domenica 29 maggio 2016

29.05.2016 - Commento al vangelo di S. Luca cap. 9 par. 3

3. La prima moltiplicazione dei pani

Quando il popolo vide che Gesù si ritirava, osservò, come dice san Marco (6,33), quale direzione prendeva, giacché in barca si allontanava verso il luogo deserto di Betsaida. La sua parola ed il suo divino aspetto erano così affascinanti ed i miracoli che compiva così grandi, che il popolo non seppe distaccarsene e, secondo san Marco (ivi), corse e lo prevenne nel luogo dove supponeva che Egli dovesse sbarcare. Viveva giorni di entusiasmo e di schietta fede, perché la propaganda ostile degli scribi e dei farisei non lo aveva ancora avvelenato. Sembra quasi di vederla questa turba devota, entusiasmata dai discorsi di Gesù, correre in grande gioia, e fare a gara nel passo, superando le balze della strada montagnosa, per trovarsi nuovamente da Gesù. Era dimentica di tutto, l'attraeva il Signore e correva percorrendo un lungo cammino, senza pensare che si allontanava di più dai centri donde era venuta. Gli stessi infermi si sforzavano di fare il cammino, sperando di ottenere la guarigione.

Quando Gesù vide quell'immensa moltitudine, nella quale solo gli uomini erano circa cinquemila, ne fu commosso; l'accolse con infinita amorevolezza, parlò del regno di Dio, e risanò tutti quelli che avevano bisogno di cura.

Può rilevarsi dal contesto che mentre Gesù parlava alle turbe e guariva gl'infermi, gli apostoli dovettero rifocillarsi. Essi, infatti, s'erano appartati per questo dal popolo, ed andando in un luogo deserto per rimanervi poi in orazione, avevano dovuto portare con loro qualche provvista abbondante. Il non avere altro che cinque pani e due pesci, quando Gesù disse che provvedessero al popolo, fa supporre che avessero dovuto già cibarsi. Forse, proprio mentre mangiavano, notarono che il giorno declinava e che era necessario rimandare la turba perché avesse cercato nei villaggi circostanti vitto ed alloggio.

È psicologico, infatti, che uno noti per gli altri quello di cui si preoccupa per sé e compatisca negli altri quello che egli soffre; essi, stanchi dal viaggio e bisognosi di cibo, nel sedersi su qualche poggio a rifocillarsi, ponderarono meglio che cosa significava essere stanchi e digiuni, ed accostatisi a Gesù lo esortarono a licenziare la turba perché si fosse provveduta, giacché il giorno declinava e si stava in luogo deserto.

Gesù rispose alle loro insistenze, dicendo che avessero essi dato da mangiare a quella gente. Ma non avevano che cinque pani e due pesci e quel comando sembrò loro uno scherzo. Il Redentore, invece, non parlava per modo di dire: esigeva veramente che avessero provveduto al popolo facendo un atto di fede in Lui.

Non avevano fatto miracoli già in suo Nome?

Non avevano sperimentato nella missione compiuta quanto fosse stata feconda la loro fiducia?

Egli avrebbe voluto che il miracolo l'avessero fatto essi in SUO nome, perché avrebbe voluto accrescere il loro ascendente sul popolo, ai fini dell'apostolato. Ma non erano da tanto, e Gesù, compatendoli, volle che almeno avessero avuto fiducia in Lui, ed ingiunse loro di far sedere la gente sul fieno a gruppi di cinquanta. Fu così che essi poterono contare approssimativamente quanti uomini erano presenti, perché, raggruppandoli in cento comitive da cinquanta persone, notarono che la maggioranza erano uomini, pure essendovi parecchie donne e bambini. Gesù volle far constatare loro la grandiosità del miracolo, per sanare la sfiducia che avevano avuta in Lui, sia volendo far licenziare il popolo, sia non avendo fede di poterlo alimentare in nome suo.

Quando furono tutti seduti, il Redentore si fece portare i cinque pani ed i due pesci, alzò gli occhi al cielo per mostrare a tutti che pregava, e li benedisse. Poi cominciò a spezzare sia i pani che i pesci, ponendo le porzioni nei panieri che gli apostoli avevano portati con loro, o che avevano domandati a prestito da qualcuno che li aveva. E evidente dal contesto questa circostanza, sia perché sarebbe stata lunghissima la distribuzione fatta pezzo per pezzo, sia perché nel Testo è detto esplicitamente che furono raccolti gli avanzi in dodici panieri.

Gesù spezzava il pane, ed il pane cresceva di nuovo, di modo che da ogni pane ricavò più di mille porzioni, e da ogni pesce più di duemila e cinquecento porzioni.

Il pane veniva fresco e saporosissimo, poiché Gesù quando mutò l'acqua in vino a Cana di Galilea, somministrò un vino di ottima qualità.

