4. A Betsaida Gesù guarisce un cieco
A Betsaida fu presentato a Gesù un cieco perché lo toccasse e lo risanasse; ma Egli non volle farlo innanzi a tutti e, presolo per mano, lo condusse fuori dal villaggio. Era ancora vivo il ricordo della moltiplicazione dei pani, ed il Redentore non volle che il popolo si entusiasmasse inutilmente, trascurando il bene dell'anima. Egli anzi non volle operare il miracolo in un momento, ma lo fece gradatamente, quasi fosse stata una guarigione naturale; non volle che un fatto impressionante avesse eccitato nella folla l'entusiasmo per il regno politico e terreno che credeva dovesse attendersi da Lui.
Il popolo aveva supplicato Gesù di toccare il cieco, ed Egli lo prese per mano, degnandosi di farsene Egli stesso la guida. Come dovette essere soave per il cieco dare la mano a Gesù, ed essere da Lui accompagnato fuori del frastuono del villaggio! Questa mano, bellissima e morbida, spirava carità, santità e purezza, e gli trasfondeva una grande dolcezza nel cuore, accendendogli maggiormente la fede, la speranza e l'amore. Gesù lo accompagnò fuori del villaggio per dargli tempo di raccogliersi, e tenendolo per mano gli fece sentire una grande attrazione ai beni eterni. In tal modo gli dava prima la vista dell'anima. Poi gli pose della saliva sugli occhi21 e gl'impose le mani, domandandogli se vedesse qualche cosa. Lo sputo non poteva essere una causa naturale della guarigione, ma Gesù si servì di quel mezzo per mostrare innanzi al popolo che applicava un rimedio e nascondere così la sua operazione divina. Probabilmente la saliva non fu messa sugli occhi ma dentro, mentre il cieco aveva dilatato le palpebre che poi si rinchiusero, e quella saliva benedetta cominciò a rischiarare gli occhi dell'infelice; per questo è detto nel Testo che il cieco, interrogato se vedesse qualche cosa, alzò gli occhi, aprì con un certo sforzo le palpebre e sollevò gli occhi che si erano istintivamente abbassati dopo aver ricevuto lo sputo. Girò intorno lo sguardo, lo fisso lontano verso la strada e disse che vedeva gli uomini come alberi che camminavano. Egli distingueva solo una massa eretta come un fusto, e questo gli richiamò in mente l'immagine degli alberi; evidentemente non doveva essere un cieco nato, poiché aveva l'idea del corpo umano e degli alberi. Gesù gl'impose nuovamente le mani sugli occhi, i quali subito furono completamente rischiarati e videro tutto distintamente; dopo di che lo accomiatò, raccomandandogli di non dire nel villaggio nulla di ciò che era avvenuto.
Noi ciechi nell'anima
Noi viviamo nel mondo e siamo accecati dalle sue massime e dalle sue illusioni; l'infelicità ci viene proprio dalla mancanza di orizzonti spirituali e dalla tenebrosa incertezza dei nostri passi. Che cosa terribile è la cecità interiore! Dobbiamo dare la mano a Gesù, farci condurre da Lui fuori del frastuono della vita materiale, disprezzare le cieche visuali umane, ed aprire gli occhi alla luce eterna. Gesù sputò sugli occhi accecati, e noi dobbiamo disprezzare lo sguardo nostro mondano, per vedere spiritualmente, disprezzandolo nell'unione e nello spirito del Redentore.
La vista dell'anima non si acquista in altro modo. Si sputa su ciò che si disprezza estremamente, quasi come ultima arma per ricacciarla da noi; Gesù sputò sulla cecità e la vinse, noi sputiamo sui falsi lumi nostri e vedremo nella luce di Gesù Cristo.
Al primo atto misericordioso del Signore, il povero cieco vide gli uomini come alberi che camminavano; occorse una seconda imposizione delle mani divine, perché vedesse tutto distintamente. Questo stesso può avvenire a noi nel riacquistare la vista spirituale; al principio non vediamo chiaramente, ed abbiamo bisogno di una continua intimità col Signore per discernere le cose per quelle che sono.
