Vangelo nel mondo, prima tappa del regno di Dio; le tribolazioni terribili della conflagrazione universale sono il preludio del regno trionfante di Dio nelle nazioni; le tribolazioni della fine del mondo saranno il preludio del regno glorioso ed eterno di Dio coi suoi eletti del Paradiso.

Gesù Cristo parlò ai secoli di questi tre grandi eventi della storia della redenzione, ma poiché il suo discorso era rivolto agli Ebrei, le sue parole avevano per loro una particolare importanza. La distruzione di Gerusalemme era per gli stessi suoi discepoli una calamità spaventosa, che li ricolmava d'immensa amarezza, e perciò Gesù li confortò, dicendo che era non la distruzione della nazione ebraica, ma il primo principio della sua redenzione, cioè della sua salvezza nell'incorporamento alla Chiesa e nella partecipazione ai frutti della redenzione. E perché non avessero creduto che parlando di Gerusalemme Egli parlasse di eventi lontani, aggiunse, alludendo proprio alla rovina della città santa: Vi dico in verità che non passerà questa generazione prima che tutte queste cose non siano avvenute.

Sarebbe stato esiziale per i suoi discepoli il credere lontano l'evento, perché non avrebbero pensato a mettersi a tempo in salvo, com'Egli aveva loro suggerito, e perciò soggiunse con maggiore energia: Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno. Non c'era dunque da illudersi; ciò che annunziava per Gerusalemme sarebbe avvenuto presto, l'avrebbero veduto essi stessi, ed ai primi segni precursori dell'evento avrebbero dovuto mettersi in salvo sollecitamente.

Rivolgendosi, poi, principalmente agli uomini che avrebbero sofferto nelle grandi tribolazioni del mondo, e per quelle degli ultimi tempi precedenti il giudizio, e parlando anche agli Ebrei che lo ascoltavano, Gesù soggiunse: Badate a voi stessi, perché i vostri cuori non si aggravino per crapule, per ubriachezze, e per cure della vita presente, e perché quel giorno non vi colga all'improvviso, poiché come un laccio verrà sopra coloro che abitano sulla superficie della terra.

Sarà caratteristica, infatti, dei tempi che precederanno le grandi tribolazioni la ricerca dei piaceri e la preoccupazione assillante della vita presente, come noi già vediamo nella nostra generazione. Il mondo è diventato una bettola, un teatro ed un cantiere; si cerca il piacere dei sensi con le maggiori raffinatezze; si distrae la vita nell'ebbrezza del divertimento portato fino a domicilio con la radio e la televisione; si lavora, si lavora, in una preoccupazione così assillante della vita presente da dimenticare completamente quella spirituale. Per chi vive in questa maniera indegna la tribolazione sarà una sorpresa, com'è sorpresa il laccio per gli uccelli che vengono accalappiati.

Non penseranno che è voce di Dio, né penseranno a dover mutare la loro vita, attribuendo gli sconvolgimenti della natura a cause puramente naturali.

Eppure quei tempi dovranno essere tempi di intensa vigilanza e preghiera, perché non si tratterà di tribolazioni comuni, ma di disastri eccezionali, dai quali solo la preghiera ci potrà ottenere uno scampo, e per le tribolazioni degli ultimi tempi saranno cataclismi che preluderanno al giudizio. Chi pensa di dover comparire innanzi al Giudice eterno, come può riguardare con superficialità i terribili fenomeni che ne preannunziano la venuta? E come può esporsi al pericolo di andare impreparato alla sua presenza?

Gesù Cristo medesimo volle darci l'esempio della vigilanza nella preghiera e della preoccupazione di ciò che riguarda lo spirito, e perciò il Sacro Testo soggiunge, non senza una particolare intenzione, che Egli durante il giorno insegnava nel tempio, per guidare le anime al conseguimento dei beni eterni, e la notte usciva per ritirarsi a pregare sul monte Oliveto. La sua sollecitudine nelTistruire il popolo, poi, e la sua divina Parola attraevano talmente la moltitudine che ogni giorno andava di buon mattino al tempio per ascoltarlo.

Questa dev'essere la nostra vita nei momenti delle grandi tribolazioni che incombono già sulla terra e che incomberanno alla fine del mondo: dobbiamo levare lo sguardo a Dio, sospirando al suo regno; dobbiamo zelare la gloria del Signore e il bene delle anime e, senza farsi trascinare dai sensi, dobbiamo mortificarci e pregare. Non si può rimanere indifferenti quando Dio chiama, e se in ogni tempo, come disse Gesù, è necessario pregare, nel tempo della tribolazione è necessario farlo senza intermissione per il proprio bene e per quello degli altri.

