8. L'essenza dell'amore a Dio ed al prossimo
Gli Ebrei si riguardavano come popolo prediletto di Dio, e si gloriavano di appartenergli, ma il loro cuore, generalmente parlando, mancava di amore verso di Lui, e per questo era insensibile alla carità verso il prossimo. Deve notarsi che nelle epoche della loro storia più bella, quando i patriarchi elevavano a Dio un cuore infiammato e sincero, essi si distinguevano per gli uffici più delicati di ospitalità e di carità, e che quando le relazioni verso Dio si ridussero ad un formalismo senza spirito, il loro cuore s'agghiacciò nell'egoismo, a somiglianza dei pagani.
Amare Dio, infatti, non significa solo prestargli un omaggio di culto esterno, ma significa apprezzarlo sopra tutte le cose, orientando a Lui il cuore, donandogli l'anima, sottomettendogli la mente e la ragione, ed indirizzandogli tutte le attività della vita.
L'amore, quindi, è la forza che orienta l'anima a Dio, come l'ago magnetico della bussola si volge al polo. L'amore impone silenzio a tutte le pretese della propria natura, ed è innanzi a Dio come un olocausto del cuore, dell'anima, della mente, e delle forze; si apprezza Dio per donarglisi, e gli si dona tutto il proprio essere per operare secondo la sua volontà; è essenziale perciò alla pratica dell'amore l'osservanza della Legge, l'unione alla divina volontà, e l'ossequio pieno alla sua verità.
Chi lo ama vive di Lui, vive con Lui, vive per Lui, e non ha altro amore fuori di Lui. Non si contenta di dire con le labbra: Ti amo, ma glielo dice con la vita. Perciò teme di offenderlo, e fugge dal peccato come dalla morte più penosa, vigilando perché nulla nel cuore prenda il posto di Dio. È come l'amore della sposa per lo sposo, che non è solo attrazione ma è esclusione piena di tutto quello che disgusta lo sposo, ed è fusione profonda con la sua vita.
Amore del prossimo, amore a Dio
L'amore al prossimo non è una sensibilità di simpatia o di compassione, ma è una tenerezza verso l'immagine di Dio, ed una fusione di amore con la divina bontà che ama le sue creature; per questo Gesù disse che il secondo precetto era simile al primo.
Chi ama veramente una persona condivide le sue abitudini e le sue inclinazioni; ora l'anima che ama Dio veramente condivide la sua carità verso le creature, e partecipa a quella divina espansione e generosità con la quale Egli le rispetta, le benefica, le cura, le difende e le provvede.
L'amore al prossimo ha qualche cosa di sacro, ed ha il carattere di quella delicatezza che si ha nel trattare le cose sacre, proprio perché appartengono a Dio. È un concetto questo di altissima importanza, che ci fa intendere ancora di più perché Gesù Cristo fa una sola cosa dell'amore verso Dio e verso il prossimo, e perché i santi hanno avuto un'estrema gentilezza nella carità, ed un senso di delicato riguardo anche per le creature irragionevoli od insensibili, come gli animali, i fiori, e tutte le opere del creato.
L'amore al prossimo, dipendendo da quello di Dio, non può dissentire da Lui, e può benissimo conciliarsi con la severa riprovazione del male che sta nel prossimo. Si ama il prossimo per Dio, non contro Dio, non fuori dì Dio, ed è logico che non si può amare nel prossimo ciò che offende Dio. Come è carità il soccorrere chi soffre fisicamente così molto più è carità aiutare chi è moralmente traviato; e come è amore tagliare un tumore maligno da un membro infermo, così molto più è carità riprovare nel prossimo quello che nuoce all'anima sua ed a quella altrui, e quello che diventa disdoro di Dio.
Potrebbe sembrare strano che Gesù, dopo aver parlato del precetto dell'amore al prossimo, abbia poi subito dopo bollato la condotta degli scribi con parole severe. Egli allora non mancava di carità, ma si espandeva, da Dio, nella carità più grande che il Signore ha verso di noi, ammonendo le sue creature peccatrici, e premunendo quelle che avrebbero potuto scandalizzarsi per la loro vita.
Non è a caso che nel Sacro Testo, prima di questo rimprovero di Gesù agli scribi, c'è un'allusione alla sua divinità: il Redentore non era un qualunque figlio di Davide; era Signore, era Dio, e come tale poteva benissimo rimproverare e prevenire le sue creature. Essendo venuto a rinnovare l'umanità, era logico che bollasse quello che più direttamente si opponeva all'amore di Dio: l'orgoglio e l'egoismo; e poiché gli scribi erano come maestri del popolo, era giusto che Egli cercasse di rendere vani i loro scandali ammantati d'ipocrisia smascherandoli. Gli scribi mettevano tutta la loro falsa pietà e giustizia nelle apparenze pompose; cercavano il loro tornaconto e non amavano né Dio né il prossimo.
Gesù mette in guardia il popolo contro questa deformazione perniciosa dalla pietà, e mostra, nell'umile vedova che dà al tempio due soli spiccioli, come si ama Dio: gli si dà un cuore sincero, gli si offre tutto quello che si ha, dandogli la vita, l'anima, la mente, il cuore, e le forze. Amarlo così non significa fare cose grandi innanzi al mondo, non significa operare con pompa esterna, ma compiere quel poco di cui è capace la nostra vita per il suo amore.
Che cosa posso darti, o Signore, da questo mio povero essere? Duo minuta, due cose molto piccole di fronte a quello che Tu meriti, cioè l'amore a Te ed al prossimo; ma in questi due spiccioli ci deve essere tutta l'offerta di me stesso al Tuo amore.
La vedova donò col cuore, donò con l'anima, donò apprezzando Dio, e nella sua offerta gli dette tutto ciò che aveva per sostentarsi, tutta la sua forza.
Così voglio amarti, mio Dio, e nell'umiltà della mia vita voglio porre innanzi al tuo trono i due spiccioli dei quali dispongo ed in essi darti tutto me stesso.
Sac. Dolindo Ruotolo
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