Quante anime all'inizio della loro vita spirituale scambiano gli oggetti della loro visione interiore, e s'illudono di giudicare rettamente, anzi infallibilmente! Il nostro giudizio è sempre un occhio annebbiato, e non ce ne possiamo fidare mai; dobbiamo perciò stare sempre alla guida di chi ha la missione di condurci nelle vie del Signore.
È possibile che il cieco abbia detto di vedere gli uomini come alberi che camminavano, per i riflessi di luce che, nel riacquistare la vista, gli dava la saliva che aveva negli occhi; forse Gesù gli impose di nuovo le mani anche per liberarne le pupille e rischiararle completamente.
Può avvenire nelle vie spirituali che la stessa luce che ci rischiara ci confonda per la debolezza del nostro sguardo interiore, e allora abbiamo bisogno della mano di Gesù, del sacerdote, che rischiari le nostre confusioni e ci faccia vedere tutto distintamente. Nella vita spirituale è grande danno la mancanza di visuali chiare; la confusione del nostro sguardo ci abbandona in balìa del nostro pensiero e delle nostre stoltezze, e facilmente possiamo andare fuori strada.
Gesù parla della sua Passione: lo sgomento di Pietro
Il cieco di Betsaida era un'immagine dei ciechi spirituali che circondavano Gesù; di essi alcuni, gli scribi e farisei, non vedevano addirittura, ed altri, gli apostoli e i discepoli, vedevano confusamente.
Era necessario uscire da quell'incertezza, e perciò Gesù, camminando, domandò ai suoi apostoli che cosa dicessero di Lui gli uomini. Essi risposero che alcuni lo credevano Giovanni Battista risuscitato, altri Elia ricomparso sulla terra, ed altri un profeta. Erano i ciechi che vedevano gli uomini come alberi, che confondevano il Verbo Incarnato con le creature. Subito dopo Gesù li interrogò dicendo: E voi chi credete che io sia? Era necessaria una dichiarazione esplicita di fede che li distinguesse dai ciechi, poiché essi dovevano illuminare gli altri, e san Pietro, illuminato particolarmente da Dio, rispose a nome di tutti: Tu sei il Cristo.
San Marco non ci parla dell'elogio che Gesù fece all'apostolo; forse questi glielo proibì per umiltà, e volle piuttosto che avesse accennato alla necessità della Passione, contro la quale egli aveva inconsciamente levata la voce.
La confessione aperta di san Pietro avrebbe dovuto essere promulgata dovunque; eppure Gesù proibì a tutti gli apostoli di parlarne, dicendo loro che era necessario che Egli soffrisse, morisse e risuscitasse dopo tre giorni. Si può domandare qui: perché il Redentore proibì che si annunziasse quello che Egli era?
Lo proibì per non suscitare prima del tempo da Lui voluto la persecuzione che doveva condurlo alla morte. Fu proprio la solenne confessione della sua divinità innanzi al sommo sacerdote che lo fece dichiarare colpevole di morte, ed Egli, che tutto conosceva, non voleva anticipare i tempi della divina volontà. Inoltre non voleva che un annunzio prematuro, fatto ad anime mal disposte, avesse provocato anche contro gli apostoli
una persecuzione che li avrebbe trovati impreparati, tanto impreparati, che san Pietro alla sola idea della Passione si fece ardito di trarre in disparte Gesù e di rimproverarlo distogliendolo dal patire.
Fu un momento impressionante: san Pietro per l'amore che portava al Maestro non voleva neppure pensare che Egli dovesse patire; avrebbe voluto, anzi, che avesse trionfato clamorosamente per confusione dei suoi nemici; Gesù invece, come dice il Sacro Testo, voltatosi e visti i suoi discepoli, visti cioè con infinito amore quelli per i quali voleva morire, quelli che senza la sua morte sarebbero tutti periti, rimproverò Pietro chiamandolo satana, tentatore, poiché in quel momento non aveva più la sapienza di Dio ma quella degli uomini. Fu incerto tra l'amore umano e quello divino, fra la natura che rifuggiva dal dolore, e l'Uomo Dio che voleva abbracciarlo per redimere; san Pietro che aveva parlato soprannaturalmente nel confessare la divinità, parla ora naturalmente nel ripudiare il dolore come mezzo di redenzione, ed è ripreso severamente perché il dolore è via della gloria eterna. Perciò Gesù, chiamati a sé tutti quelli che lo circondavano, la turba ed i discepoli, promulgò quella legge di ammirabile economia di grazia che è il fondamento della vita cristiana: Se alcuno vuol seguirmi, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua.
