sabato 1 aprile 2017

02.04.2017 - Commento al vangelo di S. Giovanni cap. XI par. 2

2. Il mirabile racconto della risurrezione di Lazzaro nelle sue circostanze storiche e psicologiche

Pochi racconti nella medesima Sacra Scrittura hanno la vivezza storica e psicologica del miracolo che meditiamo. San Giovanni ne fu certamente testimone oculare, e la commozione grandissima che provò innanzi ad un prodigio così grande, glielo impresse indimenticabilmente nell'anima.

Non si può leggere questo racconto senza sentirsi presenti al fatto e senza piangere. La tenerezza di Gesù commuove, il dolore delle sorelle del defunto fa fremere, l'atteggiamento della folla dei visitatori ci fa vivere nella casa di Marta e di Maria, desolata dalla morte e movimentata dalle premure della carità. Tutto nel racconto è naturale e spontaneo come avvenne, e tutto è vivo come se il fatto si rinnovasse innanzi a chi lo legge.

Lazzaro, abbreviativo di Eleazaro, abitava con due sue sorelle, nel villaggio e castello di Betania, distante circa tre chilometri da Gerusalemme. Era un benestante, come appare dal contesto, ed era, con le sue sorelle, devotissimo a Gesù, che lo amava con particolare predilezione. Forse questa sua devozione dovette avere origine o per lo meno intensificarsi per la conversione di sua sorella Maria. Il Sacro Testo ricorda infatti non senza ragione la circostanza più bella di questa conversione, e cioè l'unzione che la povera peccatrice fece ai piedi di Gesù, quando in casa di Simone andò a domandargli perdono e misericordia.

Per una famiglia onorata e benestante Maria Maddalena era stata una vergogna grandissima, e la sua conversione aveva stabilito col Redentore dei rapporti di grande, amorosa gratitudine da parte di tutti, ed in particolare forse di Lazzaro, che, come uomo e come capo di casa, aveva dovuto essere il più sdegnato dall'indegna condotta della sorella. In Betania, da non confondersi con la Betania della Perea, la famiglia di Lazzaro per la sua signorilità era tenuta in deferente considerazione, come appare dal concorso di gente che affluì nell'occasione del lutto sofferto; il modo stesso come mandarono a pregare Gesù quando il fratello si ammalò, e il modo come si lamentarono della mancata visita confermano questa signorilità, che nel pregare si contentò di un accenno, e nel lamentarsi usò un'espressione piena di rispettosa deferenza. Da queste circostanze poi si deduce anche la fede che tutta la famiglia aveva in Gesù Cristo, vero Figlio di Dio. Nella preghiera, infatti, che gli fecero non gli dissero di andare subito dall'infermo, non lo premurarono a guarirlo in distanza, non lo pressarono con espressioni accorate, ma gli esposero solo il caso doloroso, e fecero appello al suo Cuore: Ecco, colui che ami è infermo.

Gesù amava Lazzaro e la sua famiglia e la sottopose alla prova del dolore

Il Sacro Testo non ci dice quale fosse l'infermità di Lazzaro né è possibile arguirla. Certo era un malanno grave, poiché le sorelle dell'infermo mandarono a Gesù delle persone, non potendosi nessuna delle due staccarsi dal letto dell'infermo; era un malanno che richiedeva cure continue. Dato che si era nell'inverno può supporsi che fosse una polmonite.

Quando le sorelle videro che si aggravava, mandarono a pregare Gesù temendo una complicazione. Non vollero fare pubblicità per evitare poi l'affluenza di visite fastidiose, e mandarono a pregare Gesù segretamente, come è chiaro dal contesto. Gesù rispose agl'inviati rassicurandoli che quel malanno non era mortale, ma doveva servire per la glorificazione del Figlio di Dio. Egli parlò così riferendosi al miracolo che voleva fare, ma gli inviati credettero che li rassicurasse sul malanno, e dovettero essere non poco delusi quando, tornati a Betania, constatarono che subito dopo la casa piombò nel lutto.

Il Signore parla per farsi intendere da noi, e parla anche per manifestarci i suoi disegni ed esigere da noi la fede; a volte le sue parole sembrano fallire secondo il nostro modo di vedere, e possiamo anche scandalizzarcene; ma se Dio è Dio, dobbiamo avere anche l'umiltà, l'elementare umiltà di pensare che siamo noi che non le intendiamo. Giudicare le parole di Dio con la presunzione di vagliarle e criticarle è lo stesso che esporsi al pericolo di capirne poco o nulla, e di smarrirsi.

