sabato 28 marzo 2015

29.03.2015 - Commento al vangelo di S. Marco cap. 15 par. 2-6

2. L'ingiusta condanna dell'Innocente divino


I sacerdoti, come si disse, si preoccuparono di dare al loro giudizio una parvenza di legalità, non solo per fare apparire Gesù un condannato e distruggere ogni suo prestigio, ma anche perché ne dovevano dar conto al rappresentante di Roma, potendo lui solo ratificare le sentenze di morte. La sentenza pronunziata nella notte non era legalmente valida, e perciò es si, di buon mattino, ricapitolarono quello che avevano fatto nella notte, e legato Gesù, lo condussero a Pilato sperando che egli non avesse fatto altro giudizio.

Ma a Pilato non erano ignote le male arti dei sacerdoti contro Gesù, perché molte volte essi avevano dovuto fare ricorso contro di Lui; egli sapeva, dice infatti il Sacro Testo, che lo avevano catturato per invidia, e non volle ratificare la loro sentenza senza darsene conto. Domandò a Gesù prima di tutto se Egli era il re dei Giudei.

29.03.2015 - Commento al vangelo di S. Marco cap. 14 par. 4-6

4. Vane proteste di amore e realtà di un'agonia immensa

Finita la cena, Gesù recitò l'inno, cioè i Salmi, dal 114 al 117, insieme con gli apostoli, per ringraziare il Padre, e si avviò al monte Oli veto per passarvi la notte in orazione. Gli apostoli lo seguivano, ignari di ciò che avevano ricevuto e della tempesta che si addensava sul loro capo. Non erano ancora uomini di orazione, e la tentazione avrebbe potuto vincerli facilmente; perciò Gesù Cristo li premunì contro il pericolo dicendo: Tutti sarete scandalizzati per me in questa notte, poiché sta scritto: Percuoterò il pastore e si disperderanno le pecorelle.

29.03.2015 - Commento al vangelo di S. Marco cap. 14 par. 2-3

2. Generosità di amore in una donna e tradimento in un apostolo

Le parole di rimprovero, rivolte da Gesù agli scribi ed in generale alla classe dirigente, avevano suscitato un fermento più grande contro di Lui da parte dei principi dei sacerdoti, i quali, decisi di farla finita, radunarono un consiglio segreto per studiare il modo di ucciderlo. Essi però temevano il popolo, giacché in occasione della Pasqua concorreva numeroso a Gerusalemme da tutte le parti, e capivano che fra tanta gente era possibile che ci fossero molti seguaci del Redentore i quali avrebbero potuto levarsi in armi per difenderlo. Decisero quindi di attendere un'occasione propizia, e dolorosamente questa la diede loro proprio un apostolo di Gesù, Giuda Iscariota.

sabato 21 marzo 2015

22.03.2015 - Commento al vangelo di S. Giovanni cap. 12 par. 4

4. I pagani vogliono vedere Gesù

Molti pagani, presi dal fascino della verità, si univano come proseliti al popolo ebreo; alcuni osservavano solo pochi precetti della Legge, ed erano chiamati proseliti della porta, quasi rimanessero solo innanzi all'ingresso del regno di Dio, altri invece si sottomettevano a tutte le prescrizioni della Legge, compresa la circoncisione, ed erano chiamati proseliti della giustizia. In occasione delle feste di Pasqua perciò molti pagani accorrevano a Gerusalemme, per adorare Dio nell'atrio che loro era riservato. Vi concorrevano anche quelli che non erano proseliti per un senso di curiosità, in maggioranza uomini d'affari o commercianti, che si trovavano a passare per la Palestina per il disbrigo delle loro faccende.

sabato 14 marzo 2015

14.03.2015 - Commento al vangelo di S. Giovanni cap. 3 par. 2

2. Il mirabile discorso di Gesù Cristo a Nicodemo



Uno dei dottori della Legge, della setta dei farisei, stimato tanto da essere chiamato il maestro in Israele, come appare dal versetto 10 nel testo greco, andò da Gesù di notte per conversare con Lui, per constatare di persona chi fosse e quale valore avesse la sua dottrina, e per indagare sulle sue intenzioni e sui suoi disegni. Si chiamava Nicodemo e, benché avesse un nome greco, cosa abbastanza comune a quei tempi pur fra gli Ebrei integri e totalitari, che amavano la loro legge ed erano attaccatissimi alle loro aspirazioni.

