sabato 28 marzo 2015

29.03.2015 - Commento al vangelo di S. Marco cap. 14 par. 4-6

4. Vane proteste di amore e realtà di un'agonia immensa

Finita la cena, Gesù recitò l'inno, cioè i Salmi, dal 114 al 117, insieme con gli apostoli, per ringraziare il Padre, e si avviò al monte Oli veto per passarvi la notte in orazione. Gli apostoli lo seguivano, ignari di ciò che avevano ricevuto e della tempesta che si addensava sul loro capo. Non erano ancora uomini di orazione, e la tentazione avrebbe potuto vincerli facilmente; perciò Gesù Cristo li premunì contro il pericolo dicendo: Tutti sarete scandalizzati per me in questa notte, poiché sta scritto: Percuoterò il pastore e si disperderanno le pecorelle.


Egli accennò a quello che sarebbe avvenuto, per eccitarli alla vigilanza ed alla preghiera, giacché, se avessero pregato, non sarebbero stati preda della tentazione. Ma conosceva che non avrebbero pregato, e che sarebbero fuggiti tutti in preda allo spavento ed alla delusione, e lo prevenne loro almeno per renderli guardinghi nei pericoli che avrebbero incontrato. Soggiunse poi subito che, risuscitato da morte, li avrebbe preceduti nella Galilea, per non contristarli interamente, e per dar loro un motivo di fedeltà al suo amore. Con delicatissima arte di carità, Egli non disse esplicitamente che sarebbe morto, ma incluse, per così dire, l'annunzio ferale in quello della risurrezione, affinché non si fossero sgomentati. L'intimità della cena, e soprattutto il dono eucaristico ricevuto, aveva acceso nel loro cuore un amore sensibile a Lui, Maestro divino, ed Egli non volle dar loro solo un annunzio di morte.

Pietro più di tutti capì l'allusione chiara fatta ad un imminente pericolo di infedeltà, e credendosi sicuro del proprio amore protestò che non si sarebbe scandalizzato, anche se tutti lo avessero fatto; Gesù Cristo invano gli replicò che egli lo avrebbe rinnegato tre volte prima che il gallo avesse cantato la seconda volta, cioè prima dell'alba; Pietro credette di avere il coraggio di dare anche la vita per Lui e, fondandosi sulle proprie forze, protestò che non lo avrebbe rinnegato, avesse dovuto pur costargli la morte. Anche gli altri dissero lo stesso.

E profondamente psicologico: quando il pericolo è lontano e l'entusiasmo è acceso allora sembra insignificante, e la volontà crede di essere invincibile; l'entusiasmo fa misurare esageratamente le proprie forze, e fa svalutare il pericolo come cosa da nulla. Appena però si è di fronte alla realtà, la volontà è sopraffatta dal pericolo, perché si trova disarmata. Pietro ascoltava in quel momento la voce del proprio amore sensibile, e gli sembrò che fosse invincibile; non si premunì spiritualmente contro il pericolo, anzi lo considerò con disprezzo e si trovò poi innanzi ad un assalto che lo sgomentò.

Gesù Cristo andò, pregando, all'orto del Getsemani, un oliveto dov'era solito recarsi. Fece rimanere all'ingresso i suoi apostoli, perché la pena che stava per subire non li avesse sconvolti, e si addentrò con Pietro, Giacomo e Giovanni, chiamandoli come aiuto di preghiera nella sua agonia interiore. Egli era come smarrito in un grande dolore, e sommamente angosciato; sembrava atterrito e gli apostoli non se ne sapevano spiegare la ragione. Vedeva lontano il perfido Giuda che preparava coi principi dei sacerdoti, gli scribi e i farisei l'assalto notturno e la sua cattura, e questo lo atterriva, misurando tutte le pene cui andava incontro, e lo angosciava la considerazione della cattiveria del suo apostolo.

Il terrore e l'angoscia in Lui non erano un presentimento vago, come potrebbe avvenire in noi, erano una visione chiara che gli dava una pena mortale, perciò disse ai suoi prediletti: L 'anima mia è triste sino alla morte, trattenetevi qui e vegliate.

