venerdì 28 febbraio 2014

28.02.2014 - Vangelo Mc 10, 1-12

Dal Vangelo secondo San Marco
1Partito di là, venne nella regione della Giudea e al di là del fiume Giordano. La folla accorse di nuovo a lui e di nuovo egli insegnava loro, come era solito fare. 2Alcuni farisei si avvicinarono e, per metterlo alla prova, gli domandavano se è lecito a un marito ripudiare la propria moglie. 3Ma egli rispose loro: «Che cosa vi ha ordinato Mosè?». 4Dissero: «Mosè ha permesso di scrivere un atto di ripudio e di ripudiarla». 5Gesù disse loro: «Per la durezza del vostro cuore egli scrisse per voi questa norma. 6Ma dall’inizio della creazione li fece maschio e femmina; 7per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie 8e i due diventeranno una carne sola. Così non sono più due, ma una sola carne. 9Dunque l’uomo non divida quello che Dio ha congiunto». 10A casa, i discepoli lo interrogavano di nuovo su questo argomento. 11E disse loro: «Chi ripudia la propria moglie e ne sposa un’altra, commette adulterio verso di lei; 12e se lei, ripudiato il marito, ne sposa un altro, commette adulterio».
Parola del Signore

28.02.2014 - Commento al vangelo di S. Marco cap. 10 par. 2

2. La questione del divorzio
Gesù partì dalla Galilea e venne nella Giudea per andare a Gerusalemme e subirvi la dolorosissima Passione; ormai la sua vita volgeva all'epilogo, ed il suo immenso amore abbracciava tutte le genti per redimerle.
Come doveva essere doloroso al suo Cuore in questi momenti solenni il vedere la doppiezza, l'incredulità e l'ingratitudine degli scribi, dei farisei e dei sacerdoti, sempre più lontani dall'intenderlo!
Egli camminava pensando alla salvezza di tutti, e i suoi nemici lo insidiavano per trarlo in inganno e per avere il pretesto di condannarlo. È una cosa penosissima il considerare queste stonature dell'ingratitudine umana!
I farisei interrogarono Gesù sulla questione del divorzio, perché in tempi di corruzione e di grande immoralità era quella che avrebbe potuto più facilmente attirargli contro l'odio dei grandi, infetti quasi tutti d'impurità; essi prevedevano quale poteva essere la risposta di Lui, ed erano certi che si sarebbe compromesso.
Anche questo doveva essere penosissimo per il Cuore del Redentore: parlare di divorzio quando Egli si preparava a celebrare le sue nozze di amore nel Sangue del suo sacrificio, e parlarne quando la sinagoga, ripudiandolo, avrebbe consumato il più peccaminoso degli adultèri spirituali!
Gesù Cristo rispose, domandando che cosa avesse comandato Mosè, cioè che cosa era scritto nella Legge.
Appellandosi a Mosè voleva richiamare in vigore l'antico precetto di Dio com'era nella Genesi, e non la concessione di Mosè, fatta per evitare maggiori disordini (Dt 24,1). Ma i suoi oppositori non capirono, e si appellarono alla disposizione di tolleranza, della quale avevano più facile ricordo, per l'uso e l'abuso che ne facevano. In realtà il santo legislatore non aveva potuto volere che per un capriccio si sciogliesse un vincolo posto da Dio, ma aveva voluto fare un'eccezione rara, che doveva essere valutata innanzi al Signore. Ora, per la corruzione dei cuori, l'eccezione era diventata quasi la regola, ed il divorzio aveva traviato talmente la coscienza da farlo credere una necessità ed un'esigenza dell'uomo.
Con grande autorità il Redentore richiamò la Legge alla sua primitiva purezza, perché il regno novello, che Egli veniva a fondare era regno di perfezione e di santità nel quale non si poteva indulgere al traviamento dei sensi.
L'uomo non si sposa per trovare un misero diletto materiale ma per compiere una missione insieme alla donna che sceglie. Egli è una sola cosa con lei, e come è impossibile separare un membro vivo da un altro, senza produrre nell'organismo un dolore ed un danno, così è impossibile separare l'uomo dalla donna che ha sposato, senza produrre in essi e nella stessa società un danno incalcolabile.
Dio stabilì questa legge al principio, quando creò l'uomo, la confermò nella Legge rivelata, e nessuno può separare ciò che Egli ha congiunto.
Ad un ragionamento così stringato non c'era nulla da opporre, e i farisei dovettero darsi per vinti. Gli apostoli però, rientrati in casa, interrogarono nuovamente Gesù sull'argomento. Sembra un po' strano che proprio essi non se ne mostrassero ancora convinti, ma essi stavano più a contatto col popolo, e raccoglievano dalla strada più facilmente l'eco dei continui divorzi che si facevano, poiché l'argomento che più appassiona è sempre quello delle nozze e dei pettegolezzi che vi hanno relazione. Data dunque la generale corruzione, le parole di Gesù sembrarono loro di difficile attuazione, e perciò vollero altre spiegazioni.
Il Redentore confermò ciò che aveva detto, aggiungendo che i matrimoni fatti dai divorziati erano veri adultèri, poiché il vincolo posto da Dio non può essere mai infranto dal capriccio dell'uomo.
È orribile il pensare a quelli che oggi divorziano nelle nazioni apostate da Dio, ed al numero incalcolabile degli adultèri legali che si consumano nel mondo. Le statistiche delle così dette nazioni civili sono scoraggianti in questo argomento, e quelle delle nazioni comuniste fanno orrore! In Russia per esempio sono stati numerosi i casi di matrimoni sciolti nel giorno stesso nel quale sono stati fatti, e sciolti con una semplice dichiarazione, senz'altro processo. È vero che quelli non sono matrimoni, mancando della benedizione di Dio, ma appunto per questo gli adultèri vi si moltiplicano in una maniera tanto turpe, che fa ribrezzo. Dove cade l'uomo quando si allontana dalla Legge di Dio!
Gesù guardava lontano, all'unione spirituale dell'anima consacrata con Lui
In san Matteo (19,12) è detto che Gesù all'argomento del matrimonio fece seguire quello della verginità volontaria per amore di Dio; Egli aveva dunque innanzi al suo sguardo non semplicemente una questione legale, ma una questione spirituale; considerava le nozze per quello che significano, come immagine delle sue nozze con la Chiesa, e considerava la verginità come il mezzo di una più profonda e completa unione con Lui. L'uomo lascia il padre e la madre per stare con la moglie, e l'anima lascia tutto quello che è sensuale per stare unita al Signore. Chi lascia la moglie per sposare un'altra è adultero, e l'anima che è infedele allo stato verginale è adultera spiritualmente, poiché lascia lo Sposo divino per una misera creatura, e lo lascia per il capriccio d'una passione.
Chi è infedele alle nozze terrene è meritevole del disprezzo di tutti, e chi è infedele a quelle celesti è degno del disprezzo del Signore.
Si può dire che anche il cristiano che ripudia la Legge di Dio nella propria vita, e si dà al mondo seguendone gli usi e le massime è un adultero.
Gesù guardava all'unione dei popoli con Dio
L'unione di Dio col suo popolo, infatti, è sempre figurata nella Scrittura come un connubio spirituale, ed il cristiano che segue il mondo viene meno alla fedeltà di un amore giurato. Come si può, dunque, abbracciare con tanta facilità qualunque nuova dottrina, e farsi con tanta leggerezza quasi permeare da idee e da usi contrari allo spirito di Gesù Cristo?
Vengono i falsi profeti, affascinano come può affascinare una donna corrotta, promulgano nuove massime, pretendono di creare una nuova famiglia umana sulle basi delle loro concezioni fantastiche ed empie, formano le loro combriccole come caricatura della Chiesa, e chi li segue è adultero, perché rinnega la Legge di Dio per la stolta parola dell'uomo!
È così che le nazioni a mano a mano apostatano dalla Chiesa, e cadono in quelle confusioni banali alle quali assistiamo noi stessi, diventando le sinagoghe di satana.
Le civiltà che non sono fondate sul Vangelo e sulle Leggi della Chiesa durano quanto dura un adulterio: finché dura la passione disordinata, o finché si riesce a farla durare a via di belletti e di seduzioni l'adulterio sembra il più felice degli stati coniugali; ma quando la passione cade, quelle società diventano e si manifestano per quello che sono: un disordine ed una rovina.
Sorgono i falsi profeti, seducono le plebi con le promesse roboanti, fingono di mantenerle coi belletti delle leggi draconiane e della disciplina prepotente. Si autoelogiano, asservono la stampa, e fanno apparire come un successo meraviglioso delle nuove idee quello che è solo una presa in giro. Credono di aver creato una nuova società da sostituirsi alla Chiesa, ed hanno commesso solo un adulterio. Appena cadono i belletti della politica o una nuova passione agita le turbe, la casa adultera si sfascia; si sfascia e gli edifici che sembravano di ferro cadono come misere costruzioni di fragile terriccio.
Non ci facciamo illudere più; siamo stati abbastanza ingannati dalle grazie di tale prostituzione; domandiamo a chi si presenta come riformatore la sua carta d'identità, la sua carta di fedeltà alla Chiesa Cattolica, Apostolica, Romana; se non ce l'ha non gli prestiamo fede, è un misero mezzano di novelli adultèri dello spirito!

giovedì 27 febbraio 2014

27.02.2014 - Vangelo Mc 9, 41-50

Dal Vangelo secondo San Marco
41Chiunque infatti vi darà da bere un bicchiere d’acqua nel mio nome perché siete di Cristo, in verità io vi dico, non perderà la sua ricompensa.
42Chi scandalizzerà uno solo di questi piccoli che credono in me, è molto meglio per lui che gli venga messa al collo una macina da mulino e sia gettato nel mare. 43Se la tua mano ti è motivo di scandalo, tagliala: è meglio per te entrare nella vita con una mano sola, anziché con le due mani andare nella Geènna, nel fuoco inestinguibile. [44] 45E se il tuo piede ti è motivo di scandalo, taglialo: è meglio per te entrare nella vita con un piede solo, anziché con i due piedi essere gettato nella Geènna. [46] 47E se il tuo occhio ti è motivo di scandalo, gettalo via: è meglio per te entrare nel regno di Dio con un occhio solo, anziché con due occhi essere gettato nella Geènna, 48dove il loro verme non muore e il fuoco non si estingue. 49Ognuno infatti sarà salato con il fuoco. 50Buona cosa è il sale; ma se il sale diventa insipido, con che cosa gli darete sapore? Abbiate sale in voi stessi e siate in pace gli uni con gli altri».
Parola del Signore

mercoledì 26 febbraio 2014

26.02.2014 - Vangelo Mc 9, 38-40

Dal Vangelo secondo San Marco
38Giovanni gli disse: «Maestro, abbiamo visto uno che scacciava demòni nel tuo nome e volevamo impedirglielo, perché non ci seguiva». 39Ma Gesù disse: «Non glielo impedite, perché non c’è nessuno che faccia un miracolo nel mio nome e subito possa parlare male di me: 40chi non è contro di noi è per noi.
Parola del Signore

