sabato 19 novembre 2016

19.11.2016 - Commento al vangelo di S. Luca cap. 23 par. 5

5. La crocifissione, l'agonia, la morte e la sepoltura di Gesù

Giunti che furono sul monte Calvario, cioè del teschio, chiamato in ebraico Golgota, i carnefici prescelti crocifissero Gesù e i due ladroni, elevandoli uno a destra ed uno a sinistra di Lui. Con queste poche parole di una terribile concisione, l'evangelista accenna alla scena spaventosa di quell'immane supplizio. Lo crocifissero perforandogli le mani con lungo chiodo, ed i piedi sovrapposti con un chiodo ancora più lungo. Non è possibile immaginare lo spasimo che davano quei chiodi all'adorabile nostro Redentore. La scienza medica oggi ne ha potuto studiare le vestigia sulla santa Sindone, cioè sul lenzuolo che lo avvolse cadavere. Si contrasse tutto alFindietro, e per questo movimento brusco le spine della nuca gli si conficcarono dentro più profondamente. Il suo dolore fu immenso, ma Egli nella sua misericordia si preoccupò di quelli che glielo cagionavano, e rivolto al Padre esclamò: Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno. Non aveva bisogno Egli di perdonarli, perché dava la vita per essi, ma aveva necessità d'implorare perdono dal Padre, perché il delitto che commettevano era spaventoso. La sua parola fu esaudita dal Padre?

Apparentemente sembrerebbe di no, poiché Gerusalemme fu distrutta, ed il popolo fu massacrato o portato in cattività; ma Gesù pregò per l'anima di quelli che avevano concorso alla sua crocifissione, e principalmente per gli Ebrei, e questo ci fa intendere che per la sua divina preghiera Egli raccolse quelle anime quale messe dei suoi dolori. Come poteva Egli pregare per la loro salvezza temporale, che li avrebbe sempre più ostinati nel peccato? Anche al buon ladro, infatti, Egli donò la salvezza eterna, ma non lo strappò dalla croce, perché il tormento che vi subiva era l'espiazione dei delitti che aveva commessi.

Gesù soffriva e perdonava, e quelli che assistevano alla sua morte lo deridevano e lo insultavano!

I soldati al principio si preoccuparono solo di dividersi le sue vesti, sperando di realizzare un grande guadagno rivendendole ai a discepoli del Crocifisso, e siccome la tunica era inconsutile, per non dividerla se la sorteggiarono; dopo si unirono anche essi a quelli che lo insultavano. I sacerdoti sopra tutti e gli scribi ci tenevano a sfatarne il prestigio innanzi al popolo, e coi loro insulti volevano fame rimarcare l'impotenza: Ha salvato gli altri, salvi se stesso se Egli è il Cristo, l 'eletto di Dio. Ad essi facevano eco i soldati, i quali, vedendo sulla croce la scritta postavi da Pilato, dicevano: Se Tu sei il re dei Giudei salva Te stesso. Lo dicevano per pigliarsi beffe non solo di Lui, che s'era dichiarato re innanzi a Pilato, ma anche per insultare il popolo ebreo in Lui.

Se Pilato aveva messo quella scritta, era per essi evidente che il Crocifisso era veramente il re spodestato; insultandolo e sfidandone la potenza, volevano far constatare lo stato di soggezione piena nel quale era ridotto il popolo, che aveva il suo re in croce, senza dire neppure una parola di protesta, anzi approvandone la condanna e la morte.

I biechi sacerdoti del tempio non s'erano accorti che con quel delitto spaventoso avevano stretto di più le catene della loro schiavitù a Roma.

Il buon ladrone

I due ladri che erano crocifissi con Gesù, al principio si unirono tutti e due al coro di quelli che insultavano Gesù (Mt 27,44), ma poi uno di essi, vedendo che il compagno insisteva nel provocare il Signore a mostrare la sua potenza e la sua dignità, liberando se stesso e loro dalla croce e notando la pazienza divina di Lui, ne ebbe compassione e cominciò a sgridare il compagno.

Fu questo il primo anello di grazia che doveva condurlo al possesso del Paradiso. Egli soffriva terribilmente, aveva fastidio di sentire il vociare dei nemici del Redentore, perché i suoi nervi erano spasmodicamente tesi e contratti; considerò quanto doveva essere terribile per il Signore quel coro d'insulti e di feroci ironie stando in quello stato e, non osando rimproverare i sacerdoti, gli scribi e i farisei sgridò il compagno dicendogli: Neppure tu temi Dio, trovandoti nel medesimo supplizio? Cioè: tu non compatisci, dunque, le sue pene, pur soffrendole tu stesso ed ancora lo provochi e lo insulti? E, dando uno sguardo ai peccati commessi, notandone forse le vestigia nel compagno e pentendosene di tutto cuore perché vedeva e sentiva quanto era innocente Gesù, esclamò: E per noi certo è giusto, perché riceviamo ciò che meritiamo per i nostri delitti; questi poi non ha fatto nulla di male.

