3. L'annunzio ai pastori e la loro visita
Maria rimase in contemplazione, ed implorò certamente da Dio che il suo Figlio fosse conosciuto dagli uomini. Il Sacro Testo lo chiama Figlio primogenito perché così si chiamava anche l'unigenito presso gli Ebrei, ma in realtà Maria nell'avere Gesù aspettava anche l'uomo, e sentiva già la sua universale maternità.
L'uomo peccatore doveva essere il suo secondogenito, rigenerato per virtù dello Spirito Santo. Lo disse un giorno il Redentore a Nicodemo, che era necessario rinascere nell'acqua e nello Spirito Santo; ora nella rinascita non può essere estranea Maria, Madre dei peccatori e Regina di misericordia.
Maria dunque pregava perché gli uomini cominciassero a conoscere il loro Redentore. Non era andata in fretta a casa di sant'Elisabetta per annunziarle la lieta novella e comunicarle la grazia? Il suo Cuore era tutto acceso di zelo, e la sua preghiera apriva nuovamente i cieli alla misericordia, partecipando la lieta novella della nascita del Redentore alle anime che erano più preparate alla grazia.
Gli angeli raccolsero la preghiera della Vergine e, poiché la corteggiavano per lodare il Verbo Incarnato, andarono subito poco lontano a compiere la loro missione di amore. Questo non risulta esplicitamente dal testo, ma può arguirsi, giacché Dio ha voluto Maria mediatrice di tutte le grazie.
Poco lontano dalla grotta c'erano alcuni pastori che vegliavano, facendo la guardia al gregge; la notte serena li faceva stare all'aperto e, probabilmente, attratti dalla bellezza del cielo stellato, essi pregavano.
La prontezza della loro fede ci fa arguire che avevano l'anima predisposta alla grazia, e che, da buoni e semplici Ebrei, sospirassero al compimento delle divine promesse. Esse erano una realtà, oramai, e quella terra benedetta era come circonfusa di spirituale splendore, che inconsciamente rinnovava in loro i desideri dei patriarchi e dei profeti. Il Sacro Testo infatti dice che la gloria di Dio rifulse loro, non solo per l'apparizione degli angeli, ma anche per l'interno splendore che li illuminava, rinnovando in loro la fede nel futuro Redentore.
Tratto dalla monumentale opera di dottrina esegetica di ben 30 volumi. Il frutto che si ricava da tale lettura è una maturazione profonda nella fede, una percezione della verità della Parola negli eventi del nostro tempo, una aspirazione santa alle promesse contenute nella Rivelazione.
sabato 31 dicembre 2016
sabato 24 dicembre 2016
25.12.2016 - Commento al vangelo di S. Luca cap. 1 par. 2-3
2. Il momento solenne e pacifico della nascita di Gesù Cristo
Era stato predetto dai profeti che il Redentore doveva nascere in Betlem, ed il Signore, che tutto dispone attraverso i medesimi eventi umani, utilizzò una circostanza della vita civile per far trovare Maria a Betlem.Nazaret distava da questa città circa 120 chilometri; ora, senza una pressione legale, Maria Santissima giovane madre prossima al parto, non avrebbe creduto prudente fare un viaggio così lungo. Il Signore avrebbe potuto, è vero, rivelarlo a san Giuseppe, ed ottenere lo stesso risultato, ma Egli volle escludere dalla nascita di Gesù tutto ciò che poteva sembrare appositamente voluto per far verificare la profezia; gli eventi, indipendenti dalla volontà, anzi contro la volontà umana, mostravano meglio le disposizioni divine nella nascita del Redentore.
Cesare Augusto, primo imperatore romano, nel fasto della sua gloria ordinò parecchi censimenti per accertarsi della popolazione dell'impero e dell'obbligo del tributo per tutti i suoi sudditi. Il primo di questi censimenti, esteso anche alla Palestina, fu fatto sotto Publio Sulpizio Quirino, che al modo greco è chiamato nel Sacro Testo Cirino. Il censimento fu fatto non secondo l'uso romano, per il quale ciascuno si faceva iscrivere nei registri del luogo dove abitava, ma secondo l'uso ebraico, per il quale ognuno andava ad iscriversi nella sua città di origine. Era logico, del resto, perché gli Ebrei erano tenaci conservatori delle tribù e delle famiglie, ed un censimento di semplice domicilio non avrebbe dato la vera prospettiva demografica della nazione.