26.02.2014 - Commento al vangelo di S. Marco cap. 9 par. 5

5. Non vogliate proibirglielo poiché nessuno può fare un miracolo nel mio Nome e subito parlare male di me
È troppo comune il caso degl'impedimenti al bene posti dai buoni, ed è troppo penosa la rovina di tante iniziative di bene che vengono stroncate da malintesi, per non dovere insistere su queste parole di Gesù Cristo.
In generale tutto ciò che sa di novità urta e diventa sospetto per partito preso, senza alcuna ragione e peggio per un inconscio sentimento di gelosia. Non si fa guerra al bene perché si ha argomento di pensare che sia male, ma perché lo si crede una novità o perché deriva da chi ci è antipatico, o peggio perché urta interessi materiali. Satana soffia volentieri su queste stoltezze, forma delle ombre, le montagne, eccita spesso l'ira nei cuori senza ragione, e con arte subdola giunge fino a fare impressionare i superiori, custodi del bene, rendendoli ostili.
Nei grandi disegni messi da uno speciale intervento di Dio l'opposizione non solo non li sfascia ma li rassoda nei secoli, diventando nelle vie del Signore un mezzo per dimostrare la sua speciale operazione.
Nelle iniziative comuni dello zelo invece, l'opposizione può cagionarne la rovina irreparabilmente, e questa rovina pesa terribilmente su chi ne è causa.
Guai innanzi a Dio a chi porta la responsabilità di avere impedito anche un solo atto di carità o un solo atto di amore al Signore; guai a chi stronca la piccola pianticella che nasce a fatica, o chi tronca la vita che si sviluppa! Guai a chi presume di giudicare o criticare quello che solo i superiori hanno il mandato di vigilare!
Il Signore farà un terribile giudizio contro quelli che si rendono strumento e coadiutori di satana nella sua implacabile avversione a tutto quello che è bene, a tutto quello che è zelo. Come si può riposare tranquilli la notte quando si è commessa un'azione così indegna? E quale scusa può giustificare certe lotte fatte col disprezzo e col sarcasmo, con l'insinuazione ed anche con la calunnia?
Gesù parla di miracoli fatti nel suo Nome, è vero, ma ci sono certe umili iniziative di bene che sono un miracolo di carità o di zelo, per la stessa difficoltà di farle nascere.
Non è un miracolo far crescere il grano, ma farlo attecchire là dove non si presta il terreno, è una meraviglia; ora certe associazioni, certe confraternite, certe azioni di zelo sociale in luoghi devastati dal peccato, sono dei silenziosi miracoli di grazia, e nessuno potrebbe ardire di sospettare che essi possano deviare nel male.
Quando si sospetta che un'iniziativa può essere falsa, non bisogna subito ostacolarla, ma pregare perché il Signore vi pensi a lasciarne la responsabilità ai superiori. Anche questi, prima di giudicare e di prendere provvedimenti, debbono vagliare e ponderare ogni cosa innanzi a Dio, e non essere facili a stroncare quel bene del quale debbono essere i mecenati e gl'incoraggiatori.
Satana li insidia e tenta con illusioni e prevenzioni di farli strumenti di distruzione. In fondo l'uomo del quale parla il Sacro Testo scacciava i demoni nel nome di Gesù; questo non poteva garbare a satana, il quale si servì degli apostoli per liberarsi da quella noia.
È una scena che si ripete facilmente, e i superiori debbono essere vigilanti quando hanno cattive informazioni, indagando se esse non siano un tiro dello spirito maligno.
Il bene non deve essere troppo attanagliato in formalità esterne; ha bisogno di una santa libertà, perché questa facilita l'iniziativa. Certe opere non si fanno coi regolamenti ma con gl'impeti generosi di carità e dello zelo; se si volesse aspettare che al principio tutto sia perfetto, non si farebbe mai nulla di bene.
Non proibire le opere buone, ancorché si facciano senza apparato; benedire le iniziative e incoraggiarle, pregare perché prosperino, ed essere molto restii a suscitare persecuzioni; questo significa avere quel sale del quale parla Gesù, e mantenere la pace fra tutti gli uomini di buona volontà, come Egli comanda.
Sac. Dolindo Ruotolo

martedì 25 febbraio 2014

25.02.2014 - Vangelo Mc 9, 30-37

Dal Vangelo secondo San Marco
30Partiti di là, attraversavano la Galilea, ma egli non voleva che alcuno lo sapesse. 31Insegnava infatti ai suoi discepoli e diceva loro: «Il Figlio dell’uomo viene consegnato nelle mani degli uomini e lo uccideranno; ma, una volta ucciso, dopo tre giorni risorgerà». 32Essi però non capivano queste parole e avevano timore di interrogarlo.
33Giunsero a Cafàrnao. Quando fu in casa, chiese loro: «Di che cosa stavate discutendo per la strada?». 34Ed essi tacevano. Per la strada infatti avevano discusso tra loro chi fosse più grande. 35Sedutosi, chiamò i Dodici e disse loro: «Se uno vuole essere il primo, sia l’ultimo di tutti e il servitore di tutti». 36E, preso un bambino, lo pose in mezzo a loro e, abbracciandolo, disse loro: 37«Chi accoglie uno solo di questi bambini nel mio nome, accoglie me; e chi accoglie me, non accoglie me, ma colui che mi ha mandato».
Parola del Signore

25.02.2014 - Commento al vangelo di S. Marco cap. 9 par. 4

4. Una disputa fra gli apostoli: chi fra loro era il più grande?
Gesù parlò agli apostoli della sua Passione, ed essi non solo non ne capirono nulla, ma, lungo la strada che conduceva a Cafarnao, cominciarono a discorrere chi tra essi fosse il più grande.
È probabile che, sentendo parlare il Maestro di Morte, di Passione e di Risurrezione, essi avessero capito che Egli alludesse alla morte dei suoi nemici ed alla sua risurrezione gloriosa dall'umile stato in cui era, all'apice del regno; perciò, supponendo imminente il suo trionfo, cominciarono a discorrere sul posto che avrebbero avuto nel suo regno. Parlavano sommessamente, proprio come chi si confida delle speranze e fa dei progetti; Gesù li lasciò discorrere e solo quando furono in casa interrogò qualcuno di essi sul soggetto dei loro discorsi.
Saputolo, li radunò tutti intorno a sé per far loro una grande lezione di sapienza e di umiltà: chi voleva essere il primo doveva essere ultimo e servo di tutti, e chi voleva essere grande doveva essere come fanciullo, anzi come infante. Gesù mostrò loro un fanciullo prendendolo fra le braccia, proprio per mostrare il modello della piccolezza alla quale li chiamava, e poiché essi non capivano quale importanza potesse avere un fanciullo nel regno da Lui preconizzato, li esortò ad accogliere i fanciulli come Lui stesso, per accogliere il Padre che lo aveva mandato, giacché sulle nuove generazioni era poggiato lo sviluppo della Chiesa.
Tutte le grandezze del mondo, fondate sull'orgogliosa affermazione di se stessi, non sono grandezze ma estrema miseria, poiché l'orgoglio può tiranneggiare, non può dominare. Chi si fa il primo per orgoglio, in realtà si mette in balìa delle reazioni altrui, e si fa aborrire, senza riuscire a porre l'ordine dove comanda. Quale felicità poi vi può essere a stare in posti eminenti? Più si sale e più si hanno responsabilità gravissime; più si è in alto e più vengono le vertigini; più si è circondati di onori e più si è esposti alle critiche, alle mormorazioni ed alle ostilità altrui. Non torna conto essere in onore, ma, se per l'ordine e la gerarchia si è costretti ad accettare un posto di responsabilità, bisogna starvi con l'animo semplice dell'infanzia, senza presumere di se stessi, e procurando di servire gli altri con le proprie attività benefiche.
Con poche parole Gesù capovolgeva tutto il concetto che si aveva delle grandezze terrene, ed apriva alle potestà della terra una novella via di pace, togliendo loro tutto quello che è causa di reazione. Egli così ha fondato il suo regno nella pace.
San Giovanni, sentendo Gesù che parlava della potestà di chi sta a capo, l'interruppe per esporgli un caso loro occorso: un tale scacciava i demoni nel suo nome, pur non seguendolo come gli altri apostoli; essi credettero di doverglielo proibire. Evidentemente si trattava di un'anima fedele al Signore, e piena di tanta fede in Lui, da ottenere la liberazione degli ossessi. Gesù rispose che avevano fatto male a proibirglielo, poiché quell'uomo non pretendeva formare un'associazione a parte; non era perciò contro di loro, ed operando nello stesso spirito rendeva loro un servizio. Se chi dava da bere ad uno nel suo nome non perdeva la sua ricompensa, ed operava quindi soprannaturalmente, quanto più chi nel suo nome scacciava i demoni?
Non bisogna contrariare chi fa il bene, ma chi scandalizza le anime con attività perversa, facendole deviare dalla verità; questi sì, dovrebbero essere eliminati, e sarebbe meglio per loro che uno li sommergesse nel mare con una macina pesante di mulino legata al collo, anziché scandalizzassero le anime. Tutto quello che scandalizza dev'essere troncato dal corpo della Chiesa, le fosse pure legato come la mano al corpo, o come il piede o come l'occhio, poiché lo scandalo conduce alla perdizione, e la perdizione è eterna. Gesù concluse questa importante lezione con un'espressione abbastanza oscura e misteriosa, che è variamente interpretata: Ognuno sarà salato col fuoco, ed ogni vittima sarà salata col sale. Buona cosa è il sale, ma se il sale diventa scipito con che lo condirete voi? Abbiate in voi sale, ed abbiate pace tra di voi.
La Chiesa di queste esortazioni ci fa intendere il senso delle prime espressioni più oscure, che sono certamente in relazione con ciò che è detto prima: Bisogna avere sale e concordia nelle attività di quelli che lavorano per la Chiesa; sale di sapienza soprannaturale nel valutare ciò che viene da Dio, e concordia di pace nell'unire tutte le attività alla gloria di Dio ed alla salvezza delle anime. Ci sono anime pervase dal fuoco dello Spirito Santo, come se fosse sale penetrante nelle carni, e ci sono anime immolate, che sono tutte penetrate dalla tribolazione, vittime di espiazione per gli altri.
Queste sono le anime contro le quali potrà accanirsi l'ostilità di quelli che hanno la responsabilità di guidare la Chiesa. Certamente bisogna essere vigilanti, perché anche il sale potrebbe diventare scipito, cioè anche le anime più privilegiate potrebbero deviare; ma in questo bisogna farsi guidare dal sale, cioè dalla sapienza del Signore e bisogna conservare la pace; evitando di suscitare lotte, dissensioni ed inutili persecuzioni. È questo il senso più logico delle oscure parole di Gesù, collegato a tutto il suo discorso.
Lo ripetiamo in sintesi perché sia più chiaro: san Giovanni dice che i discepoli hanno proibito ad un tale di cacciare i demoni nel nome di Gesù. Gesù risponde che hanno fatto male, poiché se li cacciava nel suo Nome, non poteva essere contro di Lui e quindi contro di loro. Chi fa del bene soprannaturalmente non è di ostacolo alle anime, e se chi dà un bicchiere di acqua nel suo Nome e per suo amore non perde la sua ricompensa, non la perde neppure e molto più chi fa il bene alle anime nel suo Nome e per suo amore.
Contro gli scandali parole severe di Gesù
Gesù non vuole quindi che si mettano restrizioni allo zelo, e che l'apostolato diventi quasi un'inesorabile organizzazione di partito. Quelli di cui bisogna temere sono gli scandalosi che rovinano le anime, e quelli che con la scusa di una soverchia precisione le traviano. Ci può essere una mano, un piede, un occhio che scandalizza, quando si vuole troppo operare, troppo muovere e troppo vedere. L'attività umana è la mano che scandalizza, perché impedisce l'attività soprannaturale e le è di ostacolo; l'iniziativa umana, ed il voler camminare con la potenza umana è quello che scandalizza, poiché impedisce il cammino di Dio; l'occhio umano, cioè il voler vedere le cose della fede e le vie di Dio in modo umano, è quello che scandalizza, poiché sostituisce ai lumi della fede i falsi lumi di una ragione petulante e pedante.
Tutto questo bisogna eliminarlo con un taglio netto, poiché nella Chiesa le attività umane conducono lontano dalla vita soprannaturale.
È più bello operare poco, camminare poco e vedere poco, andando però verso la vita eterna, che agitarsi, muoversi, e vedere, senza raccogliere né un frutto né una luce soprannaturale. È la prima cosa che bisogna aver presente quando si vedono iniziative di bene che sembrano troppo personali.
Se si agisce nello Spirito di Dio non bisogna troncarle. Tutto ciò appartiene alle azioni comuni a tutti i fedeli per la grazia comune a tutti.
I carismi straordinari
Ci sono poi attività più misteriose: ci sono quelle anime che hanno una missione speciale, e sono pervase dal fuoco divino, e quelle che sono vittime di amore. Ognuno potrebbe dire di essere salato da questo fuoco o da questo sale d'immolazione, ma a volte potrebbe essere un sale scipito, cioè un'illusione, ovvero un sale reso scipito, cioè un'attività cominciata da Dio e scipita dall'orgoglio o dalla disobbedienza; è allora che bisogna vigilare, pur tenendo presente in qualunque iniziativa la concordia e la pace.
La Chiesa ha mantenuto fede all'insegnamento di Gesù: essa lascia la santa libertà del bene, pur contenendola nella disciplina, e vigila con grande accortezza che non ci sia in lei un falso fuoco di vita soprannaturale o un falso sale di immolazione. Se sorgono ostacoli al bene ed alle anime privilegiate, questi vengono a volte dai troppo zelanti, che, come san Giovanni, vedono un'insidia in ogni iniziativa o, peggio, dai male intenzionati che ostacolano il bene per partito preso, per malignità o per crudele spirito diabolico. Lasciamo operare il bene, e non ci rendiamo inconsciamente strumenti di satana nell'ostacolarlo.
E penoso che le sante iniziative trovino nei cristiani medesimi gli ostacoli, invece di trovarvi l'incoraggiamento, ed è penosissimo che, mentre i cattivi hanno mille iniziative per scandalizzare, i buoni ne debbono avere tanto poche per edificare.
Di fronte poi alle anime straordinarie, che pure infiorano la Chiesa, non siamo sistematicamente ostili, quasi che il soprannaturale fosse un'insidia. Non siamo eccessivamente guardinghi più per rispetto umano che per amore di verità, perché può succedere benissimo che si sia contrari alle anime privilegiate o temendo di urtare i miscredenti, o temendo di fare la figura di creduloni.
Gesù disse, in san Matteo, una parola che è l'opposto di quella detta in questo capitolo: Chi non è con me è contro di me e chi non raccoglie con me disperde (Mt 12,30); ora come si potrebbe fare appello al giudizio degli empi per valutare le vie soprannaturali, se essi non sono con Gesù e non raccolgono con Lui?
E invalsa in verità la mania di dare troppa importanza e troppo peso a certe conclusioni psichiatriche o psicofisiche, che sono fatte da chi non ha la vista completa, perché prescinde completamente dall'azione divina nelle anime; tutto questo non solo è sospetto ma è pericolosissimo.
La Chiesa ha i suoi metodi di discernimento che nessuna pseudo-scienza può scalzare; ha le prove dolorose, le vie dell'obbedienza, la cernita della frutta che dà l'albero piantato dal Signore; vale più un giudizio formato su queste basi che qualunque diatriba psichiatrica.
L'isterismo e la paranoia, per esempio, hanno come caratteristica l'ostinazione e la ribellione; è un carattere inconfondibile; se l'anima privilegiata soffre, tace, obbedisce, e rimane salda tra le angustie che le si fanno soffrire, questo è già un segno di Dio, assai più certo di qualunque misurazione antropometrica e di qualunque sondaggio psichico.
La pretesa scienza in questi campi delicati è riuscita a farsi prendere sul serio anche quando ha sul capo il cappellone del burattinaio, e tante volte si sono svalutate le più belle operazioni della grazia per tener conto della celia sarcastica e scipita di un miscredente.
È così che quasi si è dato a credere al popolo cristiano che la mistica e la psichiatria siano due cose affini o, peggio, che il mistico sia un anormale, confondendo la lesione organica con lo straordinario intervento di Dio. È un'insidia diabolica che bisogna stroncare, lasciando allo psichiatra i malati, ed alla Chiesa il giudizio dei santi.

