5. L'esultanza dell'amore di Gesù per il suo sacrificio imminente
Giuda uscì dal Cenacolo ed era notte, dice il Sacro Testo; notte naturale nel luogo, e notte nell'anima del traditore, figlio delle tenebre, che usciva per andare incontro all'abisso ed alla notte eterna della perdizione.
Era invece luce fulgente nell'anima di Gesù, erano splendori di fiamma nel suo ardentissimo Cuore, ed Egli, vedendo che stava per compiersi il suo desiderio ardente d'immolarsi per la gloria di Dio e per la salvezza di tutti, esclamò: Ora il Figlio dell'uomo è stato glorificato, e Dio è stato glorificato in Lui. Se Dio è stato glorificato in Lui anche Dio lo glorificherà in se stesso, e lo glorificherà presto. Psicologicamente, se può dirsi così trattandosi di Gesù, nella sua umanità Egli ebbe un tale schianto per la partenza di Giuda, che per non venir meno ebbe bisogno di volgersi ai grandi fini della redenzione. Dal contesto si rileva che il suo Cuore era sommamente intenerito, chiamando i suoi apostoli fìgliolini miei; ora la tenerezza patema, anzi diremmo materna, gli fece sentire nel Cuore uno strappo angoscioso per Giuda e, quasi per dominarsi e non apparirne vinto, per non contristare i suoi apostoli e per dare al suo Cuore che scoppiava d'angoscia uno sfogo d'amore, Egli riguardò la gloria che avrebbe avuto Lui stesso morendo, e che sarebbe ridondata nel Padre col suo sacrificio.
Nell'enfasi del suo amore guardò al futuro come ad un fatto già avvenuto, ed usò il tempo presente nelle sue parole: Ora il Figlio dell'uomo è stato glorificato, e Dio è stato glorificato in Lui. Egli in realtà s'era già offerto eucaristicamente, e la sua santissima umanità era stata glorificata sommamente in quel mistero d'amore, diventando cibo di vita. Il Corpo ed il Sangue, allora ancora mortali, erano diventati cibo e bevanda di vita immortale ed eterna per tutti gli uomini in tutti i secoli. Non c'era un'incorruttibilità più grande, un'elevazione più sublime ed un regno più universale, come non c'era una glorificazione più grande di Dio in un sacrificio che era identico a quello del Calvario, ma non era consumato dall'irruzione dell'empietà e dalla scelleratezza dei carnefici, sebbene dall'amore più grande che potesse elevarsi innanzi a Dio e dalla fiamma più ardente di carità.
Nell'impeto del suo amore Gesù soggiunse: Se Dio è stato glorificato in lui cioè nel Figlio dell'uomo, anche Dio lo glorificherà in se stesso, e lo glorificherà presto. L'offerta che Gesù aveva fatto di se stesso al Padre e la sua volontà d'immolarsi era già una glorificazione piena di Dio; l'imminente sacrificio del Golgota in realtà non era che la consumazione. La vittima per onorare Dio doveva essere consumata, giacché un agnello non poteva offrirsi con la volontà; ma la Vittima divina era già offerta nell'atto della sua volontà, e Dio, anche prima del sacrificio del Calvario, ne era stato glorificato. Ora, come Gesù aveva glorificato il Padre, e come avrebbe consumato questa sua glorificazione sulla croce, così il Padre l'avrebbe glorificato in se stesso elevandolo alla sua destra, cioè nello splendore della divina gloria e facendolo Re di tutto l'universo.
Questa glorificazione sarebbe avvenuta presto nell'Ascensione al cielo, e nella dilatazione della Chiesa e sarebbe avvenuta anche sul Calvario, per i grandi prodigi che avrebbero accompagnato la sua morte.
Agli occhi degli uomini infatti la croce fu obbrobrio, ma agli occhi di Dio fu grande glorificazione, poiché sotto l'umiliazione tremenda e gli spasimi atroci, rifulgeva la potenza di Gesù Cristo, vittorioso del peccato e di satana, splendeva la sua sapienza infinita, ed ardeva il suo amore; la stessa dolorosissima immolazione era come una fiamma di santità ed un profumo di preghiera che mai da nessuna creatura s'erano elevati a Dio, poiché erano carità e preghiera divina. Il Signore, dando alla morte il suo Figlio, il Verbo suo Incarnato, lo glorificava nello splendore di quella medesima umanità torturata, che attraverso i dolori dava i frutti più belli e più grandi, ed era come vita lussureggiante di grappoli maturi, e come campo ripieno di messe.
La gloria della croce
È proprio quello che avviene in piccolo nelle anime immolate, vilipese, calunniate e colme di dolori anche nel loro corpo. Il dolore e la croce sono gloria incomparabile quando diventano un'offerta dell'amore; attraverso il dolore rifulge tutta la bellezza dell'anima, e splende mirabilmente la grazia che l'adorna.