L'agonia di Gesù

D'un tratto ravvolse come una caligine opprimente; la divinità si nascose ed Egli rimase come solo, caricato dei peccati degli uomini di tutti i secoli passati e futuri, fino al termine del mondo; si sentì anzi caricato di tutte le prevaricazioni, perché Egli, glorificazione del Padre, le doveva tutte riparare con le sue pene.

Egli doveva redimere l'uomo, ancora capace di salvezza, e doveva anche sostituire le mancate adorazioni degli angeli perduti e delle anime dannate. Si sentì quindi come immerso negli orrori del medesimo inferno.

Fu una pena ineffabile, alla quale s'aggiunsero gli assalti furenti di satana che tentava di vincerlo, ed allontanarlo col terrore dal pensiero di riparare per i peccati degli uomini. Si sentì sopraffatto, cadde bocconi per terra, e supplicò il Padre ad allontanare da Lui quell'ora, cioè quel momento di profondo smarrimento, e il calice del dolore che lo attendeva.

Il Sangue cominciò a scorrergli come abbondante sudore, e l'anima quasi affiorava con esso alla superficie del corpo per distaccarsene, tanto era immenso il dolore morale, il più terribile di quanti ne soffrì.

Sentendosi venir meno, domandò che passasse da Lui quell'angoscia che gli stava per togliere la vita, e lo domandò non solo perché volle sentire tutto il peso dell'angustia, ma perché voleva ancora vivere per patire. E un mistero profondissimo: l'agonia gli toglieva la vita, ed Egli ripugnava naturalmente al dolore ed alla morte; l'amore poi gli faceva desiderare ancora la vita per darsi al dolore della morte. I peccati dei quali si sentiva caricato gli davano un dolore spasimante, ed avrebbe desiderato esserne liberato, ma l'amore, l'infinito suo amore gli faceva desiderare di non esserne liberato, perché Egli solo poteva sopportare quel peso spaventevole. Si prostrò per estremo abbattimento, adorò per immenso amore, domandò di fare la volontà del Padre per compiere divinamente la grande espiazione, e cercò avidamente dei cuori che l'avessero aiutato a riparare e ad amare. Andò dagli apostoli ed, ahimè, li trovò addormentati!

Il sonno degli apostoli

Addormentati profondamente, quando avrebbero dovuto pregare con Lui... Che pena! Addormentato Pietro, che pur aveva fatto tante proteste di amore! Che cosa era quel sonno? Naturalmente era causato dalla cena fatta poco prima, dall'umidità della notte, e dalla stessa tristezza, giacché l'anima, affranta, sente quasi il bisogno di sfuggire dal corpo, e la tristezza produce un rilassamento nervoso che può causare il sonno; ma spiritualmente quel sonno era un segno troppo chiaro di incomprensione del momento terribile, e perciò Gesù se ne lamentò con Pietro amaramente: Simone, tu dormi? Non hai potuto vegliare un 'ora sola? Vegliate e pregate per non cadere in tentazione. Lo spirito è pronto, ma la carne è inferma.

Queste ultime parole rivelano tutta la carità di Gesù nel rimproverare i suoi cari, e ci fanno vergognare del modo col quale noi trattiamo e giudichiamo gli altri. Il dolcissimo Redentore non volle contristare gli apostoli, e Pietro in particolare, trattandoli da noncuranti, né volle umiliare Pietro rimbeccandogli le sue spavalde proteste di fedeltà; lo scusò, e scusò la debolezza di tutti, dicendo che lo spirito loro era sincero e pronto, ma la carne era debole, e dovevano sostenerla con la preghiera e la vigilanza.

O mio Gesù, quando penso che nel rimproverare anche giustamente gli altri io scelgo le parole più mordenti, e ricorro spontaneamente al ripicco per vincerli, mi vergogno di me! Oh, se sapessi avere la tua delicatezza, e se sapessi compatire in tutti la debolezza dell'inferma natura! Perché noto con tanta facilità le miserie altrui e non le nascondo? Perché non son delicato fino alla divina tua signorilità, per non contristare i tuoi figli? Quanto è ripugnante ai tuoi occhi ogni mia severità, ogni ripicco, ogni spietatezza, e come ti ferisco il Cuore con la mia severità, io che sono peccatore ed ho tanto bisogno del tuo compatimento!

