Le parole di rimprovero, rivolte da Gesù agli scribi ed in generale alla classe dirigente, avevano suscitato un fermento più grande contro di Lui da parte dei principi dei sacerdoti, i quali, decisi di farla finita, radunarono un consiglio segreto per studiare il modo di ucciderlo. Essi però temevano il popolo, giacché in occasione della Pasqua concorreva numeroso a Gerusalemme da tutte le parti, e capivano che fra tanta gente era possibile che ci fossero molti seguaci del Redentore i quali avrebbero potuto levarsi in armi per difenderlo. Decisero quindi di attendere un'occasione propizia, e dolorosamente questa la diede loro proprio un apostolo di Gesù, Giuda Iscariota.
L'evangelista ritorna un po' indietro con la narrazione, e racconta un fatto che determinò nell'anima di Giuda il triste pensiero di tradire il Maestro, cioè la cena di Betania e l'alabastro di unguento prezioso sparso sul capo di Gesù. Questo avvenne il sabato precedente l'entrata trionfale del Redentore in Gerusalemme, e suscitò nel cuore di Giuda tale avarizia e tale dispetto, da fargli concepire il pensiero di vendere il suo Maestro.
L'evangelista riporta qui questo episodio, perché il contrasto vivo tra l'amore generoso della Maddalena e l'avarizia di Giuda fa risaltare di più l'orrore del tradimento, ed è ricco d'insegnamenti per noi.
Gesù Cristo s'era raccolto in Betania, invitato a mensa in casa di un certo Simone, soprannominato il lebbroso, perché guarito dalla lebbra. A Betania il rifugio normale di Gesù era la casa di Lazzaro, di Marta, e di Maria Maddalena, e l'invito che ebbe in casa di Simone dovette costituire per loro un disappunto.
È naturale: chi è onorato dall'amicizia di una persona buona, dolce e santa, dalla cui bocca escono parole di vita, non si rassegna facilmente a vederla altrove; se la persona poi è bisognosa di aiuto e di assistenza, vuole ad ogni costo prestargliela, e diffida di quello che possano farle gli altri. C'è un misto di amore, di gelosia o di preoccupazione, che fa sembrare sempre fredda l'accoglienza che le fanno gli altri, e c'è anche un sentimento di zelo e di emulazione nel volerla onorare e nel farne risaltare la grandezza.
Maria Maddalena, abituata a stare ai piedi di Gesù e ad ascoltarne la parola, non si rassegnò a stare in casa, ed andò anch'essa da Simone.
Dovette certamente ricordarsi del giorno benedetto nel quale essa in casa di un altro Simone, nella Galilea, s'era convertita ai piedi di Gesù, e li aveva unti con unguento, dovette ricordarsi che in quella occasione il Redentore si era lamentato con Simone di non aver ricevuti da lui atti di cordialità, e l'aveva lodata per quello che essa gli aveva fatto.
La presenza a mensa del suo fratello Lazzaro (Gv 12,2) risuscitato dal Maestro divino, accrebbe il suo amore, e la sua gratitudine, e nel tumulto dei suoi affetti non esitò a prendere un vaso di preziosissimo unguento ed a spargerlo sul capo e, come ci dice san Giovanni, sui piedi di Lui. Il capo ed i piedi emergevano di più a mensa, giacché i convitati vi stavano sdraiati, ed essa vi sparse l'unguento in segno di amore.
Aveva una tristezza nell'anima, un presentimento che avrebbe perduto il suo Maestro; le parole di Lui, il suo aspetto accorato, le insidie dei suoi nemici, tutto dava consistenza al suo presentimento, ed essa gli diede quell'attestato di amore con un pensiero funereo, angosciato, accoratissimo. Per questo Gesù disse che l'aveva unto anticipatamente per la sepoltura.
