sabato 8 aprile 2017

09.04.2017 - Commento al vangelo di S. Matteo cap. XXVI par. 2-10

2. L'annunzio della prossima morte del Redentore, dato da Lui stesso, dal sinedrio e dall'atto di pietà della Maddalena

Si avvicinava la Pasqua solenne, nella quale dovevano compirsi i simboli, le figure e le profezie del passato, la Pasqua nella quale doveva essere immolato il vero Agnello, e proclamarsi la nuova alleanza tra Dio e l'uomo. Gesù stesso volle darne avviso ai suoi apostoli perché si fossero predisposti al momento solenne, che doveva essere per loro di suprema prova; il suo avviso era profetico, perché riguardava un futuro che umanamente non poteva sapersi, ed Egli nel darlo mostrava non solo di conoscerlo ma di dominarlo.

La Passione e la Morte non lo colpirono all'improvviso, ma Egli che tutto prevedeva, liberamente l'accoglieva per compiere la volontà del Padre e i disegni ammirabili della sua misericordia.

La Pasqua era la principale solennità degli Ebrei, la quale ricordava la liberazione dall'Egitto, figura a sua volta della liberazione dal peccato. Le si dava principio la sera del 14 di Nisan, cioè verso i primi giorni di aprile, con la cena dell'agnello, e durava otto giorni. Quando il 14 cadeva di venerdì, la sera della cena veniva a coincidere col principio del sabato, ed allora si anticipava l'immolazione e la cottura dell'agnello al giorno 13, non potendosi fare questo in giorno di sabato.

Gesù Cristo annunziò la sua imminente morte due giorni prima della grande solennità, e quasi contemporaneamente al suo annunzio si adunò il sinedrio per decidere come catturarlo con inganno ed ucciderlo. Per mantenere il segreto fu scelto come luogo dell'adunanza non la solita sala dei consigli, ma l'atrio della casa di Caifa, principe dei sacerdoti. Data poi l'affluenza dei pellegrini, si stabilì di catturarlo dopo i giorni di festa, per evitare una possibile sollevazione popolare.

Due annunzi della Passione del Signore, uno dato da Lui stesso che volontariamente si offriva come vittima, un altro dato dal sinedrio che malignamente ne tramava la morte; uno dato dall'amore l'altro dall'odio implacabile.

L'evangelista aggiunge a questi annunzi quello dato misticamente da una donna in casa di Simone il lebbroso, quasi inconsciamente. Questa donna, identificata generalmente per Maria Maddalena, entrò nella stanza dove si tratteneva Gesù, e gli versò sul capo un prezioso unguento di nardo, in segno di rispetto e di amore. Era costume di ungere con unguenti il capo e la barba degli ospiti, per testimoniare loro rispetto e deferenza, ma l'atto della Maddalena trascendeva quello di una semplice considerazione, era fatto per una particolare mozione di grazia che la spinse, per delicatezza, ad anticipare al Corpo del Redentore quegli uffici di rispetto e di venerazione che non potè rendergli dopo la morte. Lo disse Gesù Cristo medesimo, difendendola contro le mormorazioni degli apostoli, i quali videro in quella effusione un vano sciupio di denaro; Egli anzi affermò categoricamente che quell'atto sarebbe stato ricordato in tutti i secoli, nella predicazione del Vangelo.

Gesù Cristo annunziò la sua Passione e Morte per stabilire implicitamente questa verità fondamentale nel grande dramma che stava per svolgersi, e proclamare che nessuno avrebbe potuto togliergli la vita, senza che Egli l'avesse voluto. Il sinedrio manifestò tutta la propria malignità nel congiurare, e la Maddalena l'amore immenso che le ardeva nel cuore. Erano i tre capisaldi della Passione: l'amore che si dona, la perversità che lo immola, l'amore che risponde all'amore.

Quale potenza avrebbe potuto sopraffare l'Onnipotente?

Potrebbe mai un fiotto di acqua spegnere il sole? Se per ipotesi potesse raggiungerlo, sarebbe all'istante svaporizzato dall'immensa fiamma. L'atomo non potrebbe neppure lontanamente pensare di poter abbattere la salda roccia, né l'insettuccio di conquidere il gigante.