Gesù disse di vigilare, pregando di essere fatti degni di schivare tutte le cose terribili che dovranno avvenire; dunque, certe tribolazioni possono evitarsi o per lo meno attenuarsi con la preghiera.

Se nei momenti di sconvolgimenti le nazioni pensassero a promuovere la pubblica preghiera, quanto gioverebbero di più ai popoli anziché con le loro preveggenze materiali, i loro armamenti e la loro tirannica disciplina!

E se le anime consacrate a Dio specialmente pensassero alla loro responsabilità innanzi al popolo, con quanta cura baderebbero a conservarsi sante, mortificate, ed in continua preghiera!

Non si provvede al bene comune con le chiacchiere, ma levando le mani supplichevoli a Dio ed implorando la sua misericordia.

Sac. Dolindo Ruotolo

 

sabato 21 novembre 2015

22.11.2015 - Commento al vangelo di S. Giovanni cap. 18 par. 5

5. Gesù Cristo davanti a Pilato

Dopo il processo, diciamo così, religioso, fatto a Gesù in casa di Anna e di Caifa, e dopo averlo condannato a morte come bestemmiatore, i Giudei sul fare del mattino lo condussero da Pilato per far ratificare la sentenza. Essi infatti, dopo l'occupazione romana, non potevano eseguire nessuna sentenza capitale senza l'autorizzazione del preside o governatore della nazione. Andarono in massa a bella posta per impressionare Pilato, sicuri che non avrebbe rifiutato la ratifica che domandavano. Siccome per gli Ebrei entrare in una casa pagana era lo stesso che contrarre un'impurità legale, essi, dovendo ancora mangiare la Pasqua, per la quale si richiedeva una grande mondezza, non entrarono nel pretorio per non contaminarsi. Ipocriti e scellerati! Si facevano scrupolo di entrare nel pretorio, e non si facevano scrupolo di domandare la morte d'un innocente, anzi, la morte del Figlio di Dio!

Pilato era già informato del processo che s'era ordito contro Gesù e sapeva bene che il movente principale era stata l'invidia che avevano contro di Lui i sacerdoti, gli scribi e i farisei. Il tribuno poi che aveva accompagnato coi soldati I messi del Sommo sacerdote per catturare Gesù, aveva certamente riferito a Pilato lo scempio che ne avevano fatto, ed egli non era disposto a ratificare un'ingiustizia così manifesta. Egli inoltre aveva dovuto indispettirsi anche del gesto dei Giudei di non entrare nel pretorio come luogo immondo, e perciò uscì fuori, sulla loggia, pronto a dare una lezione a quella canaglia. Si potrebbe aggiungere a questo che, siccome i Romani amministravano la giustizia a prima mattina, Pilato era seccato anche d'essere disturbato dal sonno a quell'ora. Egli perciò con fare secco domandò quale accusa portassero contro Gesù, iniziando così il processo penale.

I Giudei, indispettiti di quella domanda che frustrava tutto il loro piano, risposero con rabbia, mostrandosi offesi: Se non fosse costui un malfattore, non te lo avremmo condotto. E volevano dire: potresti fidarti di noi e della nostra giustizia, poiché non saremmo capaci di presentarti come reo un innocente. Pilato, sapendo già che lo avevano condannato per loro beghe religiose che per lui non avevano alcun'importanza, colse subito l'occasione per liberarsi da quell'increscioso processo; la moglie, infatti, come narra san Matteo (27,19), gli mandò a dire che non s'impicciasse di quel giusto, perché essa era stata molto turbata in sogno a causa di lui. Quest'ambasciata gli mise nell'animo un timore grande, e perciò rispose ai Giudei: Prendetelo voi stessi e giudicatelo secondo la vostra legge. Egli voleva così mutare il processo penale in processo religioso, per il quale i Giudei avrebbero potuto solo scomunicare Gesù e farlo flagellare. Che, se Pilato avesse loro concesso la facoltà di procedere contro di Lui sino alla pena capitale, essi avrebbero potuto lapidarlo come bestemmiatore secondo la loro legge, ma non crocifiggerlo.