La legge umana è inesorabile e non ammette scuse; bisogna sottostarvi per forza, se non vi si vuole sottostare per amore. San Giuseppe, però, e Maria Santissima, abituati all'obbedienza alla divina volontà, accettarono l'ordine non come
un'imposizione inopportuna per essi, subita per timore, ma come una disposizione indiretta del Signore, ed intrapresero subito il faticoso viaggio per recarsi a Betlem, loro città di origine perché discendenti di Davide.
E commovente il pensare a questo viaggio intrapreso quando la stagione era già fredda, giacché è tradizione costante nella Chiesa che Gesù sia nato nelFinvemo. Due creature ignote al mondo, ma immensamente privilegiate innanzi a Dio, camminavano portando con loro, nascosto nel seno materno, il Verbo di Dio! Camminavano in pace, nella povertà, lodando e benedicendo il Signore.
Un asinelio, com'è tradizione e com'è giusto pensare, serviva loro di cavalcatura e portava il loro piccolo bagaglio. Giuseppe lo guidava, e Maria vi sedeva sopra; erano tutti e due il quadro vivo della purezza, dell'amore e della pace. L'asinelio doveva sentire inconsciamente il benessere di avere dei padroni così sereni e, guidato dall'angelo di Dio, come potrebbe supporsi, prendeva il giusto cammino. Aveva quel portamento di sicurezza e di fedeltà che hanno gli animali vicino ai padroni benefìci e, senza ripugnare o recalcitrare, andava avanti mansueto. Maria tutta raccolta pregava. Era più bella nella sua avanzata gravidanza, aveva il volto soffuso di pace, e sembrava l'Arca di Dio, perché portava nel seno il suo Figlio divino. San Giuseppe andava avanti raccolto, con quel suo bel volto pieno di verginale fulgore, ingenuo, semplice, umile, servo fedele della divina volontà, col sensibile suo cuore pieno di angustia per il disagio della sua immacolata Sposa.
Nel silenzio della strada deserta, fra la solitudine degli alberi già spogli, risuonava lo scalpitare dell'asinelio ed echeggiavano gli ultimi canti sommessi degli uccelli... La natura sembrava un'immagine dell'uomo, intristito dalla colpa, ed il Verbo divino, fatto per amore pellegrino della terra, avanzava nel seno materno verso Betlem, per compiere le promesse della misericordia e salvarlo. Nessuno supponeva che si avverassero in quel momento tanti vaticini dei profeti, e che il Sole di giustizia cominciasse a sorgere dalle tenebre della povera terra brumosa, carica di colpe e di affanni.
Giunsero in Betlem dove, a causa del censimento, era un gran concorso di gente sia nei pubblici alberghi, sia nelle case ospitali, di modo che san Giuseppe non poté trovare chi lo accogliesse con la sua Vergine Sposa Immacolata. Dovette cercare rifugio in una grotta, adibita per ricoverarvi gli animali nelle notti fredde o tempestose, ed ivi procurò d'allestire un poverissimo alloggio, dato che per Maria si avvicinava il tempo del parto. Non può dirsi che fossero angosciati per quella povera dimora, giacché erano ambedue immersi nella divina volontà, ed amavano immensamente il nascondimento e la povertà; ma san Giuseppe, come custode di Maria, era afflitto dal disagio di Lei, e Maria pensava con immensa pena e tenerezza al suo Figlio che mancava di tutto nel venire alla luce. S'intrecciavano, per così dire, due rami fioriti di carità e di amore, e formavano essi soli l'ornamento fragrante di quella grotta desolata.
sabato 17 dicembre 2016
18.12.2016 - Commento al vangelo di S. Matteo cap. 1 par. 5
5. La nascita di Gesù Cristo e l'illibata Verginità di Maria Santissima e di san Giuseppe
La Vergine Santissima fu sposata a san Giuseppe per obbedienza, perché, come si usava presso gli Ebrei, il matrimonio veniva trattato dai genitori o dai parenti più prossimi della fanciulla, a volte senza che essa lo sapesse.
