sabato 31 ottobre 2015

01.11.2015 - Commento al vangelo di S. Matteo cap. 5 par. 7-16

7. Il dominio della bontà

Non c'è forza più dominatrice quanto quella della mansuetudine, perché conquide l'anima e soggioga la volontà; torna conto dunque usare mansuetudine e carità con tutti, e pensare che è meglio subire in pace e per amore, che subire per forza e per sopraffazione.

Bisogna essere mansueti di cuore e di parole con tutti; vincere l'ira altrui con risposte placide e serene, sopportare le ingiurie che ci vengono fatte, anzi esultare in esse per la somiglianza che ci danno col Redentore, e vincere il male col perdono e col bene.

Chi non direbbe che le vittorie dei Romani siano state fratto della forza brutale delle armi? Eppure è detto nel libro primo dei Maccabei (capitolo 8) che essi possedettero ogni regione col consiglio e con la pazienza. La stessa potenza militare non poté essere efficace che con la calma riflessione e con la pazienza. Con l'irruenza si può vincere una volta su cento la volontà altrui, con la mansuetudine si può perdere una volta su cento la battaglia.

Il mansueto ha la possibilità di penetrare i cuori e persuaderli,

l'irruente suscita le reazioni e non vince mai in profondità.

Il mansueto è come un raggio di sole che penetra placidamente ed è accolto con gioia,

l'irruente è un lampo di tempesta che spaventa.

Il mansueto è come aura refrigerante o pioggia placida che penetra fino alle radici,

l'irruente è come uragano che schianta a travolge tutto.

La terra non germina tra le tempeste, il mare non si attraversa tra i marosi, il cielo non si percorre tra i cicloni...

Tutto quello che si fa di bene in qualunque campo è condito dalla mansuetudine.

Anche l'artista possiede la materia che lavora con la pazienza e la calma, ed ha bisogno di mansuetudine serena contro le difficoltà che incontra e le resistenze che trova; se irrompe rovina tutto, e un atto di irruenza può distruggere il paziente lavoro di anni.

Anche quando è necessaria la forza, bisogna temperarla con la mansuetudine, non facendosi mai guidare dall'ira ma solo dalla giustizia e dall'equità. L'ira non dà il possesso di nulla; è un esplosivo che sconquassa e divelle, lasciando solo frantumi. La forza equilibrata della giustizia invece è come scalpello che incide e lavora.

A volte ci sentiamo soddisfatti dopo una sfuriata, e ci sembra che ci siamo finalmente imposti, invece non c'è sintomo più certo di una battaglia perduta quanto questa soddisfazione.

Se scrivi una lettera e vi metti frasi energiche, che dopo ti lasciano un compiacimento, cancellale immediatamente, perché sono frasi che ti fanno sconfiggere. È l'esperienza che lo dimostra. Quelle frasi tu le ricordi, le ripeti nel tuo interno, ti sembrano tutta la tua lettera, ti sembrano dardi infallibili al segno, ed invece sono dardi che ritornano a te.

Se avverti in te un irruento desiderio di reagire, di mettere le cose a posto, di far valere le tue ragioni, non parlare, taci e prega, perché è proprio allora che metti le cose fuori sesto e non hai ragione.

Se ti viene nell'animo il desiderio di una ripicca, o peggio di fare un dispetto, pensa che allora sei sopraffatto da te stesso, e getti in alto un masso che ti ricade sul capo.

Segnati nel cuore la Parola divina che non fallisce mai perché risponde alla realtà: Beati i mansueti, perché essi possederanno la terra.