Ci volle tutta l'onnipotenza dell'amore per permettere all'odio insano di andargli contro e sopraffarlo; si direbbe anzi che l'amore abbia volto contro di sé quella malignità, che in caso opposto sarebbe stata meno di un fiotto d'acqua contro il sole, di un atomo contro la roccia, o di insettuccio contro un gigante. Che meraviglia è l'amore di Gesù che s'immola!

Nella vita cristiana anche noi, immagine di Gesù Cristo, ci sentiamo annunziare le angustie che ci purificano; il futuro ci serba sempre sorprese d'immolazioni penose, necessarie al conseguimento dell'eterna gloria. Dio ci prova per amore; la malignità umana ci perseguita per odio, e la carità dei buoni tempera le nostre pene con le sue delicatezze, che sono come unguento preziosissimo sulle nostre piaghe.

E necessario accogliere le prove di Dio col fìat della rassegnazione amorosa a Lui che è Padre e non può volere che il nostro bene; è indispensabile accogliere perdonando le pene che ci vengono dall'umana malizia, e ricevere con molta riconoscenza il sollievo che ci dona la carità.

La vita è un cammino di dolorosa passione, ma è breve; dopo un po' di combattimento si raggiunge la meta, e la meta è l'eterna felicità. Consideriamo con gioia questa brevità: di qui a poco meneremo albana, per così dire, come vecchi indumenti sdruciti, quello che ci tormentargli occhi, il cuore, il fegato, lo stomaco, le membra che ci danno pena non ci serviranno più; ce ne libereremo come si libera li bruco e la crisalide della sua forma per mettere le ali; voleremo per la croce alla luce!

    3. Il tradimento di Giuda

È un mistero d'iniquità che dà le vertigini, il tradimento di Giuda! Come poté un apostolo che aveva ascoltato tanti insegnamenti divini di Gesù, ed aveva assistito a tanti miracoli, giungere fino alla viltà di venderlo? Se si fosse interiormente turbato sulla sua dottrina, e l'avesse creduta un pericoloso inganno, avrebbe dovuto magari denunziarlo, oppure abbandonarlo per ritornare agli scribi e farisei; ma venderlo, e domandare con impudenza e cinismo ai suoi nemici che cosa gli avessero voluto dare come prezzo del tradimento, è tale abiezione, che suppone in Giuda un decadimento spaventoso di spirito, un abbrutimento, un odio che fa fremere.

Il Vangelo ci dice che dopo l'omaggio reso da Maria Maddalena al Redentore, spargendogli sul capo l'unguento prezioso, Giuda andò a proporre ai principi dei sacerdoti il tradimento prezzolato; questo ci può far supporre che abbia voluto così rifarsi del guadagno che avrebbe voluto cavare dall'unguento, secondo lui, sperperato.

Ma già da tempo il suo cuore, preso da satana, si era distaccato da Gesù, e già gli pesava quella vita randagia, che non offriva nessuna speranza alle sue ambizioni.

Egli aveva dovuto a poco a poco abituarsi a criticare quello che diceva ed operava Gesù, ed a vedervi tenebre e contraddizioni; tutto raccolto nel proprio orgoglioso giudizio, aveva dovuto a poco a poco concepire una nascosta avversione per Gesù, le cui particolari tenerezze per Giovanni avevano dovuto profondamente urtarlo.

Satana gli caricò le tinte delle sue critiche e le ombre delle sue tenebre, ed egli credette oramai di trovarsi di fronte ad un impostore o ad un illuso sognatore di chimere e di frottole. Guardò tutto dal suo corto angolo visivo, non seppe neppure sospettare che in ciò che gli appariva oscuro potesse esservi il piano di un disegno futuro, e cominciò a trarre utile dal denaro che portava per i bisogni di tutti, denaro affidato a lui. Il rubare, il turlupinare, il mentire gli abbassarono talmente il tono del cuore, che divenne avaro, e guardò la borsa che portava come sua proprietà; lo spirito in lui era come morto per il peccato, e l'abbrutimento lo portò all'ultima degradazione. Il suo cuore dovette essere soprattutto oppresso da un senso strano di dispetto, e le parole di amoroso rimprovero, che Gesù non dovette mancare di dirgli, lo chiusero in un'ostilità sprezzante che lo decise al tradimento. Duro di cuore e pertinace di volontà, orgoglioso ed insofferente di rimproveri, riguardò Gesù come se gli fosse stato nemico, e come tale lo barattò per disfarsene; la reazione di sterile compatimento umano che ebbe quando lo seppe condannato a morte, conferma questa sua ostilità irragionevole, giacché è proprio dell'odio senza veri motivi, il passare dall'ostilità alla compassione, quando si vede appagato e non trova più motivo di odiare.