Gli apostoli si scossero un poco, ma non si levarono, come avrebbero dovuto fare; s'illusero di poter pregare nella stessa posizione che avevano preso e si riaddormentarono. Gesù tornò al suo posto di orazione, ripetè le stesse accorate parole, e ritornò ai suoi apostoli, trovandoli di nuovo addormentati. Questa volta i loro occhi erano aggravati e non riuscivano a tenerli aperti; non sapevano più che cosa rispondergli perché non avevano la piena coscienza di loro stessi; e Gesù se ne ritornò al posto suo e per la terza volta pregò angosciato e solo.

Quale conforto o quale aiuto poteva sperare dai suoi cari se essi dormivano? Andò la terza volta da loro, ma dormivano ancora profondamente! Quale contrasto doveva essere il ritmo del Cuore angosciato di Gesù ed il russare dei suoi apostoli!

Un palpito di amore ed una miseria estrema di incomprensione, un'ansante carità ed un riposo greve, incapace di destarsi ai richiami dell'amore angoscioso! Oramai non c'era più da pregare, non si poteva più arrestare il corso degli eventi penosi, che la preghiera avrebbe potuto modificare. Perciò Gesù svegliandoli di nuovo disse: Dormite pure e riposatevi; basta così, l'ora è venuta... Ecco, colui che mi tradisce è vicino.

Se gli apostoli avessero pregato veramente, Giuda si sarebbe arrestato sull'estremo precipizio? Lo si può supporre, giacché la preghiera ha un'onnipotenza contro il male che non ha qualunque forma di attività. L'aver detto Gesù: Dormite e riposatevi, basta così, l'ora è venuta, fa intendere chiaro che quell'ora poteva essere ritardata o eliminata dalla preghiera. Egli voleva che avessero pregato per il loro scellerato compagno, ed essi dormendo lasciarono libero il campo ai demoni che lo infestavano. Gesù Cristo avrebbe potuto arrestarlo sull'abisso con la propria divina preghiera, ma volle la preghiera dei suoi cari, e si può dire che ne aveva bisogno, giacché Egli non ci salva senza il nostro concorso, e ci vuole redentori di anime con Lui stesso.

Se ponderassimo questo, come saremmo in orazione con Gesù! Egli sta ancora in agonia nel Tabernacolo del suo amore, ci sta gemendo per quelli che non lo curano e per quelli che lo tradiscono profanandolo. Egli, cibo di vita, anela a donarsi e geme nel non trovare anime che lo ricevano perché il suo modo di vita sacramentale non può appagarsi che cibando.

Egli ci chiama intorno a sé perché noi preghiamo con Lui, e vivendo del suo amore diventiamo come specchi che lo riflettono nelle anime. Non possiamo dunque addormentarci nelle nostre miserie e nella nostra indifferenza e lasciarlo praticamente solo.

Quale potenza acquista la nostra preghiera elevata a Dio con Gesù! Che cosa facciamo quando lo visitiamo o lo adoriamo nella solenne esposizione? Preghiamo con Lui che adora, ringrazia, ripara ed intercede per le anime. Dunque non è indifferente per noi il vivere innanzi al santo tabernacolo.

Gli apostoli invece di pregare dormirono, ed il secondo sonno fu per essi più grave del primo. Se invece di vigilare innanzi a Gesù ci assonniamo nei nostri pensieri e se, risvegliati

dal rimorso, continuiamo a dormire preferendo le nostre comodità, quanto dolore daremo a Gesù! Dobbiamo vigilare e pregare per non cadere nella tentazione; Gesù Cristo e la sua Chiesa sono maltrattati dal mondo, e noi potremmo sentirci scossi nella nostra fedeltà se non preghiamo, potremmo seguire lo spirito del mondo, o fuggire addirittura dal nostro adorabile Redentore ed unirci ai suoi persecutori. Che cosa più soave per noi quanto il vigilare innanzi a Te Sacramentato, o Gesù? Che cosa più doverosa quanto il farti compagnia? Quanto peseranno nel giorno del giudizio le ore che avremmo potuto passare con Te, e che abbiamo trascorse invece nelle miserie di questa terra!