domenica 8 marzo 2015

08.03.2015 - Commento al vangelo di S. Giovanni cap. 2 par. 3

3. Gesù caccia i profanatori dal tempio

Da Cana di Galilea Gesù, insieme con la Madre, i suoi parenti e i suoi discepoli, scese a Cafarnao, che si trovava a un livello più basso, e vi rimase alcuni giorni per unirsi al pellegrinaggio che si recava in Gerusalemme per la solennità della Pasqua. Egli non aveva ancora stabilito a Cafarnao la sua dimora. Andato a Gerusalemme si recò al tempio per adorare il Padre, e vi notò un gravissimo sconcio, contro il quale insorse con tutto l'impeto del suo zelo ed il fulgore della sua divina maestà.

sabato 7 marzo 2015

07.03.2015 - Commento al vangelo di S. Luca cap. 15 par. 3

3. Le tre parabole della misericordia di Dio: la pecorella smarrita

I farisei si mostravano spietati contro i peccatori, perché la loro salvezza non li interessava. Amavano così poco Dio, che non importava loro delle perdite del suo amore, mentre erano estremamente interessati e venali per ciò che riguardava i loro averi ed il loro denaro.

Gesù, per rendere loro intelligibile la delicatezza della divina bontà, li richiama direttamente ai loro interessi materiali, ed in particolare alle pecorelle dei loro ovili, che erano la ricchezza di quei tempi. Psicologicamente c'è una ritorsione amorosissima nella stessa concisione con la quale Gesù risponde ai farisei: Chi di voi, avendo cento pecore e perdutane una, non lascia le altre novantanove nel deserto, e non va a cercare quella che si è smarrita, finché non l 'abbia trovata? Il suo Cuore divino è ferito dalla loro mormorazione, non forma un racconto, ma li investe toccandoli su ciò che poteva interessarli e commuoverli, per dire: Come, voi non sapete che i peccatori sono mie pecorelle e che io li amo quasi pastore dell'ovile? Voi avete care le pecorelle vostre e se ne smarrite una non vi date pace finché non l'abbiate ritrovata, ed io dovrei lasciar perire una pecorella mia, smarrita nei dirupi della colpa? È un'argomentazione veemente, che mostra tutto l'amore di Gesù per i poveri peccatori, e la pietà cristiana l'ha raccolta e diremmo l'ha sviluppata per fame uno dei più teneri simboli dell'amore misericordioso del Redentore.

giovedì 5 marzo 2015

05.03.2015 - Commento al vangelo di S. Luca cap. 16 par. 4

4. La parabola del ricco epulone



Per imprimere meglio nei cuori il capovolgimento che avviene innanzi a Dio di ciò che il mondo stima grandezza e ricchezza e per mostrare più efficacemente quale uso deve farsi delle ricchezze, Gesù raccontò una parabola bellissima che è una vera rivelazione sul mistero della vita futura in ordine alla vita che meniamo in terra.

C'era un uomo ricco, tanto ricco che vestiva come un re, di porpora e di finissimo lino di Egitto, chiamato bisso. Era un gaudente, ed ogni giorno faceva splendidi banchetti. Alla porta del suo sontuoso palazzo v'era un povero, chiamato Lazzaro, abbreviatura di Eleazaro, il quale era piagato, sfinito ed affamato e, sentendo il profumo delle vivande del ricco, desiderava almeno di averne i residui e nessuno gliene dava. Venivano a lui i cani a leccargli le piaghe, forse i cani del palazzo stesso del ricco, il che dimostra che vi erano riguardati più del povero. Lazzaro non aveva neppure la forza di allontanarli, e forse aveva da essi soltanto un sollievo al prurito delle sue piaghe.

Ecco una vita splendida ed una vita infelicissima innanzi al mondo; ma innanzi a Dio la cosa era immensamente diversa. Morì infatti il povero e fu portato dagli angeli nel seno di Abramo, cioè nel Limbo, dove i giusti, in compagnia di Abramo, attendevano che il Redentore aprisse loro le porte del cielo. Era un luogo di felicità e di pace naturale, immensamente superiore a qualunque stato di terrena felicità. Dopo poco tempo morì anche il ricco e fu sepolto nell'inferno. La sua vita dissoluta aveva prodotto il suo frutto di morte, ed egli tra le fiamme dell'inferno soffriva orribili tormenti.