Ruppe il vaso di alabastro che conteneva l'unguento perché quei vasi avevano il collo lungo e stretto ed essa voleva dare non a stille il suo profumo, ma ad esuberanza. Sparse l'unguento sul capo, e san Giovanni dice anche sui piedi, che asciugò con le proprie trecce, e spargendo il profumo, volle spargere il suo cuore ai piedi del Maestro divino.
Chi poteva intendere il suo amore tra i discepoli di Gesù, abitualmente presi da una impressionante freddezza? E come potevano essi valutare la gratitudine di quel cuore? Ella era una risorta spiritualmente, ed il fratello suo era stato da poco risuscitato nel corpo; l'anima sua non poteva avere restrizioni nella generosità, e donò un preziosissimo vaso d'unguento.
Gli apostoli, e Giuda in particolare, come dice san Giovanni (12,5), se ne indignarono sembrando loro uno sciupìo inutile quell'unguento, da essi apprezzato più di trecento denari.
Certo il valore non era poco, ma era sempre nulla di fronte all'amore riconoscente che ispirava quell'atto generoso. È mirabilmente psicologico il modo come gli apostoli e Giuda giustificarono la loro indignazione.
Essi furono presi da un senso di avarizia, dovuto forse anche alle diminuite elemosine della loro comune borsa tenuta da Giuda, a causa della persecuzione e delle ostilità contro il Maestro divino; pensarono che col prezzo di quell'alabastro avrebbero potuto vivere senza preoccupazioni nella Giudea, ma ebbero un certo pudore di manifestare questi loro sentimenti, e mostrarono di parlare per interesse dei poveri. Non volevano mostrarsi poco affettuosi verso il loro Maestro, erano dispiaciuti anche con Lui che aveva permesso quello sperpero e, sapendo quanto Egli amasse i poveri, per dar corpo alla loro indignazione, li tirarono in mezzo, sicuri di apparire non avari ma zelanti della carità.
È il segreto di quelli che tentano dissimulare un sentimento egoistico e basso con un sentimento elevato che non hanno.
Gesù Cristo, intenerito dall'amore di Maria Maddalena, rispose con infinita dolcezza e carità. Avrebbe potuto smascherarli, avrebbe potuto umiliarli, ma non lo fece, e mostrò di dar peso alla loro giustificazione. Essi inveivano contro la donna, e Gesù disse loro di lasciarla stare e di non inquietarla,mostravano di preoccuparsi dei poveri, ed Egli disse loro con paterno accoramento che ai poveri potevano sempre pensare, poiché li avrebbero avuti sempre con loro, e ci sarebbero stati sempre sulla terra, ma non avrebbero avuto sempre Lui visibilmente per prestargli atti di ossequio.
Toccò la fibra del cuore che ancora poteva risuonare in loro in quel momento di spirituale miseria, volle eccitarli alla tenerezza, per distrarli dall'inveire contro la donna, e poiché essi l'avevano riguardata come una fanatica squilibrata, volle reintegrarne nel loro animo la stima.
Non si spiegherebbe quasi perché Gesù abbia detto che, dovunque sarebbe stato annunziato il Vangelo, si sarebbe parlato anche di ciò che aveva fatto la Maddalena, senza porre mente alla tenera preoccupazione di carità che aveva di ristabilire negli astanti la stima verso di lei. Essa ha fatto ciò che ha potuto, disse Gesù, e con questo escluse che fosse stata esagerata; ha unto anticipatamente il mio Corpo per la sepoltura, e con questo mostrò che aveva operato per spirito profetico, elevandola così nella loro estimazione.
Anche inconsciamente, essa aveva profetato, e lungi dall'agire oziosamente aveva annunziato l'imminente sepoltura del Redentore; Gesù le attribuisce come titolo di gloria quello che aveva fatto inconsciamente, e solo per un presentimento di morte.
Infine Gesù, dicendo che l'atto compiuto dalla donna sarebbe stato predicato in tutto il mondo, mostrò che non era frutto di fanatismo, ma era una testimonianza di vero e sincero amore, che sarebbe rimasto di esempio nei secoli.