Giunta all'età da marito, che era quasi sempre al dodicesimo anno, veniva promessa al giovane che ne faceva richiesta, e celebrava gli sponsali, prendendo impegno con giuramento, ella e lo sposo, di contrarre le nozze.
Il periodo degli sponsali durava un anno per le vergini e un mese per le vedove, ed in questo tempo, benché dimorassero ognuno a casa sua, i promessi sposi si riguardavano legittimamente coniugati, ed un figlio che fosse stato generato in questo periodo era riguardato come legittimo anche legalmente. Nel tempo degli sponsali, gli sposi corrispondevano fra loro per un intermediario di fiducia che era chiamato amico dello sposo. Dopo un anno si celebravano le nozze, e la sposa veniva accompagnata solennemente in casa del marito. Maria Santissima era stata sposata a san Giuseppe, giovane di circa 26 anni, modello di virtù, che il Vangelo caratterizza con una sola parola chiamandolo giusto, ossia santo. Probabilmente fu san Zaccaria che trattò il suo matrimonio sia perché sacerdote e sia perché i genitori della Vergine Santissima dovevano essere già morti.
Sposata, non era stata ancora accompagnata a casa dello sposo. Essa aveva promesso a Dio con voto di conservarsi Vergine, ed aveva consentito alle nozze per obbedienza, confidando che il Signore l'avrebbe custodita, e confidando anche nella virtù dello sposo che doveva esserle nota, essendo egli suo cugino.
Raccolta nella preghiera, umiliata profondamente innanzi a Dio, aspettava che la provvidenza avesse pensato alla sua situazione. È evidente che non manifestò a nessuno, e neppure a san Giuseppe il voto che aveva fatto, ma aveva la certezza che il Signore sarebbe intervenuto con uno dei suoi tratti di misericordia per liberarla dalle sue angustie. Fu in questo periodo di attesa e di preghiera che si trovò incinta del Verbo eterno per opera dello Spirito Santo.
La Vergine Santissima fu sposata a san Giuseppe per obbedienza, perché, come si usava presso gli Ebrei, il matrimonio veniva trattato dai genitori o dai parenti più prossimi della fanciulla, a volte senza che essa lo sapesse.
Giunta all'età da marito, che era quasi sempre al dodicesimo anno, veniva promessa al giovane che ne faceva richiesta, e celebrava gli sponsali, prendendo impegno con giuramento, ella e lo sposo, di contrarre le nozze.
Il periodo degli sponsali durava un anno per le vergini e un mese per le vedove, ed in questo tempo, benché dimorassero ognuno a casa sua, i promessi sposi si riguardavano legittimamente coniugati, ed un figlio che fosse stato generato in questo periodo era riguardato come legittimo anche legalmente. Nel tempo degli sponsali, gli sposi corrispondevano fra loro per un intermediario di fiducia che era chiamato amico dello sposo. Dopo un anno si celebravano le nozze, e la sposa veniva accompagnata solennemente in casa del marito. Maria Santissima era stata sposata a san Giuseppe, giovane di circa 26 anni, modello di virtù, che il Vangelo caratterizza con una sola parola chiamandolo giusto, ossia santo. Probabilmente fu san Zaccaria che trattò il suo matrimonio sia perché sacerdote e sia perché i genitori della Vergine Santissima dovevano essere già morti.
Sposata, non era stata ancora accompagnata a casa dello sposo. Essa aveva promesso a Dio con voto di conservarsi Vergine, ed aveva consentito alle nozze per obbedienza, confidando che il Signore l'avrebbe custodita, e confidando anche nella virtù dello sposo che doveva esserle nota, essendo egli suo cugino.