Pretendere di sfuggire al dolore salutare, che ci fa veramente calcare le orme del Maestro divino, non significa salvare la vita ma perderla, non significa provvedere all'anima ma comprometterne l'eterna felicità.
A che cosa gioverebbe guadagnare anche tutto il mondo se dovesse perdersi l'anima? Che cosa potrebbe dare l'uomo in cambio dell'anima una volta che l'avesse perduta?
Gesù parlò con vigore a san Pietro ed a tutti perché il rimprovero che gli aveva fatto l'apostolo dissuadendolo dal patire rivelava in lui una grande deficienza spirituale: egli non voleva trovarsi coinvolto in un movimento di persecuzione, e l'aver sentito che il Maestro doveva subire la lotta dagli anziani, dai principi dei sacerdoti e dagli scribi, cioè dall'autorità allora costituita, l'aveva fatto tremare al pensiero di potere essere arrestato e sottoposto a processo.
Rifuggiva dal dolore, e non voleva la Passione, rifuggiva dalla compromissione legale, e non voleva trovarsi in una persecuzione; egli rivelava fin d'allora la debolezza del suo spirito che lo condusse al rinnegamento del Maestro nella casa di Caifa.
Gesù Cristo alla sua ripugnanza oppose la legge dell'abnegazione cristiana, al suo timore oppose la necessità di non vergognarsi di Lui e di confessarlo innanzi agli uomini, minacciando, in caso opposto, di rinnegare Egli stesso innanzi al Padre chi lo avesse rinnegato innanzi agli uomini.
Fu un momento di grave dolore per san Pietro, un momento nel quale gli sembrò che tutto ciò che aveva sperato dal Redentore crollasse, e che tutto fosse una chimera. Psicologicamente così avviene nelle anime che sposano un ideale e lo vedono tramontare in un momento.
Di che cosa parlava oramai Gesù? Di passione, di uccisione, di morte, di rinnegamento di se stessi e, al di fuori della promessa della risurrezione, che dovette sfuggire a san Pietro nell'ansia dell'annunzio doloroso, non vedeva che un orizzonte tenebroso, che gli fece vedere tutto come tramontato; perciò Gesù, con delicatezza, rispondendo alle ansie di lui esclamò: Vi dico in verità che vi sono alcuni degli astanti che non morranno fino a tanto che non vedano venire il regno di Dio con potenza.
Egli voleva dire: non crediate che le vostre speranze siano fallite, o che si dovranno realizzare in un tempo lontanissimo; vi dico invece che alcuni di quelli che mi ascoltano vedranno venire il regno di Dio con potenza, cioè vedranno il trionfo della verità, e il dilatarsi nel mondo del regno di Dio con la potenza della parola e dei miracoli, come difatti avvenne,
giacché san Giovanni evangelista e molti discepoli del Signore videro la dilatazione della Chiesa con potenza, nonostante l'opposizione e le persecuzioni che le suscitarono contro i nemici.
Gesù Cristo rimproverò duramente san Pietro, dicendogli che, dissuadendolo dal patire non aveva la sapienza di Dio ma quella degli uomini. Lo stesso rimprovero meritiamo noi quando non sappiamo apprezzare le vie dell'immolazione. La sapienza umana vede la grandezza nel trionfo, la sapienza di Dio la vede nel sacrificio; nel dolore mettono salde radici le opere del Signore, mentre le opere umane nel frastuono dei trionfi si esauriscono e decadono.
Il mondo non può intendere questa sapienza perché tende al trionfo dell'orgoglio, ma il Signore tende al trionfo dei suoi disegni che sono disegni di amore.
Professiamo a fronte alta la nostra fede, poiché questo solo è per noi vera grandezza, e prepariamoci con una vita santa al trionfo eterno.