Come nella legge fisica dell'inerzia un urto non si arresta e può produrre un disastro, così nel tuo cuore un urto può trasportarti dove non vuoi. Il vagone, spinto sulla china, slitta, e il cuore tuo, spinto dall'ira, slitta fino al precipizio. Se il fieno non s'aggancia più, il vagone si sfascia, eppure a chi sta lontano sembra che vada trionfante nella sua corsa vertiginosa. Così sei tu quando non sai frenare i tuoi nervi: sembri trionfante e sei vinto; sembri forte e sei debole; sembri soddisfatto e sei amareggiato; sembri placato ed invece hai accumulato in te un novello esplosivo. L'impazienza genera l'impazienza e la ingigantisce fino al punto che non tollera più freni, ed esplode ad ogni piccola occasione. Non ti rendere schiavo di te fino a questo punto, possiedi il tuo sistema nervoso e dominalo, perché esso non ti leghi fra ceppi penosissimi.

Non dire che devi sfogarti se no crepi. Il tuo sfogo non serve che ad accrescere la prepotenza dei nervi, e tu in realtà ti prepari novelle angustie. Sfogati con Gesù, deponi nel suo Cuore le tue pene e prega. Non c'è mansuetudine più bella è più forte della preghiera, perché essa penetra i cuori, li conquide, li vince e li trasforma con la grazia.

Prega e parlerai all'anima: se gridi parli solo alle orecchie, e martelli i nervi senza giungere al cuore. L'irruenza chiude tutte le valvole, per così dire, della ragione, della volontà, del cuore, e suscita solo reazioni nei nervi e agitazioni nel sangue. Prega e chiuderai i freni dei nervi; prega e possederai anche questa terra umana, carica di tempeste.

Quando non riesci a convincere, e t'accorgi che il tuo fratello s'è irrigidito, a che più lo sferzi con le tue parole? Occorre il messaggio della carità per ricondurre il movimento della ragione in lui. Pensa che ogni irruzione violenta è, in fondo, un momento di pazzia, e che di questi momenti disgraziati ne hanno tutti; vuoi tu contendere col pazzo? Anche il pazzo si conquide più con la bontà che con la camicia di forza. I tuoi gridi possono avere solo il segreto di accrescere e prolungare il momento di pazzia, facendo congestionare il capo, o producendo una ipertensione nervosa.

Non credere alle massime del mondo; credi al tuo Signore; poni la tua gloria nel farti amare anziché nel farti temere, e fa che ogni amarezza versata in te sia dolcificata subito dalla tua dolcezza e dalla tua carità.

La beatitudine della nostra vita peregrinante in terra sta nella pace; non c'è prezzo per custodirla, ed ognuno deve fare di tutto per non turbarla negli altri e per averla in sé come tesoro.

8. Sii mansueto anche con te stesso e... con Dio

Sii mansueto con te stesso, quando sei afflitto o tormentato dai malanni e dalle tribolazioni; non ti lamentare col Signore, abbandonati sul suo Cuore, riposa in Lui e nella sua volontà. Quando ti lamenti di Dio, agiti in te la tua ragione; ti fai subito annebbiare da satana, perdi la fiducia nel tuo dolce Signore, e ti smarrisci nelle tue tenebre. Sembrerebbe strano dover pensare alla mansuetudine col Signore, con l'Infinito Amore, eppure la nostra debolezza può farci credere di avere da Lui dei torti. Rassegnati alla sua volontà e bacia la sua mano, unisciti al Redentore Crocifisso, ringrazialo di quanto dispone, fa rifulgere la tua fede in Lui, somma Carità e sommo Bene, confida, ama, e percuotendoti il petto nei penosi ricordi del passato, di' con amore: “È tutto poco per i miei peccati”. Rassegnandoti ti assesterai nelle tue afflizioni, e meriterai dallo Spirito Santo quella dolcissima unzione interiore che muterà la tua pena in beatitudine.

    9. Beati quelli che piangono, poiché essi saranno consolati

È questa, forse, la verità che al mondo appare più paradossale, perché il mondo apparentemente ride sempre, ed è il perenne gaudente. Il suo volto è orribile: tutto rughe, tutto ulceri e tutto infossato, eppure è sovraccarico di belletti che lo fanno apparire l'emblema del riso e della felicità. È scontento, ma vuole apparire soddisfatto; è miserabile, ma vuole apparire ricco; è impuro nel midollo delle ossa, ma vuole apparire pieno di decoro; è scostumato e vuole apparire ordinato; è un inferno e vuole apparire un paradiso; è stoltissimo e vuole figurare sapiente; è crudele e vuole sembrare benefico; è egoista e vuol passare per filantropo... In somma è una maschera, e non rivela le sue brutture che a quelli che ne vivono e ne sono schiavi.

