domenica 16 aprile 2017

16.04.2017 - Commento al vangelo di S. Giovanni cap. XX par. 2

Il primo giorno dopo il sabato, cioè la Domenica, Maria Maddalena si recò al sepolcro all'alba mentre era ancora buio. Era partita dalla sua casa o dal luogo dov'erano chiusi gli apostoli, ch'era quasi notte ancora e non era sola ma accompagnata dalle pie donne (Mt 28,1; Me 16,1-2; Le 24,1) con le quali giunse al sepolcro allo spuntare del sole (Me 16,2). San Giovanni nomina solo Maria Maddalena, sia perché completa le narrazioni dei Sinottici, e sia perché essa, più ardente di tutte, pigliò l'iniziativa e raccolse le altre donne. Essa poi fu quella che corse per prima ad avvisare Pietro e Giovanni dello stato in cui aveva trovato la tomba.

Mentre le donne camminavano avvenne la risurrezione, ed esse avvertirono il terremoto che la seguì allorché l'angelo discendendo dal cielo, rovesciò la pietra. Maria Maddalena, nel vedere di lontano il sepolcro aperto, ben lungi com'era dal credere alla risurrezione, suppose che avessero rubato il Corpo di Gesù, e corse per avvertirne gli apostoli più rappresentativi, Pietro e Giovanni; le altre pie donne giunsero fino alla tomba ed ebbero la visione degli angeli; Maria Maddalena poi tornò di nuovo sola al sepolcro per tentare di rintracciare essa il sacro Corpo. Non sapeva credere che fosse risorto, e non sapeva rassegnarsi che l'avessero rubato; voleva ad ogni costo rendergli gli ultimi attestati di venerazione ed era desolata di non poterlo fare. Ella era stata più vicina al Signore nella Passione, ed aveva constatato l'odio dei sacerdoti, degli scribi e dei farisei, ed appena vide la pietra del sepolcro ribaltata pensò che avessero voluto fare al suo Signore l'ultimo oltraggio, e corse per vedere che cosa si fosse potuto fare per impedirlo o ripararlo.

La fede di Maria Maddalena non seppe andare al di là dal sepolcro e lo vide vuoto e se ne spaventò

Camminava mentre era ancora buio, ed era buio principalmente nell'anima sua poiché non credeva ancora. Eppure proprio quando essa credeva di andare a visitare ed imbalsamare un morto, questo si ridestava dal suo sonno, sorgeva trionfante, attraversava il masso sepolcrale ed inalberava il vessillo del suo trionfo sulla morte! Se non fosse stato buio nell'anima sua Maria Maddalena avrebbe forse avuto la grazia di assistere al momento stesso della risurrezione, ed avrebbe subito visto il Signore; ma la sua povera fede non sapeva andare al di là dal sepolcro, e logicamente non vide altro che la tomba, e per di più la tomba vuota. Credette definitivamente morto il Signore e, dimentica delle parole di Lui, non seppe pensare a Lui che come ad un cadavere. Oh, se avesse avuto solo un po' di fede, come avrebbe gioito nel vedere la pietra rovesciata, pensando che il Signore era risorto! Con quale impetuosa gioia sarebbe corsa agli apostoli per dame loro l'annunzio!

Gesù non era più un cadavere: era risorto all'alba del terzo giorno, compiendo la sua promessa con sollecita e pronta precisione. Compì per la divina sua virtù, che era anche virtù del Padre e dello Spirito Santo, quello che nell'ordine naturale delle forze umane sarebbe stato impossibile. Per questo si poté dire che Egli era risorto per propria virtù dalla tomba, che il Padre l'aveva risuscitato da morte, che Dio l'aveva fatto ritornare in vita. Sono espressioni che, lungi dal generare confusione, si equivalgono, e mostrano che per divina potenza il corpo piagato, trafitto, morto e sepolto, poté muoversi, ripigliare l'anima e risorgere, primizia gloriosa di tutti i morti che dovranno risorgere.