Raccolta nella preghiera, umiliata profondamente innanzi a Dio, aspettava che la provvidenza avesse pensato alla sua situazione. È evidente che non manifestò a nessuno, e neppure a san Giuseppe il voto che aveva fatto, ma aveva la certezza che il Signore sarebbe intervenuto con uno dei suoi tratti di misericordia per liberarla dalle sue angustie. Fu in questo periodo di attesa e di preghiera che si trovò incinta del Verbo eterno per opera dello Spirito Santo.
sabato 10 dicembre 2016
11.12.2016 - Commento al vangelo di S. Matteo cap. 11 par. 2-4
2. L'ambasciata di san Giovanni Battista al Redentore. I caratteri del Re divino e della sua Chiesa
Il santo Precursore si trovava imprigionato in Macheronte nella Perea, per aver rimproverato Erode del suo adulterio e, non potendo personalmente sfatare le idee dei discepoli, pensò d'inviarli a Gesù perché la stessa parola viva del Messia li avesse convinti. Che sia stata questa l'intenzione di san Giovanni, risulta chiaro dal contesto e dall'elogio che di lui fece Gesù.
Per la relativa facilità con la quale allora i prigionieri potevano corrispondere con le persone care, e per la maggiore libertà che gli dava Erode stesso, san Giovanni fu informato delle grandi opere che Gesù compiva, e questo accrebbe la sua fede in Lui, e gli fece desiderare maggiormente di glorificarlo dinanzi al popolo. Era stato mandato per annunziarlo ed aprirgli la strada e volle compiere anche dal carcere la sua missione, rendendo testimoni del Messia i propri discepoli. Questi andarono da Gesù in un momento nel quale Egli faceva molti miracoli, e parlando in nome di san Giovanni dissero: Sei tu colui che deve venire, o ne dobbiamo aspettare un altro? La stessa domanda dimostrava la stima che il Precursore aveva di Gesù Cristo, poiché si rimetteva a Lui per una risposta come la più autorevole e santa che potesse avere.
Gesù Cristo rispose con la testimonianza dei fatti, che rispondevano alle profezie fatte sul Messia (Is 35,5ss e 61,1): I ciechi recuperano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono mondati, i sordi odono, i morti risorgono, i poveri sono evangelizzati.
Era l'argomento più adatto a convincere i discepoli di san Giovanni, poiché il loro Maestro non aveva fatto miracoli e non poteva essere lui il Messia, come forse essi ammettevano, o per lo meno sospettavano. Ad essi sembrava che il loro maestro avesse un aspetto più austero e venerando e che il fare semplice e cordiale di Gesù fosse inconciliabile con la dignità di Messia, per questo il Redentore soggiunse: Beato chi non prenderà in me motivo di scandalo. Egli voleva dire: le opere parlano di me, ma io non cesso di essere ammantato di umiltà, e beato colui che nonostante questo mi segue ed ascolta la mia parola.
giovedì 8 dicembre 2016
08.12.2016 - Commento al vangelo di S. Luca cap. 1 par. 4
4. Il grande momento dell'Incarnazione del Verbo
In un'umile borgata, celebre non per grandezza ma per il disprezzo proverbiale nel quale era tenuta, viveva un'umile verginella, sposata ad un umile falegname. Quando si voleva dare un appellativo di disprezzo, si diceva: È stolto come uno di Nazaret, e quella borgata era così umiliata, che non si credeva potesse dare i natali a qualche cosa di buono. Il Signore, che deride le umane vedute e che si compiace dell'umiltà, volle scegliere proprio questa borgata come luogo per incarnarsi. Come Egli adagia la fava nel morbido baccello e manda la rugiada fecondante nella notte, così volle riposare nell'umiltà, e discendere in un luogo di sommo nascondimento agli uomini.