Giuda fu preso da satana, e fu preso perché non corrispose alla grazia, non credette più, divenne un critico stolto della sapienza e delle opere di Gesù, e si chiuse nel suo cupo e desolante mutismo. Avviso alle anime consacrate al Signore le quali possono facilmente essere prese nei lacci del tentatore, quando danno corso alla loro natura, e rifiutano di farsi guidare nelle vie di Dio dall'umile sottomissione a chi rappresenta loro Gesù Cristo!

I principi dei sacerdoti avevano stabilito di non catturare Gesù nelle feste pasquali, ma l'offerta di Giuda li incoraggiò a farlo, e pensando di non poter avere un'occasione più propizia, promisero e dettero al traditore trenta monete di argento, quanto era il prezzo di uno schiavo. Giuda intascò il denaro, e d'allora cercò il momento opportuno per consegnare il maestro nelle mani dei nemici.

    4. Intanto Gesù si preparava a dare agli uomini la massima testimonianza del suo amore! La miseria della corrispondenza umana

Mentre l'apostolo infedele preparava l'insidia mortale, il Redentore pensava a dare agli uomini la massima testimonianza del suo amore. Era il primo giorno degli azzimi, cioè il primo giorno della solennità pasquale, alla sera del quale doveva mangiarsi l'agnello, e gli apostoli domandarono a Gesù dove dovessero preparare il banchetto. Gesù li indirizzò ad un amico, dando loro dei segni per rintracciarlo. Doveva essere un suo fedele seguace perché Gesù gli fece dire che il suo tempo era vicino, cioè che si avvicinava l'ora del suo sacrificio supremo, e desiderava da lui quella testimonianza di amore. Fattosi sera, cioè dopo le sei pomeridiane, Gesù sedette a mensa coi suoi discepoli.

L'ordine che si seguiva nella cena pasquale era il seguente: la sera del 14 del mese di Nisan s'immolava l'agnello e lo si arrostiva in modo da non romperne in alcun modo le ossa. Verso la notte i convitati si radunavano intorno alla mensa, ed il capo di famiglia, presa una coppa di vino temperata con l'acqua, benediceva Dio per aver creato il frutto della vite, e poi beveva lui e faceva bere i commensali. Veniva poi portata una bacinella d'acqua per lavarsi le mani, e dopo si apprestavano le vivande, cioè l'agnello, il pane azzimo, cotto in sfoglie sottili, una tazza di aceto o di acqua salata in memoria delle lacrime versate dagli Ebrei nella schiavitù, ed una salsa chiamata charoseth, con erbe amare. La salsa color mattone ricordava i mattoni fabbricati nella schiavitù, e le erbe amare le amarezze sofferte; ognuno ne mangiava, e dopo si intonavano i Salmi 112 e 113, bevendo poi di nuovo il vino e lavandosi le mani. Il capo di famiglia distribuiva a ciascuno il pane e l'agnello, ed una terza coppa di vino detta coppa di benedizione, e quando tutti avevano bevuto, s'intonavano i Salmi da 114all7esi beveva di nuovo.

Gesù Cristo osservò queste cerimonie prima di donare se stesso nell'Eucaristia; e mentre i suoi cari mangiavano, disse loro in tono di profondo dolore che uno di essi lo avrebbe tradito. Egli voleva spingere Giuda al pentimento prima di istituire il sacramento dell'Amore, e voleva che la stessa impressione di pena e di sgomento provata dagli apostoli a quell'annunzio lo avesse scosso. Ma Giuda non solo non si commosse, ma ebbe l'impudenza di domandare se fosse lui quegli di cui parlava. Non credendo più nel Maestro, suppose che qualcuno gli avesse svelato il tradimento, e per assicurarsene e nello stesso tempo dissimulare, glielo domandò. Gesù gli rispose con un cenno o con parole sommesse che era proprio lui, in modo però che gli altri non se ne accorgessero. La sua immensa carità non volle che fosse coperto di obbrobrio innanzi a tutti, e che fosse stato oggetto di violenta reazione. L'amore suo avrebbe voluto evitare che il traditore fosse stato presente al miracolo grandissimo che stava per compiere; ma Giuda rimase, ed uscì solo dopo aver consumato il sacrilegio.