Era secondo la sua infinita generosità dare un cibo ottimo, come lo diede Dio nella manna del deserto agli Ebrei che emigrarono dall'Egitto. Forse Gesù stesso, prendendo il pezzo abbondante di pane, vi pose in mezzo la porzione di pesce. Nelle sue mani onnipotenti il pane ed il pesce erano quasi come sementi vive che istantaneamente crescevano. Ciascuna particella, obbedendo alla sua creatrice volontà, diventava feconda di un'altra, quasi, diremmo, come in natura si generano le cellule novelle per gemmazione, ed assai più velocemente di quello che non cresca in una notte il gigantesco fungo equatoriale.

Data l'enorme quantità del pane avanzato, si può supporre che Gesù abbia fatto le porzioni uguali per tutti; e naturalmente le donne, i bambini e chi aveva minore appetito ne mangiarono meno e ne lasciarono una parte. Forse di un pane faceva due parti, perché dividendolo a metà poteva più facilmente spezzarsi; una metà la dava agli apostoli con la metà di un pesce, e l'altra metà, cresciuta nelle sue mani, la spezzava nuovamente in due; l'ultima metà di ciascun pane e pesce la dava com'era. Se fosse così, ne verrebbe che dieci porzioni di pane e quattro di pesce furono cavate da ciò che avevano gli apostoli, e furono naturali, e che le altre furono miracolose. Dio, pur essendo generosissimo, non fa opere superflue, e Gesù utilizzò certamente i pani ed i pesci che aveva.

Il miracolo fu grandioso, ma fatto con tanta prontezza e naturalezza che la gente e gli apostoli stessi, allora allora, non lo ponderarono. Il cibo miracoloso, poi, aveva con sé la grande benedizione di Gesù, e non poté non produrre anche nelle anime qualche frutto spirituale, almeno in quelle meglio disposte.

Certo in quel momento regnava in quel luogo una grande pace, e satana doveva essere tanto lontano dall'insidiare quelle anime.

Nel deserto aveva preteso che Gesù oziosamente avesse mutato le pietre in pane; in questo altro deserto avrebbe voluto mutare quel pane in pietre, perché la sua invidia ringhia quando Dio ci benefica: ma l'onnipotenza di Gesù Cristo lo confondeva e dovette preferire inabissarsi all'Inferno.

Gesù Cristo non volle operare il miracolo senza la cooperazione degli apostoli, ed anziché far discendere il pane dal cielo, moltiplicò quello che c'era. Diremmo quasi che ci diede la proporzione della nostra cooperazione alla sua grazia: uno per mille, ovvero uno per duemila e cinquecento. Pretendere che Egli operi in noi senza il minimo della nostra cooperazione, è un'illusione.

Egli moltiplicò il pane ed i pesci per il cibo corporale, ma si può dire che prima aveva moltiplicato anche il pane, spirituale facendosi ascoltare da tutta quella massa di gente. La sua voce si doveva naturalmente disperdere in quel deserto, tanto più che il brusio della moltitudine, provocato dai bambini e da altri, doveva soffocarla; invece è evidente che l'ascoltarono tutti, diversamente non gli sarebbero andati appresso con tanta premura. Il popolo andò per ascoltare la divina Parola trascurando le sue necessità, e Gesù vi provvide Egli stesso, mostrando così coi fatti che chi cerca il regno di Dio e la sua giustizia ha per sovrappiù dalla provvidenza le cose temporali.

Il vivo «Pan del cielo»
Gesù Cristo, moltiplicando il pane ed i pesci, simboleggiò una moltiplicazione più bella, quella del Pane Eucaristico, quella del suo Corpo e del suo Sangue come sostegno nostro nel deserto della vita.

Nell'ultima cena egli operò come nel deserto: Alzò gli occhi al cielo, spezzò il pane, lo diede ai suoi apostoli, moltiplicò in essi la sua presenza sacramentale, e diede ad essi il potere di dare quel Pane di vita alle moltitudini sterminate delle cinque parti del mondo in tutti i secoli. Ogni giorno noi assistiamo a questo miracolo nella Santa Messa: Gesù ci parla dall'altare nel deserto della vita per le grandi voci della liturgia; dopo averci parlato ci fa sedere alla sua mensa e ci nutre di sé. Non dovrebbe mai avanzare questo cibo di vita, e le pissidi dovrebbero sempre vuotarsi. Certo se il popolo avesse capito appieno il miracolo che aveva avuto, avrebbe lasciato dodici panieri di avanzi? Ognuno avrebbe portato con sé come preziosissima cosa il pane miracoloso, per cibarsene ancora.

Rimangono piene le pissidi quando sono vuoti i cuori, e quando non s'intende l'immenso beneficio del Dono eucaristico. O caro Gesù, non permettere che ti siamo ingrati; donaci una grande fame del Pane di vita!