    10. Il pianto del mondo

Questo mondo non può intendere la forza sublime di questa parola di Gesù Cristo: Beati quelli che piangono.

Eppure esso piange. E tutto il suo riso apparente è pianto disperatamente convulso; piange nel fondo del cuore ulcerato dal peccato; piange nel profondo dell'anima inaridita e senza grazia; piange per i suoi sensi insoddisfatti nell'orgia che dovrebbe saziarli; piange per le schiavitù orribili che si crea e per le necessità che gl'impongono, piange nella vita insulsa e senza scopo, che fluisce nella morte come rigagnolo putrescente nell'abisso; piange innanzi all'orrore del sepolcro ed alle tenebre eterne, dove precipita per piangere eternamente la propria stoltezza e i beni perduti!

Il mondo ama, ma l'amor suo sta tutto nei sensi e distilla pianto amarissimo. Il suo cuore non può compenetrarsi con un altro, ma al contatto lo brucia e ne è bruciato, fluendo nei sensi come tabe cadaverica.

Oh, se si potessero raccogliere tutte le lacrime dell'amore umano! Se ne formerebbe un pelago di amarezze! Il mondo gode nei piaceri della gola, ma è soffocato subito dall'orgia, ed anche il suo piacere stilla lacrime. Corre appresso agli spettacoli per aumentare la sua brama e per accrescere la sua fame; piange, piange in ogni sua manifestazione di attività che è fermento di putrefazione. Non sono queste le lacrime che Gesù Cristo chiama beate, come non è il mondo che, piangendo disperatamente, può intendere la felicità del pianto del pellegrino che va verso il cielo!

    11. Il pianto dei figli di Dio

Beati quelli che piangono sul cuore di Dio, deponendo nell'oceano della sua misericordia le proprie colpe.

Non c'è pianto più soave, più dolce, più fecondo poiché attrae nell'anima il perdono di Dio come un bacio d'ineffabile amore. Chi ha avuto la sorte di convertirsi sinceramente, e di deporre nel cuore sacerdotale le proprie colpe piangendo, sa che nulla può paragonarsi a quella soavità ineffabile. L'anima, quasi liquefatta dal pianto, fluisce nell'infinita bontà di Dio, e Dio, quasi rispondendo al pianto col pianto di amore, fluisce in Lei vivificandola con la grazia; quel pianto è il primo abbraccio del prodigo col Padre amorosissimo, è il ritrovarsi di un amore che s'era perduto, equivale ad un epitalamio, ad una fioritura, ad un raggio di sole che s'effonde attraverso le nubi ancora stillanti, come annunzio di pace. Forse le lacrime più dolci della vita sono proprio quelle del pentimento, perché sono come gocce di rugiada che riaprono il fiore intristito dalla siccità, e lo espandono al bacio dell'eterno Sole!

Beati quelli che piangono umiliandosi innanzi a Dio, quando sono avvolti dalla sua grandezza, e misurano nella sua luce la propria nullità. Le lacrime che fluiscono dal cuore sono allora come un cantico di apprezzamento della magnificenza di Dio, sono armonie che lo esaltano, ed alle quali Egli risponde guardando l'umiltà dei suoi figli, ed effondendo in loro i doni della sua grandezza.

Oh, come sono soavi le lacrime della santa umiltà, e come restringono l'anima in se stessa dolcemente, per espanderla in Dio! Sfugge in questo impiccolimento ogni miseria di orgoglio, si vuota il cuore di ogni presunzione e di ogni vanità, e l'anima si sente piena dell'unzione dello Spirito Santo. Se sapessimo piangere sempre sulle nostre miserie, quante consolazioni profonde raccoglieremmo nella vita!