Gesù disse che la malattia non era mortale, mentre Lazzaro morì in quel giorno stesso; lo disse, oltre che per il miracolo che voleva fare, anche per non spaventare né le sorelle dell'infermo né l'infermo, e forse per questo il Sacro Testo soggiunge che Egli voleva bene a Marta, a Maria ed a Lazzaro.

Egli poi amava quella famiglia di amore divino, e la sottoponeva alla prova del dolore; l'amava e la metteva nelle circostanze di fare un atto di fede più cieca e più completa in Lui. Quella morte doveva servire alla glorificazione del Figlio di Dio, ossia a rivelarne ancora una volta la potenza innanzi al popolo e, come dice Andrea Cretese (in Catena), alla glorificazione dolorosa della croce, giacché la risurrezione clamorosa che la seguì, fu per il sinedrio il pretesto per decidere e stabilire la morte di Gesù; ora questi, per raggiungere fini tanto grandi, volle anche il concorso della fede e della pena della famiglia che prediligeva.

E il modo di operare di Dio, che noi dobbiamo solo adorare: rassicurò la famiglia per non disorientarla in un momento di scoraggiamento; la morte del fratello amato fu accompagnata così da un barlume di speranza che la rese meno atroce fino all'ultimo; poi nell'improvvisa delusione Gesù raccolse come gemma preziosa il dolore delle sorelle del morto, e lo raccolse come concorso alla gloria di Dio; infine andando di persona nella loro casa utilizzò la morte per esigere da loro una fede più viva, e donò loro una consolazione immensa che le ripagò ad usura della prova. Se avessimo un pochino di maggiore fiducia in Dio, non staremmo a cavillare sulle tenebre che crediamo scorgere nella sua parola, ma l'adoreremmo in pace attendendo i suoi tempi e i suoi momenti.

Gesù decide di andare da Lazzaro

Gesù voleva bene a Marta, a Maria sua sorella ed a Lazzaro. Era una famiglia della quale poteva fidarsi, una famiglia che aveva in Lui una fede vera e soprannaturale, benché forse ancora un poco poco deficiente. La prova la scosse, senza dubbio, perché vide fallita una sua rassicurazione, ma la stessa scossa servì poi a fortificarla e ad ingigantirla, essendo scritto che virtus in infirmitate perficitur, la virtù nell'infermità si perfeziona.

Quando Gesù seppe che Lazzaro era infermo, si fermò ancora due giorni nella Perèa dove si trovava, per evangelizzare e curare il popolo che gli si affollava d'intorno. Dovette fare forza al suo tenerissimo Cuore, per così dire, giacché Egli conosceva bene che Lazzaro era morto, ma con la sua amorosa ed invisibile misericordia sostenne da lontano le desolate sorelle del defunto. I giorni che passarono dalla morte alla risurrezione di Lazzaroservirono poi a far meglio rifulgere il miracolo che voleva fare. Dopo due giorni cominciò ad accennare ai discepoli la necessità che aveva di ritornare in Galilea. Essi erano spaventati dalle minacce del sinedrio e del popolo, e Gesù volle predisporli per non agitarli, dicendo loro: Andiamo di nuovo nella Giudea.

Non manifestò loro in quel primo momento lo scopo del viaggio, e domandò quasi il loro parere, per dare ad essi l'agio di manifestare prima il loro timore. È divinamente psicologico: quando infatti l'anima reagisce in pieno ad un progetto che le incute spavento, sfoga tutto il suo timore, ed è più capace poi di rientrare in sé quando capisce la ragionevolezza di quello che le si propone. Se le si ragionasse nello stato di spavento o di eccitamento, svaluterebbe le ragioni senza riflettervi, e sarebbe più difficile convincerla. Gesù nella sua grande delicatezza non volle condurre con sé gli apostoli senza il loro consenso, e quasi trepidando disse loro: Andiamo di nuovo nella Giudea. Essi supposero che volesse andare a Gerusalemme e spaventati gli dissero: Maestro, ora proprio i Giudei cercavano di lapidarti e di nuovo tu tomi colà? Gesù rispose con un paragone, che non c'era nulla da temere. Gli Ebrei dividevano in dodici ore la durata del giorno, dalla levata al tramonto del sole, e queste ore erano più corte nell'inverno e più lunghe nell'estate. Ora, finché durava il giorno, non c'era pericolo per chi viaggiava d'inciampare; solo nella notte poteva urtare e cadere. Egli stava ancora nel giorno della sua attività, e nessuno avrebbe potuto impedirgliela, nonostante le maligne intenzioni che avevano i suoi nemici. Andassero dunque con Lui senza timore.