La preghiera della Madonna affrettò la risurrezione di Gesù

Il momento fu solenne, e nessuno all'infuori degli angeli ne fu spettatore. Crediamo fermamente che ne fu spettatrice anche Maria Santissima; benché lontana col corpo, l'anima sua era rimasta come chiusa nella tomba, in profonda adorazione. Era mesta, profondamente mesta, ed a Lei che apprezzava più d'ogni creatura Colui che era la vita, doveva fare immenso dolore pensare che era stato ghermito dalla morte. Sapeva che doveva risorgere, lo credeva, lo sperava, ed affrettava quel momento con la sua preghiera. Essa sapeva che con la sua preghiera aveva affrettato il momento dell'Incarnazione; sapeva che il Figlio suo nulla le negava, e pregava. Si può dire che Gesù non volle ritornare alla vita senza Maria, per un atto di divina deferenza, poiché Maria gli aveva dato la vita temporale. Attese il comando del Padre, alla cui volontà era tutto dedicato, ed attese il comando supplichevole della Madre, alla cui volontà era stato sempre sottomesso. Non aveva mutato nulla in questa provvidenza di sottomessa obbedienza.

Maria pregava, pregava; avrebbe quasi voluto raccogliere nel suo seno benedetto quel Corpo piagato ed inerte, e ridargli la vita; sentiva ancora in sé, come grazia sovrabbondante, quella virtù dello Spirito Santo che l'aveva resa Madre nel verginale candore, ed avrebbe voluto per la seconda volta circondare l'uomo e vivificarlo.

Maria pregava. La sua onnipotenza era la preghiera, lo sapeva per esperienza e, benché fosse immersa nelle tenebre del dolore, sperava la luce immortale e pregava.

L'anima divina di Gesù le era vicino e pregava essa pure, poiché essa, più che la stessa anima immacolata di Maria, conosceva l'onnipotenza della preghiera.

Pregavano, e nell'atto di quelle due potenti preghiere avveniva in grande quel che avviene in piccolo in ogni preghiera: l'endosmosi del divino nell'umano, e l'esosmosi dell'umano nel divino. È una frase ardita, ma è verità. L'anima pregando si dilata in Dio; umiliandosi perché prega, diventa capace della grazia, la cui misura di capacità in noi sta proprio nell'umiltà, nella piccolezza e nella semplicità. È come la porosità dello spirito immerso nell'immensità di Dio, e subito la virtù del Signore lo pervade, lo penetra, lo arricchisce, lo colma, lo attiva. L'anima si sente ripiena di virtù di Dio e più si umilia e s'impiccolisce, accrescendo così la propria misura di capacità soprannaturale; s'umilia e fluiscono, per così dire, in Dio e verso Dio le proprie deficienze, le proprie miserie, le proprie necessità, esosmòsi mirabile che porta in Dio la nullità perché sia colma di Dio, e porta Dio nella nullità perché la ricolmi.

Anche quando sembra inascoltata, la preghiera penetra i cieli...

L'anima prega, arida terra che proprio nella sua notte sente cadere sulla sua squallida aridità la rugiada divina, prega e pregando è come vello che la raccoglie, è come semente che sente vivifico il suo germe, e lo fa erompere in Dio, rinverdendo in una novella speranza.

L'anima prega senza stancarsi, e pregando può giungere sino ai confini dell'onnipotenza creatrice, sicuro, fin là!

Essa, piccolo atomo, può avervi contatto, può cavarne una favilla novella di vita, può ottenere un miracolo, che è precisamente come un novello atto creativo di Dio. E grandioso! Essa scuote, per così dire, dal suo riposo Colui che creando si riposò, ridesta nel confidente amore quell'onnipotenza che s'era già appagata di produrrete la costringe con l'amore a nuove manifestazioni, facendole persino distendere di nuovo le mani stillanti vita sul nulla.

Niente resiste all'anima che prega, e prega apprestando a Dio la propria misura di capacità: l'umiltà, la piccolezza e la semplicità, che diventano fiamma di fede, d'abbandono e di fiduciosa certezza.