    5. Gesù si dona nell'Eucaristia

Preso il pane, il Redentore lo benedisse, lo spezzò, e lo diede ai suoi discepoli dicendo: Prendete e mangiate, questo è il mio corpo. Dicendo queste parole transustanziò la sostanza del pane in quella del suo Corpo, dandosi vivo e vero in quel mirabile cibo. Egli non parlò di simbolo del suo Corpo, ma disse puramente e semplicemente che quel pane era il suo Corpo, aggiungendo, come dice san Luca (22,18) che era proprio il Corpo che si sarebbe offerto alla morte per la salvezza di tutti. Dunque non si poteva equivocare in nessun modo. Dopo il pane distribuì il vino, transustanziandolo nel suo Sangue, nel sangue del nuovo testamento, che doveva essere sparso per la remissione dei peccati di molti, cioè di tutti come dice chiaramente il testo greco.

Gesù soggiunse che non avrebbe più bevuto del frutto della vite, fino al giorno in cui lo avrebbe bevuto nuovo nel regno del Padre suo. Con queste parole volle dire apertamente che la sua vita mortale era al termine, e volle promettere la risurrezione. Egli non lo avrebbe più bevuto così come lo vedevano, ma risorto da morte avrebbe bevuto con loro mentre si inaugurava il regno di Dio sulla terra, come difatti avvenne nei quaranta giorni nei quali dimorò fra gli apostoli dopo la risurrezione.

Cantato l'inno, cioè i Salmi da 114 a 117, Gesù si avviò al monte Oliveto per pregare. Era mesto, e camminando coi suoi cari disse loro che essi in quella notte si sarebbero scandalizzati di lui e sarebbero fuggiti come pecorelle sbandate. Ecco la risposta che avrebbero dato a Lui che con infinito amore si era donato loro nella cena! Pietro protestò che sarebbe stato pronto a morire, protestò anche dopo che Gesù gli predisse che l'avrebbe rinnegato prima del canto del gallo, cioè tre volte prima che si facesse giorno, protestò insieme a tutti gli altri apostoli, ma la protesta non servì a nulla e, posto nell'occasione, spergiurò persino di non conoscere il suo Maestro!

Deve dirsi che l'umanità così ha risposto all'amore di Gesù Sacramentato: rinnegandolo praticamente. Come può dirsi infatti che si conosca Gesù, quando lo si riceve così raramente e così male? Chi sa di avere Gesù Cristo presente realmente nei santi tabernacoli, come può lasciarlo solo ed abbandonato?

Oh, se si gustasse un poco quella vita profonda e silenziosa che si sente dall'Ostia immacolata, se si dicesse una parola filiale e sincera al Redentore, come si avvertirebbe la sua presenza, e come si sentirebbe il bisogno di non abbandonarlo mai più! Non è un negare Gesù innanzi al mondo il trattarlo così male nell'Eucaristia? Non è un dire con Pietro: io non lo conosco? La vita di un fedele, e molto più di un sacerdote, dev'essere una perenne confessione del Mistero di fede come la Chiesa chiama l'Eucaristia.

    6. La Santa Messa, la predica più valida del sacerdote!

Il sacerdote dall'altare predica assai più che dal pulpito; gli basta celebrare bene la Santa Messa per manifestare la conoscenza che ha di Gesù Cristo e l'amore che gli porta; gli basta un gesto solo della Liturgia, fatto con vero e profondo spirito di fede, per accendere negli altri un fuoco di amore vivo verso Gesù Cristo. Quando invece d'immedesimarsi del mistero della Passione che si rinnova sull'altare, si sta, come Pietro, distratti intorno al fuocodelle cose umane, e si cerca il proprio tornaconto, si rinnega praticamente il Signore, si allontanano da Lui le anime, e s'incoraggiano i perversi a perseguitarlo. Il mondo scellerato e miscredente non ha bisogno oggi di grandi prediche, ma di grandi esempi di amore a Gesù, non ha bisogno di grandi discussioni apologetiche, ma di grandi manifestazioni di fede e di vita nel Sacramento dell'altare.