Gli apostoli rimasero ancora titubanti; non risposero, ma mostrarono col loro atteggiamento che non avevano piacere di ritornare in una regione ostile e minacciosa. Gesù allora per scuotere la loro titubanza disse: Il nostro amico Lazzaro dorme, ma io vado a svegliarlo dal sonno. Non disse apertamente in quel primo momento che era morto, perché Lazzaro era amato anche dai discepoli. Nella sua infinita delicatezza non volle spaventarli d'improvviso con un annunzio ferale, e lasciò ad essi medesimi di arguirlo a poco a poco. Gli apostoli capirono che parlasse del sonno naturale, ed avendo saputo anch'essi che Lazzaro era infermo, credettero che quel sonno fosse un segno di guarigione, e quindi con più calore sostennero che non c'era ragione di andare nella Giudea a esporsi ad un pericolo mortale. Allora Gesù disse apertamente che Lazzaro era morto, ma per non rattristarli lasciò subito capire che voleva andare a risuscitarlo con un miracolo, dicendo che Egli godeva per loro di non esservi andato prima, perché il miracolo li avrebbe confermati nella fede.

Se Gesù fosse andato da Lazzaro all'invito delle sorelle di lui, non avrebbe resistito alle loro lacrime ed alle loro preghiere, ed avrebbe guarito l'infermo. Ora questo miracolo non sarebbe stato così persuasivo e commovente per gli apostoli come quello della risurrezione di un morto. Essi evidentemente erano scossi nella fede per l'opposizione minacciosa del sinedrio, ed avevano bisogno d'una luce novella per ripigliare lena e coraggio. Perciò Gesù senz'altro li invitò a seguirlo, e lo fece con tanta efficacia che essi, pur tremando, non osarono resistergli di più.

Erano mesti, intimoriti, angosciati, come chi va incontro ad un pericolo mortale, e perciò Tommaso, facendosi eco di questo stato di animo, esortò i compagni ad andare a morire col Maestro. Forse disse questo per fare un ultimo tentativo di dissuaderlo ad andare, e forse anche lo disse per amore, giacché era certo che Gesù sarebbe andato incontro alla morte. Betania distava da Gerusalemme circa quindici stadi; essendo lo stadio circa 185 metri, il cammino era breve, e Tommaso temeva molto che gli scribi e farisei avrebbero avuto molta facilità di catturare Gesù. Il miracolo, forse pensava egli, sarebbe stato un incentivo maggiore al loro furore, ed avrebbe preferito che non fosse avvenuto.

Lazzaro probabilmente morì lo stesso giorno nel quale Gesù ricevette l'invito di andare a risanarlo; Gesù rimase poi ancora due giorni nella Perèa, ed al terzo giorno si mise in viaggio, giungendo a Betania il quarto giorno dalla morte e quindi dalla sepoltura del defunto, che, secondo l'uso ebraico, si faceva lo stesso giorno del decesso. Essendo breve la distanza di Betania da Gerusalemme ed essendo la famiglia di Lazzaro tenuta in grande stima, molti Giudei erano venuti a partecipare al suo dolore. Gesù non era giunto ancora presso l'abitato del villaggio, che qualcuno corse ad avvertire Marta della sua presenza. Marta aveva il maneggio e l'amministrazione della casa, ed era più distratta dal suo dolore per la gente che l'affollava, mentre Maria rimaneva in casa in preda a più profonda afflizione. Non fece meraviglia perciò il vedere Marta uscire in fretta, e la gente immaginò che andasse a sbrigare qualche faccenda urgente.

Appena vide Gesù, Marta gli disse: Se Tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto. Non osò lamentarsi che non fosse venuto prima ma gli espresse il dolore dell'anima sua e quello che tante volte forse aveva detto insieme alla sorella. Vedendo poi la dolce serenità e bontà di Gesù, sentì nascersi nel cuore la grande speranza di veder risorto il fratello, ma non osò dirlo apertamente e soggiunse: Ma anche adesso io so che qualunque cosa Tu domanderai a Dio, Dio te la concederà. E dovette scoppiare in pianto perché Gesù consolandola le disse: Tuo fratello risorgerà. Marta per scrutare le sue intenzioni, e per costringerlo ad esprimersi più chiaramente, soggiunse: So che risorgerà nella risurrezione, nell'ultimo giorno. E continuò a piangere, perché le si affacciò il triste pensiero dell'ineluttabilità della morte. Gesù lesse nel cuore di lei quest'angoscia e questa titubanza di fede, e volle rianimarla esigendo da lei un atto pieno di fiducia in Lui. Io sono, soggiunse, la risurrezione e la vita; chi crede in me quand'anche fosse morto vivrà, e chiunque vive e crede in me non morirà in eterno. Credi tu questo? Marta nel supplicarlo aveva creduto che Gesù potesse domandare a Dio il miracolo, senza pensare che Egli stesso era Dio, e poteva farlo di piena potenza e autorità; Gesù corregge la pochezza della fede di lei, e si proclama Egli stesso risurrezione e vita dei morti, e vita dei viventi per la risurrezione spirituale e la grazia che loro concede. Marta capì di aver errato, e piena di fede soggiunse: Sì, o Signore io ho creduto che Tu sei il Cristo il Figlio di Dio vivo che sei venuto in questo mondo.