Beati quelli che piangono sotto la mano purificante di Dio, che li chiama ad una vita di maggiore perfezione. Piange l'anima nel castigo dei suoi peccati o delle sue imperfezioni, e si sente liberata dalle sue grandi o piccole schiavitù, con grande sua consolazione. Piange nell'aridità che le purifica l'amore, e sente accrescersi la sete di Dio; piange per gli assalti diabolici che la tormentano, ma in queste lotte li vince e si addestra al maggiore apprezzamento di Dio; piange nelle angustie della vita, e si consola perché tende con maggiore impeto al sommo Bene.

Ogni giornata di angustie penose le fa sentire dopo la dolce frescura di una rinnovazione interiore che la distacca sempre più da se stessa e dal mondo, e le dà la sensazione di essere più libera nei voli del divino amore. Piange l'anima quando Dio la conduce per le più alte vie della contemplazione, purificandola prima nei sensi e poi nello spirito, con pene profonde, che hanno una soavità ineffabile, perché conducono l'anima nella dolcezza della pace e di una più profonda unione con Dio. S'ottenebra l'intelletto, sembrano legate tutte le potenze dell'anima, sembra inerte il cuore, insulsa la stessa direzione spirituale, ma l'anima si eleva, e benché non se ne accorga nelle sue pene, vola più alto e fiorisce mirabilmente.

Se con un microfono sensibilissimo si potessero raccogliere i movimenti e gli attriti di un seme che sboccia dalle profondità della terra, si sentirebbero lamenti e gemiti indistinti, quasi fossero le voci angosciate di chi soffre. Eppure quei lamenti sarebbero indice di una novella vita, e il contadino ne esulterebbe. Le pene della creatura che è elevata ad un più alto grado di perfezione, e le lacrime che distillano dalle sue prove sono precisamente il cantico della novella vita spirituale che sboccia al bacio di Dio eterno Amore!

    12. Il pianto delle anime immolate nel dolore

Beati quelli che piangono perché eletti come vittime di amore e come cooperatori delle grandi opere di Dio. Le loro immolazioni sono penosissime e dolcissime ad un tempo, quasi tonico che nella sua amarezza diletta ed apre lo stomaco alla vita. Il segreto di queste amare dolcezze non può conoscerlo che chi soffre, poiché il Signore è immensamente generoso coi suoi servi. C'è un gusto nelle immolazioni del corpo, si sente il soave profumo dell'olocausto che arde, si gode immensamente nell'amore del quale accende il cuore.

E un fatto che le anime immolate dall'amore di Dio non vorrebbero mai uscire dal loro stato di angustia e, quando spuntano per esse giorni più sereni e si sentono libere dal peso della loro croce, la vanno ricercando ansiosamente. Sono belle anche le immagini che riproducono le immolazioni delle vittime di amore: un giglio tra le spine, una colomba ferita che vola al tabernacolo, una strada deserta fiancheggiata da roveti, una verginella carica di pesante croce, un'altra con le braccia aperte nell'offerta generosa, un orto devastato dalla tempesta... Tutto questo è bello perché è la poesia dell'amore immolato. Quale gioia più grande quanto quella di rassomigliare a Gesù e di seguire la Mamma Addolorata? Quale soddisfazione più profonda che essere l'oggetto della compiacenza di Dio? Il manometro della vita interiore, tesa verso gli eterni ideali, è il dolore; se la lancetta sale è segno che la vita sale, e la pressione dell'Amore divino è altissima.

    13. Beati quelli che piangono, perché saranno consolati

Beati quelli che piangono, perché saranno consolati soprattutto nella vita eterna, premio del brevissimo cammino del tempo. Anche sulla terra non si chiamano beati quelli che soffrono lavorando, che stentano per il raggiungimento di una meta, che sudano per accrescere la loro ricchezza ? Neppure il mondo osa contrastare questa verità, e sa riconoscere che per il guadagno la pena del lavoro è una beatitudine invidiabile. Ora pensiamo all'eterna ricompensa, al tesoro di felicità che produce il più piccolo dolore, e riconosciamo che veramente è beato chi soffre.