Il patto di Giuda
Di fronte a questa tenera testimonianza di amore, il Vangelo pone a contrasto il patto di Giuda, il più scellerato e vile dei patti.
Egli era come il procuratore del collegio apostolico, custodiva il denaro e, come si rileva da san Giovanni, se ne approfittava rubando. Tendeva forse a voler formarsi una posizione economica più stabile ed una vita meno randagia; ammassava e metteva da parte quanto più poteva e gli sembrò di aver perduto l'occasione di un forte incasso, per la generosità della Maddalena. L'avarizia gli pose un tumulto nell'anima contro Gesù, ed in quel momento lo vide nei più foschi colori; lo riguardò come un impostore; s'illuse di doverlo denunziare per togliere via un inganno; pensò subito di trarre profitto dall'imbarazzo in cui erano i sacerdoti, ed andò da loro offrendosi di consegnarlo nelle loro mani proditoriamente.
Essi se ne rallegrarono, perché l'offerta del traditore rendeva possibile catturarlo senza frastuono, e toglierlo di mezzo al più presto; accedendo perciò all'esplicita domanda di Giuda gli promisero una somma. San Matteo dice che gli assegnarono trenta denari d'argento; forse Giuda non si contentò di una vaga promessa di compenso, ed insistette per sapere quanto gli volessero dare. La somma era meschina, ma egli se ne mostrò contento, e cercava l'occasione favorevole per compiere il tradimento. Rimase con gli apostoli ma non era che un demonio.
Ormai il patto stretto lo costringeva a fingere, e i suoi giorni diventarono un inferno. Avversava il Maestro, ed avrebbe voluto disfarsene al più presto nella speranza di far tacere i rimorsi atroci del proprio cuore; perciò cominciò a studiare quale fosse il luogo e il momento più propizio per tradirlo.
Dal contesto si rileva che Giuda rimase in relazione col sinedrio, e che studiò l'attuazione del tradimento; la raccomandazione, che fece di condurre con attenzione Gesù dopo averlo catturato, dimostra che egli si preoccupava che potesse sfuggire al tranello che gli tendeva, e che quindi il suo cuore era giunto al fondo della perversità.
Scelse la notte per compiere il suo delitto, e scelse l'orto per luogo di convegno delle guardie, perché in quell'ora ed in quel luogo era più facile evitare un tumulto; diede come segno del tradimento un bacio, per evitare d'insospettire il Maestro, nel quale non credeva più. In quale baratro lo gettò l'infedeltà alla grazia e l'avidità di un miserabile guadagno!
I principi dei sacerdoti e gli scribi, invece di esaminare attentamente i segni che Gesù dava della sua missione, si riunirono per ucciderlo.
Così fa l'empietà in tutti i tempi: congiura contro la Chiesa, contro Gesù Cristo e contro Dio stesso, per togliersi il fastidio dei rimorsi che la torturano, e per fare il male a man salva. Congiura il sinedrio, e Gesù tranquillamente siede a mensa in una casa ospitale; all'odio si oppone la soave intimità di una mensa, dove una donna unge Gesù di prezioso unguento.
Così avviene misticamente nel mondo: l'empietà congiura, e Gesù imbandisce il suo banchetto di amore; alle sale tetre dove impera il satanismo, oppone le soavi intimità del Banchetto eucaristico, dove la Chiesa effonde il profumo soave del suo amore e della sua liturgia, onorando il Redentore suo Capo e sua unica vita.
Maria Maddalena ruppe l'alabastro per profumare Gesù, e l'anima mia non può dargli il profumo della virtù senza infrangere, per così dire, l'involucro che la riveste, con la santa mortificazione. È nel dolore sofferto per amore che l'anima s'effonde in Gesù e lo profuma, esercitando la virtù e compiendo la divina volontà.