lunedì 24 febbraio 2014

24.02.2014 - Vangelo Mc 9, 14-29

Dal Vangelo secondo San Marco
14E arrivando presso i discepoli, videro attorno a loro molta folla e alcuni scribi che discutevano con loro. 15E subito tutta la folla, al vederlo, fu presa da meraviglia e corse a salutarlo. 16Ed egli li interrogò: «Di che cosa discutete con loro?». 17E dalla folla uno gli rispose: «Maestro, ho portato da te mio figlio, che ha uno spirito muto. 18Dovunque lo afferra, lo getta a terra ed egli schiuma, digrigna i denti e si irrigidisce. Ho detto ai tuoi discepoli di scacciarlo, ma non ci sono riusciti». 19Egli allora disse loro: «O generazione incredula! Fino a quando sarò con voi? Fino a quando dovrò sopportarvi? Portatelo da me». 20E glielo portarono. Alla vista di Gesù, subito lo spirito scosse con convulsioni il ragazzo ed egli, caduto a terra, si rotolava schiumando. 21Gesù interrogò il padre: «Da quanto tempo gli accade questo?». Ed egli rispose: «Dall’infanzia; 22anzi, spesso lo ha buttato anche nel fuoco e nell’acqua per ucciderlo. Ma se tu puoi qualcosa, abbi pietà di noi e aiutaci». 23Gesù gli disse: «Se tu puoi! Tutto è possibile per chi crede». 24Il padre del fanciullo rispose subito ad alta voce: «Credo; aiuta la mia incredulità!». 25Allora Gesù, vedendo accorrere la folla, minacciò lo spirito impuro dicendogli: «Spirito muto e sordo, io ti ordino, esci da lui e non vi rientrare più». 26Gridando e scuotendolo fortemente, uscì. E il fanciullo diventò come morto, sicché molti dicevano: «È morto». 27Ma Gesù lo prese per mano, lo fece alzare ed egli stette in piedi.
28Entrato in casa, i suoi discepoli gli domandavano in privato: «Perché noi non siamo riusciti a scacciarlo?». 29Ed egli disse loro: «Questa specie di demòni non si può scacciare in alcun modo, se non con la preghiera».
Parola del Signore