Il Maestro è qui e ti chiama

La fede le suscitò nel cuore la speranza, e sicura di quello che Gesù avrebbe fatto andò in casa e chiamò la sorella sottovoce, dicendole: Il Maestro è qui e ti chiama. Evidentemente Gesù dovette domandare di lei nel primo incontro con Marta, sapendola più affettuosa e quindi più addolorata. Marta la chiamò sottovoce per evitare che la gente si raccogliesse intorno a Gesù, giacché nei grandi dolori si desidera rimanere soli con le persone più care.

Appena Maria seppe che Gesù era venuto, si levò di scatto e corse da Lui, ansiosa di sfogare il suo dolore. Il saper presente Colui che essa amava di amore intenso le rinnovò l'angoscia della morte del fratello, come suole avvenire a chi sta in lutto, ed alzandosi scoppiò in pianto; per questo i Giudei che erano in casa, supposero che in un impeto di rinnovato dolore essa andasse al sepolcro che era nell'orto della casa, per piangervi più amaramente, e la seguirono per sostenerla e consolarla. Essa non badò neppure alla gente che la seguiva, ma corse diritto da Gesù, ed al vederlo, estremamente commossa gli si gettò ai piedi e disse piangendo dirottamente: Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto. E continuò a piangere tanto accoratamente che anche i Giudei presenti piansero.

Gesù, vedendola piangere e vedendo che tutti piangevano con lei, si turbò profondamente e fremette nel suo cuore, commosso per il dolore umano e per la poca fede di quella gente, ch'era come gregge abbandonato alla mercé delle tempeste della vita, senza conforto e senza la visuale sublime della vita eterna. Compassionò Maria, e compianse il popolo, sicché quasi ebbe fretta di operare, per consolare Maria e per illuminare il popolo, e domandò dove avessero posto il cadavere di Lazzaro.

Marta e Maria, due caratteri diversi

Si noti la differenza profonda fra il dolore di Marta e quello di Maria, e la diversità di quei due caratteri, che emerge mirabilmente dal Sacro Testo.

Marta, più abituata alle faccende di casa, era più distratta ed assillata dalle necessità della vita in quella circostanza dolorosa, non aveva quasi il tempo di riconcentrarsi nella grave perdita subita. Maria invece, tutta raccolta in se stessa, angustiata forse anche dai gravi dolori dati al fratello per la sua vita passata, dolori che le apparivano allora più gravi e come ravvivati dalla morte, era inconsolabile, ed esplodeva in tutto il suo affanno. Gesù Cristo misurò questo dolore in tutta la sua profondità, vide in lei tutte le anime gementi sulla terra per la morte delle persone care, considerò la fragilità umana nello scorgere la tomba alla quale lo accompagnarono, e lacrimò Egli pure, mescolando le sue lacrime all'angustiante pena di tutti.

E Gesù pianse

E Gesù pianse. Come sono incisive queste parole, e come sono commoventi! Pianse senza strepito, soavemente, stillando nel suo pianto balsamo di consolazione per le pene che si provano alla morte dei propri cari, e pianse meritandoci il suo conforto.

Il momento fu solenne; Gesù rimase per un poco in silenzio; era bellissimo nel suo aspetto accorato e triste, e le lacrime gli scorrevano giù per le guance divine: piangeva, era allora più che mai affratellato all'umanità che geme e piange in questa valle di lacrime; piangeva, e mostrava in quel pianto tutta la tenerezza del suo amore, tanto da suscitare le meraviglie dei circostanti, i quali esclamarono: Vedete com'Egli lo amava!

Piangeva sulla morte spirituale di tanti che lo circondavano, e specialmente degli scribi e farisei, che neppure in quella dolorosa circostanza disarmarono, ed esclamarono: Non poteva costui, che aprì gli occhi al cieco nato, fare che quest'uomo non morisse? Pianse e fremette pensando a questa cecità ostinata, e pregò internamente il Padre perché si fosse glorificato innanzi a quella moltitudine.

Lazzaro vieni fuori!