Per questo il Signore dà a questa generazione pessima la testimonianza dei martiri gloriosi, che è apologia ammirabile. Ecco per esempio l'interrogatorio fatto ai martiri sacerdoti della Spagna nel 1936 e 37 ed ecco le loro risposte più eloquenti di tutte le parole degli oratori più celebri: «Quali sono le vostre funzioni?», diceva il tiranno al martire. Ed egli:

«Sono sacerdote». «Dichiarate di non esserlo più». Risposta: «Impossibile». «Dichiarate di non volerlo più essere e la vostra vita è salva». «Non posso dirlo, perché sono sacerdote in eterno». Furore dell'interrogante sempre più rabbioso, quanto più la vittima accentuava la sua affermazione del carattere sacerdotale. Condanna a morte. I sacerdoti partivano per il luogo dell'esecuzione pronunziando queste parole: Per la causa del mio Dio e della mia fede. Ed al momento dell'esecuzione l'ultimo grido: Viva Cristo Re! (.Avvenire d'Italia, 27 aprile 1937). Questo breve tratto degli atti dei martiri della Spagna vale più che cento volumi di apologie, come vale più di un poema la parola del seminarista diciottenne di Barbastro, crocifisso in piazza per odio alla fede: Gesù, per tuo amore e per la salvezza della Spagna!

    7 . L'orazione nell'orto

Finita la cena, Gesù si avviò verso un orto chiamato Getsemani, cioè strettoio di olio, dove soleva raccogliersi per pregare. Doveva essere di proprietà di qualche amico o discepolo, avendovi Egli libertà di entrare. Per non contristare i suoi cari, li lasciò all'entrata dell'orto e prese con sé soltanto Pietro, Giacomo e Giovanni, raccomandando loro di vegliare con Lui, che aveva l'anima triste sino alla morte. Il testo evangelico è di una semplicità e laconicità impressionante, ma quello che ci dice dell'agonia del Signore lascia nell'animo un profondo senso di compassione, e ci concentra nel mistero della ineffabile angoscia che Egli soffrì. In quel momento si sentì gravato dai peccati passati, presenti e futuri di tutto il mondo, e ne ponderò l'orrore. Tre volte si sentì venire meno, e pregò il Padre che avesse allontanato da lui, se possibile, quel calice amaro; tre volte perché tre volte fu oppresso mortalmente: fu schiacciato sotto il peso dei peccati degli uomini, sotto il peso delle agonie e dei dolori della sua Chiesa, e sotto l'angoscia dei suoi imminenti tormenti. Quello che soprattutto lo fece agonizzare fu l'offesa di Dio, della quale ponderava tutto l'orrore, e l'ingratitudine umana verso tutte le grazie che Egli stava per versare sulla terra. La ripugnanza poi della sua umanità alla morte fu come la sintesi e il concentrato di tutta la ripugnanza umana al dolore ed alla morte, ed Egli sentì tale agonia, che, come dice san Luca (22,44) sudò vivo sangue.

La stessa agonia che soffrì gli fece fare il sacrificio di sé stesso al Padre, in un abbandono pieno alla volontà di Lui, di modo che la sua offerta fu tale sublime immolazione, che la povera mente umana non può comprenderla. Egli fu veramente come stretto nel torchio; si sentì come stirare e spezzare i nervi ed il cuore, si sentì oppresso da tenebre interiori spaventose, accresciute in Lui, come ci dicono i santi mistici, dalle violente incursioni di satana, che tentava distoglierlo col terrore dal suo sacrificio. In quest'agonia Egli si sentì solo, poiché i suoi apostoli, presi dalla tristezza, e forse per l'umidità stessa della notte, si addormentarono. Gesù se ne lamentò specialmente con Pietro, che pur gli aveva fatto tante proteste di amore, ma essi lungi dal vigilare erano sempre più aggravati dal sonno. La terza volta che andò a svegliarli, Gesù disse loro in tono di grande amarezza: Dormite pure e riposatevi, ecco è vicina l'ora [...] alzatevi andiamo: Egli volle dire loro che oramai era inutile ogni ulteriore vigilanza e non c'era più tempo per la preghiera; il pericolo era imminente, il traditore veniva già, non gli rimaneva che andare incontro alla morte.