24.02.2014 - Commento al vangelo di S. Marco cap. 9 par. 3

3. Lo spirito che si scaccia nell'orazione e nel digiuno
Sceso dal monte insieme ai suoi tre altri apostoli, Gesù vide gli altri apostoli circondati da gran folla, in disputa animata con gli scribi.
L'oggetto della disputa non era propriamente il lunatico che essi non avevano potuto guarire e liberare da satana, ma era evidentemente il Redentore. Gli scribi volevano dimostrare dall'insuccesso degli apostoli che tutto era inganno quello che avveniva in Gesù, e che essi seguivano una via pericolosamente fantastica. Forse insinuavano che Egli si era dileguato perché non si sentiva la potenza di liberare uno che essi stimavano veramente infermo ed ossesso.
Questo può supporsi dallo stupore e dal timore che ebbe il popolo nel veder venire Gesù, e dal modo stesso come lo salutarono.
Quando, infatti, si mormora a torto ed esageratamente di uno che è assente, si rimane sconcertati nel vederlo venire improvvisamente e, per la stessa coscienza lesa che si ha, si cerca in certo modo con qualche cortesia di non mostrare il proprio mal'animo. Questo è psicologico. Gesù poi scendeva dal monte dopo la trasfigurazione, ed aveva tale maestà nel volto e tale misteriosa regalità nel suo stesso incedere, che suscitò un senso di stupore e di timore in tutti.
Avvicinatosi, Gesù domandò di che cosa discutessero, ma essi dovettero tacere, come appare dal contesto; parlò solo uno che era interessato a parlare, il povero padre dell'epilettico indemoniato, che gli apostoli non avevano potuto guarire e liberare, sperando che il Signore avrebbe potuto consolarlo con un prodigio. Alle parole del padre desolato che manifestava l'impotenza degli apostoli riguardo al figlio suo, Gesù esclamò pieno di dolore: O generazione incredula, fino a quando starò con voi? Fino a quando vi sopporterò?
Era la mancanza di fede che aveva posto ostacolo al miracolo, tanto negli apostoli quanto nel popolo. Gli apostoli nell'assenza di Gesù non erano stati raccolti nella preghiera e si erano dissipati; forse può supporsi che avessero anche accettato qualche invito a pranzo, giacché il Redentore disse loro con intenzione che quel genere di demoni si cacciava solo nell'orazione e nel digiuno. Avevano ricevuto l'infermo in uno stato di interiore dissipazione, ed avevano invano comandato allo spirito perverso di lasciarlo in pace.
Il popolo poi si era affollato per curiosità, e il padre del povero infelice aveva fatto appello agli apostoli non per la fede che aveva in Gesù Cristo, ma solo nella speranza che essi avessero avuto un potere arcano per liberargli il figlio.
Da tutte le parti c'era una mancanza grave di fede, ed in quelle condizioni, se Dio avesse operato il miracolo, questo sarebbe stato svalutato o come un fatto comune, o come l'effetto di forze misteriose che possedevano gli apostoli.
Gesù ordinò che gli conducessero il lunatico, e questi, appena condotto alla sua presenza, cominciò ad essere turbato da satana. Gettato per terra dalla furia diabolica, si ravvoltolava e mandava schiuma dalla bocca. Gesù domandò al padre di lui da quanto tempo ciò gli accadesse e quegli rispose che dall'infanzia era stato tormentato così, e lo supplicò ad averne pietà se aveva il potere di sanarlo. Gesù rivolse quella domanda al padre del giovane, perché avesse riflettuto alla gravità del caso, ed avesse eccitato la sua fede sperando di vederlo liberato; lo domandò anche per far ponderare agli astanti il miracolo che stava per operare, giacché non si trattava di un'ossessione passeggera ma di una possessione tenace.
Come si rileva dal contesto e dal comune pensiero dei Padri, quello spirito era impuro, e può credersi che avesse preso possesso del giovane quando egli nell'infanzia aveva commesso qualche indegna azione. Lo spirito impuro l'aveva reso sordo e muto e l'aveva straziato con varie pene, senza che alcuno avesse potuto scacciarlo.
È proprio quello che avviene alla gioventù quando, presa dalle prime passioni, si lascia ingannare da satana e cade in abissi d'impurità. Satana la strazia coi rimorsi più terribili e con le pene che porta con sé l'impurità, e poi la rende sorda ai richiami del bene e muta nella preghiera e nella penitenza. Il giovane non si confessa più, è muto; rifugge dalla pietà, corre all'impazzata da un abisso in un altro, e si contorce per terra, nelle sue passioni disperatamente disordinate. Invano ci si sforza di poter dare la pace a questo cuore, esso è come invasato da satana, si contorce e non ascolta né rimproveri né consigli27.
Non basta una grazia comune per vincere un'anima traviata dall'infanzia, non basta una fede qualunque, ci vuole una grande fede ed una grande misericordia, e bisogna impetrarla col pregare e col fare penitenza. Bisogna ripetere col povero padre desolato: Io credo, o Signore, aiuta tu la mia incredulità, e domandare con la preghiera che si accresca quella fede che il peccato impuro annebbia e spesso fa perdere addirittura.
Quando Gesù vide che il popolo accorreva intorno a Lui per movimento di curiosità, non volendo suscitare inutili entusiasmi, si affrettò a liberare quell'ossesso. Egli dovette anche aver pietà del povero padre, il quale soffriva nel vedere che il figlio era fatto spettacolo dinanzi agli altri. Con grande potenza e maestà comandò allo spirito sordo e muto di uscire dal giovane, ed esso, nel lasciarlo, lo straziò talmente da ridurlo come morto. Molti infatti credettero che fosse veramente morto. Ma Gesù, presolo per mano, lo sollevò e quegli si alzò!
Non è possibile che sia cacciato da un giovane lo spirito impuro senza che Gesù Cristo, con una misericordia speciale, lo aiuti. Il sacerdote, in suo nome, quando un impuro va a confessarsi, lo aiuta a parlare interrogandolo, e gli fa sentire la Parola di Dio esortandolo; le interrogazioni sono tormentose, senza dubbio, e l'anima può anche contorcersi nella pena di dover dire certe cose vergognose; ma dopo che ha parlato e che l'assoluzione l'ha rialzata dalla sua morte, allora si sente risorta, e gode una pace mai più provata, sentendosi in grazia di Dio.
Preghiera e penitenza per la conversione delle anime
Questa specie di demoni non può essere cacciata in altro modo che con l'orazione e il digiuno. Chi deve convertire un'anima infangata dall'impurità deve persuadersi che non bastano solo le esortazioni, occorrono le opere sante di una vita di fervore, occorre l'orazione ed il digiuno. Con l'orazione l'anima si unisce a Dio e ne attrae la grazia; col digiuno, e in generale con la penitenza, sottomette la carne allo spirito e rende l'anima più disposta a ricevere i divini favori. L'orazione accresce la fede, il digiuno accresce il dominio di se stessi e la santa umiltà; in tal modo si ottiene la grazia della conversione di un'anima.
Gesù Cristo subito dopo, partito da quel luogo, cominciò a parlare agli apostoli della sua Passione, perché essa doveva essere la grande preghiera e la grande penitenza che doveva scacciare satana dal mondo. Gli apostoli non capirono le sue parole, e tanto meno capirono il nesso che esse avevano con quello che loro aveva detto prima, ma dopo la discesa dello Spirito Santo non solo lo capirono, ma lo imitarono, offrendosi per la salvezza delle anime ad ogni disagio ed al martirio, e consumando la loro vita nell'orazione, che è parte integrante necessarissima di qualunque apostolato.
Per vincere le tentazioni
Nell'orazione e nel digiuno: così si vincono in noi le suggestioni impure di satana; non possiamo mai dire di essere sotto l'incubo di una tentazione invincibile, poiché quando si prega veramente l'anima è attratta a Dio e rifugge dalle miserie della carne; e quando fa penitenza, contrariando soprattutto la propria volontà, si abitua a Vincere, e si sottrae alla schiavitù delle passioni. A volte basta una rinunzia ad un capriccio, fatta volontariamente e per puro amore, per vedere fortificata la volontà nel resistere a passioni anche inveterate; quella vittoria, benché minima, quasi da sembrare trascurabile, è come l'aprirsi di una nube fitta, che prelude al sereno, e come lo spiraglio che dà modo di spalancare le porte della prigione.
Insistiamo su questo che è di massima importanza: una piccola vittoria, riportata anche in un campo diverso dalla passione che ci tormenta, rompe l'incanto di una volontà incatenata, e comincia a ridonarle la libertà perduta, a volte un piccolo fioretto di mortificazione o di preghiera può produrre questo frutto di salvezza, e non bisogna mai disprezzare o trascurare l'ispirazione che ce lo suggerisce.
I grandi peccatori non si convertono in un momento, benché a volte sembri che succeda così; è necessario che si sfondi prima il fronte dell'assedio, poiché la breccia apre la via alla travolgente vittoria sul nemico: Gesù Cristo subito dopo la guarigione del lunatico, parlando della sua Passione, ci addita un altro rimedio salutare contro le nostre miserie. L'anima si intenerisce ai piedi del Crocifisso, ed ai riflessi luminosi del preziosissimo Sangue vede e pondera l'orrore delle proprie iniquità, risolvendo di emendarsene. Quando l'esercito è circondato da tre lati, deve cadere all'attacco frontale e deve sfasciarsi. L'anima che prega si mortifica e guarda Gesù appassionato, circonda il peccato in un assedio dal quale non può sfuggire; la preghiera eleva l'anima, la mortificazione vince la volontà ribelle, la Passione di Gesù Cristo la intenerisce. Non diciamo dunque mai più che non possiamo vincerci perché siamo abituati al male dall'infanzia; la nostra battaglia è vittoriosa per noi, sol che lo vogliamo confidando nella grazia e nella misericordia di Dio.
Sac. Dolindo Ruotolo

domenica 23 febbraio 2014

23.02.2014 - Vangelo Mt 5, 38-48

Dal Vangelo secondo San Matteo
38Avete inteso che fu detto: Occhio per occhio e dente per dente. 39Ma io vi dico di non opporvi al malvagio; anzi, se uno ti dà uno schiaffo sulla guancia destra, tu porgigli anche l’altra, 40e a chi vuole portarti in tribunale e toglierti la tunica, tu lascia anche il mantello. 41E se uno ti costringerà ad accompagnarlo per un miglio, tu con lui fanne due. 42Da’ a chi ti chiede, e a chi desidera da te un prestito non voltare le spalle.
43Avete inteso che fu detto: Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico. 44Ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano, 45affinché siate figli del Padre vostro che è nei cieli; egli fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni, e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti. 46Infatti, se amate quelli che vi amano, quale ricompensa ne avete? Non fanno così anche i pubblicani? 47E se date il saluto soltanto ai vostri fratelli, che cosa fate di straordinario? Non fanno così anche i pagani? 48Voi, dunque, siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste.
Parola del Signore 

