sabato 10 dicembre 2016

11.12.2016 - Commento al vangelo di S. Matteo cap. 11 par. 2-4

    2. L'ambasciata di san Giovanni Battista al Redentore. I caratteri del Re divino e della sua Chiesa

Gesù Cristo era andato ad annunziare la buona novella nelle città della Galilea, accompagnando la sua predicazione con strepitosi miracoli, e raccogliendo sempre più intorno a sé un grande numero di seguaci. Questo dovette urtare la suscettibilità dei discepoli di san Giovanni Battista, i quali credevano di vedere in Gesù Cristo quasi un emulo del loro maestro.

Il santo Precursore si trovava imprigionato in Macheronte nella Perea, per aver rimproverato Erode del suo adulterio e, non potendo personalmente sfatare le idee dei discepoli, pensò d'inviarli a Gesù perché la stessa parola viva del Messia li avesse convinti. Che sia stata questa l'intenzione di san Giovanni, risulta chiaro dal contesto e dall'elogio che di lui fece Gesù.

Per la relativa facilità con la quale allora i prigionieri potevano corrispondere con le persone care, e per la maggiore libertà che gli dava Erode stesso, san Giovanni fu informato delle grandi opere che Gesù compiva, e questo accrebbe la sua fede in Lui, e gli fece desiderare maggiormente di glorificarlo dinanzi al popolo. Era stato mandato per annunziarlo ed aprirgli la strada e volle compiere anche dal carcere la sua missione, rendendo testimoni del Messia i propri discepoli. Questi andarono da Gesù in un momento nel quale Egli faceva molti miracoli, e parlando in nome di san Giovanni dissero: Sei tu colui che deve venire, o ne dobbiamo aspettare un altro? La stessa domanda dimostrava la stima che il Precursore aveva di Gesù Cristo, poiché si rimetteva a Lui per una risposta come la più autorevole e santa che potesse avere.

Gesù Cristo rispose con la testimonianza dei fatti, che rispondevano alle profezie fatte sul Messia (Is 35,5ss e 61,1): I ciechi recuperano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono mondati, i sordi odono, i morti risorgono, i poveri sono evangelizzati.

Era l'argomento più adatto a convincere i discepoli di san Giovanni, poiché il loro Maestro non aveva fatto miracoli e non poteva essere lui il Messia, come forse essi ammettevano, o per lo meno sospettavano. Ad essi sembrava che il loro maestro avesse un aspetto più austero e venerando e che il fare semplice e cordiale di Gesù fosse inconciliabile con la dignità di Messia, per questo il Redentore soggiunse: Beato chi non prenderà in me motivo di scandalo. Egli voleva dire: le opere parlano di me, ma io non cesso di essere ammantato di umiltà, e beato colui che nonostante questo mi segue ed ascolta la mia parola.

    3. La Chiesa cattolica

Il carattere di Gesù è quello stesso della Chiesa cattolica la quale non ha apparenza di grande austerità, né ha appoggio umano, ma la soprannaturalità della sua missione rifulge in ciò che fa spiritualmente, illuminando i ciechi con la verità, facendo camminare le anime nelle vie di Dio con la grazia, mondando i peccatori, lebbrosi dello spirito, aprendo l'orecchio di chi è sordo alle voci di Dio, risuscitando quelli che sono spiritualmente morti, ed evangelizzando le nazioni. In queste opere divine sta il carattere di verità della Chiesa, inconfondibile con quello delle sette che pur pretendono di essere la Chiesa.

Le sette, anzi, fanno precisamente l'opposto: accecano le anime con l'errore e ne impediscono spesso il cammino verso l'eterna vita, con gli scandali; le rendono lebbrose col peccato e specialmente col peccato impuro, triste specialità di tutte le sètte, le quali nascono dall'impurità e finiscono nell'impurità.

L'errore rende sorde le anime alle chiamate di Dio, le uccide miseramente privandole della grazia e le getta nel baratro dell'ignoranza più squallida.