Le pene sono passeggere e sono il segreto della gioia, anche nelle cose più umili: la sete ti dà il sollievo nel bere, la fame nel mangiare, la stanchezza nel riposare, il freddo nel riscaldarti, il caldo nel refrigerarti; ora il Signore ci fa sentire per poco il dolore per rendere più soave la pace eterna e l'incommensurabile ricchezza di beni che raccoglie.

Il dolore ha poi un'aureola di nobiltà che non ci è data da nessuna grandezza umana; è un diadema insostituibile, com'è insostituibile la corona di spine del Re d'Amore. La corona di oro non gli sta, sembra un ornamento inutile; mentre la corona di spine lo aureola di sofferenza e di amore, e lo rende Re veramente, Re di tutti i cuori.

La grandezza umana suscita l'invidia e l'emulazione, il dolore invece ispira rispetto, simpatia e compassione.

L'invidia è un'ombra livida che ci perseguita, la compassione è un'aura di carità che ci avvolge; dalla grandezza spuntano le spine pungenti, dal dolore spuntano i fiori olezzanti della Passione.

Se dunque il dolore ci tocca, prostriamoci in adorazione di ringraziamento innanzi al Signore, e non ci facciamo sfuggire uno solo di questi gioielli preziosissimi, che sono stipendi di eterna felicità.

    14. Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia... Beati i misericordiosi...

Si può dire con ragione che quello che rode il cuore e la vita in questo mondo è l'ingiustizia.

Tutti amano la giustizia, persino quelli dati alla delinquenza. Due ladri, per esempio, che si dividono la refurtiva, e che hanno consumato una grande ingiustizia rubando, vengono alle mani con impeto malvagio quando uno dei due si crede defraudato dall'altro in quello che sembra suo diritto.

Quello che più cimenta la mansuetudine è l'ingiustizia; il sistema nervoso è scosso come da una violenta corrente di fronte alla menzogna, alla sopraffazione, alla prepotenza. Persino i santi non resistono all'ingiustizia, e diventano estremamente severi nel riprovarla; la loro mansuetudine sembra scuotersi, il loro carattere sembra infiammarsi, e resistono alla malvagità con forza. Logicamente perciò, Gesù Cristo, avendo parlato della beatitudine dei mansueti, dominatori della terra nella dolcezza, parla della beatitudine di chi ha fame e sete della giustizia, promettendo il pieno appagamento di questo impellente desiderio.

Egli vuole opporre una diga al dilagare dell'irruenza e della forza, perché il suo mansuetissimo Cuore vuole come base del carattere cristiano la mansuetudine e la dolcezza, la remissività e la pace; perciò assicura, con la sua divina autorità, la piena soddisfazione e il pieno appagamento del desiderio della giustizia che consuma gli uomini ed è in loro un bisogno impellente come la fame e la sete. È necessario approfondire questa verità per placare l'irruenza del cuore umano, e porre una base granitica alla mansuetudine piena e costante, virtù ardua e veramente difficile nella vita presente, tanto da sembrare a volte un'utopia.

La vita infatti è un combattimento continuo, e noi ci troviamo sempre in contrasto coi pensieri, coi desideri, con gli apprezzamenti e con la volontà altrui. Siamo tenacissimi nei nostri pensieri, e ci troviamo di fronte ad una tenacia invincibile; crediamo giuste le nostre vedute e ci troviamo di fronte a quelli che credono giuste le loro. La reazione la troviamo persino nei piccoli, ed a volte più tenace ed invincibile la troviamo nelle persone più care, che sembrano dimenticare i vincoli del sangue, la possiamo trovare nelle stesse anime buone e sante, e tanto più grande quanto più credono di schierarsi dalla parte della verità e della giustizia.