Gesù Cristo sta nell'Orto della sua Chiesa e, nascosto nel suo Tabernacolo di amore, prega e si offre al Padre. Là Egli continua la sua agonia misticamente, e là vuole i suoi figli, perché veglino e preghino con Lui. Quale dolore per Gesù il vedere che i suoi figli dormono nella notte dei loro peccati, e sognando le chimere del mondo, lo dimenticano. Le grazie particolari che il Redentore dona a quelli che vegliano con Lui intorno ai tabernacoli santi, ed a quelli che gli fanno compagnia nell'agonia del giovedì, mostra quanto Egli abbia cara la nostra veglia amorosa.

Il mondo congiura sempre contro di Lui, l'ingratitudine umana lo tradisce, ed Egli cerca i cuori che possono consolarlo. Oh se vigilassimo con Lui, quante tentazioni vinceremmo, ed a quali altezze di perfezioni saliremmo! Noi crediamo cosa da nulla il poltrire nella nostra accidia spirituale, eppure è proprio essa la causa del nostro decadimento spirituale! Vigiliamo e preghiamo per contrapporci al mondo che vigila per tramare insidie alla Chiesa, e siamo i suoi difensori non con semplici promesse, ma con l'attività di un profondissimo amore e di un ardente apostolato.

    8. La cattura di Gesù

Mentre Gesù ancora parlava ai suoi apostoli, Giuda si avanzò, e con lui, ad una certa distanza, una gran turba armata di spade e di bastoni, mandata dal sinedrio. Il traditore si avanzò verso Gesù e secondo il segnale che aveva dato, lo baciò per additarlo con sicurezza agli sgherri. Quel bacio fu per il Redentore un dolore inconcepibile, non solo perché menzogna spaventosamente crudele, ma perché fu come il bacio datogli dal peccato stesso. Non si può misurare che cosa sia stato il contatto della menzogna con l'eterna verità e del peccato con l'infinita santità!

Gesù Cristo non rifiutò il bacio di Giuda, anzi chiamò questi amico, in segno di misericordia, e gli domandò perché fosse venuto, per fargli ponderare il passo che aveva dato. Forse al contatto del volto divino di Gesù ed alle sue parole dolcissime, cominciò in Giuda il sentimento di profondo rimorso, che avrebbe potuto essere pentimento, e per sua colpa divenne disperazione. Egli non resistette all'interrogazione soavissima del Maestro, e poiché gli sgherri si avanzarono per catturare la vittima designata, foggi errando per le valli in preda ad un'agitazione spaventosa.

Nel vedere i manigoldi stringersi minacciosi intorno al Signore, Pietro sfoderò una spada che aveva portato con sé proprio in previsione di un pericolo notturno, ed amputò l'orecchio destro di un servo del principe dei sacerdoti. Non aveva saputo dargli amore vigilando nella preghiera, e pretese dargli aiuto difendendolo. L'impeto che ebbe fu una vera tentazione di satana, il quale, astutissimo com'è, volle metterlo nella condizione di compromettersi con l'autorità e di essere più facilmente spinto a rinnegare il Maestro.

Satana con quell'atto inconsulto di coraggio e di zelo, lo predispose al peccato che stava per commettere, gli dette coraggio per ferire il servo, e gli tolse il coraggio per confessare il Signore! Certo l'aver ferito il servo del principe dei sacerdoti importava per lui una compromissione penale, ed egli, quando si trovò di fronte alle serve ed ai circostanti che asserivano essere lui uno dei discepoli del Redentore, negò ripetutamente perché temette di essere coinvolto con Gesù Cristo, e di poter pagare la pena della ferita fatta al servo del sacerdote. Gesù Cristo fece capire a Pietro prima, e poi a tutti quelli che lo circondavano, che quello che avveniva era precisamente il compimento delle Scritture. Se Egli avesse voluto impedirlo, lo avrebbe potuto, domandando al Padre, più che dodici uomini, dodici legioni di angeli; ma doveva svolgersi ciò che era stato predetto. Egli lasciava il corso alle libere volontà umane, dominandole non già con la forza ma utilizzando la loro stessa perversità al compimento dei disegni del suo amore. Gesù Cristo non volle dire che ciò che succedeva era fatale, ma che era stato già predetto, e che costituiva perciò una parte del disegno divino che si sviluppava fra le libere volontà degli uomini.