23.02.2014 - Commento al vangelo di S. Matteo cap. 5 par. 23-26

23. Il dominio dell'anima su se stessa e sul male, nella generosità e nella carità
L'uomo crede facilmente al dominio della forza brutale, ed all'efficacia della reazione per imporre agli altri il rispetto, senza sottostare a prepotenze o a violenze. La forza però non conquide lo spirito, anzi lo inasprisce, e perciò, praticamente, chi crede di dominare è dominato, e chi crede di aver vinto è sconfitto. La reazione violenta non annienta la reazione ma la ingigantisce, ed anche umanamente parlando, fa trovare l'aggredito in peggiori condizioni.
Il cristiano è sempre un aviatore dello spirito; non sta nella carlinga per rimanere a terra ma per volare; è sempre un conquistatore di ricchezze eterne, e non si cura troppo di ciò che è materiale; cammina come pellegrino e come apostolo, aspirando a conquistare il Cielo ed a farlo conquistare agli altri; è membro vivo del Corpo mistico di Gesù Cristo e partecipa al suo Corpo ed al suo Sangue eucaristico desiderando, a somiglianza del suo Maestro, immolarsi per gli altri ed abbracciare tutti nella carità. Tutto questo lo rende talmente superiore alle beghe meschine della vita presente, che vi passa sopra come trionfatore. Gl'insegnamenti di Gesù Cristo mirano a questo scopo altissimo, e lungi dall'essere paradossali, guardano la vita per quello che è, senza illusioni irreali. Chi reagisce alla malvagità altrui per vincerla con la forza, può essere sopraffatto, e si trova in condizioni più gravi; chi la disarma con la dolcezza e con la carità, la riduce all'impotenza non con le armi ma con lo spirito, e chi prega per i cattivi attira su di loro quelle grazie celesti che li migliorano. Gesù Cristo non parla della reazione della legge, né di quelle forze legali che debbono ristabilire l'ordine per mandato divino; parla delle relazioni private tra gli uomini, e del modo migliore per eliminare i contrasti e le dissensioni.
E spontaneo nel nostro cuore il voler rendere male per male, perché ci urta l'ingiustizia e ci soddisfa la giustizia. La legge penale antica, sostituendosi alla privata reazione, aveva stabilito la così detta pena del taglione, condannando il colpevole alla stessa sofferenza cagionata agli altri: Occhio per occhio, dente per dente (Es 21,24; Lv 24,20; Dt 19,21); con questo dava soddisfazione al colpito ingiustamente, senza pericolo di eccessi personali. Più tardi, per le false interpretazioni dei dottori giudei, la legge aveva dato luogo a vere vendette private, a danno della pubblica quiete. Gesù Cristo taglia il male nella radice, inculca la pazienza e la bontà che disarmano l'anima e riconducono la pace.
Non resistere al malvagio, cioè non venire con lui a contrasto, perché non lo vinci così e non ti rendi superiore a lui. Il contrasto è una diminuzione della propria dignità ed è una moltiplicazione delle ingiurie; tu invece passa sopra alle insolenze, e se uno ti percuote nella guancia destra presentagli anche l'altra. Presentala non tanto per essere percosso di nuovo, ma presentala nell'amorevolezza del compatimento e del perdono. Si schiaffeggia un volto che appare antipatico e provocante, e tu mostra subito l'altra faccia, quella che realmente sta in te: la bontà e la compassione. Se mostri questa guancia, cioè questo tuo aspetto benevolo, insospettato dal nemico, lo hai vinto e lo hai messo nella necessità di riflettere al suo atto brutale e di vergognarsene. Gesù Cristo non comanda letteralmente di farsi percuotere nell'altra guancia, come non comanda letteralmente di cavarsi l'occhio o recidersi la mano, ma comanda di mostrare l'altra guancia, dimostrando l'opposto di quello che appare al nemico e lo spinge a farsi violenza.
Questo è tanto vero che Egli stesso nella Passione, percosso nella guancia, interrogò il malvagio servo per mostrargli che non aveva parlato male al sommo sacerdote, gli mostrò quindi l'altro aspetto della sua risposta, l'altra faccia della risposta che aveva provocato lo schiaffo. Nella Passione Gesù che ci dette esempi ineffabili di pazienza e offrì le sue membra ai flagelli ed alla croce, ci avrebbe dato certamente l'esempio di mostrare l'altra guancia se l'avesse inteso letteralmente. Gesù vuole che certe questioni si chiarifichino, e che, invece di reagire con la forza e con i gridi, si reagisca con l'evidenza della ragione in modo da troncare il dissidio nella radice. E un primo modo per conservare la pace.
Un altro modo è quello di accondiscendere per carità, mostrando la propria superiorità di animo; così a chi vuole chiamarti in giudizio e vuol litigare per toglierti la tunica, ossia l'abito aderente al corpo, cedigli anche il mantello.
Con questo parlare figurato Gesù vuole insegnarci ad evitare le liti giudiziarie che conducono sempre a rovine ed a perdite maggiori anche quando si vincono. È più nobile il cedere non per la forza, ma per la carità e la generosità; perciò Gesù Cristo non dice fatti togliere anche il mantello, ma cedigli anche il mantello, cioè mostrati generoso di tua volontà, e mostrati superiore ad una povera cosa terrena, che non vale quanto la conservazione della pace e l'evitare le noie e i fastidi del giudizio.
24. Gesù non deprime ma eleva l'umana dignità
Se uno volesse angariarti, per esempio forzandoti a camminare con lui mille passi, tu, invece di reagire, condiscendi e vacci per altri due, mostrando così di non subire una violenza, ma di agire di tua volontà. Come si vede Gesù Cristo non deprime ma eleva l'umana dignità, perché sostituisce alla forza brutale quella dello spirito; alla reazione violenta la carità; all'asservimento del malvagio volere altrui, la libertà del proprio volere benefico. Chi accondiscende per carità e per amore di pace, vola più in alto e sfugge alle strette della prepotenza, e rimane soprattutto nella sua pace interna che è preziosissimo tesoro. Questa nobile benevolenza che non lascia il tempo alla malvagità di sopraffare, dev'essere per tutti generosità di carità, specialmente nelle relazioni di vicinato: Dà a chi ti domanda, e non rivolgere la faccia a chi vuole chiederti in prestito qualche cosa.
Se si deve conservare, infatti, l'armonia con chi vorrebbe sopraffarci, prevenendo la prepotenza con la nobiltà di animo, molto più è logico e conveniente conservarla con chi non ci vuole sopraffare ma ci domanda qualche cosa o in dono o in prestito. Tutto questo che Gesù Cristo insegna è legge di armonia tra le anime, e quindi riguarda prima quelle che ci sono più vicine, perché la carità è ordinata; inoltre, essendo legge di armonia, non può obbligare dove produrrebbe la disarmonia. Sarebbe stolto venire ad un contrasto o ad una lite giudiziaria per non subire una sopraffazione, perché se ne subirebbe una maggiore, ma sarebbe ugualmente stolto farsi sfruttare dai malvagi, e dare in prestito senza criterio ed ordine. E la stessa natura del dare e del prestare che ci dichiara il senso genuino delle parole di Gesù Cristo, poiché chi ti domanda per sfruttarti, non ti domanda, ma ti ruba, e chi ti chiede in prestito per non restituirti, non ti chiede in prestito ma in dono forzoso, perché sta nella natura stessa del prestito la restituzione.
Del resto l'interpretazione autentica del valore delle parole di Gesù Cristo la fa la Chiesa nella sua morale, ed è a questa che bisogna appellarsi, e da questa che bisogna farsi condurre. Se uno volesse interpretare le divine parole a modo proprio, e credersi obbligato a dare tutto ciò che si chiede, dilapidando magari la casa propria o venendo meno ai doveri che si hanno verso i più prossimi, errerebbe. La Chiesa determina nelle sue leggi quello che deve farsi praticamente, quello che è di consiglio e quello che è di precetto nelle parole del Signore, e seguendola non c'è pericolo di errare.
25. Ultimo mezzo per l'armonia della carità: l'appello alla preghiera ed alla grazia
Dio aveva comandato con espressioni bellissime di amare il prossimo (Lv 19,9-18), ma gli scribi e farisei, abituati come erano alle vendette e al disprezzo per gli altri, ed interpretando a modo loro il precetto del Signore di punire nelle guerre i nemici d'Israele e le città peccatrici, avevano creduto che il precetto di amare il prossimo includesse quello di odiare il nemico. Trattandosi di nemici nazionali in un'epoca nella quale il popolo di Dio doveva essere separato da tutti gli altri popoli per non cadere nell'idolatria, questa interpretazione poteva anche sembrare giusta; ma Gesù Cristo era venuto per unificare gli uomini in una sola famiglia; era venuto a perdonare ed a salvarli; era venuto ad immolarsi subendone le violenze e perciò la sua Legge non poteva avere altro carattere per il suo Corpo mistico che quello della carità, del perdono e della pazienza. D'altra parte, seguendo lo stesso programma divino di sanare i mali nella loro radice, che cosa avrebbero potuto portare l'odio, la maledizione e la vendetta?
E dal cuore che viene il male; ed è il cuore che bisogna sanare per eliminarlo.
L'odio, l'irruenza e le imprecazioni eliminano le correnti di grazia ed accrescono le malignità, ossia la forza di nuocere da parte dei nemici; quindi chi odia maledice ed impreca; affila con le sue mani la spada che lo colpisce. La carità disarma più di qualunque forza, e siccome è inscindibile dall'umiltà, disarma e confonde satana che è il funesto ispiratore del male.
Al mondo può sembrare assurdo l'amare i nemici, può sembrare contro natura, ma Gesù ha determinato la natura di questo amore soggiungendo: Fate del bene e pregate, per imitare Dio che ha cura dei giusti e degli iniqui. Amare i nemici non significa non sentire ripugnanza al male da essi fatto, soprattutto se questo male ha offeso e macchiato l'anima propria; non significa non sentire le reazioni della natura che ripugna e reagisce al male, o quelle dell'orgoglio che s'inalbera, significa fare del bene a quelli che ci odiano implorando su di essi la divina misericordia, perché muti il loro cuore e la loro volontà e li faccia novelle creature.
Anche qui Gesù Cristo chiama le sue creature ad altezze meravigliose di nobiltà e di pace. Un nemico, infatti, è sempre una spina atroce confitta nel cuore, che nell'odio germina in mille altre pungenti spine; l'odio è come la tenia dell'anima, che assorbe e distrugge qualunque sua gioia; riproduce continuamente le offese e, quando si crede che si siano dimenticate, le fa rinascere più violente di prima, accresciute dalla fantasia. Avere un nemico significa avere un'insidia alla propria pace, ed anche un pericolo esterno, perché il nemico è capace di farci moltissimo male; la via più bella è il guardarlo con compatimento, scusando le sue malvagità, e spezzarne l'iniqua volontà con qualche beneficio spirituale o corporale che smonti le sue prevenzioni e lo faccia ricredere.
È più bello paralizzare con la carità le iniziative del nemico, e dove la carità non ha influenze, paralizzarle con la preghiera. A fare questo ci è di grandissimo aiuto l'amore di Dio, e ci è pure di spinta la considerazione dei beni eterni che il nemico ci dà occasione di conquistare con le sue stesse malvagità. Con quanto amore i martiri riguardarono i loro carnefici, considerando il Paradiso del quale, senza pensarlo, aprivano loro le porte! Con quanta compassione consideravano la miseria di quei perfidi, implorando misericordia e perdono sul loro capo; quanta soddisfazione e quanta gioia provavano nell'abbracciarli, sentendosi l'anima tutta compresa dalla pietà e misericordia di Dio!
Se fosse contro l'umana natura il perdonare e l'amare i nemici, la Chiesa non sarebbe piena di santi che l'hanno onorata con questa virtù. Non è un'eccezione nella Chiesa, ma la norma, giacché tutti passano per le prove dei cattivi, ed è impossibile volare al Cielo senza prima aver perdonato. Gesù Cristo dice che Dio stesso, pur potendo punire quelli che l'offendono, usa misericordia e fa sorgere il sole per i buoni e per i cattivi, come fa piovere per i giusti e per gli ingiusti; con delicatezza grande ci ricorda che anche noi siamo peccatori, e che se Dio ci dona il sole e la pioggia, anche noi dobbiamo donare l'amore e il beneficio ai nostri nemici. Con queste parole
Gesù Cristo eleva la misericordia e l'amore per i nemici fino all'altezza della magnificenza di Dio, e ci esorta ad avere la stessa sua perfezione. È proprio di Dio, infatti, come dice la Chiesa, l'avere sempre misericordia e perdonare, e chi usa misericordia e perdono s'adorna dei riflessi di quella bontà infinita che tutto abbraccia, e per tutti si muta in pioggia di benedizioni. Dio non aspetta la nostra corrispondenza per farci del bene, non restringe la sua bontà ai soli buoni, e noi per suo amore dobbiamo fare altrettanto; qual merito ci sarebbe amando quelli che ci amano e salutando quelli che ci sono amici?
Anche i pubblicani, cioè i peccatori, e i pagani fanno questo; è necessario dunque fare qualche cosa di più degli altri e specchiarsi non già nell'egoismo accentratore ma nell'infinita generosità di Dio, che non conosce limiti nella sua misericordia.
26. La legge dell'amore
La parola di Gesù: Siate perfetti come è perfetto il Padre vostro che sta nei cieli, riguarda principalmente la misericordia e la carità; ma da queste virtù scaturiscono in noi le altre, per l'esuberante grazia che il Signore ci dona in ricompensa della nostra bontà verso il prossimo. Tutta la creazione è una diffusione della bontà di Dio, e nei più piccoli esseri risplende la sua carità ineffabile. Egli dona la vita, ed avvolge le sue creature con una delicatezza ineffabile di amore e di rispetto, tutelandone la dignità; Egli è geloso custode della giustizia e, benché padrone di tutto, dispone delle sue creature con immensa riverenza; Egli risponde con la misericordia ed il perdono alle nostre ingiurie, ed anche quando noi ci mettiamo nelle condizioni di perderci, tempera la pena che ci facciamo con le nostre iniquità, ed effonde in noi la sua misericordia. Egli accondiscende alle nostre preghiere, e benché ingrati ed indegni della vita che ci ha data, la sostiene con la sua provvidenza. Non è commovente il vedere nel cielo il sole che tutto riscalda e feconda, e la pioggia che cade anche sulle terre dei peccatori? Quella luce che si diffonde e quell'acqua che cade sembrano un amplesso di carità, un bacio di misericordia, un sorriso di bontà da parte di Dio. Come potremmo noi, alla luce di questo esempio divino, disprezzare la vita del prossimo o coprirlo di vituperio? Come potremmo defraudarlo nei suoi diritti e privarlo di quell'amore donatogli dal Signore nel sacramento del Matrimonio come sollievo ed aiuto della sua vita? Come potremmo essere inesorabili verso chi ci ha offesi, mentre Dio è così generoso verso di noi? Bisogna dunque essere perfetti com'è perfetto il Padre nostro, diffondendo la bontà sui nostri fratelli e sui nostri nemici; bisogna essere come sole che li riscalda e li illumina, e pioggia che li feconda, partecipando loro i beni che Dio ci ha dati. Il cuore dev'essere luminoso nel sorriso della carità, e fecondo nelle opere della beneficenza, deve consolare e donare, perché il dono senza la consolazione spirituale sarebbe come acqua senza sole, e la consolazione senza l'aiuto sarebbe come sole senz'acqua. Persuadiamoci che questo solo può ridonare al mondo sconvolto la pace, perché questo solo ci dona la tranquillità dell'ordine fra tutte le creature. Come mai il mondo stolto ed ingrato si è fatto turlupinare dai perversi ed ha preteso di dare una legislazione di odio, di lotta, di rovina e di strazi per ridonare ai popoli l'equilibrio? Come mai ha potuto rinunziare al Vangelo per abbracciare le stupide e dissolventi parole di Carlo Marx, di Lenin, di Stalin e di tutti i traditori della sua pace e del suo benessere? Questi hanno messo come base delle loro utopie criminose l'omicidio, la strage, l'adulterio legale, l'immoralità, la menzogna, l'odio implacabile, la schiavitù dei loro fratelli e, orribile a dirsi, l'odio a Dio ed alla Chiesa! Hanno dato il loro tristissimi frutti di miseria, di stragi, di crudeltà, di delitti spaventosi dovunque sono penetrati; trascinano i popoli con la violenza più brutale nel baratro da essi scavato e chi può ancora illudersi che diano all'umanità una novella prosperità? Ricacciamoli da noi come scellerati ministri di satana, che hanno per emblema la falce e il martello, la falce della morte e il martello dell'oppressione; leviamo in alto la croce e il nome bello di Maria, e persuadiamoci che non c'è altra beatitudine che quella tracciataci da Gesù Cristo; non c'è altra via per conseguire l'ordine, la prosperità e la pace che quella della carità nella Chiesa Cattolica, Apostolica, Romana.
Sac. Dolindo Ruotolo

sabato 22 febbraio 2014

Audiolibro I quattro Vangeli - Capitoli 13, 14, 15 e 16

Inseriti il tredicesimo, il quattordicesimo, il quindicesimo e il sedicesimo capitolo del libro del Sac. Dolindo Ruotolo - "I quattro Vangeli" relativi al Vangelo secondo Matteo.