Di fronte a questa resistenza ed alla lotta che ne segue, chi potrebbe ricondurre gli animi nella pace, se ognuno crede di difendere i diritti della giustizia e della verità? Gesù Cristo con ammirabile e divina sapienza dirime la questione nelle fondamenta, salva i diritti dell'amore della giustizia, conciliandoli con quelli della mansuetudine e della carità ed esclama: Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché essi saranno saziati; beati i misericordiosi, perché essi troveranno misericordia.

Il mondo è pieno d'ingiustizia, anzi la prova più penosa dei figli di Dio è proprio il subirla da parte dei perversi, ma la giustizia non verrà sopraffatta, ed un giorno sarà ristabilita da Dio con tanta solennità da saziarne quelli che l'hanno amata, seguendo le vie della santità. Essi saranno saziati; è un'espressione mirabile, poiché l'appagamento, che ci dà la giustizia e la verità, ha un senso di vera sazietà per l'intelletto e per il cuore. Il popolo dice spontaneamente che ingrassa nel vedere ristabiliti i diritti della giustizia, proprio perché se ne sente sazio.

Bisogna amare la giustizia ma senza pretendere d'imporla noi, giacché il Signore ha stabilito il giorno del rendiconto per tutti; bisogna amarla per conservarsi giusti, giacché la santità è giustizia che rende a Dio ciò che è di Dio, ed al prossimo ciò che è del prossimo, ma bisogna anche essere misericordiosi con gli altri e compatire le loro debolezze, per ottenere misericordia da Dio nelle nostre miserie e nelle violazioni della giustizia delle quali ci rendiamo rei.

La misericordia tempera la giustizia e mantiene nell'anima l'equilibrio della mansuetudine; la speranza della futura giustizia resa da Dio, soddisfa la fame e la sete che si sente di vederla ristabilita, e placa quei sentimenti di reazione che in noi sono irresistibili di fronte ad una cosa storta, e l'anima rimane tranquilla, senza avere necessità di stare in continuo allarme. Essa rimette l'ordine e la pace quando lo può, e lo rimette con la dolcezza dove può giungere la propria attività; si guarda bene dall'irruenza che non giova a nulla, e rimette alla giustizia di Dio il ristabilimento del diritto e della pace, aspettando da pellegrina il giorno del Signore.

Il carattere della Chiesa cattolica sta in queste due virtù altissime. Essa ama la giustizia e la verità, ed è sempre inclinata alla misericordia; la sua santità la rende intransigente col male e con l'ingiustizia, ma la missione che ha di salvare le anime la rende piena di misericordia per i poveri peccatori. Essa, la perenne perseguitata dal mondo, cammina peregrinando fra continue sopraffazioni, ma non si turba ed attende serena il giorno di Dio, nel quale sarà saziata di giustizia vedendosi eternamente glorificata, e vedendo soprattutto ristabiliti i diritti di Dio e la gloria del suo Redentore innanzi a tutte le nazioni raccolte nel giudizio universale.

Non crediamo dunque che sia impossibile conservarsi mansueti nelle lotte della vita.

La fortezza, temperata dalla bontà, ristabilisce l'ordine dov'è possibile; la speranza nella giustizia di Dio placa l'impeto che nasce contro l'ingiustizia, e la misericordia copre di un velo di carità le miserie e le debolezze altrui. È così che si può evitare tanto l'irruenza contro i cattivi, quanto la convivenza col male.

Del resto anche nel campo della giustizia, chi può vantarsi di essere irreprensibile?

Tutti abbiamo le nostre miserie, e se vogliamo essere compatiti dobbiamo compatire; tutti siamo peccatori, e se vogliamo ottenere misericordia da Dio dobbiamo usare misericordia col prossimo. Allarghiamo il cuore nella carità se non vogliamo irrigidirlo nella durezza, e guardiamo al cielo, dove dobbiamo desiderare di giungere e di vedervi giungere i nostri fratelli.