5. L'amore tradito, catturato e condannato

Giuda Iscariota quando uscì dal cenacolo andò dai sacerdoti, per avvertirli che Gesù si avviava al Getsemani e che era quello il momento opportuno per catturarlo. In un orto, nella notte profonda, era impossibile che potesse suscitarsi un tumulto. I principi dei sacerdoti arruolarono un forte nerbo di guardie armate di spade, e di servi del tempio armati di bastone; ognuno procedeva con cautela e nello stesso tempo con la spavalderia mista al timore di qualche sorpresa, che si ha quando si va incontro ad un pericolo, tra le tenebre della notte. Ognuno credeva di essere un eroe ed ognuno andava avanti con grande paura; a questo si aggiungeva, almeno per alcuni, quell'inconscio timore che il Redentore fosse un essere straordinario o addirittura il Messia e quindi qualche nascosto timore di commettere un aggressione al Mandato da Dio.

Camminarono cautamente al lume di lanterne e di fiaccole, e avanti a loro andava il traditore per dare il segnale convenuto, ossia un bacio di saluto al Redentore, per farlo catturare con sicurezza, senza timore di equivoci. La turba rimase alquanto indietro, nascosta come poteva fra gli alberi, e Giuda si avanzò dicendo: Ti saluto, o Maestro, e lo baciò.

Che cosa dovette sentire Gesù in quel momento! Quale profondo dolore gli attraversò il Cuore! Un suo apostolo, uno di quelli che avrebbe dovuto annunziarlo a tutta la terra, lo tradiva con un bacio, lo rinnegava, lo consegnava alla morte! È una cosa che fa fremere, e che suscita orrore!

Eppure quante volte Gesù è tradito con un bacio! La tensione disordinata verso una creatura, il bacio di un amore peccaminoso, la brama di un diletto obbrobrioso, il convergersi disordinato verso l'oggetto dei peccati mortali, sono baci di tradimento che consegnano Gesù alla morte in noi stessi crocifiggendolo nella nostra carne.

Chi potrà avere cuore di tradire così l'amore di Gesù? O mio Redentore, io non voglio darti che baci di amore, e voglio io immolarmi per Te, rinunziando a tutto ciò che è terreno. Donami una grande purezza, una purezza integrale, affinché io non venga a Te col tradimento nel cuore, ma ti abbracci, o mio Signore, con immensa tenerezza, tutelando col mio amore la tua gloria contro tutti quelli che da ingrati ti avversano.

Appena Giuda ebbe baciato il Maestro divino, gli sgherri si avanzarono gridando, gli gettarono le mani addosso e lo catturarono. Il trambusto fu grande, e nel trambusto uno degli astanti, cioè Pietro, sfoderata la spada, ferì un servo del sommo sacerdote, mozzandogli un orecchio. Fu l'unico atto di coraggio e di difesa che fecero gli apostoli; subito dopo, quando s'accorsero che insieme col Redentore gli sgherri avevano il mandato di catturare i suoi seguaci, fuggirono tutti.

San Marco cita una speciale circostanza che fa vedere quale terrore avesse invaso i seguaci del Redentore: un giovanetto, sentendo, da qualche casa vicina, il vociare, e lo strepito delle armi, scese dal letto come si trovava per curiosare, e per la fretta non si vestì ma si avvolse nel lenzuolo. Si aggirò mezzo stralunato, e cercò di avanzarsi dove la turba era più agitata, per osservare meglio; le guardie notarono quel suo fare impacciato e circospetto, e lo afferrarono; ma egli, lasciato nelle loro mani il lenzuolo, se ne fuggì nudo com'era.

La turba, fra insulti e percosse, condusse Gesù in casa del sommo sacerdote, dove s'erano radunati i sacerdoti, gli scribi e gli anziani, per condannarlo con una parvenza di legalità. Pietro, passato il primo sbigottimento, lo seguì da lontano, e poté entrare fin dentro al cortile della casa. Per non dare sospetti, e perché faceva freddo, si mise anche lui intorno ad un fuoco acceso nel cortile, e si scaldava insieme ai servi. Era naturale che solo i servi di guardia alla casa si scaldassero al fuoco, costretti com'erano a stare all'aperto, mentre le persone più importanti facevano ressa nelle sale del palazzo.