Il libro viene letto da una voce sintetizzata.

Li potete trovare al seguente indirizzo:
https://app.box.com/I-quattro-Vangeli

22.02.2014 - Vangelo Mt 16, 13-19

 Dal Vangelo secondo San Matteo
13Gesù, giunto nella regione di Cesarèa di Filippo, domandò ai suoi discepoli: «La gente, chi dice che sia il Figlio dell’uomo?». 14Risposero: «Alcuni dicono Giovanni il Battista, altri Elia, altri Geremia o qualcuno dei profeti». 15Disse loro: «Ma voi, chi dite che io sia?». 16Rispose Simon Pietro: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente». 17E Gesù gli disse: «Beato sei tu, Simone, figlio di Giona, perché né carne né sangue te lo hanno rivelato, ma il Padre mio che è nei cieli. 18E io a te dico: tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le potenze degli inferi non prevarranno su di essa. 19A te darò le chiavi del regno dei cieli: tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli». 20Allora ordinò ai discepoli di non dire ad alcuno che egli era il Cristo.
Parola del Signore

mercoledì 19 febbraio 2014

19.02.2014 - Vangelo Mc 8, 22-26

Dal Vangelo secondo San Marco
22Giunsero a Betsàida, e gli condussero un cieco, pregandolo di toccarlo. 23Allora prese il cieco per mano, lo condusse fuori dal villaggio e, dopo avergli messo della saliva sugli occhi, gli impose le mani e gli chiese: «Vedi qualcosa?». 24Quello, alzando gli occhi, diceva: «Vedo la gente, perché vedo come degli alberi che camminano». 25Allora gli impose di nuovo le mani sugli occhi ed egli ci vide chiaramente, fu guarito e da lontano vedeva distintamente ogni cosa. 26E lo rimandò a casa sua dicendo: «Non entrare nemmeno nel villaggio».
Parola del Signore

20.02.2014 - Vangelo Mc 8, 27-33

Dal Vangelo secondo San Marco
27Poi Gesù partì con i suoi discepoli verso i villaggi intorno a Cesarèa di Filippo, e per la strada interrogava i suoi discepoli dicendo: «La gente, chi dice che io sia?». 28Ed essi gli risposero: «Giovanni il Battista; altri dicono Elia e altri uno dei profeti». 29Ed egli domandava loro: «Ma voi, chi dite che io sia?». Pietro gli rispose: «Tu sei il Cristo». 30E ordinò loro severamente di non parlare di lui ad alcuno.
31E cominciò a insegnare loro che il Figlio dell’uomo doveva soffrire molto ed essere rifiutato dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e dagli scribi, venire ucciso e, dopo tre giorni, risorgere. 32Faceva questo discorso apertamente. Pietro lo prese in disparte e si mise a rimproverarlo. 33Ma egli, voltatosi e guardando i suoi discepoli, rimproverò Pietro e disse: «Va’ dietro a me, Satana! Perché tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini».
Parola del Signore

21.02.2014 - Vangelo Mc 8, 34-9,1

Dal Vangelo secondo Marco
34Convocata la folla insieme ai suoi discepoli, disse loro: «Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. 35Perché chi vuole salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia e del Vangelo, la salverà. 36Infatti quale vantaggio c’è che un uomo guadagni il mondo intero e perda la propria vita? 37Che cosa potrebbe dare un uomo in cambio della propria vita? 38Chi si vergognerà di me e delle mie parole davanti a questa generazione adultera e peccatrice, anche il Figlio dell’uomo si vergognerà di lui, quando verrà nella gloria del Padre suo con gli angeli santi». 
 1Diceva loro: «In verità io vi dico: vi sono alcuni, qui presenti, che non morranno prima di aver visto giungere il regno di Dio nella sua potenza».
Parola del Signore

19-21.02.2014 - Commento al vangelo di S. Marco cap. 8 par. 4

4. A Betsaida Gesù guarisce un cieco
A Betsaida fu presentato a Gesù un cieco perché lo toccasse e lo risanasse; ma Egli non volle farlo innanzi a tutti e, presolo per mano, lo condusse fuori dal villaggio. Era ancora vivo il ricordo della moltiplicazione dei pani, ed il Redentore non volle che il popolo si entusiasmasse inutilmente, trascurando il bene dell'anima. Egli anzi non volle operare il miracolo in un momento, ma lo fece gradatamente, quasi fosse stata una guarigione naturale; non volle che un fatto impressionante avesse eccitato nella folla l'entusiasmo per il regno politico e terreno che credeva dovesse attendersi da Lui.
Il popolo aveva supplicato Gesù di toccare il cieco, ed Egli lo prese per mano, degnandosi di farsene Egli stesso la guida. Come dovette essere soave per il cieco dare la mano a Gesù, ed essere da Lui accompagnato fuori del frastuono del villaggio! Questa mano, bellissima e morbida, spirava carità, santità e purezza, e gli trasfondeva una grande dolcezza nel cuore, accendendogli maggiormente la fede, la speranza e l'amore. Gesù lo accompagnò fuori del villaggio per dargli tempo di raccogliersi, e tenendolo per mano gli fece sentire una grande attrazione ai beni eterni. In tal modo gli dava prima la vista dell'anima. Poi gli pose della saliva sugli occhi21 e gl'impose le mani, domandandogli se vedesse qualche cosa. Lo sputo non poteva essere una causa naturale della guarigione, ma Gesù si servì di quel mezzo per mostrare innanzi al popolo che applicava un rimedio e nascondere così la sua operazione divina. Probabilmente la saliva non fu messa sugli occhi ma dentro, mentre il cieco aveva dilatato le palpebre che poi si rinchiusero, e quella saliva benedetta cominciò a rischiarare gli occhi dell'infelice; per questo è detto nel Testo che il cieco, interrogato se vedesse qualche cosa, alzò gli occhi, aprì con un certo sforzo le palpebre e sollevò gli occhi che si erano istintivamente abbassati dopo aver ricevuto lo sputo. Girò intorno lo sguardo, lo fisso lontano verso la strada e disse che vedeva gli uomini come alberi che camminavano. Egli distingueva solo una massa eretta come un fusto, e questo gli richiamò in mente l'immagine degli alberi; evidentemente non doveva essere un cieco nato, poiché aveva l'idea del corpo umano e degli alberi. Gesù gl'impose nuovamente le mani sugli occhi, i quali subito furono completamente rischiarati e videro tutto distintamente; dopo di che lo accomiatò, raccomandandogli di non dire nel villaggio nulla di ciò che era avvenuto.

lunedì 17 febbraio 2014

17.02.2014 - Vangelo Mc 8, 11-13

Dal Vangelo secondo San Marco
11Vennero i farisei e si misero a discutere con lui, chiedendogli un segno dal cielo, per metterlo alla prova. 12Ma egli sospirò profondamente e disse: «Perché questa generazione chiede un segno? In verità io vi dico: a questa generazione non sarà dato alcun segno». 13Li lasciò, risalì sulla barca e partì per l’altra riva.
Parola del Signore

18.02.2014 - Vangelo Mc 8, 14-21

Dal Vangelo secondo san Marco
14Avevano dimenticato di prendere dei pani e non avevano con sé sulla barca che un solo pane. 15Allora egli li ammoniva dicendo: «Fate attenzione, guardatevi dal lievito dei farisei e dal lievito di Erode!». 16Ma quelli discutevano fra loro perché non avevano pane. 17Si accorse di questo e disse loro: «Perché discutete che non avete pane? Non capite ancora e non comprendete? Avete il cuore indurito? 18Avete occhi e non vedete, avete orecchi e non udite? E non vi ricordate, 19quando ho spezzato i cinque pani per i cinquemila, quante ceste colme di pezzi avete portato via?». Gli dissero: «Dodici». 20«E quando ho spezzato i sette pani per i quattromila, quante sporte piene di pezzi avete portato via?». Gli dissero: «Sette». 21E disse loro: «Non comprendete ancora?».
Parola del Signore