    15. Beati i puri di cuore, poiché essi vedranno Dio

La vera felicità temporale ed eterna sta nel possesso di Dio. Nel tempo questo possesso sta nell'amicizia con Lui, frutto della sua grazia, nell'eternità sta nella visione beatifica che ce lo fa godere per sempre svelatamente. L'amicizia di Dio è l'amore che Egli ci porta e che noi gli ricambiamo, è l'apprezzamento di Lui sommo Bene sopra tutte le cose, è il vedere Lui solo come meta delle nostre aspirazioni, è il sentirlo come

Padre amorosissimo nel fondo dell'anima; non ammette perciò un qualunque altro ideale di felicità, e non può tollerare un concentramento nell'amore sensuale, che affoga l'anima nei putrescenti abissi della carne.

L'impurità è il peccato che rende l'uomo più infelice, perché lo concentra su di un oggetto di basso amore che gli inaridisce il cuore, e lo strazia in mezzo a tempeste di brame insaziate. L'impuro è in continua agitazione, si degrada, si rende schiavo, desidera liberarsi dalle sue schiavitù e, quasi sommerso dalle sabbie mobili o dal greto di un fiume, più si agita e più vi si sprofonda. Sente tutta la debolezza della propria volontà, ed è indispettito perché non è capace di mantenere i suoi propositi; sente tutto il peso della carne, e ci si sente sempre più invischiato, vorrebbe pregare, e la sua preghiera è inerte, giacché non riesce ad isolarsi dalle sue miserie; invidia la pace dei puri, ma non sa rompere le catene che insidiano la sua pace, sembra un gaudente ed è un grande infelice!

Beati i puri di cuore, esclama Gesù Cristo, perché in realtà è un'incomparabile gioia liberarsi dalle agitazioni dei sensi; beati... poiché essi vedranno Dio, essendo la vera e profonda beatitudine dell'anima pura, in un'attitudine maggiore a percepire e godere della presenza di Dio. Oh, se gl'impuri, che formano una massa così grande nel mondo, potessero intendere la gioia che riserva loro la purezza! Oh, se sapessero rinunziare almeno ad uno solo dei loro effimeri diletti! Una vittoria anche minima, riportata in questo campo è sempre una gioia profonda, ed apre uno spiraglio alla luce di Dio nell'anima. Da una piccola vittoria, sia pure la mortificazione di uno sguardo curioso su di un oggetto illecito, può venire all'anima la vittoria sulle miserie più gravi, ed essa può ritrovare la sua libertà interiore e fissare lo sguardo in Dio.

Beati i puri di cuore, perché essi vedranno Dio; l'impurità è dunque una grande infelicità; è una febbre delirante che rende l'anima infelice nella brama e la ottenebra tutta nel conseguimento del tormentante piacere; è un'infelicità che le esaurisce immediatamente il supposto piacere, e lo sostituisce con la vergogna dell'abbrutimento e con la puntura del rimorso; nel soddisfarsi muore e nel morire rinasce come delirio che cerca novelli abissi, nei quali trova novelli vuoti. Cerca la pace dei sensi e trova la tempesta; cerca la luce dell'ideale e trova il disinganno; cerca l'amore e trova l'egoismo; cerca la bellezza e trova le brutture; va come folle alla ricerca di un'emozione sempre nuova e si stufa delle sue insoddisfatte brame, s'idolatra e si avversa; idolatra le creature e le avversa; è senza luce interiore perché non vede più Dio, e con Dio non vede più le vere elevazioni dell'anima e non gode pace. Vorrebbe lusingarsi di non essere un avvilito, un degradato, uno schiavo, e cerca complici nelle sue miserie, le eleva a legge di vita, schernisce, come fatua, la vita di quelli che si conservano puri, e cade sempre più in basso. O dolcissimo Signore, conservaci puri e liberaci da qualunque schiavitù della carne; attraici nelle serene altezze della purezza e mostraci il tuo volto, poiché tu solo sei la gioia vera dell'anima.