L'umiltà
L'umiltà, l'umiltà è il fascino di Dio, perché è il foco nel quale la sua luce può riflettersi e la sua grandezza può manifestarsi. Egli che, conoscendo se stesso genera il Verbo, non trova altro luogo dove riporre il Verbo fatto fiore di lesse che nell'umiltà, conoscenza di se stessi nella piccolezza. La creatura, conoscendo se stessa ed umiliandosi, attira il Creatore; nel soave vuoto dell'umiltà Egli rifulge, poiché il disprezzo amoroso nel quale la creatura si sprofonda è apprezzamento di Dio, ed ha qualche cosa di quell'etema conoscenza feconda del Verbo eterno. E un mistero d'amore che il mondo non conosce.
L'orgoglio è di sua natura ingombrante ed accecante; è disconoscimento di Dio, è apprezzamento di se stesso ed è il meno adatto a ricevere la luce eterna, perché opaco e ancorato nella sua stoltezza. L'umiltà, l'umiltà, qual sapore di pace e di fecondità ha questa dolcissima virtù! Ogni vita, ogni ricchezza preziosa nel mondo erompe dall'umiltà: la pianta viene dal seme, sempre piccolo e sprofondato sotterra, la gemma viene dalle tenebre d'una miniera, l'oro è in fondo al terreno o nei gorghi delle acque, la perla è tra le valve d'un mollusco legato allo scoglio negli abissi del mare. Non nasce la vita se una creatura non si umilia ad un'altra, non prospera nei fulgori ma nel silenzioso mistero della gestazione. Tutto quello che appare troppo o fa troppo frastuono ha più i segni della morte che della vita.
Umiltà, umiltà: quanto è alta questa bassezza ineffabile! Si curva per ricevere l'abbraccio di Dio, e diventa potenza, sapienza ed amore! Umiltà, umiltà, quanto sei bella nel tuo splendore nascosto, gemma di purissima acqua che raccoglie il raggio del divino Amore e si bea nella silenziosa contemplante adorazione! Umiltà, umiltà; virtù che attrae le angeliche schiere com'è attratta la tenerezza materna sul piccolino che dorme nella culla, poiché gli angeli, dopo la caduta di Lucifero e delle sue schiere, hanno orrore dell'orgoglio e sono attratti dall'umiltà che li rese eternamente felici!
In un'umile borgata, celebre non per grandezza ma per il disprezzo proverbiale nel quale era tenuta, viveva un'umile verginella, sposata ad un umile falegname. Quando si voleva dare un appellativo di disprezzo, si diceva: È stolto come uno di Nazaret, e quella borgata era così umiliata, che non si credeva potesse dare i natali a qualche cosa di buono. Il Signore, che deride le umane vedute e che si compiace dell'umiltà, volle scegliere proprio questa borgata come luogo per incarnarsi. Come Egli adagia la fava nel morbido baccello e manda la rugiada fecondante nella notte, così volle riposare nell'umiltà, e discendere in un luogo di sommo nascondimento agli uomini.
L'umiltà
L'umiltà, l'umiltà è il fascino di Dio, perché è il foco nel quale la sua luce può riflettersi e la sua grandezza può manifestarsi. Egli che, conoscendo se stesso genera il Verbo, non trova altro luogo dove riporre il Verbo fatto fiore di lesse che nell'umiltà, conoscenza di se stessi nella piccolezza. La creatura, conoscendo se stessa ed umiliandosi, attira il Creatore; nel soave vuoto dell'umiltà Egli rifulge, poiché il disprezzo amoroso nel quale la creatura si sprofonda è apprezzamento di Dio, ed ha qualche cosa di quell'etema conoscenza feconda del Verbo eterno. E un mistero d'amore che il mondo non conosce.
