domenica 4 settembre 2016

04.09.2016 - Commento al vangelo di S. Luca cap. 14 par. 3

3. La grande cena preparata da Dio alle sue creature nella redenzione e la via per giungervi

Quando Gesù esortò il fariseo a invitare a pranzo i poveri, gli storpi, gli zoppi ed i ciechi, pensò certamente al grande invito del Padre celeste alle sue creature nella redenzione, e parlò con tanta profonda tenerezza che uno dei commensali ne fu colpito, intuì il suo pensiero ed esclamò: Beato colui che mangerà il pane nel regno di Dio.

Egli aveva dovuto sentire altre volte Gesù parlare del regno eterno come di un convito (Mt 22,1-14), ed ascoltandolo ora, se ne ricordò, e con quella esclamazione glielo ricordò per ascoltare ancora dalle sue labbra una bella parabola. È profondamente psicologico, giacché noi amiamo sentir ripetere da quelli che sanno parlare i discorsi nei quali trasfondono maggiormente la loro vita, e quelli che più li interessano. Gesù che sapeva d'essere venuto a dare agli uomini un banchetto celeste, non poteva parlare di questo soggetto senza sentire nel Cuore e trasfondere nelle parole tutta la sua tenerezza.

Egli lesse nel cuore del commensale il desiderio di riascoltare il racconto, ed esclamò: Un uomo fece una grande cena ed invitò molti. Stando a tavolar la parabola prendeva un carattere più vivo e Gesù la raccontò volentieri per trarre da quel banchetto un insegnamento salutare.

Gl'inviti ad un pranzo, presso gli Ebrei, si facevano molto tempo prima; quando, poi, si avvicinava l'ora del convito e tutto era pronto, si mandavano i servi ad avvertire e ad accompagnare i commensali. Perciò Gesù soggiunse che il padrone della casa all'ora della cena mandò un servo a chiamare gl'invitati, dicendo loro che il desinare era pronto. Tutti però molto scortesemente cominciarono a scusarsi; s'erano così poco dato pensiero del banchetto, che avevano proprio in quel giorno stabilito di dar corso ai loro affari, e uno di essi addirittura di sposare.

Uno disse che aveva comprato un podere e doveva andare a vederlo, un altro che aveva comprato cinque paia di buoi ed aveva necessità di provarli, un terzo disse più recisamente e più scortesemente che aveva preso moglie e perciò non poteva venire. Gli altri usarono una certa forma nel rifiutare, e dissero al servo: Di grazia, abbimi per scusato, ma chi aveva preso moglie, frastornato come era ed impegnato al suo banchetto nuziale, disse recisamente che non poteva venire.

Il padrone ne fu sdegnato. Chi prepara con amore un banchetto fa spese insolite e si stanca in un maggior lavoro, ha quindi piacere che si mangi. A volte prepara anche qualche sorpresa, qualche cibo ricercato, e sta tutto preoccupato di riceverne gli elogi e di vederlo gustare. Nel suo dispiacere, non volendo che si perdesse ciò che aveva preparato, disse al servo di andare per le piazze e per le contrade della città e raccogliere i poveri, gli storpi, i ciechi e gli zoppi, invitandoli a venire essi a mangiare; solo questi infelici, infatti, all'ora di pranzo potevano trovarsi in bisogno a trattenersi sulle pubbliche vie in cerca di carità.

Il servo li chiamò, ma, essendovi ancora posto, il padrone gli ordinò di andare a raccogliere per le strade di campagna, fiancheggiate dalle siepi, altri poveri abbandonati, e forzarli con modi affettuosi a venire al banchetto. Lungo le siepi, infatti, ci potevano essere solo i poveri più abbandonati, i quali avevano vergogna di comparire in pubblico, o temevano di essere vessati per qualche loro malanno, ed essi dovevano essere sforzati ad entrare.

Così si riempì la sala del banchetto, e il padrone protestò che nessuno di quelli che avevano rifiutato l'invito avrebbe assaggiato la sua cena.

Questa sua protesta potrebbe apparire inutile dato che essi avevano già rifiutato, ma Gesù volle dire che chi rifiuta il banchetto della vita, nel giudizio universale si accorge di avere errato, inutilmente desidera allora di prendervi parte, giacché allora sarà per sempre finito il tempo della prova.