Mai l'anima su questa terra è così glorificata innanzi a Dio che quando agonizza, è disprezzata dal mondo, è ridotta come un verme innanzi ai superbi, è considerata come stravagante, ed è crocifissa dal dolore. Allora è tutta luce, tutta sapienza, tutta amore, ed elevata negli splendori della grazia forma la compiacenza di Dio. Il mondo questo non lo capisce, e giunge a credere che Dio si diletti di veder soffrire, mentre Dio si diletta solo di glorificare la sua creatura, preparandole poi una più grande glorificazione in se stesso, nell'eterna felicità. Il Signore in questo campo di amore, sconosciuto alla carne ed al sangue, non può curarsi degli apprezzamenti della carne e del sangue, come non si cura della critica di uno stolto che pone le pietre nel crogiuolo per trame l'oro liberandole
dal terriccio che l'offusca. Per questo non c'è atto più sapiente, in questa vita di prove affannose, e molto più nella vita di elevazioni mistiche, quanto quello di unirsi alla divina volontà, ed accettate il dolore con gioia, in unione dell'esultanza del Redentore che, tradito da Giuda, nella certezza dell'imminente Passione, non vide che la glorificazione di Dio, e la gloria che sarebbe ridondata alla sua stessa umanità, secondo quello che dice san Paolo: Proposito sibi gaudio sustinuit cruce (Eb 12,2).
Il nuovo comandamento
Gesù Cristo, parlando della glorificazione di Dio, sapeva di parlare della morte alla quale andava incontro, e s'intenerì immensamente per i suoi apostoli, che sapeva di dover lasciare tra poco. Perciò disse con grande amore, compiangendoli: Figliolini, per poco tempo ancora sono con voi. Voi mi cercherete, ma, come dissi ai Giudei, dove vado io voi non potete venire, anche a voi lo dico adesso.
Egli aveva però promesso altra volta di dimorare fra quelli che sarebbero stati congregati nel suo Nome, e diede loro il grande segreto per averlo ancora fra loro e per sentire meno il dolore della sua assenza fisica, dicendo: Vi do un nuovo comandamento, che vi amiate l'un l'altro, che vi amiate anche voi l'un l'altro come io vi ho amati. Da questo tutti conosceranno che siete miei discepoli, se avrete amore l'uno per l'altro. La carità scambievole l'avrebbe conservato in mezzo a loro, anche quando non avrebbero potuto averlo sacramentalmente, ed avrebbe conservato in loro l'unione e l'armonia per poter sentire meno la pena del suo distacco. Essi dovevano amarsi come Egli li aveva amati, senza interesse ed immolandosi gli uni per gli altri; dovevano avere l'amore reciproco come caratteristica particolare d'esser suoi seguaci, e risplendere nella carità in mezzo al mondo che dovevano evangelizzare.
A Pietro che confidava solo nelle sue forze e non faceva assegnamento sulla grazia di Dio, Gesù predice il rinnegamento...
Gesù parlava dell'amore scambievole, e Pietro era tutto concentrato nelle parole che il Maestro divino aveva detto: Dove io vado voi non potete venire. Al suo amore era troppo penosa quella espressione che equivaleva all'annunzio di un distacco, e perciò gli domandò: Dove vai tu? Gesù gli rispose: Dove io vado tu non puoi seguirmi adesso; mi seguirai però in seguito. Pietro capì che alludesse ad un pericolo imminente ma non capì che Gesù, dicendogli che l'avrebbe seguito in seguito, gli prediceva la stessa sua morte di croce. Al suo cuore ardente ripugnava immensamente staccarsi dal Maestro amatissimo ed al coraggio di cui si credeva capace ripugnava di lasciarlo solo; perciò soggiunse con sicurezza: Perché non posso seguirti adesso? Darò la mia vita per te. Egli voleva difenderlo ad ogni costo, anche se questo avesse dovuto costargli la vita, ma si fondava sulle sue forze e non pensava di fare assegnamento sulla grazia di Dio; era debole e non se ne accorgeva. Per questo Gesù gli soggiunse con pena: Darai la tua vita per me? In verità, in verità ti dico: non canterà il gallo, cioè non spunterà l'aurora del giorno novello, quando il gallo canta, che tu mi avrai rinnegato tre volte. Pietro non si persuase delle parole del Maestro, gli sembrarono un assurdo, e rimase nella convinzione che sarebbe stato capace di dare per Lui la vita, ma dolorosamente dovette convincersi in quella medesima notte quanto era vano il suo proposito ed il suo coraggio senza la grazia di Dio.
Diffidiamo anche noi di noi stessi, e pensiamo alla vanità dei nostri propositi. Quante volte risolviamo di non peccare, e ci sembra che la nostra risoluzione sia ferma, e poi alla più piccola occasione cadiamo miseramente! Quante volte, pur sorretti dalla grazia di Dio, siamo noi a desiderare di cadere, seguendo la corrotta natura, e cercando le occasioni
del peccato! Persuadiamoci che siamo come povero stelo di fieno, che ad un soffio si curva, e ad una raffica si spezza! Ricordiamoci poi del nuovo comandamento di Gesù sulla carità, ed amiamoci come Gesù ci ha amato, compatendoci, aiutandoci, e sacrificandoci gli uni per gli altri. Se la carità è il segno di riconoscimento sulla terra di noi cristiani, nel Cielo è la tessera, l'unica tessera che può introdurci nell'eterna gloria, dove tutto è armonia eterna di carità e di amore.
Sac. Dolindo Ruotolo
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