Giunse innanzi alla tomba, che era una caverna scavata nella roccia, e coperta da un gran masso, e disse risolutamente: Togliete la pietra. Tutti tacevano, c'era intorno una mestizia profonda, e già un cattivo odore si sentiva venire dalla caverna. Marta perciò disse a Gesù: Signore, puzza già perché è di quattro giorni. Non andò all'idea che Gesù volesse aprire per sempre quel sepolcro, e suppose che volesse solo benedire la salma, o vederla per curiosità. Ma Gesù le replicò: Non ti ho detto che se crederai vedrai la gloria di Dio?

Tolsero dunque la pietra, e dovettero toglierla due uomini robusti. Tutti tacevano, anzi quasi trattenevano il respiro. Dall'aperta caverna si diffuse intorno un puzzo nauseante di cadavere in putrefazione. Non c'era dubbio che quell'uomo fosse veramente morto*. I più vicini allo speco vedevano fra le ombre la bianca sagoma della salma tutta avvolta da fasce, e col volto parimenti nascosto e legato da un sudario.

Gesù stava in mezzo al popolo, che gli si accalcò intorno per vederlo. Sollevò gli occhi al cielo, ed in quell'atteggiamento sembrò gigante in mezzo alla moltitudine. Il suo volto divino rifulgeva di maestà insolita, e le tracce del dolore vi avevano impresso una nota di commovente amabilità. Pregò: Padre, ti ringrazio di avermi esaudito. Io però sapevo che Tu sempre mi esaudisci, ma l'ho detto per il popolo che mi circonda affinché creda che Tu mi hai mandato. Egli dunque compiva quel miracolo per mostrare che era veramente Dio, chiamando il Padre, e che era veramente uomo supplicandolo ad esaudirlo. Si fermò un istante con gli occhi in alto, e il cielo era riflesso in quegli occhi e in quel volto, poi gridò a gran voce: Lazzaro vieni fuori!

La voce si ripercosse lontano, echeggiò nei cieli, e subito il morto si levò, e si trascinò fra le bende che lo impacciavano fin sull'ingresso della caverna.

Rimase lì, dinanzi al suo Creatore che lo aveva richiamato alla vita. Il popolo istintivamente arretrò, spaventato e meravigliato, e un grido si levò dalla moltitudine. Gesù rimase tranquillo; il volto gli rifulgeva d'amore; ordinò che slegassero il morto risuscitato, perché potesse andare liberamente a casa.

Il sinedrio teme la crescente popolarità di Gesù

Il Sacro Testo nella sua mirabile concisione non ci parla dell'impressione che produsse questo miracolo; ci dice solo che molti dei Giudei che erano venuti da Maria e da Marta, e che avevano visto quello che Gesù aveva fatto, credettero in Lui e che alcuni andarono dai farisei a raccontare quello che era avvenuto. Ci fu dunque un movimento di fede ardente nella moltitudine, che probabilmente non esplose in soverchi gridi di entusiasmo; certo non poterono mancare manifestazioni di giubilo, di stupore e di lode a Dio, ma i Giudei che si convertirono erano i più; rimasero come atterriti, e riconobbero d'essersi ingannati nel pensare e dire tanto male del Redentore, ripigliando la via del ritorno alle loro case. Alcuni andarono a riferire ai farisei, cioè al sinedrio, quello che aveva fatto Gesù, probabilmente non con mal animo, ma per indurli a riconoscere la verità.

La conclusione che il sinedrio ne trasse ce lo fa supporre, giacché si preoccupò che tutti potessero credere in Gesù.

L'ambasciata dunque che ricevette era per esso un argomento dell'impressione che i miracoli di Gesù facevano sul popolo.

Marta e Maria, nel vedere il fratello risorto, dovettero venir meno per l'emozione; la stessa reticenza del testo ce lo fa intuire. I più coraggiosi si avanzarono presso il sepolcro e sciolsero Lazzaro dalle bende; queste erano forse già inzuppate di tabe cadaverica, e certo mandavano il pessimo odore del morto che avevano avvolto. Lazzaro, sciolto dai legami, rientrò in casa per lavarsi tutto. Come gli dovette sembrare strana la sua dimora, dopo che l'anima sua era andata già nell'altra vita! Si guardò intorno, percorse le stanze come trasognato, si preoccupò delle sorelle, le chiamò, rinvennero, si lanciarono verso di lui ebbre di gioia, e piansero a lungo tra singulti di esultanza.

Quali momenti impossibili da descrivere! Gesù rimase ancora in casa per quel giorno; può supporsi, giacché quella casa, ospitale per Lui, non avrebbe potuto permettere che fosse andato via senza rifocillarlo insieme ai suoi discepoli. Poi dovette eclissarsi, come subito si vedrà, perché era cercato a morte dai suoi nemici, quasi che avesse commesso un'azione cattiva!