Sac. Dolindo Ruotolo

 

sabato 21 maggio 2016

22.05.2016 - Commento al vangelo di S. Giovanni cap. 16 par. 2

2. Nelle persecuzioni è necessario aver fede ed appoggiarsi unicamente a Dio

Le persecuzioni sono il pane quotidiano della Chiesa in tutti i secoli, perché il demonio ed il mondo non cesseranno mai di odiarla. È proprio questo che mantiene nella Chiesa: lo Spirito di Dio. Le persecuzioni sono come il vento che rimesta l'aria nella sua vigna, fa cadere le foglie morte, e porta il polline sui fiori perché fruttifichino. Senza le lotte non crescono gli eroi ed i santi e, bisogna confessarlo, le regioni che sono più pacifiche in ordine alla Chiesa sono le più sterili di santi. L'America, per esempio, ha prodotto i santi solo nel Messico, dove infuriò ed infuria la persecuzione. Nel resto dei suoi stati liberi, pacifici e tolleranti, la vita cristiana finisce quasi per mimetizzarsi con quella del mondo, ne prende il colore, il carattere, lo spirito, e nello splendore di una comoda pace non prospera.

Gli uffici sacri della Chiesa, che sono come gli organi della sua vita, diventano dei ministeri più o meno burocratici, che non danno sangue di vita, ma regolano quasi le funzioni o, diremmo, la toletta dell'epidermide del suo corpo. Ogni atto della mirabile organizzazione della Chiesa è funzione vitale solo nelle lotte: allora diventa parola d'ordine del combattimento, esortazione alla virtù, invito all'unità, alla fiducia, alla preghiera, ed allora solo penetra i cuori con l'amore materno che è la sua suprema funzione tra le creature di Dio.

Le persecuzioni vengono nella Chiesa per purificarla, e le impediscono il connubio col mondo, ogni volta che la vita dei suoi sacerdoti e dei suoi figli la mette in questo pericolo mortale. Esse sono come la scarica violenta che si sprigiona dagl'ibridi contatti dei fedeli con la terra, sono come la reazione sua stessa a ciò che la mette in pericolo di deviare, giacché sono provocate quasi sempre da quegli atti di energia coi quali essa pone un limite alle pericolose endosmosi dello spirito del mondo nella sua vita. I cattivi non si preoccupano di una vita cristiana che condiscende alle loro miserie, ma reagiscono a quella che le contrasta, diventano così strumento nelle mani di Dio per accrescere e per purificare la vita dei cristiani, e concorrono alla santificazione dei buoni, all'eliminazione dei cattivi, ed all'emenda dei colpevoli, loro malgrado.

Le persecuzioni potevano costituire un argomento di scandalo per gli apostoli e per i loro successori, per i primi fedeli e per quelli che nei secoli avrebbero abbracciato la fede, e per questo Gesù le preannunziò. Il predirle indicava chiaro ch'Egli ne conosceva la natura e la portata, e che le permetteva per altissimi fini di amore.

Egli aveva già detto ai suoi cari che il mondo li avrebbe odiati (15,18) e dopo averlo annunziato loro, perché non si fossero scandalizzati e disorientati per quell'odio, predisse loro anche le persecuzioni che avrebbero avute da quelli medesimi che rappresentavano l'autorità costituita, e soggiunse: Vi cacceranno dalle sinagoghe, anzi viene già l'ora nella quale chi vi ucciderà penserà di rendere omaggio a Dio.

Non sarebbe stato possibile né un'intesa né un compromesso con quelli che rappresentavano in Israele il pubblico potere religioso; bisognava aspettarsi di essere cacciati dalle sinagoghe come eretici pericolosi, e di essere persino uccisi come falsi profeti. Tutto questo sarebbe avvenuto perché il potere religioso aveva con ostinata protervia rifiutato di riconoscerlo come Figlio di Dio, ed aveva rinnegato la luce che veniva dai Libri Santi, restringendone il significato alle proprie idee.

L'opposizione aperta e violenta del potere religioso doveva costituire per gli apostoli la più dura prova, giacché essi, timorati com'erano di Dio, vi avevano avuto fede, e lo riguardavano ancora com'espressione della divina autorità. Per questo Gesù soggiunse: Vi ho detto ciò affinché quando verrà quel tempo vi ricordiate che io ve l'ho detto. L'avveramento della profezia doveva costituire per essi un argomento di verità, per credere alla sua divina Parola, e incoraggiarli a non temere l'urto delle autorità, le quali, proprio perché rinnegavano la verità, non rappresentavano più quella di Dio.

Verrà l'ora nella quale chi vi ucciderà crederà di dar gloria a Dio

La pena e l'angustia d'essere perseguitati dal medesimo potere religioso fu propria degli apostoli, giacché essi rappresentavano il passaggio dall'Antico al Nuovo Testamento; ma può dirsi anche di quelle anime che avendo una missione nella Chiesa, si vedono contrastate dalla medesima sua autorità. Questa per dovere, e logicamente, ha il diritto d'assicurarsi della verità di una missione particolare, e dello Spirito che muove certe anime; quindi la sua opposizione è da lodarsi, e non autorizza minimamente alla rivolta; ma ciò non toglie che l'anima che la subisce provi uno spasimo grande, tanto più atroce quanto più è sincero il suo amore alla Chiesa e la sua sottomissione all'autorità. Essa è stretta nel torchio, poiché da una parte il Signore non cessa di operare, e dall'altra l'autorità, col suo atteggiamento ostile o poco benevolo, la getta nei più assillanti dubbi.