La chiusa della parabola riguarda la sua applicazione spirituale, e l'applicazione Gesù non la fece, perché altre volte l'aveva fatta, e per non urtare i farisei che erano presenti.

L'uomo che fece la grande cena è il Dio che preparò grandi grazie ai suoi fedeli con la redenzione, e v'invitò prima di tutto il popolo eletto. Ma Israele, distratto dalle sue aspirazioni materiali, dai beni terreni e dalle aspirazioni sensuali, non ricevette l'invito e rifiutò le grazie. Dio allora mandò i suoi apostoli per tutta la terra tra i pagani, poveri di grazie, storpi nella vita, ciechi perché privi della verità, e zoppi perché incapaci di muoversi soprannaturalmente, a raccogliere fra essi i novelli invitati alla grande cena.

I pagani risposero all'invito, ma, poiché vi sarà ancora luogo per completare il numero degli eletti, Dio manderà i suoi servi negli ultimi tempi a chiamare alla fede i popoli più poveri e più lontani, i selvaggi che abitano nelle foreste e le genti più abbandonate, e li raccoglierà nella Chiesa, banchetto di vita, e nel suo regno, banchetto di eterna Gloria. Dio li sforzerà ad entrare non con la violenza ma con grandi grazie, e li farà entrare non contro la loro volontà, ma conquidendoli con la misericordia e con la carità.

Gli inviti di Dio

Abbiamo, perciò, tre inviti al banchetto delle grazie: quello fatto per amicizia al popolo eletto, quello fatto per misericordia ai pagani, e quello fatto per eccesso di bontà ai popoli selvaggi; Dio che ama donarsi alle sue creature per renderle felici, e che si dona rispettando la loro libertà, non ha limiti nella sua misericordia, e chiama continuamente alla vita, elargendo ad altri popoli le grazie rifiutate da quelli che sono invitati per primi.

La moderna disagiatissima civiltà, fatta tutta di aspirazioni materiali, di traffici e di piaceri brutali, apostata da Dio, rifiuta il Banchetto della vita. Il Signore, allora, chiama i cosiddetti popoli incivili, li fa partecipi delle grazie, e mostra che innanzi a Lui non ci sono differenze di razze o di condizioni, e che Egli non è accettatore di persone.

Grande cena del Signore è il Banchetto eucaristico, cena mirabile di grazie, alla quale Egli invita le anime. Com'è vergognoso l'atteggiamento di queste innanzi ad un dono così grande! Alcune, prese dalle preoccupazioni della vita materiale, dicono di non potervi andare, e perdono il loro tempo nell'acquisto insaziato di beni terreni; altre, assorte nei commerci, non sanno trattare che di buoi, di maiali, di stoffe, di mercanzie, e perdono miseramente l'ineffabile tesoro della Comunione; altre, infine, si lasciano trascinare dal vortice della vita sensuale e non sanno apprezzare i tesori ammirabili della vita eucaristica.

È penosissimo vedere deserto l'altare, banchetto di immensa felicità, ed è penosissimo vedere le povere creature perdersi miseramente nelle stupidissime e molte volte mortali gioie terrene! Quando si pensa al movimento della vita c'è davvero da piangere pensando agl'innumerevoli infelici che in essa si agitano e si dilaniano. Quanti uomini sono lontani dai Sacramenti, quanti cercano come conforto della vita quello che la dilania, quanti vivono da disperati nel tempo e nell'eternità! Noi che abbiamo la sorte di servire il Padre celeste, non dobbiamo mai stancarci d'invitare le anime al Banchetto della vita, e non dobbiamo mancare mai all'invito giornaliero alla Mensa celeste, per potere un giorno partecipare alla Mensa eterna nella gloria.

Gesù uscì dal banchetto del fariseo accorato, pensando alla diversità dei pensieri degli uomini dai suoi pensieri ed alla causa per la quale tanti non rispondono agl'inviti di Dio. Perciò, essendosi radunata gran turba di popolo intorno a Lui, cominciò a dire apertamente che era impossibile conciliare i propri pensieri ed i propri interessi coi pensieri di Dio e con gl'interessi eterni, ed esclamò: Se uno viene a me e non odia suo padre, sua madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e persino la sua vita, non può essere mio discepolo. E chi non porta la sua croce e mi segue, non può essere mio discepolo.