A Betsaida fu presentato a Gesù un cieco perché lo toccasse e lo risanasse; ma Egli non volle farlo innanzi a tutti e, presolo per mano, lo condusse fuori dal villaggio. Era ancora vivo il ricordo della moltiplicazione dei pani, ed il Redentore non volle che il popolo si entusiasmasse inutilmente, trascurando il bene dell'anima. Egli anzi non volle operare il miracolo in un momento, ma lo fece gradatamente, quasi fosse stata una guarigione naturale; non volle che un fatto impressionante avesse eccitato nella folla l'entusiasmo per il regno politico e terreno che credeva dovesse attendersi da Lui.
Il popolo aveva supplicato Gesù di toccare il cieco, ed Egli lo prese per mano, degnandosi di farsene Egli stesso la guida. Come dovette essere soave per il cieco dare la mano a Gesù, ed essere da Lui accompagnato fuori del frastuono del villaggio! Questa mano, bellissima e morbida, spirava carità, santità e purezza, e gli trasfondeva una grande dolcezza nel cuore, accendendogli maggiormente la fede, la speranza e l'amore. Gesù lo accompagnò fuori del villaggio per dargli tempo di raccogliersi, e tenendolo per mano gli fece sentire una grande attrazione ai beni eterni. In tal modo gli dava prima la vista dell'anima. Poi gli pose della saliva sugli occhi21 e gl'impose le mani, domandandogli se vedesse qualche cosa. Lo sputo non poteva essere una causa naturale della guarigione, ma Gesù si servì di quel mezzo per mostrare innanzi al popolo che applicava un rimedio e nascondere così la sua operazione divina. Probabilmente la saliva non fu messa sugli occhi ma dentro, mentre il cieco aveva dilatato le palpebre che poi si rinchiusero, e quella saliva benedetta cominciò a rischiarare gli occhi dell'infelice; per questo è detto nel Testo che il cieco, interrogato se vedesse qualche cosa, alzò gli occhi, aprì con un certo sforzo le palpebre e sollevò gli occhi che si erano istintivamente abbassati dopo aver ricevuto lo sputo. Girò intorno lo sguardo, lo fisso lontano verso la strada e disse che vedeva gli uomini come alberi che camminavano. Egli distingueva solo una massa eretta come un fusto, e questo gli richiamò in mente l'immagine degli alberi; evidentemente non doveva essere un cieco nato, poiché aveva l'idea del corpo umano e degli alberi. Gesù gl'impose nuovamente le mani sugli occhi, i quali subito furono completamente rischiarati e videro tutto distintamente; dopo di che lo accomiatò, raccomandandogli di non dire nel villaggio nulla di ciò che era avvenuto.
Noi ciechi nell'anima
Noi viviamo nel mondo e siamo accecati dalle sue massime e dalle sue illusioni; l'infelicità ci viene proprio dalla mancanza di orizzonti spirituali e dalla tenebrosa incertezza dei nostri passi. Che cosa terribile è la cecità interiore! Dobbiamo dare la mano a Gesù, farci condurre da Lui fuori del frastuono della vita materiale, disprezzare le cieche visuali umane, ed aprire gli occhi alla luce eterna. Gesù sputò sugli occhi accecati, e noi dobbiamo disprezzare lo sguardo nostro mondano, per vedere spiritualmente, disprezzandolo nell'unione e nello spirito del Redentore.
La vista dell'anima non si acquista in altro modo. Si sputa su ciò che si disprezza estremamente, quasi come ultima arma per ricacciarla da noi; Gesù sputò sulla cecità e la vinse, noi sputiamo sui falsi lumi nostri e vedremo nella luce di Gesù Cristo.
Al primo atto misericordioso del Signore, il povero cieco vide gli uomini come alberi che camminavano; occorse una seconda imposizione delle mani divine, perché vedesse tutto distintamente. Questo stesso può avvenire a noi nel riacquistare la vista spirituale; al principio non vediamo chiaramente, ed abbiamo bisogno di una continua intimità col Signore per discernere le cose per quelle che sono.