In processo con i falsi testimoni

I principi dei sacerdoti intanto, dopo le prime sommarie domande fatte a Gesù, s'accorsero che il processo non aveva consistenza, per quanto avessero cercato d'assoldare falsi testimoni. Questi, infatti, non subornati sufficientemente per la fretta e il precipitare degli eventi, si contraddicevano, e la loro testimonianza non aveva valore.

La falsa testimonianza che accusava Gesù di bestemmia contro il tempio sarebbe stata gravissima, giacché si sa che Geremia fu condannato a morte per aver predetto la rovina del tempio (Ger 26,6), ma i testimoni non s'accordarono sulle parole pronunziate da Gesù. D'altra parte il sommo sacerdote e gli altri giudici avrebbero voluto qualche accusa più grave ed infamante contro il Redentore, perché volevano condannarlo con tale obbrobrio, da sfatare definitivamente il suo prestigio in mezzo al popolo. Speravano che Egli rispondendo si compromettesse, e perciò lo interrogarono prima, e poi gli fecero ascoltare tante false testimonianze.

Ma Gesù taceva. Che cosa avrebbe potuto rispondere?

Egli, verità per essenza, si trovava innanzi alle menzogne più sfacciate e, se avesse voluto rispondere avrebbe dovuto condannare nella maniera più severa; tacque pregando e riparando innanzi al Padre le menzogne dei giudizi degli uomini.

Il giudizio si metteva male ed i sacerdoti temettero di non poterla aver vinta, quando il sommo sacerdote ebbe un'idea infernale: si ricordò che Gesù tante volte aveva affermato di essere il Messia, il Figlio di Dio, e pensò d'interrogarlo in proposito con tutta la solennità sacerdotale; se Gesù avesse risposto che non lo era, si sarebbe sfatato da se stesso e, se l'avesse affermato, sarebbe stato convinto di bestemmia.

Il sommo sacerdote era più sicuro di quest'ultima supposizione, e sperava di avere nelle mani un'accusa gravissima che avrebbe giustificato la condanna a morte. Levatosi, perciò, disse a Gesù con tono solenne di voce, in modo da farsi udire da tutti: Sei tu il Cristo, il Figlio di Dio benedetto?Improvvisamente si fece un silenzio solenne nella sala; Gesù s'illuminò d'una gran luce che quegli sgherri non poterono vedere, e rispose con tutta la maestà della divina verità: Io lo sono, e vedrete il Figlio dell'uomo sedere alla destra della potenza di Dio, e venire sulle nubi del cielo.

Non poté negare quello che Egli era, e fece un'allusione al futuro giudizio universale, nel quale Egli sarebbe stato non prigioniero avvilito, ma giudice d'infinita potenza e maestà per scuotere quei cuori induriti. Egli sapeva bene che le sue parole l'avrebbero fatto condannare; sapeva che quei giudici iniqui non avrebbero fatto nessun conto della sua minaccia d'un giudizio severo, anzi per questo stesso l'avrebbero maggiormente disprezzato, ma non volle tacere la verità, affinché quegli infelici non fossero stati privati di quell'ultima grazia e di quell'ultimo richiamo. Gesù Cristo poi non fece solo un'affermazione, ma la rese luminosa con uno straordinario accento di verità, e la dimostrò con la medesima maestà con cui la disse.

Gesù condannato a morte

Il sommo sacerdote non volle altro, e con l'ipocrita mossa, stracciatesi le vesti in segno di un dolore che non aveva, giacché anzi esultava di gioia maligna, disse: Che bisogno abbiamo più di testimoni? Voi stessi avete udito la bestemmia, che ve ne pare? Il sommo sacerdote tradì tutta la propria malizia e quella del sinedrio: egli non cercava i testimoni per giudicare con giustizia ma per condannare; non voleva che testimoni di accusa, e non avendoli trovati, esultava che le parole di Gesù gli dessero il pretesto desiderato per condannarlo. Si appellò all'opinione di tutti non per domandare un parere, ma per rendere più tumultuosa la condanna e più sicura l'esecuzione. L'animo suo bieco e livido di invidiosa rabbia affiorava tutto in quel suo gesto ed in quelle sue parole.