I poveri sono evangelizzati; questo è proprio la corona dei caratteri del Redentore e della sua Chiesa; l'evangelizzazione, cioè la diffusione della vera ed eterna sapienza, la diffusione della vera scienza. Gli eretici tacciano la Chiesa di oscurantismo, e la dicono nemica della scienza mentre si chiamano essi corifei di scienza e di civiltà. È una fandonia come le altre.

Chiameresti tu oscurantista e nemico del sapere l'astronomo, tutto intento ai suoi astri ed ignaro delle leggi di cucina, od incapace di insegnare come si lustrano le scarpe? Basta all'astronomo la diffusione della sua scienza, come basta al matematico conoscere la matematica, al letterato la letteratura ecc. Anche se la Chiesa non avesse benemerenze nel campo delle scienze umane, rimarrebbe la sua somma ed incomparabile benemerenza di evangelizzare, di propagare la scienza di Dio e delle cose eterne, la più sublime delle scienze, di fronte alla quale - lo diciamo a fronte alta e con sicurezza - le scienze umane sono molto meno che le cognizioni del lustrascarpe di fronte all'astronomo.

Questo bisogna intendere e confessare: anche nei secoli di nero oscurantismo la Chiesa ha avuto il Vangelo e la Teologia, la Scrittura e la Patristica, le sue Leggi sapienti e la sua scienza morale, ossia ha avuto in mano freschi, come ieri e come nei secoli, i frutti della più alta ed incomparabile sapienza; anche quando Carlo Magno firmava con la crocetta perché non sapeva scrivere, la Chiesa aveva le Scritture per eccellenza; anche quando la letteratura s'imbarbariva, aveva la sua lingua immortale per parlare ai popoli nella divina Sapienza. Essa, quindi, è la sola che non conosce l'ignoranza, perché ha sulla sua fronte scritte quelle divine parole: I poveri sono evangelizzati.

Tu ti stupisci tanto di fronte alle scoperte fisiche, ai miracoli della meccanica e della chimica, ai prodigi della fisica e dell'elettricità?

La Chiesa ha avuto, ha ed avrà un prodigio mille volte infinitamente più grande: la transustanziazione eucaristica, l'azione sacramentale, le comunicazioni dell'anima col mondo eterno per la preghiera.

Queste non sono chimere, non sono simboli, non sono sogni; sono veri e propri fenomeni di un mondo reale, spirituale, altissimo, divino. Veramente nell'Eucaristia, la somma delle meraviglie divine nell'umanità, la sostanza del pane non c'è, veramente c'è il Corpo, il Sangue, l'Anima e la Divinità del Signore. Qualunque scoperta è nulla di fronte a questo prodigio che appare come un fenomeno assoluto, conseguente alla materia, alla forma, e al mistero del Sacramento adorabile.

Se tu dici esser nulla l'esperienza dello sfregamento della ceralacca o del vetro, che produce un minimo di elettricità statica buona solo ad attrarre una pagliuzza, di fronte alla benna che attrae con violenza una tonnellata di ferro, o di fronte alla dinamo che produce turbini di corrente, come puoi osare apprezzare come nulla la potenza di una transustanziazione, che sostituisce al pane la vita, l'attività, l'espansione, la realtà di un Corpo divino?

Non è più stupendo questo fatto realissimo, constatato dalla fede, e dall'esperienza che non ha bisogno di apparecchi per compiersi, ma solo di una parola onnipotente, erompente da un'anima segnata dal carattere sacerdotale?

È vergognoso al massimo che il mondo ancora disconosca la grandiosa superiorità della Chiesa, in tutti i secoli e in tutti i modi, e che ancora si balocchi con le sue scoperte, le quali, anche di fronte ai fenomeni naturali, sono giochi da infanti. Il turbine elettrico di una centrale moderna è meno di una scintilla di una bottiglia di Leyda di fronte allo scoccare di un fulmine. Le colate dei forni elettrici tedeschi sono meno di una favilla di fronte alle colate vulcaniche ed a quelle più grandiose delle eruzioni solari o stellari.