È evidente che Gesù Cristo non insinua d'odiare i propri cari, ma di avversarli completamente quando si oppongono o ci sono di ostacolo alle vie del cielo. Egli parla delle parentele più strette e persino della propria vita, per parlare degli interessi che ci sono cari, come può esserci caro il padre, la madre, ecc. e persino la nostra vita. Nel medesimo senso Egli disse altra volta che bisognava strapparsi l'occhio, la mano, il piede, ecc. se sono causa di scandalo.

Può avvenire che i genitori stessi e le persone più care siano contrarie agl'interessi di Dio, ed allora è per noi necessario odiarli, cioè stare ai loro antipodi, e seguire una via perfettamente opposta alla loro; ma Gesù vuol dire, in generale, che quello che ci è caro od a cui siamo attaccati in opposizione ai precetti od alla volontà di Dio, deve essere da noi rifiutato ed avversato come chi odia un altro.

L'odio infatti, stabilendo una divisione completa fra due persone e rendendole inconciliabili, è l'espressione più efficace della nostra divisione dal mondo, dallo spirito del mondo e da tutto quello che ci attrae in opposizione ai precetti ed all'amore di Gesù.

E necessario rinnegarsi, e persuadersi che non si può abbracciare la Legge del Redentore, senza abbracciare la propria croce e seguirlo nelle vie dell'immolazione e del Calvario. È questo un fondamento imprescindibile per chi vuole veramente essere perfetto e raggiungere il Paradiso.

La risposta attenta e seria all'invito di Dio
Con due parabole Gesù mostra che cosa è la vita cristiana, e con quanta ponderazione e serietà debba abbracciarsi: chi edifica una torre, calcola prima, seduto al tavolo, e quindi con ogni attenzione, le spese che sono necessarie per completarla, per non esporsi alla derisione degli altri, cominciandola e non terminandola. Un re che vuole muovere guerra ad un altro re si raccoglie prima per vedere se le sue forze sono sufficienti per vincere, diversamente cerca di venire a trattative di pace. La vita cristiana è, dunque, un edificio che s'innalza ed una guerra che s'ingaggia; richiede grande ponderazione e grande forza di animo, ponderazione e forza che si ottengono dalla divina bontà rinnegandosi e rinunziando a tutto ciò che trae l'anima alla terra.

Chi non si distacca da tutto e non persevera nel combattere il mondo, il demonio e la carne, diventa come sale scipito che non è buono né per la terra né per il concime, cioè che non può essere neppure utilizzato come i rifiuti, per ingrassare la terra direttamente o per essere mescolato al concime, ma è gettato vìa, è riprovato da Dio e perde l'eterna vita. Gesù soggiunge: Chi ha orecchi per intendere intenda, rivolgendosi specialmente ai suoi discepoli che dovevano edificare la Chiesa e combattere la grande battaglia col mondo, col demonio e con la carne; essi più di tutti dovevano rinnegarsi e rinunziare a tutto per amore di Dio.

Gli apostoli non potevano pretendere di conquistare dei posti nel mondo, né potevano aspirare alla sistemazione delle loro famiglie; l'apostolato importava una completa rinunzia ad ogni vincolo familiare e ad ogni interesse materiale, perché essi dovevano andare per il mondo a predicare la buona novella fra grandi tribolazioni, e rimetterci anche la loro vita. Dicendo Gesù: Chi ha orecchi per intendere intenda, forse si rivolse in modo particolare a Giuda, il quale già cominciava ad avversare la compagnia del Signore e, portando la borsa delle elemosine, pensava solo a trame profitto per assicurarsi una vita indipendente e provvista del necessario senza preoccupazioni.

Anche la nostra via è via di abnegazione e di rinunzie, quando vogliamo seguire Gesù e lavorare per la propagazione del suo regno. Quasi sempre avviene che quelli che meno intendono le nostre grandi aspirazioni sono proprio i parenti più stretti, ed è per noi una necessità contrastarne le idee o le vedute per poter seguire fedelmente Gesù.

Non siamo per questa terra, e non dobbiamo avere come meta i beni materiali, la sistemazione, gli onori, i posti, e tanto meno i divertimenti ed i bagordi della vita. Abbandoniamoci a Dio, cerchiamo la sua volontà e la sua gloria, seguiamo Gesù fedelmente e perseveriamo nel servirlo sino alla fine per raggiungere l'eterna felicità.

Sac. Dolindo Ruotolo

 

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