Gli apostoli, e Giuda in particolare, s'indignarono contro la donna che aveva onorato Gesù, sembrando loro uno sciupio l'effusione dell'unguento prezioso.
Così fanno quelli che hanno una falsa pietà e non amano davvero il Signore: credono esagerato tutto ciò che si fa per Lui, e si restringono miseramente nei loro interessi materiali. Gesù Cristo invece disse che la donna aveva fatto ciò che aveva potuto cioè aveva fatto quel poco che le sue possibilità le permettevano, volendo con ciò implicitamente affermare che quello che sembrava esagerato in realtà era poca cosa. Invece di credere esagerato ciò che si fa per Dio, dobbiamo piuttosto pensare che è ben poca cosa, e sforzarci a rendergli sempre più un amore pieno e totalitario.
Gesù Cristo promise ed annunziò che l'atto della Maddalena sarebbe stato predicato in tutto il mondo ed in tutti i secoli, immortalando così quell'attestato di amore. Così Egli fa con le anime umiliate e disprezzate per suo amore: dilata il bene che fanno, e rende feconde di immensi frutti le piccole piante seminate da loro nel dolore. Non c'impressioniamo perciò se il mondo ci disprezza, e non ci curiamo delle sue critiche alle espansioni del nostro amore a Dio; diamo al Signore tutto ciò che possiamo, e preoccupiamoci di Lui, poiché un giorno Egli ci giudicherà e non il mondo.
3. L'ammirabile testimonianza d'amore di Gesù: l'Eucaristia. Il grande segreto del regno di Dio
Ricordando con le parole stesse di Gesù l'ineffabile dono dell'Eucaristia, bisognerebbe solo deporre la penna e piangere di riconoscenza e di amore! Pensare ad un Dio disceso dal cielo è una cosa che intenerisce, e suscita nel cuore l'amore più vivo; ma il considerare che Egli s'è immolato e s'è dato a noi come cibo e come bevanda, rimanendo con noi vivo e vero, è una cosa che dà le vertigini.Tu sei qui, mio Gesù, nel Tabernacolo del tuo amore; sei con me, con me, nell'arcano silenzio della tua carità, Vittima perenne, Agnello di Dio, arca di alleanza, trono di grazia, tesoro ineffabile che attrai tutte le nostre brame, perla preziosa, nascosta nella nostra terra, che ci spinge a tutto dare per averla, aiuto e sostegno della nostra vita soprannaturale, e gioia perenne del nostro esilio! Gesù Sacramentato! Quale dono ineffabile!
Se gli apostoli avessero potuto capirne la grandezza, non avrebbero potuto resistere alla piena dell'amore quando Gesù Cristo la istituì; bisogna riconoscere che Egli dovette nascondersi ai loro cuori per non farsi scorgere, rendendoli, così, capaci di poter vivere ancora, dopo un contatto tanto pieno e profondo con la sua vita!
O mio Gesù, l'anima mia non sa frenarsi, e si sente come liquefare al ricordo di quei momenti ineffabili nei quali il tuo amore si effuse con tanta pienezza, nonostante l'ingratitudine umana.
Proprio quando Giuda strinse col sinedrio il patto infame per consegnare Gesù nelle mani dei suoi nemici, Egli strinse con l'umano patto d'amore, per ridonarla a Dio; a Lui preparavano la morte, ma Egli preparava a noi la vita. È un contrasto che ci fa apprezzare maggiormente la pienezza del suo amore.
Gesù Cristo scelse una grande solennità, la Pasqua, per istituire il Sacramento del suo amore, che era il compimento mirabile delle figure e delle profezie che lo preannunziavano. Nella Pasqua si riunivano le famiglie in maggiore intimità, e mangiavano l'agnello dopo averlo immolato al tempio; era il rinnovarsi del ricordo della liberazione dall'Egitto, ed era il sospiro alla liberazione che doveva apportare la redenzione; era un sacrificio di ringraziamento, ed una solenne invocazione al Re aspettato dai secoli. Gesù Cristo volle unire la figura alla realtà, e proprio nella cena pasquale si donò come Agnello di vita e di liberazione.