L'orgoglio è di sua natura ingombrante ed accecante; è disconoscimento di Dio, è apprezzamento di se stesso ed è il meno adatto a ricevere la luce eterna, perché opaco e ancorato nella sua stoltezza. L'umiltà, l'umiltà, qual sapore di pace e di fecondità ha questa dolcissima virtù! Ogni vita, ogni ricchezza preziosa nel mondo erompe dall'umiltà: la pianta viene dal seme, sempre piccolo e sprofondato sotterra, la gemma viene dalle tenebre d'una miniera, l'oro è in fondo al terreno o nei gorghi delle acque, la perla è tra le valve d'un mollusco legato allo scoglio negli abissi del mare. Non nasce la vita se una creatura non si umilia ad un'altra, non prospera nei fulgori ma nel silenzioso mistero della gestazione. Tutto quello che appare troppo o fa troppo frastuono ha più i segni della morte che della vita.
Umiltà, umiltà: quanto è alta questa bassezza ineffabile! Si curva per ricevere l'abbraccio di Dio, e diventa potenza, sapienza ed amore! Umiltà, umiltà, quanto sei bella nel tuo splendore nascosto, gemma di purissima acqua che raccoglie il raggio del divino Amore e si bea nella silenziosa contemplante adorazione! Umiltà, umiltà; virtù che attrae le angeliche schiere com'è attratta la tenerezza materna sul piccolino che dorme nella culla, poiché gli angeli, dopo la caduta di Lucifero e delle sue schiere, hanno orrore dell'orgoglio e sono attratti dall'umiltà che li rese eternamente felici!
sabato 3 dicembre 2016
04.12.2016 - Commento al vangelo di S. Matteo cap. 3 par. 2
2. La voce che grida nel deserto e l'invito al regno di Dio
L'età legale e tradizionale per diventare dottore e ministro di Dio, come può rilevarsi anche dal I libro delle Cronache (23,3), era di trent'anni. In questa età san Giovanni il Battista uscì dalla solitudine e cominciò la sua predicazione per preparare il popolo a ricevere il Redentore, vicino anche Lui al trentesimo anno di età.
È probabile che la causa occasionale per la quale san Giovanni si ritirò nel deserto sia stata la persecuzione di Erode; la madre sua per timore vi si dovette rifugiare e, passato il pericolo, il bambino, già prevenuto dalla grazia, vi rimase per prepararsi alla sua missione con una vita di aspra penitenza. Non è raro nella storia dei santi una precocità di vita penitente, né può stupire il vedere un bambino prodigio di virtù come non ci stupiamo di vedere bambini prodigi di musica, di pittura, di arti e di lettere, dei quali abbiamo molti esempi nella storia contemporanea. Se le doti naturali possono rendere più che adulto un piccolo, molto più lo può la grazia e la particolare elezione di Dio.
Che cosa faceva Giovanni nel deserto, tutto solo? Guidato dalla luce dello Spirito Santo, meditava la grandezza di Dio, pregava, riparava per l'umana ingratitudine, e teneva in penitenza il suo corpo con ogni specie di disagio per amore di Dio.
L'età legale e tradizionale per diventare dottore e ministro di Dio, come può rilevarsi anche dal I libro delle Cronache (23,3), era di trent'anni. In questa età san Giovanni il Battista uscì dalla solitudine e cominciò la sua predicazione per preparare il popolo a ricevere il Redentore, vicino anche Lui al trentesimo anno di età.
È probabile che la causa occasionale per la quale san Giovanni si ritirò nel deserto sia stata la persecuzione di Erode; la madre sua per timore vi si dovette rifugiare e, passato il pericolo, il bambino, già prevenuto dalla grazia, vi rimase per prepararsi alla sua missione con una vita di aspra penitenza. Non è raro nella storia dei santi una precocità di vita penitente, né può stupire il vedere un bambino prodigio di virtù come non ci stupiamo di vedere bambini prodigi di musica, di pittura, di arti e di lettere, dei quali abbiamo molti esempi nella storia contemporanea. Se le doti naturali possono rendere più che adulto un piccolo, molto più lo può la grazia e la particolare elezione di Dio.
Che cosa faceva Giovanni nel deserto, tutto solo? Guidato dalla luce dello Spirito Santo, meditava la grandezza di Dio, pregava, riparava per l'umana ingratitudine, e teneva in penitenza il suo corpo con ogni specie di disagio per amore di Dio.
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