17-18.02.2014 - Commento al vangelo di S. Marco cap. 8 par. 3

3. Perché è negato agl'increduli il segno dal cielo
I farisei avevano avuto notizia del miracolo della moltiplicazione dei pani, ed avevano constatato con livore che il popolo s'era maggiormente legato al Redentore per quel miracolo; pensarono perciò di paralizzarne l'effetto mostrando nel Signore l'impotenza ad operare. Essi nella loro malignità attribuivano a causa naturale o diabolica gli altri miracoli, ed erano certi che Gesù Cristo non avrebbe potuto compiere un vero prodigio, perciò gli domandarono il segno dal cielo. Il Redentore gemette e sospirò a quella domanda, per il grande dolore che gli cagionava l'incredulità di quei poveretti, ed affermò recisamente che a quella generazione non sarebbe stato dato il segno dal cielo.
In san Matteo ed in san Luca è detto che quella generazione avrebbe avuto solo il segno di Giona, cioè avrebbe avuto nella risurrezione l'argomento delle verità di ciò che Egli annunziava; ma quello era un segno che veniva dalle profondità del sepolcro; un'altra generazione, l'ultima, avrebbe avuto il segno dal cielo nella seconda venuta di Lui, ed allora tutti avrebbero creduto per necessità.
Non si può cercare il Signore pretendendo che Egli si adatti alle nostre puerili esigenze, ma bisogna andare a Lui con profondo spirito di umiltà ed attendere con fiducia le sue misericordie. Non si converte chi va cercando di cavillare sulle verità, ma chi si umilia sinceramente innanzi alla verità stessa. L'anima che pretende di vedere i miracoli vi mette tale ostacolo da renderne impossibile il compimento, e rimane in tenebre più fitte. Gesù Cristo rimandò i farisei, entrò nella barca e si allontanò; è proprio quello che accade alle anime presuntuose: sono rimandate da Dio, ne perdono l'amicizia, rimangono sole.
Oh, se le anime comprendessero il grande segreto di vedere nelle vie di Dio!
Più si chiudono gli occhi e più si vede in questo campo di abbagliante splendore; più si presume di voler vedere e più si rimane accecati.
Dio è infinita verità, e non deve certo dimostrarlo a noi che siamo tanto meschini; siamo noi che dobbiamo andare a Lui supplicandolo di darci la fede, e questo non può ottenersi che umiliandosi.
Bisogna umiliarsi in un grande sentimento del proprio nulla, ed eliminare così la nebbia fosca nella quale satana c'immerge; l'umiltà è il raggio di luce che la dirada, ed è quasi la lente attraverso la quale è possibile fissare lo sguardo in alto.
Attenti alle insinuazioni degli empi!
Dopo avere rimandato i farisei, Gesù Cristo volle mettere in guardia gli apostoli contro le loro insinuazioni, palliate da pietà, e contro quella dei sadducei e degli erodiani, che spingevano l'anima al paganesimo pratico della vita.
Quanto la falsa ed ipocrita pietà, quanto lo spirito pagano erano come lievito corrompitore per l'anima! Ne bastava un poco per disorientarla dalla verità e da Dio.
Gli apostoli avevano trascurato di comprare del pane e non ne avevano che uno solo nella barca; presi da preoccupazione per l'atteggiamento minaccioso dei farisei, credettero che Gesù li mettesse in guardia contro un pericolo di avvelenamento da parte loro, o da parte dei sadducei e degli erodiani, e si preoccuparono di non avere provveduto in tempo al loro pane. Essi temettero di rimanere digiuni, e dimenticando completamente il miracolo della moltiplicazione dei pani, non intendevano che quell'unico pane che avevano era più che bastevole a sostentarli, sol che il Maestro divino l'avesse benedetto. Perciò Gesù Cristo si lamentò con loro, e si mostrò addolorato del loro accecamento.
Anche noi dobbiamo guardarci dal fermento degli eretici, così numerosi ai giorni nostri, e da quello del mondo che ritorna pagano e s'inabissa pazzamente nelle aberrazioni della carne. Si può dire che l'eresia riempia l'aria medesima che respiriamo, ed è per noi un'infezione terribile; ne sono ripiene le scuole, le officine, le campagne; si ascoltano errori che nessuno più riesce a discernere dalla verità, e se ne è pervasi.
I giornali ogni giorno ne diffondono il lezzo senza accorgersene neppure, i salotti risuonano di errori nelle insulse conversazioni, e la mente ne ribocca quando il dolore viene a bussare alla nostra porta.
È una desolazione della quale l'ignoranza delle cose divine non ci fa neppure accorgere, ma è una desolazione che disorienta la vita.
Il lassismo moderno e le preoccupazioni materiali
A questo si aggiunga lo spirito di miscredenza e di paganesimo che va sempre più allargandosi, proprio come lievito nella massa, e che rende le anime a poco a poco prive di vita soprannaturale. Come si sveste il corpo gradatamente per la moda sempre più procace, così si va smettendo l'abito cristiano, e si cade in pieno paganesimo.
Gli apostoli, messi in guardia contro il pericolo che li minacciava, si preoccuparono solo di non avere pane a sufficienza. Del miracolo fatto da Gesù non avevano capito nulla, ed avevano solo tratto la conseguenza di andare più provvisti di pane, per non trovarsi poi in strettezze. Avrebbe dovuto accrescersi la loro aspirazione ai beni eterni, e la loro fiducia nel Signore, ed invece si accrebbe la loro preoccupazione materiale; per questo Gesù, tocco da intimo dolore dell'anima, li rimproverò insistentemente.
Avviene lo stesso anche a noi quando ci facciamo prendere dallo spirito del mondo: abbiamo solo la preoccupazione del problema economico, quasi che fosse tutta la nostra vita, e siamo lontani dal riflettere che il Signore ci sostenta con continui miracoli della sua provvidenza. Persino le anime pie e devote non sanno sottrarsi alla comune preoccupazione, e spesso si angustiano del poco lavoro, del posto, dell'impiego, e di tante cose terrene che risucchiano la loro vita spirituale.
Oh, se fossimo più uniti a Dio, quanto sarebbe serena la nostra vita!
Sac. Dolindo Ruotolo

domenica 16 febbraio 2014

16.02.2014 - Vangelo Mt 5, 17-37

Dal Vangelo secondo San Matteo
17Non crediate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non sono venuto ad abolire, ma a dare pieno compimento. 18In verità io vi dico: finché non siano passati il cielo e la terra, non passerà un solo iota o un solo trattino della Legge, senza che tutto sia avvenuto. 19Chi dunque trasgredirà uno solo di questi minimi precetti e insegnerà agli altri a fare altrettanto, sarà considerato minimo nel regno dei cieli. Chi invece li osserverà e li insegnerà, sarà considerato grande nel regno dei cieli.
20Io vi dico infatti: se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli.
21Avete inteso che fu detto agli antichi: Non ucciderai; chi avrà ucciso dovrà essere sottoposto al giudizio. 22Ma io vi dico: chiunque si adira con il proprio fratello dovrà essere sottoposto al giudizio. Chi poi dice al fratello: “Stupido”, dovrà essere sottoposto al sinedrio; e chi gli dice: “Pazzo”, sarà destinato al fuoco della Geènna.
23Se dunque tu presenti la tua offerta all’altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, 24lascia lì il tuo dono davanti all’altare, va’ prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna a offrire il tuo dono.
25Mettiti presto d’accordo con il tuo avversario mentre sei in cammino con lui, perché l’avversario non ti consegni al giudice e il giudice alla guardia, e tu venga gettato in prigione. 26In verità io ti dico: non uscirai di là finché non avrai pagato fino all’ultimo spicciolo!
27Avete inteso che fu detto: Non commetterai adulterio. 28Ma io vi dico: chiunque guarda una donna per desiderarla, ha già commesso adulterio con lei nel proprio cuore.
29Se il tuo occhio destro ti è motivo di scandalo, cavalo e gettalo via da te: ti conviene infatti perdere una delle tue membra, piuttosto che tutto il tuo corpo venga gettato nella Geènna. 30E se la tua mano destra ti è motivo di scandalo, tagliala e gettala via da te: ti conviene infatti perdere una delle tue membra, piuttosto che tutto il tuo corpo vada a finire nella Geènna.
31Fu pure detto: “Chi ripudia la propria moglie, le dia l’atto del ripudio”. 32Ma io vi dico: chiunque ripudia la propria moglie, eccetto il caso di unione illegittima, la espone all’adulterio, e chiunque sposa una ripudiata, commette adulterio.
33Avete anche inteso che fu detto agli antichi: “Non giurerai il falso, ma adempirai verso il Signore i tuoi giuramenti”. 34Ma io vi dico: non giurate affatto, né per il cielo, perché è il trono di Dio, 35né per la terra, perché è lo sgabello dei suoi piedi, né per Gerusalemme, perché è la città del grande Re. 36Non giurare neppure per la tua testa, perché non hai il potere di rendere bianco o nero un solo capello. 37Sia invece il vostro parlare: “Sì, sì”, “No, no”; il di più viene dal Maligno.
Parola del Signore