Smontiamoci, per carità, e pur apprezzando gli sforzi della scienza umana, rifugiamoci nella Chiesa Cattolica, Apostolica, Romana, meraviglioso campo di luce, di attività, di salute, di forza, di armonie divine, di scienze elevatissime, di fatti meravigliosi, realissimi, positivissimi.

    4. Gesù Cristo elogia san Giovanni Battista

La domanda fatta da san Giovanni per mezzo dei due discepoli, mandati per far loro toccare con mano la verità, poteva sembrare come un atto di sfiducia nella realtà del Messia da parte del Precursore. Per dissipare questo equivoco, Gesù ne fece l'elogio più bello, e lo fece dopo che gli ambasciatori di lui se ne andarono, perché il suo elogio non fosse apparso come una lusinga o un'adulazione. Le turbe erano andate appresso a san Giovanni, attratte dalla sua fama, e lo avevano seguito anche nel deserto dov'egli si ritirava; ora che cosa erano andati a vedere? Forse un uomo incostante, che, quasi come una canna sotto la raffica del vento, si lascia inclinare laddove il vento soffia?

Egli invece era stato fermo contro la stessa perversità di Erode, ed aveva compiuta con ferma fede la sua missione di Precursore, senza esitare un momento, come sarebbe potuto apparire dall'ambasciata da lui mandata.

Che cosa erano andati a vedere? Un uomo vestito mollemente? Ma chi veste così sta nella casa dei re, dove la vita è spesso sensuale e leggera. Egli invece era l'esempio dell'austera penitenza, e col suo esempio insegnava a preparare l'anima alla redenzione rinnegandosi. Egli non era solo un profeta, come lo stimavano le turbe, era più di un profeta, era colui che fu preannunziato da Malachia (3,1), come l'angelo, cioè il nunzio che doveva preparare le anime alla venuta del Messia, era l'ultimo e più grande rappresentante dell'Antico Testamento, il quale non annunziava o figurava il Messia futuro, ma lo additava presente. Per questa grande missione, da lui compiuta con fedeltà incrollabile, egli era il più santo di tutti i profeti ed aveva una dignità che li superava tutti.

Gesù Cristo conferma questa superiorità del Precursore sui profeti con gli effetti della sua missione: i profeti suscitarono la fede e la speranza nel futuro Messia, Giovanni invece attrasse le turbe e le indirizzò verso il compimento delle antiche promesse, lo fece con tanto ardore, che dopo la sua predicazione il regno dei cieli è diventato non un termine di aspirazione ma di reale conquista, e il desiderio della salvezza quasi una gara e una ressa per conseguirla.

Il popolo, infatti, accorse sulle rive del Giordano, dove Giovanni predicava, domandò il battesimo di penitenza; cominciò a prepararsi a partecipare al regno di Dio, e letteralmente fece ressa e quasi violenza per avere il segno della penitenza. Giovanni, più che profeta, annunziava e cominciava a mostrare il compimento di quello che annunziava e di quello che era stato annunziato da tutti i profeti.

Se Giovanni è più grande di tutti i profeti per avere attratto le turbe al regno di Dio, è evidente che il più piccolo di quelli che partecipano al regno dei cieli e ne vivono è maggiore di lui.

Gesù non parla della santità di san Giovanni ma dell'ufficio che compiva, com'è evidente dal contesto; nelle sue parole c'è questa gradazione di dignità: il profeta che annunzia di lontano il regno di Dio, il Precursore che prepara le turbe perché vi entrino, e suscita il desiderio di fame parte, il cristiano che vi entra e fa parte dell'ordine nuovo, non solo desiderandolo ma vivendolo. San Giovanni morì prima che la redenzione fosse compiuta, e la sua vita, benché santa, non ebbe i caratteri di quella grandezza che solo il Sangue e il sacrificio del Redentore poteva comunicarle. Se si pensa che il più piccolo fedele della Chiesa partecipa al Corpo ed al Sangue di Gesù Cristo, s'intende perché è maggiore di Giovanni come dignità di carattere.

Sac. Dolindo Ruotolo

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