E dicendo queste parole lo guardò.

La compassione per le sue pene era diventata proclamazione della sua innocenza e, nel guardarlo di nuovo in questa luce, notò che quell'innocenza non era umana, come non era umana la pazienza che mostrava. Lo fissò, e gli venne una grande pace; lo guardò ancora ed anche Gesù dovette guardarlo, alleggerendogli le atroci pene. Nel considerarlo, scorse la maestà placida di quel volto, e dal volto spontaneamente passò a leggere la scritta: Gesù Nazareno, re dei Giudei. Aveva un vero aspetto di Re, spirava maestà, spirava, anche così contraffatto, ammirabile bellezza; era Re, ma non poteva esserlo di questo mondo. Lorse l'aveva sentito dire innanzi a Pilato solennemente: Il mio regno non è di questo mondo, e quelle parole ora gli ritornavano in mente. La fede nel Messia gli si rinnovò nell'anima; lo guardò ancora, sentì che era Lui, credette, sperò, gli si confidò, gli si abbandonò esclamando: Signore, ricordati di me quando sarai giunto nel tuo regno. La sua fede era piena e completa; aveva confessato le proprie colpe e la grazia l'aveva tutto avvolto e vivificato; si era pentito, aveva amato il suo Redentore, aveva accettato come espiazione la pena che soffriva, e Gesù perdonandogli esclamò: In verità ti dico: Oggi sarai con me nel Paradiso. Oggi stesso, sarai con me perché l'avrebbe preceduto nella morte, e morendo l'avrebbe redento, ridonandogli l'adozione di Figlio di Dio e dandogli il possesso della eterna felicità.

Fu un atto di misericordia immenso, al quale non poté essere estranea la Vergine Santissima. Nella sua materna misericordia Essa pregò per tutti, e pregò molto più per quelli che erano crocifissi col suo Figlio divino.

Pregò, e il meno ostinato e cattivo raccolse i frutti della sua preghiera compassionando Gesù e pentendosi dei propri peccati. Quale fiume di grazia sarebbe disceso su tutti i carnefici del Calvario, se avessero avuto un momento solo di pentimento? Il buon ladro aprì la serie dei peccatori che ai piedi del Crocifisso avrebbero trovato la luce, la misericordia e la pace, e fu il primo a raccogliere il conforto e la tranquillità che si diffondono dalla croce.

Quante volte la sua breve preghiera è stata ripetuta dai peccatori, stretti dalle tribolazioni: E giusto, Signore, ricevo ciò che merito per i miei delitti, ricordati di me! E quante volte Gesù ha risposto nel profondo del cuore pentito, dandogli la pace e promettendogli la vita eterna! Sono peccatore, mio Dio, confesso, e tutte le pene della mia vita sono un atto di giustizia, lo riconosco; ma la tua misericordia ha le braccia aperte per accogliermi, e io mi rifugio sul tuo Cuore dicendoti: Ricordati di me. Tu conosci bene quello che io sono, e se tu volessi ricordarti delle mie colpe dovresti scacciarmi da Te; ma

Gesù muore in croce
Era circa l'ora sesta, cioè verso il mezzogiorno, e si fece buio su tutta la terra fino all'ora nona, cioè fino alle tre pomeridiane. San Luca nota che il sole si oscurò quindi non fu un fenomeno dovuto a nebbie caliginose, né poté essere un eclissi, stando la luna al plenilunio. Per far notare che l'oscuramento del sole non avvenne per causa naturale, l'evangelista ricorda che anche il velo del tempio si squarciò nel mezzo; si squarciò dopo la morte di Gesù, ma san Luca ne anticipa la notizia per mostrare che il Signore dava segni non dubbi di essere veramente il Figlio di Dio ed il Messia promesso.