16.02.2014 - Commento al vangelo di S. Matteo cap. 5 par. 19-22

19. Legge antica e Legge nuova. Svellere la radice dell'omicidio, dell'adulterio e della menzogna
Di fronte ad un maestro che annunzia nuove dottrine, è profondamente psicologico che nella massa degli ascoltanti sorga un sentimento rivoluzionario, che trascende le idee del maestro. Nasce nell'anima un desiderio di novità che l'agita, un'insofferenza al giogo che la fa aspirare ad una libertà senza confine, ed essa sogna novelli orizzonti di felicità, spesso effimera.
Gesù Cristo, da Dio qual è, scrutò il cuore dei suoi ascoltatori, e prevenne nell'anima loro questa mossa della natura, affermando solennemente che Egli non veniva a sciogliere la Legge o i Profeti, ma veniva a compirli, che neppure un jota (o jod) della Legge, o una virgola sola sarebbe stata mutata, ma solo essa sarebbe stata compiuta, e quindi sarebbero svanite da essa le figure ed i simboli per dar luogo alla realtà, ben più grande di qualunque simbolo.
Chi si crederà autorizzato a violare anche il più piccolo precetto di Dio con la scusa del nuovo ordine, invece di parteciparvi sarà l'ultimo nel regno dei cieli; con queste parole Gesù Cristo annunzia le vie della santità e non solo di una santità esterna, come quella degli scribi e dei farisei, ma di una santità interiore, che tende alla perfezione dell'anima.
Egli dunque non propone una rivoluzione, ma promulga una legge di santità; non vuole abolire le pratiche esterne dei precetti di Dio ma vuole che siano accompagnate dalla vita interiore, non si contenta dell'osservanza dei precetti più gravi, ma vuole la perfezione.
20. Gesù e l'omicidio...
Gesù comincia a dare qualche esempio della giustizia che doveva essere santità interiore, a differenza della giustizia esteriore degli scribi e dei farisei e si richiama alla legge contro l'omicidio. Gli scribi e i farisei, gonfi del loro orgoglio, avevano in disprezzo gli altri: erano mormoratori, calunniatori, litigiosi, tenaci nell'odio e nell'invidia; credevano di essere irreprensibili sol perché si astenevano dal commettere omicidio. Andavano nel tempio in atteggiamenti d'ipocrita pietà e si gloriavano di portarvi l'offerta, senza pensare che a volte quella stessa oblazione era frutto di sopraffazioni e d'ingiustizie, senza pensare che con l'offerta portavano le maledizioni e le lacrime di quelli che essi avevano angariati.
Gesù leva la sua voce divina contro questa falsa santità che prescindeva completamente dalla carità e dalla giustizia, ed esclama che, se fino allora l'omicida era stimato degno d'essere condannato nel giudizio, ossia nel tribunale di ventitré giudici che risiedeva in ogni città per le piccole cause, d'ora innanzi chi si adirerà contro il suo fratello desiderandogli del male, sarà degno di essere condannato in giudizio, cioè commetterà una colpa reale, capace di pena, della quale Dio terrà conto nel suo giudizio. Chi poi nell'esplosione dell'ira aggiunge il disprezzo, dicendo al suo fratello raca, ossia testa vuota, imbecille, sarà reo di una colpa maggiore, simile a quelle che si giudicavano nel sinedrio.
Il sinedrio era un tribunale di settanta membri che giudicava le colpe d'idolatria, il delitto del sommo sacerdote, ecc., e comminava le pene più infamanti. Chiamare imbecille nell'ira il proprio fratello e disprezzarlo è dunque una colpa che offende Dio e copre l'anima d'infamia dinanzi al Signore che è carità. Chi infine chiamerà il suo fratello stolto, cioè secondo il significato ebraico, lo chiamerà scellerato, empio, maledetto da Dio, maledicendolo con ira e desiderandogli la maledizione di Dio, sarà condannato al fuoco della Geenna, cioè sarà colpevole di peccato mortale, passibile dell'inferno.
Non c'è dunque da confondersi per le parole di Gesù Cristo, né c'è da pensare che Egli parli per modo di dire; nella sua divina sapienza distingue le mancanze di carità, che sono frutto di ira e che possono indurre all'ira più grave, in mancanze veniali, più gravi e mortali. Quando si sente la responsabilità della carità, e si evita di ingiuriare il prossimo, non c'è pericolo che si possa trascendere in atti di violenza, e tanto meno nell'omicidio.
Gli scribi e farisei si contentavano di riprovare l'omicidio, cioè l'estremo atto esterno di violenza, Gesù Cristo invece condanna l'ira, la mancanza di carità e l'ingiuria, e vuole che più che preoccuparsi dell'omicidio, bisogna pensare a comparire innanzi a Dio col cuore pieno di carità e in armonia con tutti, bisogna sfuggire le liti ed accordarsi coi propri avversari, per evitare di avere dal giudice una condanna che serve poi a fomentare l'odio e le dissensioni; bisogna non solo stare in pace con tutti, ma togliere dal cuore altrui, per quanto è a noi possibile, le ragioni del dissidio e dell'avversità. Gesù Cristo infatti non c'impone solo di riconciliarci con colui che avversiamo, ma di riconciliarci con chi ci avversa, con chi ha qualche cosa contro di noi perché ha ricevuto da noi qualche torto o qualche ingiustizia. E logico che si debba lasciare il dono innanzi all'altare, e che prima di offrirlo si debba trovare la riconciliazione col fratello al quale abbiamo fatto del male; è logico, per noi cristiani, che non possiamo comunicarci se abbiamo coscienza di aver danneggiato o amareggiato ingiustamente un nostro fratello.
È chiaro che il precetto di Gesù Cristo non può riguardare quelli che ingiustamente ci avversano, e che stanno in astio contro di noi per la loro malignità.
In questi casi non siamo noi i colpevoli della mancanza di carità, e basterà cercare la riconciliazione se è possibile, o almeno pregare per chi ci avversa, come si vedrà in seguito. Sta poi nello spirito del precetto del Signore l'evitare ogni causa di dissidio, e il conservare sempre intatta la carità, anche a costo di un nostro sacrificio. Le liti non riescono mai di utilità, e l'ostinarsi nel dissidio può dare origine a spiacevoli conseguenze, passando così noi dalla ragione al torto. Al cuore ringhioso degli scribi e dei farisei, carichi di odio, Egli vuole sostituire il cuore placido e sereno del cristiano, pieno di rispetto per gli altri, di compatimento e di misericordia, e diciamo pure saggio e serio nella vita che guarda le cose da adulto e non da fanciullo, che sa passare sopra alle stoltezze e conservare il bene della pace.
21. L'adulterio
Dall'omicidio Gesù passa a parlare dell'adulterio, un altro peccato gravissimo, conseguenza di altri peccati. Non basta la legge che punisce l'adulterio, occorre la legge che ne evita le cause, e perciò il Redentore afferma che chiunque guarda una donna per desiderarla ha già commesso il peccato nel suo cuore, benché non l'abbia materialmente consumato. L'atto esterno, infatti, è conseguenza del peccato interno, e quando si è vigilanti sui propri occhi e sui desideri che suscitano, non c'è pericolo di cadere. Bisogna quindi evitare le occasioni, ed essere attenti a troncare energicamente quello che può attrarci al male. Gesù Cristo usa delle espressioni energiche, proprio per indicare che di fronte all'eterna salvezza, non ci si può indulgere in alcun modo con la natura.
Se una persona o un oggetto pericoloso ci fossero cari come l'occhio e la mano destra, non dovremmo esitare un momento solo a staccarcene, pur di evitare il peccato e la conseguente perdizione eterna. Non si può addurre come scusa della propria ostinazione la necessità e l'esigenza del cuore e della vita, perché per salvarsi eternamente bisogna avere il coraggio di recidere tutto quello che può farci cadere in peccato.
Tutto sta a non cedere alla natura, neppure per poco, soprattutto in quello che riguarda i peccati impuri; la più piccola condiscendenza all'occhio od alle mani, cioè al desiderio, all'immodestia ed al senso del tatto, può produrre una tentazione ed uno sconvolgimento tale, da non trattenere più l'anima sul precipizio. Bisogna essere fermi, soprattutto al principio delle tentazioni e nelle piccole cose, perché le piccole e continue vittorie sono quelle che ci attirano novelle grazie, e ci rendono tetragoni contro i maggiori assalti di satana.
Gesù Cristo va oltre, e per farci sfuggire anche le occasioni del male che potrebbero sembrare lecite, condanna quelle abitudini della medesima Legge ebraica, introdotte più come tolleranza che come regola di ordine. L'uomo che non voleva più convivere con la moglie, la rimandava con una dichiarazione detta libello del ripudio, con la quale la scioglieva dal vincolo coniugale. Era un uso che poteva anche sussistere quando i costumi erano corretti, e quando praticamente il libello del ripudio era una rara eccezione; ma col decadere della moralità, il libello del ripudio costituiva una vera occasione di pervertimento, e perciò Gesù lo condanna e lo abolisce. Chi ripudia la sua moglie, salvo il caso di fornicazione, cioè eccetto il caso che le sia legato con un vincolo di peccato, perché allora il ripudiarla sarebbe un dovere, la rende adultera lasciandola libera di stringere un nuovo legame, e chi sposa la ripudiata commette adulterio, profanando un vincolo che Dio non ha sciolto.
Gesù Cristo condanna così assolutamente il divorzio, come causa di peccati e di dissoluzione.
Egli riprova ogni degradazione di sensi, riconduce il matrimonio alla sua nobiltà, ridona alla donna la sua dignità, negando recisamente che essa sia oggetto di piacere, o termine di ammirazioni sensuali o sentimentali. Egli l'ammanta di maestoso pudore quando dice che chi la guarda semplicemente desiderandola, pecca, ed insiste con tanta forza sul dovere di allontanare ogni occasione di peccato, da usare quella similitudine tagliente di chi s'acceca d'un occhio o si mutila di una mano per evitare uno scandalo. Toglie ogni pretesto anche legale alla corruzione ed alla degradazione della donna, ed abolisce la legge del ripudio; vuole che la donna sia regina e madre nella casa e non sia come un oggetto di divertimento che si desidera e si abbandona come si vuole.
Ognuno vede come deve giudicare, non diciamo l'orrore dell'impurità cui si abbandonano oggi gli uomini e le donne, ma anche quello che si dice amore platonico, idealizzando così la degradazione dell'anima, e rendendo più tenace la degradazione dei sensi interni ed esterni, sfiorandoli di quello che potrebbe fame risaltare le brutture. Questi così detti amori platonici sono pieni di peccato di desiderio, sono catene di schiavitù spesso più tenaci, che nella stessa insoddisfazione dei sensi si ribadiscono e diventano perenni. Non c'è da illudersi: la creatura si può amare solo in Dio e per Dio, e per questo lo stesso amore coniugale è un Sacramento. Non si può amare una creatura concentrandosi in lei o attirandola a sé, perché noi siamo di Dio. Come? Tu uomo, avendo sposata una donna, la riguardi talmente come tua, da prendere le armi contro chi semplicemente la distrae da te, e credi di non commettere colpa attraendo a te una creatura di Dio e distraendola da Lui? Come puoi trarre la creatura nel tuo desolante vuoto, sottraendola alla pienezza soavissima del divino Amore? Che cosa le puoi dare tu se non parole, e spesso tempeste e pene spaventose? Se tu l'amassi veramente potresti tradirla fino al punto da devastarla? L'amore umano è sempre un ladro che ruba; è sempre un fuoco che consuma; è sempre un'inondazione che devasta, ruba a Dio ed all'anima, consuma ogni ricchezza del cuore e devasta ogni gioia ed ogni pace.
22. La menzogna...
Gesù Cristo, dopo aver divelto per così dire le radici stesse delle sopraffazioni dell'ira e dei sensi, sana dalle fondamenta la piaga della menzogna e della slealtà, che tanto nuoce alle reciproche relazioni tra gli uomini. Nell'antica Legge si credeva che si dovesse tener fede solo al giuramento, e per il continuo decadimento dei costumi si era giunti a tal punto da non parlare senza giurare. L'atto solenne del giuramento, ammesso solo in casi di eccezionale importanza, era ridotto così quasi come un intercalare. Gli scribi e farisei poi insegnavano che quando non si nominava esplicitamente Dio, non si era tenuti a mantenere quello che si era giurato, e con questo principio moltiplicavano i giuramenti falsi e la conseguente sfiducia fra gli uomini.
Gesù Cristo vuole che un cristiano sia talmente veritiero e leale da non aver bisogno né di giurare né d'imprecare per esempio al suo capo, non avendo egli dominio su se stesso, e non potendo fare bianco o nero uno dei suoi capelli imprecando. Il suo linguaggio deve essere decisamente vero: Sì, sì, no, no; qualunque altra parola viene dal male, cioè dalla diffidenza o dalla malafede, ed è soprattutto testimonianza del male che sta in noi, non essendo degni di essere creduti sulla semplice parola. Anche nell'infanzia chi giura non è il fanciullo buono incapace di cattive azioni, ma è quello cattivo al quale possono con facilità addebitarsi delle scappate, e al quale è più difficile prestare fede.

sabato 15 febbraio 2014

Audiolibro I quattro Vangeli - Capitoli 8, 9, 10, 11 e 12

Inseriti l'ottavo, il nono, il decimo, l'undicesimo e il dodicesimo capitolo del libro del Sac. Dolindo Ruotolo - "I quattro Vangeli" relativi al Vangelo secondo Matteo.

Il libro viene letto da una voce sintetizzata.

Li potete trovare al seguente indirizzo:
https://app.box.com/I-quattro-Vangeli

15.02.2014 - Vangelo Mc 8, 1-10

Dal Vangelo secondo San Marco
1In quei giorni, poiché vi era di nuovo molta folla e non avevano da mangiare, chiamò a sé i discepoli e disse loro: 2«Sento compassione per la folla; ormai da tre giorni stanno con me e non hanno da mangiare. 3Se li rimando digiuni alle loro case, verranno meno lungo il cammino; e alcuni di loro sono venuti da lontano». 4Gli risposero i suoi discepoli: «Come riuscire a sfamarli di pane qui, in un deserto?». 5Domandò loro: «Quanti pani avete?». Dissero: «Sette». 6Ordinò alla folla di sedersi per terra. Prese i sette pani, rese grazie, li spezzò e li dava ai suoi discepoli perché li distribuissero; ed essi li distribuirono alla folla. 7Avevano anche pochi pesciolini; recitò la benedizione su di essi e fece distribuire anche quelli. 8Mangiarono a sazietà e portarono via i pezzi avanzati: sette sporte. 9Erano circa quattromila. E li congedò. 10Poi salì sulla barca con i suoi discepoli e subito andò dalle parti di Dalmanutà.
 
Parola del signore

15.02.2014 - Commento al vangelo di S. Marco cap. 8 par. 2

2. La bontà di Gesù Cristo nel provvedere il suo popolo e la provvidenza divina nelle nazioni
Una grande moltitudine s'era radunata intorno a Gesù, e pendeva dalle sue labbra, dimenticando persino di provvedere al proprio sostentamento.
Da tre giorni lo seguiva, ed aveva esaurito ogni provvista che forse ancora aveva nei primi due giorni, di modo che a ritornare alle proprie case, tutti sarebbero venuti meno per la strada. Di che cosa doveva parlare Gesù per attrarre così il popolo? Certo non gli prometteva beni temporali, ma lo elevava ai beni eterni, e la sua parola era così piena di vita da elevare quelle anime fuori della povera cerchia umana, e da saziarle di felicità spirituale. Nessuno poteva parlare meglio di Lui degli eterni gaudi, poiché Egli era Dio, ed era immerso nella beatifica visione; ogni parola sua quindi era dardo di pace, di amore e di vita che saziava l'anima.
Il luogo dove la gente s'era radunata era diventato come un lembo di cielo, e si può dire che le esigenze della vita naturale s'erano ridotte al minimo.