L'anima prega, e quelle sue mani levate in alto ed aperte nella fiducia diventano una croce vivente e supplicante, sulla quale si posa l'ombra del Crocifisso, ed essa, crocifissa dal dolore e unita alla divina volontà, è come una sola cosa col Crocifisso e diventa compiacenza di Dio, che si piega e l'ascolta. Dio ascolta l'anima che prega: infallibilmente lo ascolta, assolutamente l'ascolta, poiché è assurdo che la preghiera sia inascoltata.

La preghiera è l'unica voce che penetra i cieli, anche quando sembra che rimanga nella nostra greve atmosfera asfissiante; è l'unica voce che giungendo al Cielo si condensa in grazia, anche quando a noi non appare, anche quando appare l'opposto.

Maria pregava unita all'anima del suo Figlio che pregava in quanto uomo, ma divinamente, perché terminata dalla Persona del Verbo. Maria sentiva l'anelante desiderio di veder rivivere il Figlio, e l'Anima divina di Gesù bramava rompere i vincoli della morte del corpo che le apparteneva, La divina Persona terminava l'Anima ed il Corpo, ed era come forza che non poteva disgiungerli; per morire, quel Corpo dovette fare uno sforzo sovrumano, e per questo Gesù dette un grande grido nello spirare; dovette ricacciare l'Anima, emisit spiritum, quando essa gli era congiunta perché la divina Persona l'aveva terminata, come aveva terminato il suo Corpo. Si direbbe che si disgiunsero per forza di amore, come si allontanano i due estremi di un elastico che pur tendono a ricongiungersi.

L'Anima era discesa nel Limbo, aveva vagato trionfante, fulgente di luce divina, e il Corpo era rimasto inerte, dissanguato, fasciato, chiuso, pur stando ipostaticamente unito con la vita infinita. Anelava perciò all'Anima, come l'Anima anelava ad esso, ma non poteva riprenderla ed esserne ripreso perché era morto; veramente morto, non aveva più Sangue ed aveva il Cuore squarciato. L'Anima lo vide, e non poteva riaccendergli la vita senza ricomporne le potenze atte alla vita, poiché l'Anima non può vivificare le vene vuote, il cuore infranto e le membra inerti perché non hanno più potenza nei centri di trasmissione delle loro attività.

Gesù risorge da morte!

Maria pregava, e l'Anima divina di Gesù, allo scoccare del momento stabilito da Dio, affrettato dalla preghiera fino al semplice apparire del terzo giorno, presa da Lei, sua Madre, quasi l'obbedienza, perché nulla voleva e volle fare senza di Lei, andò veloce come scoccar di folgore al sepolcro, e ripassando per i luoghi della Passione, riaccolse il Sangue che v'era sparso. Anche quel Sangue era divino, e sentì l'attrazione della divina virtù che lo chiamava, perché fosse tornato vivificato nelle vuote vene del Corpo divino. Fu un momento, un grandioso momento, poiché la divina onnipotenza non ha bisogno di tempo per agire: l'Anima penetrò nella tomba, rivide il Corpo che le apparteneva con tanto diritto, l'amò, l'amò con fiamma infinita, perché l'amò con l'infinito vivificante Amore. L'amò e nell'amarlo o ricompose per la divina virtù che era in Lei. In un attimo le membra martoriate si ricomposero, il Sangue ripigliò il suo posto, ed il Cuore, pur squarciato, diventò atto alla vita. Gli angeli tremanti di gioia adoravano.

La tomba era avvolta dal brumoso silenzio dell'alba, vigilata dall'annoiata presenza della guardia stupita di dover custodire un morto, ignara di custodire come picchetto d'onore la Vita che risorgeva. La terra sembrava cantare in sordina essa pure un inno di vita, poiché silenziosamente erompevano qua e là dai rami ancora stecchiti le gemme novelle, ombra di risurrezione, stentata risurrezione dopo l'inerzia invernale.