Nel primo giorno degli Azzimi, cioè della solennità pasquale nella quale si mangiava il pane non fermentato, gli apostoli domandarono a Gesù dove volesse che preparassero il banchetto. Essi erano pellegrini nella Giudea, ed avevano necessità di essere ospitati da qualche persona amica. Gli Ebrei, infatti, avevano nelle case delle stanze più ampie dove avvenivano le riunioni familiari e la preghiera comune, e le cedevano volentieri a quelli che peregrinavano per la Pasqua.
Gesù Cristo, conoscendo già l'imminente tradimento di Giuda, non volle che egli sapesse prima il luogo del suo convegno pasquale, affinché non avesse potuto ordire una congiura coi principi dei sacerdoti, e disturbare la festa del suo amore. Ordinariamente era proprio Giuda che si occupava delle necessità temporali degli apostoli, ma questa volta Gesù incaricò Pietro e Giovanni di trovare un cenacolo ospitale e preparare la Pasqua. Egli li mandò dando loro delle indicazioni per rintracciare la persona amica, e fece così perché Giuda non avesse potuto conoscerla precedentemente.
Le indicazioni che Gesù diede a Pietro ed a Giovanni, per quanto semplici, mostravano che Egli tutto conosceva antecedentemente; essi avrebbero incontrato un uomo che portava un'anfora di acqua; dovevano dunque dirigersi verso la pubblica fontana. Il Redentore sapeva che avrebbero trovato non un uomo qualunque, ma il servo di una famiglia conosciuta ed amica. Forse il cenacolo era di proprietà di uno dei suoi amici occulti, forse di Nicodemo, ed Egli delicatamente non volle comprometterlo. Giuda avrebbe potuto denunziarlo, e se avesse ordito la cattura proprio nel cenacolo, avrebbe causato un disturbo grandissimo al padrone del luogo. La delicata, divina signorilità di Gesù gli faceva evitare qualunque penosa sorpresa a colui che l'avrebbe ospitato. L'immediata condiscendenza del padrone della casa mostra che egli era generoso, ed affezionato al Redentore, e perciò gli apostoli poterono sollecitamente preparare quanto occorreva alla cena.
Calata la sera, cioè verso le sette, quando già il cielo era tutto oscurato e comparivano le stelle, Gesù si recò al cenacolo coi suoi discepoli, cominciando prima di tutto la cena legale dell'agnello, secondo i riti comandati.
Era quella cena come una preparazione al grande banchetto di amore che Egli stava per istituire; per quanto vi si mangiasse era un rito di preghiera e di riconoscenza a Dio, e potremmo dire era come una meditazione sui benefici fatti da Dio al suo popolo. Verso la fine del banchetto pasquale, il volto di Gesù si atteggiò ad una grande tristezza, e rivolto ai suoi cari disse: In verità vi dico che uno di voi mi tradirà, uno che mangia con me. Era il richiamo che faceva a Giuda perché si fosse pentito del suo orribile peccato e non l'avesse consumato. Gesù non poteva tollerare che al suo banchetto ci fosse un'anima in disgrazia di Dio, e nel suo infinito amore cercò di farlo ritornare in sé. Non parlò più esplicitamente per carità, e volle che Giuda stesso avesse confessato il suo peccato, pentendosene.