È questa la prova suprema che Dio dà quando opera in un'anima più direttamente, ed è un segno di quest'operazione quando la prova produce nell'anima una maggiore sottomissione ed obbedienza, ed una fiducia piena nel Signore.

L'anima si sottomette, obbedisce, prega, dubita di sé e spera contro la speranza, come Abramo, certa di Dio che tutto può, abbandonata a Lui, pronta alla sua volontà, e nel medesimo tempo pronta a rinunziare a tutto ciò che passa in lei, qualora così piaccia positivamente a chi le rappresenta Dio.

Sono pene amarissime, certo, ma sono pene feconde di beni immensi per lo sviluppo stesso di ciò che Dio vuole. Un'opera santa che passa per questa trafila prende salde radici proprio nella Chiesa e si dilata nei secoli. Così avvenne per la devozione al Sacro Cuore di Gesù, prima ripudiata dall'autorità, e ripudiata in modo tanto assoluto e definitivo, da provocare l'ingiunzione di non parlarne più: Negative et amplius fu la risposta della Sacra Congregazione quando le fu riproposta la questione della devozione al Sacro Cuore, e quella espressione equivaleva a quest'altra: Si riprova questa devozione e s'ingiunge di non parlarne più. In realtà proprio allora Dio apriva il solco fecondo nella vigna della Chiesa, e vi affondava col dolore e la contraddizione il granello che doveva diventare un grande albero.

Annunziando le persecuzioni che dovevano venire dall'autorità, Gesù Cristo soggiunge: Aon ve ne ho parlato prima perché ero con voi. Egli ad ogni opposizione dell'autorità rispondeva direttamente, e confermava la sua risposta coi miracoli; raccoglieva Egli solo quelle opposizioni, e le ribatteva con la sua divina autorità. Ma dopo la sua dipartita dal mondo quelle opposizioni si sarebbero rivolte contro gli apostoli, ed Egli lo preveniva loro perché non se ne fossero estremamente accorati, ed avessero confidato in Dio.

Il Consolatore verrà a sostenere gli apostoli

Nel dire Gesù: Non ve ne ho parlato prima perché ero con voi, significò esplicitamente ch'Egli era per lasciarli soli nel mondo, e questo turbò profondamente gli apostoli. Avevano sentito parlare di tradimento, di pericolo imminente, di persecuzioni e di morte, e il solo pensiero di rimanere senza il Maestro li sconcertò. Capirono che E avrebbero tolto violentemente dal mondo e, senza pensare al disegno di Dio, se ne angustiarono fino a scoraggiarsi. Per questo Gesù, richiamandoli alla verità, soggiunse: Ed ora vado da Colui che mi ha mandato, e nessuno di voi mi domanda: Dove vai tu? Ma perché vi ho detto queste cose, la tristezza ha riempito il vostro cuore.

Egli voleva dire loro: Io non sarò sopraffatto dall'umana iniquità, ma volontariamente mi offrirò alla morte, e me ne andrò a Colui che mi ha mandato. Ora voi, invece di preoccuparvi delle insidie che mi tendono gli uomini, perché non sollevate lo sguardo in alto, e non guardate al Cielo dove io vado per voi? Vi rattristate come se con la mia morte tutto dovesse finire, e non pensate che invece tutto allora si compirà e si svilupperà? Io però vi dico in verità: è bene per voi che io me ne vada, cioè che io muoia, e con la mia morte vi meriti la grazia dello Spirito Santo che deve sostenervi e sviluppare tutto il disegno di Dio. Se io non me ne vado, il Paraclito non verrà a voi, e se me ne andrò lo manderò a voi. Morirò, ma salirò al cielo dopo la mia morte, e dal cielo vi manderò lo Spirito Santo. Non vi preoccupate di trovarvi soli innanzi al mondo, innanzi al sinedrio ed al demonio, in una lotta impari alle vostre forze, poiché lo Spirito Santo che verrà in voi riporterà Egli stesso una triplice vittoria sul mondo: convincendolo che è schiavo del peccato proprio perché non ha creduto in me; convincendolo che io sono il giusto per eccellenza, il vero Figlio di Dio, sedente nella gloria eterna, e convincendolo che io sono il Redentore, vincitore di satana e giudice eterno.