È incredibile il pensare fin dove possa giungere la scellerata ingratitudine umana verso Dio!

La risurrezione di Lazzaro e la risurrezione spirituale dell'uomo e del peccatore. La divina realtà del senso mistico e degli altri sensi della Scrittura. Spiegazione del nome Dain Cohenel

I Padri si fermano sulla risurrezione di Lazzaro, e trovano in essa una figura ed un annunzio della risurrezione spirituale dell'uomo. Non è un'accomodazione che fanno sul senso letterale, ma una meditazione sul senso mistico o tropologico del Sacro Testo. Il Signore infatti, operava per insegnare:

Cominciò ad operare e ad insegnare, è detto negli Atti degli apostoli (1,1), e questo non significa solo che all'insegnamento fece precedere l'esempio, ma che operò per insegnare. Trarre perciò dalle sue azioni gl'insegnamenti che vi sono nascosti non significa stiracchiare il Testo, ma trame quella luce che Gesù Cristo stesso pose in ogni sua azione.

I miracoli o le attività di Gesù sono, per così dire, come la materia prima, dalla quale si traggono ammirabili opere di arte, o dalle cui combinazioni diverse si ottengono altri elementi necessari alla vita. Se si negasse questo significato particolare nelle azioni e nei miracoli del Redentore, il Vangelo non sarebbe più il codice cristiano, ma solo un racconto storico, atto più a soddisfare la curiosità che a nutrire e guidare le anime.

I Padri, che nei loro commenti sono l'autentica espressione del senso approvato dalla Chiesa, sono ricchi di interpretazioni mistiche sui miracoli di Gesù, e queste non sono cervellotiche o semplici, pie riflessioni personali, ma sono frutto dello Spirito Santo che, ispirando le Scritture, ispira anche quelli che nella Chiesa ne debbono dare la spiegazione. I moderni, dolorosamente, ricchi più di presunzione e di orgoglio che di Spirito Santo, disprezzano o trascurano il senso mistico delle Scritture, e si fermano alla lettera che uccide, ed alla lettera considerata umanamente, anzi considerata secondo le loro vedute e la loro cultura personale o, peggio, secondo le vedute e la cultura degli eretici razionalisti o protestanti. Facendo così i moderni hanno inaridito le Scritture, ed invece di trarre da quest'uva prelibata il santo vino che fortifica e rallegra si restringono a studiare stoltamente l'esterno dei grappoli, e si consumano a computare gli anni della vite o la bellezza delle sue foglie.

Dimenticano che l'Antico Testamento è annunzio, figura e profezia di Gesù Cristo, e che il Nuovo è il codice della Legge di grazia; dimenticano che la Parola di Dio è una luce semplice nel suo senso letterale, ma ricca di colori e di attività per così dire radioattive e chimiche nel suo spettro luminoso.

La luce è bianca ed illumina, ma nel suo spettro ha tutte le soavi gradazioni dell'iride e nei suoi raggi ha una ricchezza, non ancora interamente studiata, di forze vivificanti, purificanti, fecondanti e motrici. Così è la luce delle divine Scritture: i Padri ne approfondiscono lo spettro, i moderni ne vedono l'apparenza; i Padri la utilizzano per la generazione o la rigenerazione delle anime, i moderni vi giocano come fanciulli, e spesso la confondono coi miseri lucignoli accesi dalla loro ragione. I Padri vivendone la danno come vita; i moderni giocandovi la danno come povero razzo, confuso con i petardi fumogeni della loro cultura, che offuscano la luce e generano solo la nebbia.

Lazzaro dunque, secondo le belle, salutari e refrigeranti interpretazioni dei Padri, è figura del peccatore che muore alla divina grazia ed è risuscitato da Gesù Cristo. Lazzaro era un uomo giusto, amico e fedele a Gesù Cristo, ma la sua morte, le circostanze della sua morte e della sua risurrezione sono figura del peccatore che muore alla grazia e risorge. Questo non stride per nulla con la sua figura storica, come non stridono con la santità di Gesù Cristo i peccatori che sono stati figura di Lui.

Sull'etimologia dei nomi

Lazzaro prima s'inferma e poi muore. Lazzaro significa Dio aiuta, aiuto di Dio, ora il peccatore s'inferma a morte e muore alla grazia quando per sua colpa diminuisce e cessa in lui l'aiuto di Dio. Lazzaro era di Betania e aveva due sorelle: Marta e Maria; Betania significa casa dell'afflizione, casa del cantico, dell'obbedienza, della grazia del Signore, casa della risposta e dell'esaudimento del Signore, casa dell'occhio, casa della fonte.