In un banchetto familiare l'intimità dell'amore è più profondo e più confidenziale; la parola accorata di Gesù fu quindi per gli apostoli come un colpo di folgore. Si rattristarono, e cominciarono a domandargli tutti: Sono forse io? Lo domandò anche Giuda, come ci dice san Matteo (26,25), per non svelarsi rendendosi sospetto, ma Gesù non volle parlare a tutti più esplicitamente, e determinò solo che era uno dei Dodici. San Matteo dice che parlò a Giuda chiaramente, ma senza farne accorgere agli altri, com'è evidente dal contesto; Giuda però rimase impassibile; per questo Gesù Cristo soggiunse quelle terribili parole: Guai a quell'uomo per cui il Figlio dell'uomo sarà tradito; meglio era per quest'uomo che non fosse mai nato. Volle scuotere il cinismo ripugnante del traditore per non privarlo di un ultima grazia, e col timore almeno, tentò di farlo pentire, ma inutilmente; egli s'era come impietrito nel suo peccato.
L'annunzio del tradimento addolorò immensamente gli apostoli, e li predispose indirettamente ad un maggiore raccoglimento interiore. Li concentrò nel divino Maestro con un amore più tenero, e li raccolse in un certo esame di coscienza sulle responsabilità che potevano avere; questo concorse a prepararli al gran dono che Gesù stava loro per fare. Con la semplicità che il Signore ha in tutte le sue grandi opere, il Redentore prese il pane e, dopo averlo benedetto, lo spezzò e lo diede a tutti pronunziando una parola onnipotente che lo transustanziò nel suo Corpo divino: Questo è il mio corpo. Poi prese il calice col vino, rese grazie a Dio per il beneficio che concedeva a tutti, e lo distribuì a tutti perché lo bevessero, dicendo: Questo è il mio sangue del Nuovo Testamento, il quale sarà sparso per molti.
Poche parole, pochi momenti, bastarono a creare il miracolo più grande di amore.
Gli apostoli quasi non se ne accorsero, ma non poterono non sentire in loro una nuova vita. Erano tutti congiunti al loro Maestro come un sol corpo ed un'anima sola; erano il Corpo mistico di Lui, avendo in loro la sua vita; erano innanzi al Padre celeste come nuove creature, illuminate dalla presenza del loro Redentore. Egli era a mensa come tutto trasfigurato, ineffabile nel suo sguardo di infinita carità, sole divino che irradiava nei suoi cari! Quali momenti! Nessuna madre ha avuto mai simile tenerezza per i suoi figli, e li ha sentiti così carne della sua carne e sangue del suo sangue. Nessuna effusione di amore ha potuto raggiungere questa che dona la vita del Redentore come vita nostra!
Nell'Eucaristia, Gesù vittima di amore e vita delle anime
Gesù Cristo non donò un simbolo del suo Corpo e del suo Sangue, ma una realtà sostanziale; si offrì veramente prima di offrirsi sulla croce, poiché donò il suo Corpo ed il suo Sangue prima al Padre ringraziandolo e poi ai suoi cari rendendolo loro cibo e loro bevanda. Sarebbe stato assurdo dare il pane ed il vino come simbolo e ricordo della sua morte, poiché non si rappresenta e non si ricorda la morte con un banchetto.
Egli si diede veramente e sostanzialmente come vittima di amore e come vita delle anime, e mostrò in questo che volontariamente si offriva alla morte sul Calvario. Nessuno gli poteva togliere la vita senza la sua volontà, e la sua volontà di immolarsi fu così piena e potente che anticipò l'immolazione nel Sacrificio eucaristico. Si donò sostanzialmente, e quando la perversità umana gli pose le mani addosso e fece scempio del suo Corpo, non trovò che le sue spoglie mortali, cariche dei nostri peccati; Egli aveva già donato nell'amore il suo Corpo ed il suo Sangue, conservando su di essi la sua piena padronanza. È una cosa ineffabile, degna di Dio!