L'opera di santificazione, che lo Spirito Santo compirà farà emergere l'opera mia e glorificherà la fede che si ha in me, negli splendori della verità e della santità. Con questo sarà fatto giudizio del mondo che non ha creduto in me, e risalterà la gravità del peccato di quelli che hanno rifiutato la verità per le loro passioni. Lo Spirito Santo riprenderà il mondo di giustizia, testimoniando della mia giustizia e della mia santità dopo che me ne sarò andato al Padre, e non mi vedrete più. Allora si capirà che cosa è la vera giustizia, e si pondererà il delitto commesso nel togliermi dalla terra. Infine lo Spirito Santo riprenderà il mondo di giudizio, mostrando con le meraviglie della grazia che il demonio è già giudicato, ossia ch'è stato vinto, e che il suo regno tenebroso è finito nelle anime che credono in me.

Gesù parlò oscuramente agli apostoli, perché non poteva in quel momento esporre loro tutto il cammino doloroso che li aspettava nel loro ministero; Egli però volle prevenirli del trionfo che avrebbero riportato per lo Spirito Santo. Essi, soli innanzi ad un mondo prepotente, avrebbero avuto la forza di rimproverarne l'incredulità, di testimoniare di Lui come Figlio vero di Dio, risorto da morte e asceso al Cielo, e di sgominare il regno di satana, già vinto dalla croce.

Gesù Cristo non li abbandonava, ma andava al Padre per sostenerli più fortemente con la virtù e la grazia dello Spirito Santo; non li lasciava in balìa del sinedrio, quasi fossero dei sopraffatti, convinti d'aver seguito un'illusione, ma per lo Spirito Santo dava loro la forza di rimproverarne l'incredulità, di attestare la verità, e di mostrare coi miracoli e le conversioni che il demonio era stato vinto già. Gli apostoli, infatti, e san Pietro a capo di essi, dopo la discesa dello Spirito Santo parlarono al popolo ed al sinedrio con libertà piena, rimproverando proprio la loro incredulità, mostrando la divinità e la santità del Redentore, e dissipando, con le meraviglie che operarono, le menzogne di satana che avevano allontanato gli animi dalla verità.

In ogni tempo della vita della Chiesa lo Spirito Santo continua a rimproverare il mondo di peccato, di giustizia e di giudizio attraverso le parole del Papa e del sacerdozio. Il mondo incredulo è confuso dalla luce della verità che rifulge nella Chiesa per la continua assistenza dello Spirito Santo; è condannato nelle sue ingiustizie con l'inesorabile giudizio che traccia infallibilmente la via del bene; la Chiesa infatti addita l'eterna meta cui aspiriamo, sulle orme del Redentore ch'è asceso al Cielo per prepararci il premio. Il mondo infine è sgominato dalla potenza divina, che, attraverso i doni dello Spirito Santo, mostra quanto sia effimera la potenza di satana. Per l'assistenza dello Spirito Santo la Chiesa è un faro di luce in mezzo al tenebrìo del mondo, segna le vie della verità e della giustizia, e vince le mene di satana, il perenne vinto anche dalle più piccole manifestazioni della sua vita. La Chiesa condanna la miscredenza, che presume di vivere in un positivismo tutto materiale, e glorifica la fede che non vede e crede, condanna chi non crede in Gesù, e crede in Gesù vivo e vero, benché invisibile, che siede alla destra del Padre e vive nell'Eucaristia; la Chiesa condanna il regno di satana, e condannandolo mostra che satana non è un re ma un vinto, e che tutto ciò che opera nel mondo è obbrobrio che ne mostra la viltà.

Gli apostoli non capirono quello che Gesù diceva loro, e rimasero perplessi. Capirono solo che dovevano compiere una missione; ma, piccoli ed incolti com'erano, provarono uno scoraggiamento grande, non sapendo come avrebbero potuto attuarla. Il pensiero poi che il Maestro divino li lasciava, li rattristava grandemente, perché erano come figliolini attaccati alle vesti materne. Che cosa potevano annunziare al mondo? A che cosa si riduceva la dottrina che avevano ascoltata? La loro mente era confusa ed il loro spirito, anche inconsciamente, desiderava delle chiarificazioni. Per questo Gesù soggiunse:

Molte cose ho ancora da dirvi, ma non ne siete capaci adesso. Venuto però che sia quello Spirito di verità, v 'insegnerà tutta la verità. Egli infatti non vi parlerà da se stesso ma vi dirà quanto ha inteso, e vi annunzierà le cose che dovranno succedere. Egli mi glorificherà, perché prenderà ciò che è mio e ve lo annunzierà. Tutto ciò che ha il Padre mio è mio; perciò vi ho detto che prenderà ciò che è mio e ve lo annunzierà.