Quante anime all'inizio della loro vita spirituale scambiano gli oggetti della loro visione interiore, e s'illudono di giudicare rettamente, anzi infallibilmente! Il nostro giudizio è sempre un occhio annebbiato, e non ce ne possiamo fidare mai; dobbiamo perciò stare sempre alla guida di chi ha la missione di condurci nelle vie del Signore.
È possibile che il cieco abbia detto di vedere gli uomini come alberi che camminavano, per i riflessi di luce che, nel riacquistare la vista, gli dava la saliva che aveva negli occhi; forse Gesù gli impose di nuovo le mani anche per liberarne le pupille e rischiararle completamente.
Può avvenire nelle vie spirituali che la stessa luce che ci rischiara ci confonda per la debolezza del nostro sguardo interiore, e allora abbiamo bisogno della mano di Gesù, del sacerdote, che rischiari le nostre confusioni e ci faccia vedere tutto distintamente. Nella vita spirituale è grande danno la mancanza di visuali chiare; la confusione del nostro sguardo ci abbandona in balìa del nostro pensiero e delle nostre stoltezze, e facilmente possiamo andare fuori strada.
Gesù parla della sua Passione: lo sgomento di Pietro
Il cieco di Betsaida era un'immagine dei ciechi spirituali che circondavano Gesù; di essi alcuni, gli scribi e farisei, non vedevano addirittura, ed altri, gli apostoli e i discepoli, vedevano confusamente.
Era necessario uscire da quell'incertezza, e perciò Gesù, camminando, domandò ai suoi apostoli che cosa dicessero di Lui gli uomini. Essi risposero che alcuni lo credevano Giovanni Battista risuscitato, altri Elia ricomparso sulla terra, ed altri un profeta. Erano i ciechi che vedevano gli uomini come alberi, che confondevano il Verbo Incarnato con le creature. Subito dopo Gesù li interrogò dicendo: E voi chi credete che io sia? Era necessaria una dichiarazione esplicita di fede che li distinguesse dai ciechi, poiché essi dovevano illuminare gli altri, e san Pietro, illuminato particolarmente da Dio, rispose a nome di tutti: Tu sei il Cristo.
San Marco non ci parla dell'elogio che Gesù fece all'apostolo; forse questi glielo proibì per umiltà, e volle piuttosto che avesse accennato alla necessità della Passione, contro la quale egli aveva inconsciamente levata la voce.
La confessione aperta di san Pietro avrebbe dovuto essere promulgata dovunque; eppure Gesù proibì a tutti gli apostoli di parlarne, dicendo loro che era necessario che Egli soffrisse, morisse e risuscitasse dopo tre giorni. Si può domandare qui: perché il Redentore proibì che si annunziasse quello che Egli era?
Lo proibì per non suscitare prima del tempo da Lui voluto la persecuzione che doveva condurlo alla morte. Fu proprio la solenne confessione della sua divinità innanzi al sommo sacerdote che lo fece dichiarare colpevole di morte, ed Egli, che tutto conosceva, non voleva anticipare i tempi della divina volontà. Inoltre non voleva che un annunzio prematuro, fatto ad anime mal disposte, avesse provocato anche contro gli apostoli
una persecuzione che li avrebbe trovati impreparati, tanto impreparati, che san Pietro alla sola idea della Passione si fece ardito di trarre in disparte Gesù e di rimproverarlo distogliendolo dal patire.
Fu un momento impressionante: san Pietro per l'amore che portava al Maestro non voleva neppure pensare che Egli dovesse patire; avrebbe voluto, anzi, che avesse trionfato clamorosamente per confusione dei suoi nemici; Gesù invece, come dice il Sacro Testo, voltatosi e visti i suoi discepoli, visti cioè con infinito amore quelli per i quali voleva morire, quelli che senza la sua morte sarebbero tutti periti, rimproverò Pietro chiamandolo satana, tentatore, poiché in quel momento non aveva più la sapienza di Dio ma quella degli uomini. Fu incerto tra l'amore umano e quello divino, fra la natura che rifuggiva dal dolore, e l'Uomo Dio che voleva abbracciarlo per redimere; san Pietro che aveva parlato soprannaturalmente nel confessare la divinità, parla ora naturalmente nel ripudiare il dolore come mezzo di redenzione, ed è ripreso severamente perché il dolore è via della gloria eterna. Perciò Gesù, chiamati a sé tutti quelli che lo circondavano, la turba ed i discepoli, promulgò quella legge di ammirabile economia di grazia che è il fondamento della vita cristiana: Se alcuno vuol seguirmi, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua.