La morte ristette scarna e confusa... La sua falce cadeva vinta; non poteva mantenere più fra gli adunchi artigli il covone reciso, tremava come ombra cupa innanzi al fulgore che la ricacciava per sempre.

Le pareti della taverna che stillavano come gocce di pianto l'umido delle tenebre, sembrarono imperlate di gemme, stillavano gioia, sentivano la vita e risuonavano già dell'inno trionfale della risurrezione,

L'Anima di Gesù s'avvicinò al Corpo, e quasi nube lucente, sparì penetrando le funebri bende. Fu un momento.

Si animò il cerebro, pulsò il Cuore, quasi affannando d'amore per l'aperta ferita, rigurgitò il Sangue nelle vene, deviando alle ferite delle mani e dei piedi, che rimasero come gemme gloriose del trionfo sul peccato. I nervi, come percossi da una corrente potente, si ridestarono riunendo i muscoli; la pelle si ricompose rosea e fresca, profumata non di mirra e di aloe, ma di balsamico amore. Quel Corpo era vivo, più vivo di prima, senza il peso inceppante della materia, vero corpo ma fluido quasi come luce, come fuoco, come onda d'amore. Gli occhi splendenti s'aprirono alla luce eterna, e quella vita mirabile fu tutta un inno di adorazione e di ringraziamento al Padre, fu tutta una freschezza di gioia, di giovinezza novella, di pace.

Il Corpo divino sgusciò dalle bende senza bisogno di svolgerle, s'alzò bellissimo, vestito di splendore, attraversò il masso, uscì alla luce, riguardò la caverna ancora chiusa dai suggelli, sorrise trionfante, poiché aveva dissigillata per sempre la morte e l'aveva vinta.

Camminò perché era veramente vivo, svoltò, e i primi raggi del sole, innanzi a Lui, quasi fiocchi di tenebre, si umiliarono. Egli era la Luce. Com'era bello! Io lo vedo e mi trema il cuore d'amore: la sua chioma è splendida come regale paludamento del capo glorioso; gli occhi placidissimi rifulgono d'amore e di bontà; grandi, cerulei, più belli della distesa dei cieli, guardano i secoli, dominano gli spazi, penetrano l'eternità. Il suo Corpo è pieno di maestà, bellissimo nelle sue membra, spirante bellezza divina. Che gioia al suo passaggio! Egli è la verità, Egli è la vita, Egli è la pace! Lo adoro, ma adorandolo lo amo, e mi sento fuso al suo Cuore ch'è tutto una fiamma d'amore e rifùlge dall'aperta ferita. Mi guarda. Egli è la santità ed io il peccato; ma il suo sguardo è misericordia e m'avvolge di perdono e di pace, ed io piango, cantando con gli angeli: Victimce pascali laudes immolent Christiani. Agnus redemit oves, Christus innocens Patri reconciliavit peccato- res. E il peccatore sono io, mi sento tale solo io, riconciliato dalla misericordia del mio Redentore!

Sosto ancora un momento, impallidisco, tremo. In questo momento medesimo gli angeli rovesciano il masso del sepolcro, perché non sia più chiusa la tomba gloriosa del risorto; la terra trema, le guardie del sepolcro cadono tramortite per lo spavento.

La verità ha trionfato della menzogna. E gli angeli cantano assisi sul masso rivoltato: Alleluia, alleluia, alleluia. O figli e figlie degli uomini, il Re celeste, il Re della gloria è oggi risorto da morte. Alleluia! Alleluia la pietra è rovesciata, i suggelli sono rotti, spezzato è il vincolo della morte. Alleluia!... Ed io prostrato faccio eco al loro inno trionfale esclamando: E risorto Gesù mia speranza, Egli mi precede nel Cielo. O Re vittorioso, abbi pietà di noi. Amen. Alleluia!