Gesù Cristo soggiunse che non avrebbe più bevuto del frutto della vite sulla terra, fino a quando lo avrebbe bevuto nuovo nel regno di Dio. Con queste parole annunziò la sua morte, dicendo che quella era l'ultima sua cena, ed annunziò la sua risurrezione, dicendo che l'avrebbe di nuovo bevuto con loro nel trionfo sulla morte, col quale avrebbe inaugurato il regno di Dio. Misticamente Egli forse fece una allusione ai tempi di un rinnovato amore degli uomini verso di Lui e di una più grande effusione della sua carità verso di loro; l'amore avrebbe come rinnovato quei momenti di semplice intimità e le anime lo avrebbero sentito tanto presente nel Banchetto della vita, da riguardarlo quasi come donato nuovamente loro, in un'effusione di carità singolare, per preparare il regno di Dio.
È un'intuizione che può ricavarsi dalle parole di Gesù, se si pensa alla dimenticanza obbrobriosa nella quale gli uomini hanno avuto l'Eucaristia. Certo il regno di Dio sarà il frutto d'un rinnovato Amore eucaristico, poiché dovrà essere una glorificazione piena di Dio e della sua Chiesa, ed è un rinnovamento di vita interiore, secondo la parola di Gesù: II regno di Dio è dentro di voi.
Si può dire che la preghiera che la Chiesa fa da venti secoli recitando il Pater noster sia l'aspirazione a questo regno d'amore e ne sia il programma:
Padre nostro che sei nei cieli, ecco il riconoscimento di Dio contro le aberrazioni dell'apostasia.
Sia santificato il tuo nome, ecco lo splendore del culto, rinnovato nella Chiesa non come semplice fasto liturgico, ma come adorazione di Dio in spirito e verità.
Venga il tuo regno, ecco il sospiro agli eterni beni, ed il desiderio della gloria di Dio e della salvezza delle anime nel fervore dell'apostolato.
Sia fatta la tua volontà come in cielo così in terra, ecco lo splendore della santità della vita, tutta modellata sulla Legge di Dio.
Donaci oggi il nostro pane quotidiano, non tanto il pane del corpo che viene per sovrappiù, ma quello eucaristico, quotidiano in modo che ogni anima lo riceva ogni giorno e ne sia come saziata.
Rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo a nostri debitori, ecco le armonie della carità e della pace universale, frutto dell'Eucaristia che unisce i cuori in una sola vita ed in un solo cuore.
Non c'indurre in tentazione, ma liberaci dal male, ecco lo sforzo e il desiderio di tutti nel togliere gli scandali e nel purificare il mondo dall'obbrobrio dell'impurità.
Da venti secoli la Chiesa recita il Pater e questa preghiera diventerà il programma del pontefice dell'amore, programma universale com'è universale questa bellissima e placida preghiera.
Gli uomini non potranno non sentirne l'appello, e correranno a Gesù, banchetto di vita; per cibarsi di Lui, per sentirlo presente in una fede vivissima, per amarlo con tutto il cuore e per glorificare in Lui e per Lui il Padre.
L'Eucaristia è la più grande testimonianza della realtà di Dio, è il sacrificio che sta al centro del culto e che dona al Signore una gloria infinita; è il segreto dell'unione a Gesù Cristo e della nostra sottomissione alla divina volontà, è il cibo di amore del nostro esilio, è il vincolo della carità universale, ed è l'ideale del bene e dell'elevazione dell'anima sopra tutte le suggestioni del mondo, del demonio e della carne.
Il regno di Dio, quindi, e la restaurazione del mondo non possono stare in un trionfo politico, esterno e materiale, ma nell'intensità del dono eucaristico; se lo immaginassimo in un trionfo politico, non saremmo dissimili dagli Ebrei che sognavano nel Messia un dominatore terreno. Deve dilagare talmente l'amore eucaristico da rendere tutta la Chiesa Banchetto di vita; allora solo il male rimarrà vinto, e Gesù starà in mezzo all'umanità come fu nella cena degli apostoli, ma in un modo nuovo cioè invisibilmente, per la Chiesa e nella Chiesa, centro della vita, vittima di carità, legame di pace fra tutti i popoli. È un momento del quale si vede già l'aurora, e che bisogna affrettare coi sospiri del nostro amore.
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