Il peccatore vive nel mondo, che è casa di afflizione, ed è parte della Chiesa, che è casa del cantico, dell'obbedienza e della grazia del Signore, perché la Chiesa è cantico vivo di gloria a Dio, obbedisce alla sua Legge, ed è tutta fecondata dalla grazia del Signore. La Chiesa è casa della risposta e dell'esaudimento del Signore, perché è il germe vivo della preghiera di Gesù Cristo ed è il compimento delle promesse di Dio, risposta della sua misericordia all'umana ingratitudine, è occhio luminoso che vede la verità, e fonte che la diffonde, e con la verità diffonde le grazie che Dio le dona per irrigare il suo campo.

Il peccatore è parte quindi della Chiesa, ma vi sta come infermo, anzi come morto alla grazia, ed ha bisogno di un miracolo vero di misericordia per potere risorgere. Egli ha due aiuti che gli facilitano la risurrezione, come Lazzaro ebbe due sorelle, che lo curarono prima, e poi supplicarono il Signore per lui: ha la coscienza amareggiata, Marta, che gli fa sentire l'orrore del peccato, ed ha Maria Santissima, madre dei peccatori, Maestra che lo ammonisce, e Signora che gli elargisce la misericordia di Dio.

Lazzaro s'ammalò, e le sorelle, certamente, prima di ricorrere a Gesù, cercarono di curarlo, ma le cure furono vane, e il malanno s'aggravò fino alla morte, non per mancanza delle sorelle, ma perché l'infermo non reagiva più al male. Perciò fu necessario ricorrere a Gesù, e le sorelle lo fecero con quella bella espressione: Signore, ecco, colui che ami è infermo.

Il peccatore è aiutato dalla Chiesa, è curato dalle anime buone, è soccorso con molti benefici spirituali; ma quando il suo malanno è grave, egli non reagisce al male, si ostina, e cade nella morte completa dell'anima. Gesù Cristo però ancora lo ama anzi nella sua misericordia lo ama di amore particolare, e la Chiesa pregandolo per i peccatori può dirgli veramente: Colui che ami è infermo.

Le lacrime cocenti di chi prega ottengono la conversione dei peccatori

La conversione è una vera risurrezione interiore, ma non sempre, anzi possiamo dire, mai si realizza senza che qualche anima pianga per ottenerla . Gesù ritarda perché non è giunto ancora il momento propizio; il peccatore giace inerte nella tomba del suo peccato, in preda alla putrefazione delle sue colpe, e le anime buone piangono e pregano per lui. Viene poi il momento della grazia, e Gesù nella sua misericordia va verso il peccatore per richiamarlo alla vita. Egli lo trova morto quatriduano e, come bellamente spiegano i Padri, lo trova con la volontà debilitata, col cuore corrotto dalle passioni, coi sensi sconvolti, e con la putredine delle pessime abitudini che gli rendono dissoluta la vita. Il peccatore poi, per la durezza e l'ostinazione che ha, è come chiuso nell'oscura caverna della sua volontà ed è coperto da un macigno pesante.

Gesù avanza tra le lacrime cocenti di chi prega, piange Egli stesso nel suo amore sulla triste sorte del peccatore, compassiona la pena di chi prega, ed ordina che si tolga la pietra da quel cuore e si intenerisca quella volontà ostinata. Il peccatore manda un lezzo nauseante dalla sua vita, ma Gesù non ha ritegno di avvicinarsi a lui, lo chiama a gran voce con la grazia interiore, lo risuscita col pentimento che gli dà, e poi lo affida ai sacerdoti perché essi lo sciolgano con l'assoluzione sacramentale dai legami che lo avvincono, e lo mandino, risanato e libero, nuovamente a far parte viva della Chiesa.

Gesù Cristo venne al mondo proprio per salvare gli uomini dal peccato, vi venne dopo l'attesa di quattromila anni, pianse con la povera umanità, gemette con lei, e morendo diede un gran grido dalla croce e la richiamò alla vita, restituendole l'aiuto di Dio, ossia il tesoro della grazia che aveva perduto.

Se tu fossi stato qui - dissero Marta e Maria a Gesù - mio fratello non sarebbe morto', così può dirsi del povero peccatore; se fosse stato con lui Gesù, se l'avesse ricevuto sacramentalmente, non sarebbe morto alla grazia.

La vera ragione dello sfacelo delle anime e della loro rovina è proprio l'assenza di Gesù dalla loro mente e dal loro cuore. Si conosce poco Gesù, lo si ama e lo si riceve poco.