Avvisati da Maria Maddalena, Pietro e Giovanni corrono al sepolcro

Maria Maddalena venne al sepolcro proprio in questo momento; ma era buio nell'anima sua, credeva d'andare ad un morto, non pensò che il masso fosse stato rovesciato dal Vivente risuscitato, si spaventò, e corse a dar nuova dell'accaduto come lo vedeva e lo capiva lei, a Pietro ed a Giovanni: Hanno portato via dal sepolcro il Signore, e non sappiamo dove l 'abbiano messo.

I due apostoli s'incamminarono al sepolcro per constatare ciò che aveva detto Maria Maddalena, e poiché presero una via diversa da quella delle pie donne, non le incontrarono quando esse tornarono gioiose, dopo aver visto gli angeli (Mt 28,5) che avevano annunziato loro la risurrezione.

Correvano i due apostoli, tanta era l'ansietà che li aveva presi; Giovanni, più giovane, corse di più e giunse per primo al sepolcro.

Non vi entrò però, perché forse non ne ebbe il coraggio da solo, ed anche per rispetto al principe degli apostoli. Si chinò, giacché l'apertura della caverna non era molto alta, e vi sporse la testa per osservare; vide le bende che avevano avvolto il corpo, poste da parte ordinatamente, e se ne stupì, perché chi avesse voluto rubare il Corpo, non le avrebbe né lasciate né tanto meno lasciate a quel modo. Dopo poco giunse anche Pietro, che, sentendosi in compagnia, vinse più facilmente quel senso di terrore che cagiona sempre un sepolcro, e vi entrò. Egli poté esaminare più accuratamente i panni che Giovanni aveva visti di lontano, e notò con sorpresa che il sudario che aveva avvolto il capo di Gesù stava riposto a parte, ripiegato, il che escludeva assolutamente il rapimento del Corpo. Invitò Giovanni a constatarlo, e quegli, fattosi animo, entrò nella caverna, osservò tutto minutamente, e credette alla risurrezione.

L'evangelista dà la ragione dell'incredulità che prima li aveva presi: Essi non sapevano ancora dalla Scrittura che Egli doveva risuscitare da morte.L'ignoranza li aveva resi increduli, ma l'ignoranza derivante dall'ostinazione nelle proprie idee, giacché Gesù in vari modi aveva loro preannunziata la sua risurrezione. Credevano che il Redentore non dovesse morire, perché supponevano che dovesse regnare eternamente su Israele dopo averne ricostituito il regno; la sua morte fu per essi il crollo di ogni speranza, e l'annunzio della risurrezione sembrò loro una fantasia di donne.

Il constatare che il Corpo non c'era più nel sepolcro, e che il modo col quale erano piegate le bende indicava che non ne era stato sottratto, aprì loro gli occhi, e se ne ritornarono a casa pensosi. La loro fede però non era ancora piena e, pur non potendo negare che il corpo non era stato rubato, rimase per loro in quel momento ancora oscura e confusa la verità. Credettero assolutamente a quello che avevano visto, e credettero con una certa esitazione a quello che non avevano visto.

La nostra fede, un'altalena di luci e di ombre

Così è tante volte la nostra fede: non possiamo negarne le verità, ma non ne abbiamo una vera e profonda convinzione, che dev'essere stabilmente poggiata sull'autorità di Dio che le rivela. Crediamo per uno sforzo; abbiamo luci e tenebre, avvelenati come siamo dai ragionamenti asfissianti dell'errore. La testimonianza umana ci sembra infallibile e vi prestiamo fede immediatamente dopo un controllo superficiale; la testimonianza divina ci sembra, inconsciamente, di minor valore, sull'intero annunzio del Vangelo, perché se Cristo non fosse risorto sarebbe vana la nostra predicazione e la nostra fede (san Paolo). Per questo in tutti i secoli i nemici di Cristo hanno cercato con tutti i sofismi di scalfire il fatto storico della risurrezione, senza però riuscirvi mai. Anche ai nostri giorni improvvisati teologhelli hanno cercato di evadere il nucleo storico della risurrezione di Cristo per navigare in zone nebulose ed irreali.

perché non possiamo sempre ridurla ad una constatazione materiale. È una cosa penosissima: se vediamo un miracolo che ci attesta un fatto storico, ci crediamo con riserva; se scopriamo un documento, una pietra, una carta, un segno materiale che ce lo attesti, lo crediamo assolutamente. Proprio come Pietro e Giovanni che non credevano alle Scritture e alle parole di Gesù, ignorandone il significato per loro fragilità, e credettero alla testimonianza delle bende riposte nella tomba.