Dal luogo della sua perdizione, così permettendolo Dio, vide da lontano Abramo e Lazzaro nel suo seno, cioè in sua felice compagnia. Quale contrasto con la vita misera che quel povero aveva condotto, e con la vita tormentosa che il ricco attualmente viveva! Questi sperò almeno un minimo sollievo fra le pene che soffriva, e rivolgendosi ad Abramo, quale capo del popolo cui apparteneva, lo supplicò di mandargli Lazzaro perché avesse intinto la punta del dito nell'acqua e gli avesse refrigerato la lingua, giacché bruciava nelle fiamme. Abramo gli rispose con una sentenza che non ammetteva repliche: egli aveva ricevuto beni nella vita mortale e non aveva fatto opere sante; Lazzaro aveva ricevuto tribolazioni e le aveva sofferte in pace per amore di Dio. Ora la situazione s'era capovolta irrimediabilmente, perché lo stato dell'eternità è immutabile, e non poteva mai avvenire che Lazzaro avesse potuto sollevarlo, per l'abisso incolmabile che separava lo stato di salvezza e quello della perdizione.

Il povero ricco, non potendo avere egli un sollievo, si preoccupò di cinque fratelli che aveva e supplicò Abramo di mandare Lazzaro ad avvertirli, giacché conducevano vita sontuosa pure essi, e non voleva che avessero la stessa sorte.

Abramo non disse che Lazzaro non sarebbe potuto andare da essi, ma replicò che avevano già Mosè ed i profeti, e potevano alla luce delle loro parole salvarsi. Il ricco insistette che se avessero avuto l'avviso salutare da un morto avrebbero fatto penitenza; Gli sembrò che l'apparizione di un'anima felice come quella di Lazzaro e l'avviso della propria perdizione li avrebbero scossi. Ma Abramo gli disse recisamente che se non credevano a Mosè ed ai profeti, non avrebbero prestato fede neppure ad un morto risuscitato.

domenica 1 marzo 2015

01.03.2015 - Commento al vangelo di S. Matteo cap. 9 par. 2

2. La trasfigurazione di Gesù Cristo

La confessione solenne fatta da san Pietro, per lume divino, della divinità di Gesù Cristo, aveva bisogno di una conferma solenne almeno per gli apostoli che maggiormente avrebbero potuto un giorno illuminare gli altri, e Gesù volle darla con grande solennità, e nello stesso tempo con grande riserbo. Egli condusse con sé dopo sei giorni Pietro, Giacomo e Giovanni su di un monte che la tradizione identifica nel Tabor, e si trasfigurò innanzi ad essi. Era rivestito di umana carne e di umili vesti, ed apparve rifulgente essendo Dio da Dio, luce da luce, Dio vero da Dio vero, e con le vestimenta, rese, per la luce medesima che le inondava, di un bianco così intenso, da non potersi paragonare con qualunque candore terreno. Erano poi con Lui Mosè ed Elia, che rappresentavano la Legge ed i Profeti, i quali discorrevano con Lui.

Quello spettacolo grandioso colmò di timore i tre apostoli, i quali non sapevano più dove fossero; era un timore però calmo e solenne, che dava loro nel medesimo tempo un senso di felicità incomparabile, per cui san Pietro esclamò che era buona cosa per loro lo stare in quella felicità immensa, e propose di elevare là tre tabernacoli, senza capire quel che dicesse. Egli era come trasognato; sentiva la maestà del Signore, e non avrebbe voluto più distaccarsi da Lui. Dio però, che è infinita bontà, raccolse anche quel desiderio e subito, rivelandosi da una nube, gli additò il cammino per il quale avrebbe potuto raggiungere eternamente la gloria del suo Figlio esclamando: Questi è il mio Figlio carissimo: ascoltatelo.

Era necessario non elevare su quel monte tre tabernacoli, ma elevarli nell'anima: al Padre al Figlio e allo Spirito Santo; era necessario trasfigurarsi sull'esempio del Redentore, rivestendosi di splendore con la grazia e di candore nel santo Battesimo, era necessario che si trasfigurasse la mente con la luce della fede, e il cuore con la rettitudine delle aspirazioni.