Gesù voleva dire: Voi desiderate sapere che cosa dovrete dire al mondo, e vi preoccupate della vostra missione. Io in realtà non vi ho detto ancora tutto, ed ho molte altre cose da rivelarvi, ma voi non sareste ora capaci di comprenderle. Vi manderò lo Spirito Santo ed Egli v'insegnerà tutta la verità. Egli non farà una nuova economia di provvidenza salvatrice, né verrà per fondare qualche cosa di diverso da quello che ho fatto già io, non vi parlerà da se stesso, ma vi dirà quanto ha inteso, cioè vi dirà quanto io ho detto e ve lo spiegherà, e vi annunzierà le cose che dovranno succedere,dicendovi quello che io non ho potuto ancora annunziarvi, e dandovi lo spirito di profezia. Voi così non sarete confusi né per ciò che avete visto ed ascoltato né per ciò che vi avverrà.

Vi scoraggiate nella vostra missione, ma non siete voi che dovrete glorificarmi, quasi semplici testimoni di un fatto storico; lo Spirito Santo mi glorificherà in voi illuminandovi su tutto ciò che vi ho detto, e vi darà la luce di sapienza perché mi glorifichiate innanzi al mondo; la vostra missione, in altri termini, è soprannaturale, e voi con la vostra fede diffonderete in tutti la luce della fede, e con la vostra vita mi glorificherete amandomi ed accendendo i cuori di amore. Lo Spirito Santo procede da me, e riceve da me con la natura divina la sapienza divina per istruirvi.

Vi dissi già che Egli procede dal Padre (15,26), ma ora vi aggiungo che procede anche da me, perché tutto ciò che ha il Padre è mio; il Padre gli comunica la natura divina, e gliela comunico anche io; procede dal Padre e da me come da unico

principio, e riceve dal Padre e da me la natura divina, la scienza, ecc. Egli dunque mi glorificherà solennemente non solo per ciò che ho compiuto come uomo, ma mi glorificherà come Dio: prenderà ciò che è mio e ve lo annunzierà, ossia vi annunzierà la verità della mia natura divina, di quella natura ch'Egli riceve da me come dal Padre, e vi farà intendere luminosamente che io sono veramente Figlio di Dio.

Sac. Dolindo Ruotolo

 

sabato 14 maggio 2016

15.05.2016 - Commento al vangelo di S. Giovanni cap. 14 par. 3-4

3. Se mi aveste conosciuto, dice Gesù, avreste conosciuto anche il Padre mio

La vita spirituale, in tutte le sue attività, si sintetizza in queste parole: Conoscere, amare e servire Dio. Ora per conoscere Dio, i suoi pensieri, la sua volontà, il suo amore, bisogna conoscere Gesù Cristo. È infatti da Lui e per Lui che ci viene la vera conoscenza di Dio. Anche la rivelazione dell'Antico Testamento, essendo ordinata all'incarnazione del Verbo, e concentrandosi in Lui per prometterlo, annunziarlo e figurarlo, si deve al Redentore. Senza il piano della discesa del Figlio di Dio in terra, l'Antico Testamento non avrebbe ragione di essere, anzi non ci sarebbe stato. In esso la figura centrale è Gesù Cristo, e da essa s'irradia la vivida luce che ci fa conoscere Dio. Per questo Gesù, dopo aver detto ai suoi apostoli che Egli era la via, la verità e la vita, e che nessuno poteva andare al Padre se non per Lui, soggiunse: Se voi m 'aveste conosciuto avreste conosciuto anche il Padre mio, e fin da ora lo conoscete e l'avete veduto.

Gli apostoli non conoscevano ancora Gesù per quello che realmente era, Figlio di Dio, consustanziale al Padre; l'avevano qualche volta chiamato Figlio di Dio, ma non avevano ponderato il valore di questa espressione, ed avevano sempre finito per concentrarsi nella sua umanità, e considerarlo praticamente come uomo straordinario, e profeta singolare. Se l'avessero conosciuto come Dio, avrebbero capito che Egli era nel Padre e il Padre in Lui, ed attraverso la sua stessa umanità e la sua vita mortale avrebbero visto risplendere gli attributi di Dio. Egli infatti mostrava di conoscere tutto, passato, presente e futuro, era infinitamente buono, era padrone della creazione, che dominava come voleva, era infinitamente giusto e santo, penetrava il fondo dei cuori e li scrutava, rimetteva i peccati, ed aveva nel suo medesimo tratto una maestà che rivelava in Lui la divinità.

Gesù non aveva una fisionomia semplicemente umana, benché avesse un corpo reale come l'abbiamo noi; i suoi lineamenti rivelavano in Lui non un uomo eccezionale, ma qualche cosa di più grande, d'immensamente più grande, come possiamo controllare anche noi pallidamente sul volto e sul corpo effigiato nella santa Sindone. Ravvivando quei lineamenti statici nella morte, dando ad essi lo splendore dello spirito, rendendoli manifestazione della vita interiore, e dando a quelle labbra le parole della vita, non si ha il volto di un semplice uomo, ma un volto misterioso e divino. Certo nessun artista è stato capace di ravvivare quel volto, riconoscendolo divino anche nel gelo della morte che ne spense la vita umana, ma non poté separarlo dal Verbo che ancora lo terminava.