Più grave ancora è per noi la titubanza che abbiamo di fronte ai fatti soprannaturali, e la supina stupidaggine con la quale ci impressioniamo e ci commoviamo di qualunque cosa ci venga detto. Specie in tempo di guerre, di sventure comuni o di situazioni eccezionali della vita, corriamo rischio di accettare immediatamente qualunque notizia sensazionale ci venga data. Il giornale, poi, che è spesso gremito di stoltezze e di menzogne, diventa per noi l'affascinatore giornaliero che forma la nostra mentalità, e la radio diventa la viva voce di testimonianze che crediamo assolute, quando s'incontrano coi nostri pensieri, col nostro pessimismo od ottimismo, e con le nostre aspirazioni più o meno irreali e strampalate.

Fede, fede, fede! Se intendessimo la preziosità della fede e di tutto ciò che vi è collegato, non saremmo così sciocchi da rimanere titubanti innanzi alla luce, e sicuri innanzi alle tenebre! Fede, fede, fede! Se pensassimo che le verità e le panzane terrene finiscono col tempo, e che le verità della fede appartengono ad un ordine eterno, non saremmo così incoscienti da accettare quello che passa, e rifiutare quello che eternamente rimane! Oh, se avessimo una fede vera, profonda, viva, quanto sarebbe più tranquilla la vita, e quante benedizioni discenderebbero su di noi!

Pietro e Giovanni andarono insieme al sepolcro correndo, per l'ansia di vedere subito quello che era avvenuto; Giovanni corse più di Pietro e giunse prima, perché era più giovane.

Correvano i due apostoli che avevano maggiormente amato Gesù, e correva di più l'apostolo che più aveva amato.

Pietro può rappresentare la legge, Giovanni l'amore; corrono insieme al Signore, ma l'amore è più veloce e giunge sempre primo.

Giovanni giunse ma non entrò prima che fosse entrato Pietro, e prima che avesse egli constatato quanto era avvenuto. Così avviene nella via spirituale: l'amore corre più spedito ma non pretende di agire da sé e senza guida spirituale; si lascia sempre illuminare da chi rappresenta Dio, e si lascia introdurre da lui nella profondità dei misteri dell'amore. Pietro non era vergine, perché ammogliato; Giovanni invece era vergine, amato perciò in modo particolare da Gesù: corrono insieme nelle vie di Dio le anime legate al mondo e quelle consacrate a Dio nello stato verginale; queste però sono più svelte e raggiungono più facilmente la meta, perché sono piene di quella giovinezza spirituale che viene da Dio.

Corrono i due apostoli verso la tomba di Gesù ed entrano, quasi consepolti con Lui, nel luogo dov'Egli era stato riposto; corriamo anche noi nella via dello spirito verso la sepoltura e il nascondimento di noi stessi; se non siamo sepolti nell'umiltà, non giungiamo a scorgere Gesù, e se non passiamo per le tenebre delle angustie, non possiamo vivere di vera fede e di vero amore. E un'illusione il credere che l'amore peregrinante possa avere per meta in questo esilio la gioia; esso corre prima verso la tomba mistica per seppellirsi con Gesù Cristo in Dio, e poi, passato l'esilio/giunge al regno dell'eterna luce. La vita dell'amore è vita d'immolazione sulla terra, più arde l'anima e più è insoddisfatta, perché l'amore vero non è mai contento di sé. Invece di turbarci nelle interiori oscurità, abbandoniamoci a Dio, e rendiamo vita di pura fede la vita dell'amore che aspira ad avere pienezza di luce e di ardore per amare di più.

Sac. Dolindo Ruotolo

 

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