Tutti gli astanti condannarono Gesù come colpevole di morte e, liberi oramai d'inveire contro di Lui, aizzati dal disprezzo del sommo sacerdote, cominciarono a sputargli addosso, a schernirlo, e percuoterlo coi pugni ed a schiaffeggiarlo. Quale notte dolorosa fu quella per Gesù, e con quale amore per il Padre e per l'umanità Egli accolse quei crudeli maltrattamenti! Soffriva orribilmente, ma ognuno di quegli schemi e di quelle percosse era indirettamente una conferma della sua grande affermazione: Io sono il Cristo, il Figlio di Dio. La verità non era soffocata da quelle ingiurie e da quei tormenti; era come fucinata nel dolore, e splendeva più bella innanzi all'universo. I testimoni della menzogna percuotevano Colui che era la pietra angolare della creazione e della redenzione, e ne facevano quasi sprigionare le fulgenti faville della verità.

In quel momento era uno solo il testimone veritiero: Gesù, che a costo dei suoi dolori affermava il compimento delle divine promesse, e gemendo nell'angustia faceva realizzare in sé gli annunzi dei profeti. Gli sgherri, percuotendolo dopo avergli bendato gli occhi, gridavano fra le pose del più profondo scherno: Profetizza! Ed Egli in realtà cumulava in sé tutte le profezie, e mostrava la splendida luce della verità tra i bagliori del suo Sangue!

La notte del Giovedì Santo, si rinnova nella Chiesa perseguitata nel secoli

La scena di quella dolorosa notte s'è rinnovata e si rinnova in tutti i tempi sul Corpo mistico del Re d'amore, sulla Chiesa. La perversità umana, spinta dolorosamente, dai ministri infedeli del santuario, inveisce contro la Chiesa e tenta di darle la morte.

La Chiesa passa nel mondo beneficando; questo nessuno potrà mai onestamente negarlo; per quanto alcuni suoi figli o ministri possano essere indegni, è innegabile che Essa è madre di civiltà, di virtù e di bontà. Eppure è continuamente avversata, catturata e condannata, proprio perché divina.

Nel mondo è notte di gelo, e la famosa scienza e civiltà è appena come il cippo che ardeva nel cortile di Caifa. Intorno a questo fuoco che non dissipa la notte, ci sono i servi della terra, quasi sempre, ed i rinnegatori che giurano di non conoscere l'eterna verità, come lo giurò Pietro.

Il sacerdote infedele rende falsa testimonianza, ed il popolo maltratta il Signore nella sua Chiesa, fatta oggetto di bestemmia, di schemi e di persecuzioni.

La scena disgustosa è continua, e fa piangere di amarezza! Non si cerca la verità ma la menzogna per condannare la verità; è un fatto! La Chiesa geme, tace, soffre, e pur confessando ad ogni costo la verità, non ha le sue speranze sulla terra ed attende con fede il giorno del supremo giudizio ed il trionfo del suo Re! Con quale amore dovremmo noi testimoniare per Lei nel mondo! Eppure, dolorosamente, quante volte ci lasciamo intimidire e seguiamo l'andazzo del male, protestando con la nostra vita di non avere nulla in comune con Gesù Cristo!

6. Pietro rinnega Gesù

Rassomigliamo tante volte a san Pietro, pieno d'amore verso il suo Maestro, capaci di entusiasmo nei momenti di calma, ed avviliti dal timore e dal rispetto umano nei momenti di lotta. Ci accomuniamo al mondo per riscaldarci un poco alle sue fiamme, quando la pena ci sopraffa; e non pensiamo che quelle fiamme ci bruciano e che, posti nel pericolo, siamo capaci di rinnegare praticamente Gesù. L'episodio penoso di san Pietro dev'esserci di scuola.

Egli aveva seguito Gesù da lontano, non avendo avuto il coraggio d'esporsi al pericolo d'essere catturato anche lui. Aveva un terrore panico delle guardie, ma non si sentiva di abbandonare il Maestro, e lo seguì in modo, secondo lui, da non compromettersi. Eppure se gli avesse reso testimonianza con convinzione ed energia, avrebbe forse potuto mutare le sorti del giudizio. Entrò con timore fin nell'atrio della casa sacerdotale, e si pose al fuoco per scaldarsi coi servi, sperando di non essere notato. Bella testimonianza che rendeva, in verità!

