sabato 5 novembre 2016

06.11.2016 - Commento al vangelo di S. Luca cap. 20 par. 3

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Le aberrazioni della statolatria

Presumere che lo Stato sia tutto, asservirvi gl'individui e riguardare la Chiesa poco meno che un'infima sua serva è errore carico di conseguenze disastrose per il mondo e per la sua stessa prosperità materiale. Le nazioni hanno molto dell'infantile nelle loro attività; passano dall'amicizia all'odio, dall'armonia alle guerre, dagli elogi scambievoli ai vituperi, con la più grande facilità, e si lasciano trascinare dall'opportunità del momento; non hanno né sapienza, né stabilità, né equilibrio nella loro vita, e vanno da un eccesso all'altro per le esigenze di quella sporchissima cosa che si chiama politica. Non possono dunque essere l'oggetto di una illimitata fiducia, tanto meno di un'idolatria, che, per la stessa forza materiale della quale dispongono, diventa oppressione esosa della coscienza, del pensiero e della libertà, e la conduce a rovina sicura.

Si rende a Cesare ciò che è di Cesare solo quando si dà a Dio ciò che è di Dio, perché è impossibile riguardare Cesare come un re indipendente ed assoluto, essendo anche egli figlio della Chiesa. Quando la Chiesa con la sua materna influenza non regola le nazioni, esse cadono nello stato nel quale le vediamo oggi, stato di abiezione che le rende tiranne coi sudditi anche il dominatore ingiusto col tributo che riceve concorre all'amministrazione pubblica, chi sottostà non compie opera illecita dando il tributo, ma vi è obbligato, pur essendovi costretto. La questione era questa dunque: chi dominava di fatto la terra d'Israele? E chi, dominandola, provvedeva alla sua amministrazione? Erano i Romani. Dunque, ai Romani si doveva il tributo. Le gabelle si pagavano in moneta romana, ed i contributi al tempio in moneta sacra; la moneta romana che si dava per tributo era in fondo una parte della moneta posta in circolazione dagli stessi dominatori; dunque, pagandola, si dava quello che era dell'impero romano, come dando al tempio la moneta sacra, si dava a Dio quello che da Lui era stato ordinato come riconoscimento del suo dominio.

Riferendosi a questi altissimi principi, per rendere più incisiva la sua risposta, Gesù si fece mostrare un denaro, che era la moneta delle gabelle, e domandò: Di chi è l'immagine e l'iscrizione che porta? Gli risposero: Di Cesare. Egli soggiunse: Rendete dunque a Cesare quello che è dì Cesare, e a Dio quello che è di Dio.

Gesù non volle creare un dualismo tra Cesare e Dio, né tanto meno porre Cesare alla pari con Dio; sarebbe una stoltezza immensa il supporlo; volle solo dire che bisognava rendere a Cesare il tributo amministrativo per dovere di giustizia sociale, come si dava a Dio il tributo sacro del tempio, quale dovere religioso per l'amministrazione del culto; Cesare non rappresenta un potere indipendente da Dio, né ciò che ha relazione allo Stato può rappresentarlo; tutto è sottomesso al Signore, re del cielo e della terra, ed è sottomesso alla Chiesa che ne rappresenta l'autorità; nessun governo può ardire di riguardarsi indipendente dalla verità e dalla morale che la Chiesa insegna, né può credere la Chiesa inferiore a quel tempo. Come materialisti disprezzavano profondamente l'insegnamento di Gesù, e prendevano innanzi a tutti un atteggiamento da superuomini e spregiudicati.

E l'atteggiamento di tutti quelli che hanno poca testa e presumono di averne molta.

Ora vedendo che gli scribi e farisei erano confusi innanzi a Gesù, credettero, come superuomini... da strapazzo, di poterlo essi confondere, e con alterigia, come si rileva dal contesto, gli proposero il caso di una donna che aveva avuto l'uno dopo l'altro sette mariti.

Nella risurrezione, esclamarono in tono da trionfatori, quella donna di quale dei sette sarà la moglie? Giudicando materialmente, essi supponevano che la risurrezione fosse un ritorno alla vita terrena con tutte le sue miserie e tutte le sue esigenze, e siccome non avevano visto mai un morto sorgere dalla tomba, negavano che la risurrezione potesse avvenire in futuro e che l'anima sopravvivesse al corpo. Perciò Gesù, rispondendo loro, distinse prima di tutto la vita di questo secolo da quella del secolo futuro dicendo: Ifigli di questo mondo si sposano e si maritano perché essendo mortali vogliono perpetuare la loro specie; ma quando passano all'altra vita e sono giudicati degni del cielo e della finale gloriosa risurrezione, non si sposano né si maritano perché sono immortali. Vivendo gloriosamente nel Paradiso, sono come gli angeli, sono figli di Dio adottivi, essendo figli della risurrezione, ossia figli di Colui che risorgerà dalla morte e darà ai fedeli, incorporati a sé, la grazia di una risurrezione gloriosa.

C'è un'allusione nascosta a se stesso in quelle parole: i risorti sono figli della risurrezione', Egli, infatti, era la risurrezione e la vita, e da Lui dovevano aspettare la risurrezione gloriosa i suoi fedeli. Gesù non parlò della risurrezione dei cattivi, che pure avverrà, perché essa rappresenta per loro una seconda morte, più terribile della prima, andando in perdizione anche col corpo; Egli, poi, rispose direttamente alla parabola proposta propri e prepotenti con le altre, fino a produrre le tristissime conflagrazioni sociali, delle quali siamo spettatori e vittime.

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Sac. Dolindo Ruotolo

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