    16. Beati i pacifici... Beati i perseguitati...

La pace è uno dei beni più grandi della vita, ed è come l'anticipazione dell'eterna felicità, che è somma pace e sommo riposo in Dio, unico bene. È pacifico chi ama la pace del cuore, chi si adopera a mantenere la pace tra gli uomini, e soprattutto chi ridona la pace perduta ai poveri peccatori, comunicando loro la remissione delle colpe. Il Figlio di Dio venne in terra a portarvi la pace, e ne innalzò il vessillo sulla grotta di Betlem; tutti quelli che amano la pace, perciò, gli rassomigliano, e sono chiamati figli di Dio perché ne raccolgono le compiacenze.

La pace però in questo terreno esilio non può trovarsi nel mondo ma nel cuore, perché il mondo è un campo di continue lotte, e queste si accaniscono maggiormente contro i buoni; bisogna essere superiori alle lotte ed alle sopraffazioni del male contro il bene, riguardandole come occasioni per potere attestare a Dio la propria fedeltà, e mezzi di merito per l'eterna vita. Le persecuzioni sofferte per amore di Dio, purificano il cuore, lo distaccano dalla terra, lo spingono ai desideri celesti, lo aprono alla grazia e all'unzione dello Spirito Santo, e lo rendono beato nell'intima amicizia con Dio. Gesù Cristo perciò unisce l'amore della pace alla beatitudine di chi soffre persecuzioni per la giustizia, perché anche in mezzo alle più aspre lotte subite per amore di Dio, si può conservare la pace rassegnandosi, e godendo nel dare al Signore una testimonianza di vero ed eroico amore.

È un onore essere perseguitati dai cattivi, non sapendo essi odiare che il bene; è un maggiore isolamento dalle lusinghe del mondo ed un maggiore concentramento in Dio; è il titolo più autentico di una grande ricompensa eterna, ed è un titolo di autentica nobiltà spirituale che ci avvicina a quella dei più grandi santi.

Per questo Gesù Cristo dicendo: Beati quelli che soffrono persecuzioni per la giustizia, si rivolge in modo particolare ai suoi apostoli, come a quelli che per amor suo dovevano essere esposti alle maledizioni ed alle calunnie del mondo, e li esorta ad esultare ed a rallegrarsi pensando alla ricompensa che avranno nell'altra vita, superiore ad ogni loro aspettazione. Il Redentore non parla delle persecuzioni in un senso generale, ma di quelle che si subiscono per la giustizia, cioè per amore della verità e del bene, e soprattutto per amore della somma Verità e del sommo Bene.

C'è una grande felicità nel dare, col sacrificio di se stessi, una testimonianza di fedeltà a Dio; c'è il segreto di una profonda pace nel guardare a Dio solo ed appellarsi a Lui, quando gli uomini dicono ogni male contro di noi, mentendo; c'è il segreto di una grande unzione di grazia nelle irrisioni che ci fa il mondo, ed un'immensa soddisfazione nel vedersi sulla medesima via che percorsero Gesù Cristo, la Vergine Santissima Addolorata e i santi. Le parole del Redentore sono incomprensibili a chi non ha provato la profonda pace che Dio diffonde nel cuore di quelli che soffrono veramente per suo amore. Sono gioie che trovano una pallida immagine nella soddisfazione dell'eroismo, e diciamo pallida, perché non c'è eroismo più grande di quello che rinunzia ad ogni bene esterno della vita per amore di Dio. La persecuzione è come una forza che costringe l'anima a volare, librandola in un orizzonte nuovo, dal quale scorge novelle ascensioni; è un colpo di maglio su tutte le catene che ancora l'avvincevano al rispetto umano ed alla schiavitù della terra, è la conquista della più alta libertà, quella dello spirito, contro la quale nulla possono neppure i cannoni, è soprattutto il sentire la paternità di Dio, ed il correre a Lui come unico rifugio, unica difesa, unico testimone infallibile delle proprie azioni.

Sac. Dolindo Ruotolo



 

Nessun commento:

Posta un commento