Entrava per celarsi, si accomunava agli altri, e guardava intorno come smarrito quello che avveniva. Un timor panico più forte cominciò a prenderlo quando ascoltò gli schiamazzi della turba e del sinedrio, e poiché egli aveva mozzato l'orecchio del servo del pontefice, temette di poter essere chiamato al rendiconto.

Una delle serve, con quell'intuito che è comune alle donne, e con la penetrazione che le dava l'abitudine di squadrare quelli che entravano in casa, notò il turbamento di Pietro, e fissatolo per scrutarlo meglio, disse: Anche tu eri con Gesù Nazareno. Fu un colpo di folgore per Pietro, ma cercò di dissimulare e finse di non aver capito. Appena la serva s'allontanò, spontaneamente si alzò ed uscì avanti al cortile per andarsene. In quel momento il gallo cantò, ma egli non vi fece caso; era troppo agitato dal suo timore per poterci badare. Il cuore però non gli permetteva di lasciare la casa, perché voleva vedere dove andava a finire il giudizio, e ritornò sui suoi passi.

La serva, affaccendata com'era, non aveva insistito alla replica di san Pietro, ma ripassandogli di nuovo davanti, per non essere ritenuta come una sciocca, sicura di aver dato nel segno, disse agli astanti: Costui è uno di quelli. Pietro allora lo negò.

Ma gli astanti, sentendolo parlare in Galileo, gli dissero: Tu sei certamente uno di quelli, poiché sei Galileo. Non era più una donna che lo accusava, erano gli astanti, e Pietro, credendo di essere perduto, cominciò ad imprecare ed a giurare, affermando di non conoscere quest'uomo del quale essi parlavano.

Il pianto di Pietro

Era il colmo della viltà e della negazione. Subito dopo il gallo cantò per la seconda volta, e Pietro ricordando le parole che gli aveva detto Gesù, pianse. Evidentemente la terza negazione lasciò nel cuore di san Pietro un intenso rammarico; il rimorso lo bruciava, ed uno sguardo lanciatogli da Gesù, come ci dice san Luca (22,61), rese quel rimorso umiliazione profondissima e desiderio di riparazione.

Egli amava Gesù, e vedendolo ridotto tutto sputi e ferite, provò un senso di compassione e di pena indicibile. Era caduto per estrema fragilità, avrebbe voluto insorgere, confessare il suo Maestro e difenderlo, ma Egli oramai era condannato e non c'era più nulla da fare. Perciò cominciò a piangere

amaramente, e ritornò sui propri passi affranto e desolato! Se invece di mescolarsi ai cattivi e scaldarsi al fuoco, avesse pregato, non sarebbe caduto. Volle mettersi nell'occasione, e ci stette indifferentemente, scaldandosi mentre il Maestro divino era malmenato e soffriva. Si affidò alle sue forze, e queste non lo sostennero.

Noi siamo vili nel testimoniare il Cristo!

Perché siamo vinti tanto facilmente da un sogghigno, da una burla e da una parola stolta che ci si dice contro la fede o la Chiesa? Perché abbiamo una pietà ed una fede superficiale, e ci mettiamo nelle occasioni con estrema leggerezza. È penosissimo il pensare che i cattivi commettono il male con grande sfacciataggine, pur essendo per loro di obbrobrio, e che i buoni non sanno fare il bene con coraggio, sostenendo la loro fede innanzi agli schemi del mondo, pure essendo per loro un grandissimo onore. È necessario vincere l'impudenza del mondo col nostro disprezzo, e riguardare con grande scherno le sue vie che sono vie di morte.

Pensiamo che Gesù Cristo ha voluto essere caricato di obbrobrio innanzi a tutti per nostro amore, e che noi abbiamo il dovere di cancellare quest'obbrobrio con la nostra testimonianza di amore. La Passione di Gesù continua nel mondo per la lotta che si fa a Lui nella Chiesa, e noi dobbiamo essere con Lui e non fuggire, come gli apostoli, o peggio tradirlo come Giuda e rinnegarlo come Pietro. Dobbiamo andare contro il mondo, che siede perennemente in tribunale nella notte dei suoi errori, e cerca condannare Gesù. Questo capitolo del Vangelo ci dev'essere in questo di grande scuola.