    9. La fuga degli apostoli

I discepoli, che frattanto si erano radunati intorno a Gesù, attratti dall'insolito fragore delle armi, visto che Gesù non s'era difeso, né aveva permesso di difenderlo, presi dal panico, lo abbandonarono e fuggirono. Fuggirono tutti, senza eccezione; solo Giovanni poi ritornò sui suoi passi e lo seguì, e Pietro, dopo il primo sgomento, si mise appresso a Lui da lontano, per vedere dove andassero a finire quelle violenze. Lo seguiva da lontano perché il suo cuore e la sua fede erano già lontani dal suo Signore; lo seguì da lontano, proprio come quei cattolici senza vita e senza coraggio, che non sanno rendere testimonianza della loro fede, e vogliono seguire il Re divino senza compromissioni! Tutto l'amore dunque che Pietro aveva detto di avere per Gesù, s'era ridotto a questo! Ma dal seguire il Signore da lontano e rinnegarlo il passo fu breve, e Pietro dopo poco giurò di non averlo mai conosciuto, proprio quando il Maestro divino si appellava alla testimonianza dei suoi discepoli!

    10. Il tribunale di Caifa

Tutto il processo, inscenato dai principi dei sacerdoti e dal sinedrio, era semplicemente una formalità; essi infatti non cercavano la verità ma i falsi testimoni, non indagavano sulle supposte responsabilità del Redentore, ma volevano ad ogni costo disfarsene, pur serbando un'apparenza di legalità. È impressionante il pensare che gli stessi falsi testimoni, prezzolati per mentire, non poterono accusarlo verosimilmente, tanta era la sua santità, e poterono solo riportare, falsandole, le parole che aveva dette guardando il tempio. Egli infatti non aveva detto di poter distruggere il tempio e riedificarlo in tre giorni, ma, parlando del suo Corpo, aveva detto ai suoi nemici: Distruggetelo voi, ed io in tre giorni lo riedificherò.

La falsa testimonianza, benché avesse deformata la verità, non era sufficiente a pronunziare una sentenza di morte, e perciò il Sommo sacerdote con diabolica malizia interrogò solennemente Gesù Cristo sulla sua divinità; lo scongiurò per il Dio vivente a dirlo, perché sapeva che Egli non l'avrebbe negato, e perché sperava che, negandolo per timore, si fosse da sé stesso sfatato. Dio permise tanta malignità, perché volle che solennemente, innanzi al sacerdote, dalla bocca stessa del suo Figlio fosse stata dichiarata la verità.

Vi fu un momento di silenzio nell'assemblea. Caifa fissava Gesù con uno sguardo ipocrita e maligno, contento di averlo messo alle strette.

Gesù s'illuminò di un insolito splendore di maestà, e rispose non solo che Egli era il Figlio di Dio, ma che un giorno sarebbe ritornato sulle nubi del cielo con grande maestà, per giudicare tutti e per giudicare quelli che in quel momento presumevano di giudicarlo. Caifa a quella solenne dichiarazione finse d'addolorarsi, si lacerò le vesti, proclamò che Egli aveva bestemmiato, eccitò l'ira dell'assemblea, lo fece dichiarare reo di morte e lo abbandonò agli obbrobri ed alle percosse della canaglia.

In quell'aula tenebrosa s'iniziò la lotta contro il Redentore, lotta di calunnie e di persecuzioni, che dura tuttora nel suo Corpo mistico, specialmente oggi. Ma tutte le persecuzioni e gli obbrobri non potranno mai distruggere la verità, e quando l'umana nequizia avrà raggiunto il culmine di ogni nefandezza, allora la divina giustizia si manifesterà, il mondo sarà sconvolto dalle ultime tribolazioni, ed il Giudice eterno verrà a giudicarlo. Non ci scandalizziamo del fugace trionfo degli empi, non ci uniamo al loro rauco coro, mormorando della divina provvidenza, non ci uniamo a quelli che rinnegano il Redentore ma confessiamo la nostra fede a fronte alta, e piangiamo amaramente sui nostri peccati e sui tristissimi momenti che attraversiamo. Preghiamo e vigiliamo con l'azione per tutelare l'onore di Dio, preghiamo e confidiamo sospirando al regno del Re d'Amore, preghiamo ed uniamoci con la vita veramente cristiana alla confessione del Redentore che i martiri fanno ora stesso col loro sangue!

Sac. Dolindo Ruotolo

 

Nessun commento:

Posta un commento