Alcuni suppongono che Pilato abbia detto per ironia: Giudicatelo voi secondo la vostra legge, ma dal contesto non appare; egli aveva veramente l'intenzione di liberarsi da quel processo.

I sacerdoti, gli scribi e i farisei, per il loro odio contro Gesù e per togliergli ogni prestigio sul popolo con una morte infamante, avevano deciso nel loro conciliabolo di farlo crocifiggere, e probabilmente avevano già dato ordine di apprestare lo strumento del supplizio. Ad essi non bastava neppure che Pilato desse loro l'autorizzazione di farlo morire; voleva che l'avesse fatto crocifiggere, e questo poteva farlo solo lui. Essi inoltre, con sottile malizia, non vollero addossarsi innanzi al popolo la responsabilità d'una così atroce condanna, perché sapevano quanto Gesù era amato e stimato per le sue grandi opere e per le sue parole; volevano mostrare al popolo che il potere civile l'aveva trovato tanto degno di condanna, da fargli subire il supplizio della croce, come si faceva coi ladroni e coi più grandi malfattori. Ebbero cura anzi, con la scusa dell'imminente ciclo di feste pasquali, di affrettare l'esecuzione capitale di due ladri condannati già alla croce, per accomunare Gesù ai malfattori più tristi. Perciò, alla proposta di Pilato di giudicarlo essi stessi secondo la Legge, risposero che a loro non era lecito di dar la morte a nessuno. Con questo, nota l'evangelista, si adempivano le parole di Gesù, che aveva predetto più volte che sarebbe stato crocifisso (3,14; 8,32; 12,33; Mt 20,19, ecc.). Reclamavano quindi ad ogni costo il giudizio di Pilato non solo perché Gesù fosse stato ucciso, ma perché fosse stato ucciso con la morte di croce.

sabato 14 novembre 2015

15.11.2015 - Commento al vangelo di S. Matteo cap. 5 par. 3-4

3. Non occorre sapere il tempo della fine del mondo: ma occorre vigilare ed essere pronti al giudizio di Dio

Gli apostoli avevano domandato a Gesù quando sarebbero avvenute la distruzione del tempio e la fine del mondo; ma il Redentore a questa domanda non rispose, dicendo che il giorno e l'ora di quelle catastrofi erano noti solo al Padre. È evidente che Egli come Dio lo sapeva, essendo una sola cosa col Padre, ma come uomo poteva dire d'ignorarlo, giacché il computo del tempo della giustizia finale non sta nelle possibilità umane, dipendendo dall'intreccio di tutte le responsabilità occulte dell'umana coscienza e dell'umana libertà. Solo Dio che guarda dall'alto, ed al quale tutto è manifesto, può valutare quando le umane iniquità raggiungono l'estremo limite, e fanno traboccare il peso della giustizia. L'umana libertà, infatti, può influire sugli eventi della storia e può affrettarli o ritardarli; una sola azione buona può arrestare un castigo, ed una sola iniquità può darvi l'ultima spinta; ciò che succederebbe in questo anno può essere trasportato in un altro o in tempi lontani per l'intreccio di un'azione libera che interferisce gli eventi.

Ora se si tiene presente il numero stragrande degli uomini dal principio del mondo ad oggi, e gl'innumerevoli intrecci delle loro azioni, delle loro responsabilità, e dei loro meriti, se si pensa al coordinamento di queste azioni con tutto l'ordine morale e fisico dell'universo, si capisce che il calcolo del giorno e dell'ora di avvenimenti definitivi nella storia di un popolo od in quella del mondo può farlo solo Dio.

I segni prossimi o remoti, della fine del mondo in particolare, possono distare anche secoli dall'evento, quando qualche anima privilegiata, controbilancia con azioni sante il tracollo della giustizia.

È uno dei tratti delicati della divina provvidenza. Così si spiega come in tante epoche della storia si è creduto di veder i segni della fine del mondo, senza che nulla sia avvenuto dopo. È impressionante che fin dai tempi di san Gregorio Magno si parlasse della fine del mondo come di evento vicino, ed è impressionante che lo stesso santo ne parlasse con convinzione; non è improbabile che allora gli eventi realmente precipitassero, e che le preghiere della Chiesa l'abbiano ritardato. Non è cosa che può sembrare strana, ma è cosa che deve farci essere pensosi, considerando che noi abbiamo sul capo questa spada di Damocle.