Gli apostoli per vedere Dio non avrebbero dovuto fare altro che fissare Gesù; ma essi convivevano con Lui senza quasi badarci, solleciti come erano delle loro attività temporali. Sentivano il Maestro divino che parlava del Padre, desideravano di conoscere il Padre, ma nel loro desiderio c'era più un senso di curiosità spirituale che un apprezzamento della consustanzialità del Padre con Lui; per questo essi lo vedevano e non si accorgevano dello splendore divino che rifulgeva da Lui e per questo Egli, leggendo nei loro cuori il desiderio di conoscere il Padre suo con una rivelazione esterna e manifesta ai sensi, disse: Fin da ora voi lo conoscete e l'avete veduto.

Quale manifestazione infatti più grande di Dio sulla terra, che il Verbo Incarnato? E quale grazia per essi il trattarlo da vicino, il conversare con Lui ed il vivere con Lui! Essi però non lo capivano, e le parole di Gesù acuivano la loro brama di avere una rivelazione di Dio; e perciò Filippo, in nome di tutti, disse con l'accento di chi esprime un desiderio che da lungo tempo gli ferveva nel cuore: Signore, facci vedere il Padre e ci basta. Faccelo vedere con gli occhi del corpo almeno una volta, e saremo appagati, anzi avremo un argomento pieno e definitivo sulla realtà della tua missione, e sulla verità di quello che tu dici ed operi. Evidentemente le parole di Filippo non erano un atto di fede, anzi svelavano, almeno inconsciamente, una piena incomprensione di ciò che era il Maestro divino; per questo Gesù con dolore rispose a lui per rispondere a tutti quelli che avevano la stessa incomprensione: Da tanto tempo sono con voi e tu non mi hai conosciuto, Filippo? Chi vede me vede anche il Padre. Ora come fai tu a dire: facci vedere il Padre? Non credi che io sono nel Padre e il Padre è in me?

Negli anni in cui gli apostoli avevano conversato con Gesù avrebbero dovuto accorgersi della sua divinità e capire che Egli era consustanziale al Padre; avrebbero dovuto capire che Egli era persona distinta dal Padre, ma della stessa natura e della stessa divinità; era Figlio di Dio, veramente Figlio e veramente Dio, e perciò il Padre era in Lui ed Egli era nel Padre, essendo le divine Persone strettissimamente presenti l'una all'altra, perché d'una stessa sostanza, e aventi la stessa operazione.

Per illuminarli maggiormente sulla sua unione sostanziale col Padre, Gesù soggiunse: Le parole che io dico non le dico da me stesso, ma il Padre, che è in me, Egli compie le opere. Non credete che io sono nel Padre e il Padre è in me? Essendo una cosa sola col Padre per la natura e la sostanza divina, sono una cosa per l'operazione, e quindi voi, sentendomi parlare, sentite le parole dell'eterna sapienza del Padre, e vedendomi operare soprannaturalmente vedete l'onnipotenza divina che opera. Non avete bisogno perciò di ascoltare la voce del Padre o di vederlo, poiché la mia parola è sua, e le mie azioni sono sue, essendo parole ed operazioni divine. Che siano operazioni divine - soggiunse Gesù - non è difficile capirlo, essendo miracoli strepitosi; ora questi miracoli rivelano che opera Dio nella mia umanità, e che io sono Dio come il Padre, giacché le opere miracolose il Padre le compie per affermare la mia divinità e la mia missione.

sabato 7 maggio 2016

08.05.2016 - Commento al vangelo di S. Luca cap. 24 par. 4

4. Gesù appare agli apostoli. Ultimi avvisi. Ascensione al cielo

Rimessisi un poco dall'emozione, i due discepoli raccontarono quanto era loro occorso per la strada e come avevano riconosciuto Gesù nella frazione del pane. Forse il loro racconto cominciò a suscitare diffidenze, come avviene spesso quando si riferisce a gente incredula un fatto soprannaturale, quando Gesù, improvvisamente, stando chiusa la porta entrò in mezzo a loro ed esclamò: La pace sia con voi; sono io, non temete. Il suo Corpo glorioso, non più soggetto alle leggi della materia, non conosceva ostacoli, e molto più di quel che non faccia un'onda elettrica, passò attraverso le mura e la porta. I congregati, già impressionati da quello che ascoltavano dai discepoli di Emmaus, ne furono turbati ed atterriti, credendo di vedere uno spirito.

Se avessero creduto a quello che dicevano i discepoli, non avrebbero supposto di trovarsi di fronte ad un fantasma. Gesù con una grande amorevolezza, per toglierli dall'angustia soggiunse: Perché vi turbate, e quali pensieri sorgono nel vostro cuore? Guardate le mie mani e i miei piedi, sono proprio io; palpatemi e guardate, perché lo spirito non ha carne ed ossa come vedete che ho io. Detto questo, mostrò loro le mani ed i piedi e li fece loro toccare, ma essi non credettero ancora, benché avessero il cuore pieno di gioia al divino contatto.