Pretendere di sfuggire al dolore salutare, che ci fa veramente calcare le orme del Maestro divino, non significa salvare la vita ma perderla, non significa provvedere all'anima ma comprometterne l'eterna felicità.
A che cosa gioverebbe guadagnare anche tutto il mondo se dovesse perdersi l'anima? Che cosa potrebbe dare l'uomo in cambio dell'anima una volta che l'avesse perduta?
Gesù parlò con vigore a san Pietro ed a tutti perché il rimprovero che gli aveva fatto l'apostolo dissuadendolo dal patire rivelava in lui una grande deficienza spirituale: egli non voleva trovarsi coinvolto in un movimento di persecuzione, e l'aver sentito che il Maestro doveva subire la lotta dagli anziani, dai principi dei sacerdoti e dagli scribi, cioè dall'autorità allora costituita, l'aveva fatto tremare al pensiero di potere essere arrestato e sottoposto a processo.
Rifuggiva dal dolore, e non voleva la Passione, rifuggiva dalla compromissione legale, e non voleva trovarsi in una persecuzione; egli rivelava fin d'allora la debolezza del suo spirito che lo condusse al rinnegamento del Maestro nella casa di Caifa.
Gesù Cristo alla sua ripugnanza oppose la legge dell'abnegazione cristiana, al suo timore oppose la necessità di non vergognarsi di Lui e di confessarlo innanzi agli uomini, minacciando, in caso opposto, di rinnegare Egli stesso innanzi al Padre chi lo avesse rinnegato innanzi agli uomini.
Fu un momento di grave dolore per san Pietro, un momento nel quale gli sembrò che tutto ciò che aveva sperato dal Redentore crollasse, e che tutto fosse una chimera. Psicologicamente così avviene nelle anime che sposano un ideale e lo vedono tramontare in un momento.
Di che cosa parlava oramai Gesù? Di passione, di uccisione, di morte, di rinnegamento di se stessi e, al di fuori della promessa della risurrezione, che dovette sfuggire a san Pietro nell'ansia dell'annunzio doloroso, non vedeva che un orizzonte tenebroso, che gli fece vedere tutto come tramontato; perciò Gesù, con delicatezza, rispondendo alle ansie di lui esclamò: Vi dico in verità che vi sono alcuni degli astanti che non morranno fino a tanto che non vedano venire il regno di Dio con potenza.
Egli voleva dire: non crediate che le vostre speranze siano fallite, o che si dovranno realizzare in un tempo lontanissimo; vi dico invece che alcuni di quelli che mi ascoltano vedranno venire il regno di Dio con potenza, cioè vedranno il trionfo della verità, e il dilatarsi nel mondo del regno di Dio con la potenza della parola e dei miracoli, come difatti avvenne,
giacché san Giovanni evangelista e molti discepoli del Signore videro la dilatazione della Chiesa con potenza, nonostante l'opposizione e le persecuzioni che le suscitarono contro i nemici.
Gesù Cristo rimproverò duramente san Pietro, dicendogli che, dissuadendolo dal patire non aveva la sapienza di Dio ma quella degli uomini. Lo stesso rimprovero meritiamo noi quando non sappiamo apprezzare le vie dell'immolazione. La sapienza umana vede la grandezza nel trionfo, la sapienza di Dio la vede nel sacrificio; nel dolore mettono salde radici le opere del Signore, mentre le opere umane nel frastuono dei trionfi si esauriscono e decadono.
Il mondo non può intendere questa sapienza perché tende al trionfo dell'orgoglio, ma il Signore tende al trionfo dei suoi disegni che sono disegni di amore.
Professiamo a fronte alta la nostra fede, poiché questo solo è per noi vera grandezza, e prepariamoci con una vita santa al trionfo eterno.
Sac. Dolindo Ruotolo
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