Gesù Cristo ci esorta ad essere attenti, a vigilare ed a pregare perché, questo interessa all'anima nostra. Gli eventi li regola il Signore, ed il conoscerli anticipatamente con certezza potrebbe anche essere per la nostra malizia un pretesto od un'occasione di maggiore spensieratezza. L'incertezza angosciosa che in ogni secolo può determinarsi sull'imminenza della fine può spingerci più facilmente a pensare ai beni eterni, ed a distaccare l'anima da tutto quello che è vana illusione della vita del mondo.

Chi può convergersi, fino a dimenticare l'anima nelle stesse discipline della vita presente che appaiono ideali? Arte, scienze, lettere, dominio, monumenti grandiosi, che cosa sono di fronte all'eternità?

Vale la pena di affannarsi tanto nelle cose della vita, quando si sa che esse periscono? Dobbiamo, sì, compiere la missione che Dio ci ha assegnato, dobbiamo operare per la sua gloria, ma non possiamo farci assorbire talmente dalle idealità terrene da trascurare quelle eterne.

Chi potrebbe essere così stolto da consumarsi per fare un'opera d'arte con una materia che si disfa? Le opere dello spirito rimangono in eterno; quelle della materia periscono, e quelle del tempo fugace sono vanità; dobbiamo, dunque, nell'operare tener presente la fine di tutto per fissare il nostro pensiero al fine ultimo della nostra vita.

Un uomo - disse Gesù - partito per lontano paese lasciò la casa, e diede ai suoi servi il potere di far tutto, ed ordinò al portinaio di vigilare. Ecco l'immagine del mondo: il Signore è il padrone di ogni cosa e, quasi fosse assente, lascia agli uomini la libertà di operare come vogliono, costituendo sulla loro vita un portinaio che vigila. Questi è il Papa ed il Sacerdozio, e la loro attività è preziosa per tutelare le anime. Occorre però che ciascuno vigili, affinché, al ritorno del Padrone, possa trovarsi pronto per dargli il rendiconto.

Non tutti ci troveremo presenti agli ultimi eventi del mondo, ma tutti compariremo innanzi a Gesù Cristo, giudice eterno; non si può dunque prendere alla leggera la vita, e bisogna vigilare per essere pronti alla chiamata di Dio.

sabato 7 novembre 2015

08.11.2015 - Commento al vangelo di S. Matteo cap. 12 par. 8

8. L'essenza dell'amore a Dio ed al prossimo


Gli Ebrei si riguardavano come popolo prediletto di Dio, e si gloriavano di appartenergli, ma il loro cuore, generalmente parlando, mancava di amore verso di Lui, e per questo era insensibile alla carità verso il prossimo. Deve notarsi che nelle epoche della loro storia più bella, quando i patriarchi elevavano a Dio un cuore infiammato e sincero, essi si distinguevano per gli uffici più delicati di ospitalità e di carità, e che quando le relazioni verso Dio si ridussero ad un formalismo senza spirito, il loro cuore s'agghiacciò nell'egoismo, a somiglianza dei pagani.

Amare Dio, infatti, non significa solo prestargli un omaggio di culto esterno, ma significa apprezzarlo sopra tutte le cose, orientando a Lui il cuore, donandogli l'anima, sottomettendogli la mente e la ragione, ed indirizzandogli tutte le attività della vita.

L'amore, quindi, è la forza che orienta l'anima a Dio, come l'ago magnetico della bussola si volge al polo. L'amore impone silenzio a tutte le pretese della propria natura, ed è innanzi a Dio come un olocausto del cuore, dell'anima, della mente, e delle forze; si apprezza Dio per donarglisi, e gli si dona tutto il proprio essere per operare secondo la sua volontà; è essenziale perciò alla pratica dell'amore l'osservanza della Legge, l'unione alla divina volontà, e l'ossequio pieno alla sua verità.

Chi lo ama vive di Lui, vive con Lui, vive per Lui, e non ha altro amore fuori di Lui. Non si contenta di dire con le labbra: Ti amo, ma glielo dice con la vita. Perciò teme di offenderlo, e fugge dal peccato come dalla morte più penosa, vigilando perché nulla nel cuore prenda il posto di Dio. È come l'amore della sposa per lo sposo, che non è solo attrazione ma è esclusione piena di tutto quello che disgusta lo sposo, ed è fusione profonda con la sua vita.