Si radunano i nemici del Signore in conciliaboli per condannarlo a morte? E noi dobbiamo radunarci nei congressi e nelle assemblee dell'Azione Cattolica per farlo regnare. È la riparazione più bella alle congiure degli empi. Si crede sempre esagerato ciò che si fa per Gesù, come credettero esagerato l'atto pietoso della Maddalena. E noi diamogli tutto il nostro amore, infrangendo quasi il cuore come l'alabastro di Maria e, dandogli tutti i profumi della virtù. Come quell'unguento prezioso riempì la casa di profumo, così riempiremo noi la Chiesa, in onore di Gesù, delle fragranze della nostra vita cristiana.

Giuda va a vendere Gesù e lo tradisce per un vile guadagno? E noi diamo anche quel poco che abbiamo per accrescere il suo regno! Non cerchiamo il denaro ma le anime, ed andiamo dai sacerdoti per avere da loro la ricchezza della nostra riconciliazione con Dio.

Gesù si lamenta nella Cena eucaristica che uno dei suoi lo tradisce? E noi andiamo al suo altare per riparare con l'amore i tradimenti che riceve da quelli che non lo ricevono, e vanno a vendere l'anima loro nelle riunioni mondane. Che gioia per noi poter consolare Gesù andando a Lui, e con quale amore Egli ci guarda quando espandiamo innanzi a Lui il nostro povero cuore! L'altare eucaristico, ecco la nostra meta nel pellegrinaggio terreno, ecco il nostro vero gaudio, ed il rifugio nelle nostre angustie. Non c'è ingratitudine più brutta quanto quella di star lontani da Gesù Sacramentato, non c'è dolore più amaro per il Redentore che tutto ci si è donato!

Pietro fa il proposito di morire con Gesù, ma non lo mantiene; dorme nell'orto e lo rinnega nell'atrio del pontefice. Ripariamo questa colpa che si rinnova tante volte nelle anime consacrate a Dio: manteniamo le promesse fatte al Signore, e confessiamolo innanzi a tutti, senza assonnarci mai nelle nostre miserie e nelle nostre debolezze. Vigiliamo nella preghiera, e sosterremo la Chiesa nelle sue formidabili lotte.

Giuda tradì Gesù con un bacio, e noi ripariamo il tradimento che gli fanno i baci dell'impudicizia, baciando Lui nell'amore, e ripudiando ogni degradante dedizione alle creature. Chi oserebbe dare un bacio di peccato, sapendo che con quello tradisce il suo Redentore? Appena Giuda baciò Gesù, subito gli sgherri si avventarono contro il mansuetissimo Agnello, lo catturarono, e lo trascinarono al giudizio della menzogna e dell'iniquità. Così avviene nel mondo; l'impurità fa irrompere contro il Signore e lo espone alle derisioni ed al disprezzo. Conserviamoci puri come angeli, per testimoniare a Gesù il nostro amore invincibile.

La falsa scienza cerca false testimonianze contro la fede? E noi studiamo la fede con accuratezza per rendere testimonianza alla verità con piena coscienza. Un cristiano ignorante nelle verità che professa e già una falsa testimonianza della sua fede, perché non sa sostenerla contro le insidie dell'errore. Il mondo rinnega il Redentore, e noi acclamiamolo cercandolo sopra tutte le cose, come nostra unica vita. I sacerdoti cattivi sfigurano Gesù, mostrando la fede nelle ombre della misera loro vita, lo stato lo perseguita, colpendolo con le sue leggi anticattoliche come con schiaffi e con pugni; la falsa civiltà gli vela il volto, nascondendone la divinità e schernendolo come qualche cosa di oltrepassato; le anime deboli lo rinnegano per rispetto umano, e noi glorifichiamo il nostro Redentore, difendiamolo, confessiamolo con le parole e con le opere. Dobbiamo essere fedeli, veramente fedeli, ed essere tutti gli araldi del nostro Re, affinché Egli regni sulle anime nostre e regni su tutta la terra.

Sac. Dolindo Ruotolo



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