Se Gesù non ritorna in pieno nella nostra vita, non possiamo aspettarci che la morte e la putrefazione, la perdita della vita dell'anima e la corruzione delle passioni. Gesù Cristo è la risurrezione e la vita, ci fa risorgere dal peccato nella Penitenza, e ci dà la vita nell'Eucaristia; chi crede in Lui non con una fede sterile, ma partecipando ai suoi Sacramenti, anche se morto alla grazia, vive, e chi è vivo alla grazia e crede in Lui con una vita d'intimo amore non potrà morire a Dio sulla terra, e vivrà eternamente nella gloria.

Marta chiamò Maria sottovoce dicendo: Il Maestro è qui che ti chiama-, e Maria subito corse e si gettò ai piedi di Gesù. Il silenzio dei Tabernacoli eucaristici è un soave invito ad andare a Gesù, e le voci della Chiesa e della fede ci ripetono sommessamente coi sacri riti, col conopeo che ricopre il Tabernacolo, con la lampada, coi ceri accesi: Il Maestro è qui e ti chiama.

Noi, poveri peccatori, estremamente bisognosi della sua misericordia e della sua vita, non esitiamo un momento, leviamoci in fretta, abbandoniamo ogni compagnia terrena, andiamo a Lui, gettiamoci ai suoi piedi e preghiamo implorando la vita.

Gesù piange con noi dal tabernacolo del suo amore, poiché vede intorno a sé una turba piangente43. Quelli che vanno a Lui o si fermano semplicemente nel tempio, per cercarvi un momento di sollievo, hanno pene, angustie e tribolazioni di ogni genere, delle quali noi non ci accorgiamo, ma che Gesù vede. Come dev'essere penoso questo spettacolo innanzi al suo sguardo, e come deve apparirgli più penoso lo stato dell'umanità che è morta alla grazia e non vive!

A che si riduce in realtà la vita per tanti uomini? Sono come Lazzaro nel sepolcro, dimorano nell'oscura caverna della morte, legati da passioni, e col volto bendato. Non conoscono il movimento vero della vita, ed hanno gli occhi chiusi sulla vera felicità! Che pena! Quando si viene in contatto con questi poveri esseri che non si cibano di Gesù, o che hanno qualche pratica sterile di pietà, simile alle vivande o alle monete che si ponevano sulle tombe dei morti, che non nutrono e non hanno alcun potere di acquisto, si capisce che cosa è la gelida ed agghiacciante vita del morto!

Come si può reggere all'urto formidabile delle onde e delle umane tempeste senza vivere di Gesù?

Levarsi di letto, affannarsi e consumarsi per cose vacue, mangiare un pane più o meno stentato, e sempre condito dalla tribolazione, perdersi per un momento magari nelle illusioni essiccanti di un divertimento, peccare, ahimè, peccare e peccando raccogliere spine pungenti e bevande velenose, coricarsi consunti dalle preoccupazioni e dalle angustie per poi ricominciare da capo, può dirsi vivere?

A che si riduce il bilancio dello spirito per tanti uomini? Una vita di 70, 80, 90 anni, ha appena poche Comunioni, pochissimi contatti con Gesù, se pure li ha e, quando non è addirittura vuota, cerca nell'ultimo momento un ultimo affrettato contatto di vita, spessissimo strappato con arti pietose, per farlo apparire solo come un ripiego per guarire! È vita questa?

Quanti giovani passano all'eternità nel fiore dei loro anni, senza raccogliere neppure una meta terrena, e lasciano i loro tavolini di studio, i loro libri, le loro cianfrusaglie, quasi come la desolante esposizione di una vita insulsa! Eppure se vivessero di Gesù Sacramentato e di vera fede sarebbero già maturi, e passerebbero all'eternità come trionfatori, col trofeo della vittoria e la raccolta ubertosa d'un campo fecondo! Che pena vedere nella stanza di un morto tutto quello che ha lasciato, e tutte le cose vane che lo illusero, relitti di un naufragio, e spine disseccate d'una siepe che non diede mai frutti! Se avesse amato Dio, se avesse pregato, se fosse stato intimo con Gesù Sacramentato, quella stanza sarebbe tutta un profumo di fede, e sembrerebbe come un campo mietuto o una vigna vendemmiata, che conserva ancora le fragranze del grano, e le ristoranti esalazioni del mosto allora spremuto!

O Gesù, se tu fossi qui con noi, nella pienezza della nostra vita, non saremmo morti, vivremmo, ed anche se fossimo morti risorgeremmo per Te alla vera vita!

Guarda il mondo che geme, piangi con noi, ordina che si tolga la pietra che ci separa da Te, gridaci con la voce della tua misericordia: Veni foras, vieni fuori! Ridonaci la vita, ridonaci il sorriso, ridonaci la gioia del tuo amore!

Sac. Dolindo Ruotolo

 

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