Questo ci fa vedere in quale stato di miscredenza ancora si trovassero e quanto fitte fossero le tenebre del loro spirito. Toccavano con mano, vedevano con gli occhi e non credevano. È terribile! Erano più increduli dello stesso san Tommaso, la cui mancanza di fede è diventata proverbiale; il loro intelletto era oscurato completamente, poiché rimaneva in loro ancora l'idea che il maestro non avesse potuto risorgere.

Così fanno i miscredenti per partito preso: dicono di voler tutto osservare e controllare, e quando toccano con mano la verità neppure credono, perché il loro cuore è guasto ed annebbiato. Non cercano il motivo della credibilità ma quello della miscredenza, e non cedono di fronte all'evidenza, rinnegando praticamente lo stesso positivismo balordo per il quale dicono di non credere. Se si umiliassero e riconoscessero la loro ignoranza, riavrebbero la luce della verità e quella della fede; ma sono ostinati e non vogliono credere.

Di fronte all'ostinazione degli apostoli Gesù, lungi dall'abbandonarli come avrebbero meritato, ricorse ad un altro espediente: Essi erano fuori di loro per la gioia, come dice il Sacro Testo; non credevano ai loro occhi e al loro tatto, non per ostinazione di malizia, ma per la stessa sorpresa di ciò che vedevano; erano come fuori della realtà della vita, e non sapevano trarre la logica conseguenza di quello che vedevano; perciò Gesù, richiamandoli alla realtà e distraendoli da quello stupore che impediva loro di riflettere, esclamò: Avete qui qualche cosa da mangiare? Ed essi gli presentarono un pezzo di pesce arrostito ed un favo di miele; Gesù ne mangiò alla loro presenza, e quello che avanzò lo diede loro perché ne avessero mangiato e l'avessero mostrato agli altri come testimonianza della sua risurrezione.

Gesù Cristo, avendo un corpo reale poteva mangiare, benché fosse glorioso. Il cibo penetrò veramente nello stomaco, e si mutò interamente in sua sostanza, senza bisogno di digestione. Egli si degnò di partecipare alla nostra vita per santificarla, e mentre prima della Passione aveva mangiato la Pasqua con le erbe amare, simbolo del terreno pellegrinaggio, dopo la risurrezione mangiò il favo di miele, simbolo delle dolcezze della gloria eterna.

Mangiò nella cena l'Agnello pasquale, figura di Lui stesso immolato, e mangiò dopo la risurrezione il pesce arrostito, simbolo del suo amore Eucaristico; l'agnello vive nella terra, simbolo dell'anima pellegrina, ed il pesce nel mare, simbolo dell'anima beata dell'immensità della gloria di Dio, nella quale è come sommersa per l'eterna beatitudine.

Di fronte all'evidenza di veder consumato il cibo che gli avevano dato, gli apostoli credettero, come appare chiaro dal colloquio che Gesù ebbe con loro; ma nel loro spirito c'erano ancora delle tenebre sulla sua Passione e Morte, ed Egli le dissipò, richiamando la loro attenzione sul compimento delle profezie che lo riguardavano, da Lui già annunziate loro prima di patire. E perché avessero potuto intendere appieno quanto di Lui era stato scritto nella Legge di Mosè, nei profeti e nei Salmi, cioè in tutta la Scrittura, ne comunicò loro l'intelligenza con una grazia particolare, perché avessero potuto intenderle ed insegnarle agli altri, evangelizzando tutte le genti.

San Luca sintetizza in queste poche parole le raccomandazioni e le istruzioni che Gesù Cristo fece agli apostoli nei quaranta giorni nei quali rimase con loro, prima di congedarsi definitivamente ed ascendere al cielo. Fu in questi trattenimenti ch'Egli promise lo Spirito Santo, e li esortò a trattenersi in Gerusalemme per prepararsi a quella grande grazia, che doveva trasformarli in messaggeri di misericordia, di perdono e di pace per tutta la terra.

Alla fine dei quaranta giorni li condusse prima a Betania, per congedarsi da Marta, da Maria e da Lazzaro, e poi di là sul monte Oliveto, dove li benedisse e, sollevatosi verso il cielo, sparì dai loro occhi, assunto nella gloria.

Fu quella l'ultima e definitiva prova che dette della sua divinità, e per questo gli apostoli e quelli che erano con loro lo adorarono, riconoscendolo pienamente Figlio di Dio.

Ritornarono poi in Gerusalemme pieni di gaudio, per le grazie ricevute, delle quali ora valutavano tutta la magnificenza, e stavano nel tempio continuamente lodandone e benedicendone Dio. Essi, infatti, si svegliarono come da un sonno, ed accorgendosi di non aver apprezzato abbastanza gli immensi doni ricevuti da Dio, cercarono di riparare alla loro manchevolezza andando a ringraziarlo continuamente nel tempio.