Gesù Cristo entrò in casa di uno dei principi dei farisei in giorno di sabato, per prendervi cibo. Era stato invitato da lui, forse, per aver modo di trovarlo in fallo, giacché è detto nel Sacro Testo che gli tenevano gli occhi addosso.
In una casa di un principe dei farisei non era meraviglia che vi si trovassero molti ostili al Redentore, pronti ad appuntarlo. Essi sapevano che Egli non dava importanza ai loro usi nel mangiare e, per avere di che rimproverarlo, lo invitavano a pranzo.
La sala dei banchetti era aperta a tutti, e fu facile ad un povero idropico penetrarvi e presentarsi a Gesù. Egli non domandò nulla, per timore dei farisei, ricordando forse la raccomandazione del capo della sinagoga (13,14) di non farsi curare in giorno di sabato, ma stette avanti a Gesù ed attese la sua misericordia. Dal contesto si rileva che l'idropico non era stato introdotto nel banchetto dai farisei, e che doveva credere in Gesù, dato che ne fu guarito.
Il Redentore, rivolto ai dottori della Legge che erano presenti ed ai farisei, domandò loro: E lecito guarire in giorno di sabato? Con questa domanda li pose in imbarazzo, giacché essi sapevano che il guarire non era opera servile e sapevano che il riprovare in giorno di sabato un atto di carità era lo stesso che condannarsi. Perciò tacquero. E evidente dalle parole di Gesù che, pur tacendo, essi erano contrari a far guarire uno in giorno di sabato, non tanto per amore della Legge, quanto per ostilità verso il Signore, e vedendo che Egli, difatti, guarì l'idropico, fecero segni di riprovazione, e mormorarono nel loro cuore. Perciò Gesù rispondendo ai loro pensieri disse: Chi di voi, se gli cade l 'asino od il bue nel pozzo il giorno di sabato non lo estrae subito?
I pozzi allora erano senza parapetti, coperti solo da una pietra quando non servivano; era dunque possibile che un asino od un bue vi cadessero dentro. Ora come poteva dirsi lecito salvare una bestia dall'acqua, e credere poi illecito salvare un uomo da un malanno d'idropisia?
I primi posti...
I farisei non poterono rispondergli nulla, ma si mostrarono contrariati di quella umiliazione subita e, mettendosi a tavola, quasi per rifarsene, ebbero cura di prendere i primi posti. E probabile che qualcuno di essi fosse stato invitato, allora stesso, dal capo di famiglia a cedere il posto che spettava ad altri più degni, e che ne avesse fatto lagnanza, perché Gesù rivolse la parola a tutti e cominciò ad esortarli a prendere l'ultimo posto se non per virtù, almeno per non fare una brutta figura innanzi agli altri.Certo Gesù voleva spingerli a cercare l'ultimo posto per umiltà vera e sentita, ma i suoi commensali non erano capaci di tanto, e si contentò di convincerli almeno con un motivo umano. Con questo volle in certo modo promulgare e sanzionare quelle regole di buona creanza, che sono una certa preparazione e disposizione alla virtù vera, perché rappresentano sempre un dominio sulle proprie debolezze ed un primo abbozzo della carità verso gli altri.
È importante, infatti, anche ai fini della virtù, disciplinare le proprie azioni con la sana educazione e il galateo. La virtù vera produce sempre un modo di agire delicato e gentile, ma quando la virtù manca e non si è ancora formata, il modo delicato e gentile produce nell'anima una disposizione naturale che può facilitare, poi, l'azione della grazia. Gesù Cristo non esorta ad operare per un fine naturale, è evidente, ma a constatare che la mancanza di virtù induce una mancanza di forme esterne che raccolgono il disprezzo degli altri. Ai farisei, del resto, che operavano solo per essere onorati innanzi a tutti, era questo il motivo per indurli a smettere quei loro atteggiamenti tracotanti e superbi, che tanto male tacevano all'anima loro.
Il galateo, base della virtù
Forse se alle anime principianti nella virtù s'insegnasse il galateo ne guadagnerebbe la stessa virtù; il galateo è come un abito decente posto addosso ad un povero uomo del volgo, è una spinta a cambiare certe abitudini disordinate, contratte a volte dalla nascita, con abitudini più decorose e l'incivilimento della vita che è poi utilizzato dal Signore per l'elevazione dello spirito, è il primo dirozzamento della natura che si dona a Dio, è un tratto di nobiltà insegnato a chi non ha l'abito della gentilezza.Insegnando a scegliere l'ultimo posto negl'inviti, Gesù notò che alla tavola del fariseo c'erano tutte persone di riguardo, le quali perciò facevano a gara a prendere i primi posti.
Era una vana ostentazione della propria eccellenza, ed un profondersi in cerimonie fatte per pura convenienza. Gesù scrutava i cuori e vedeva il retroscena di quegl'inviti fatti per opportunismo, per disobbligo, per obbligare gli altri, e sentì in quel pranzo tutta l'assenza agghiacciante di ogni fine gentile e soprannaturale; perciò, rivolto al fariseo che lo aveva invitato, lo esortò, per un'altra volta che volesse fare un pranzo, ad invitarvi i poveri, gli storpi, gli zoppi e i ciechi, per averne merito poi innanzi a Dio nella vita eterna.
Esortandolo così, Gesù gli rendeva un servigio spirituale, e lo indirizzava per la via del vero bene, dandogli Egli stesso un contraccambio prezioso dell'invito che in quel giorno aveva avuto.
I pranzi e le feste
L'esortazione di Gesù al fariseo è preziosissima per noi, e ci guida in quello che è uso comunissimo tra tutte le genti: i pranzi fatti nelle feste e nelle solennità. Gesù non condanna un pranzo, fatto anche per accrescere la letizia di una festa, ma ci esorta a non renderlo una misera speculazione di orgoglio o d'interesse personale. Egli vuole che alle nostre feste partecipino i poveri e gl'infelici, e non dice proprio letteralmente di invitarli a pranzo, il che pure sarebbe lodevole, ma di renderli partecipi della nostra gioia.Un pranzo non può ridursi, evidentemente, ad una scorpacciata, il che sarebbe cosa indegna; è come un accrescimento della famiglia fatto con persone care ed è un'effusione di generosità, poiché la gioia è naturalmente espansiva.
Ora noi siamo tutti figli del Padre celeste, ed è giusto che facciamo usufruire della nostra generosità quelli che ne hanno più bisogno. Oh, se si capisse quale vantaggio porta la carità e quanta benedizione portano con loro i poveri nelle nostre feste, non faremmo mai mancare in esse la beneficenza e la carità. È così che i pranzi non si riducono ad un più o meno larvato epicureismo, ed è così che la povera gioia della terra si muta in gioia del cielo.
Sac. Dolindo Ruotolo
Nessun commento:
Posta un commento