In questa oscurità d'un tratto si fece grande silenzio sul Calvario e, per quanto i nemici di Gesù si sforzassero di spiegare il fenomeno con cause naturali, ne furono essi stessi atterriti. Gesù in quel silenzio gettò un gran grido, che mostrava la padronanza che aveva della sua vita, giacché agonizzante com'era non avrebbe potuto gridare a gran voce, ed esclamò: Padre, nelle tue mani raccomando il mio spirito. E dicendo questo spirò. Quale momento solenne! Spirò, e quello spiro di amore ridonò la vita agli uomini, come l'alito di Dio l'aveva donata alla creta plasmata nell'Eden.

Spirò, e quell'ultimo respiro fu per l'inferno come il turbine che lo sgominò; spirò e rimase immobile, in una solennità grande, della quale abbiamo fino ad oggi la testimonianza nella santa Sindone conservata a Torino.

La terra tremò, quasi spaventata dal delitto consumato dai Giudei; il velo del tempio si squarciò, perché oramai era terminato l'Antico Patto e cominciava il Nuovo.

Il centurione che stava di guardia sul Calvario, vedendo quello che era accaduto, riconobbe la verità, e glorificando Dio esclamò: Costui era veramente un giusto, o come dicono san Matteo (27,54) e san Marco (15,39): Veramente costui era Figlio di Dio. Egli fu così il primo del popolo pagano a riconoscere in Gesù Cristo il Messia ed a proclamarlo pubblicamente.

La moltitudine, poi, che era stata attratta sul Calvario per quello spettacolo insolito, discendeva dal monte ferale percuotendosi il petto in segno di pentimento e di angoscia, mentre i suoi discepoli e le pie donne, che l'avevano seguito dalla Galilea, stavano osservando in lontananza, per timore di essere molestati dai nemici del Crocifisso. Che pena il pensare che gli amici stavano in lontananza, e che i nemici stavano proprio sul Calvario.

Oh come è meschino il nostro amore verso Gesù, quando ci vergogniamo di Lui, e per un vilissimo rispetto umano viviamo lontani da Lui! Quanti seguono Gesù ma non vogliono compromettersi e, pur non trovandosi di fronte a pericoli reali ma solo illusori, si tengono lontani da Lui, accomunandosi alla vita dei malvagi!

Quando ci accorgiamo che Gesù è vilipeso e condannato dal mondo, allora dobbiamo mostrarci a Lui più fedeli, e serrarci alla Chiesa Cattolica, Apostolica, Romana per confessarlo vero Dio e vero uomo e propagare il suo regno.

La sepoltura
Passato un poco di tempo, venne sul Calvario un membro del sinedrio, chiamato Giuseppe, dalla città di Arimatea, uomo dabbene e giusto, il quale non aveva consentito alla condanna di Gesù e, datosi conto della morte del Signore, si recò da Pilato per ottenere il permesso di prenderne il corpo e seppellirlo.

Calava già la sera, ed essendo il giorno seguente giorno di sabato, si affrettò a seppellirlo. Deponendolo dalla croce ed avvolgendolo in un lenzuolo con un'affrettata imbalsamatura di aromi, lo chiuse in un sepolcro nuovo, scavato nel masso, dove nessuno ancora era stato sepolto. Le pie donne osservarono tutto, perché avevano in animo di curare esse meglio quel Corpo divino, appena fosse passato il sabato. Prepararono, infatti, aromi ed unguenti ed attesero con ansia il primo giorno dopo il sabato, per compiere il loro ufficio pietoso.

La Liturgia della Chiesa sulla sepoltura di Gesù ha un sapore di pace profonda, che ci raccoglie tutti nella speranza della risurrezione, pur tenendo ancora l'anima immersa nei dolori del Redentore. Egli, infatti, discese nella tomba non come un vinto dalla morte ma come un vincitore, e ci si fece chiudere per aprirne le porte, primizia divina dei dormienti. Dormì e si riposò per mutare l'orrore del nostro sepolcro in un sonno ed in un riposo. Dormì dopo la crocifissione, come noi dormiamo quando s'è consumata la crocifissione della nostra vita. Egli ha voluto in tutto rassomigliarsi a noi, per farci in tutto rassomigliare a Lui, ed ha sparso sulle nostre afflizioni il balsamo del suo sangue e della sua pace. Vivendo dobbiamo fissare lo sguardo in Lui crocifisso, per seguirlo nella nostra via dolorosa, e morendo dobbiamo guardare il suo sepolcro, pegno sicuro della nostra risurrezione: In pace in idipsum dormiam et requiescam, nella pace in lui dormirò e riposerò.

Sepolto Gesù, gli Ebrei credettero averne trionfato per sempre; ma proprio in quella morte stava il suo trionfo, e Dio, deridendo i vani disegni degli uomini, utilizzò la loro stessa malvagità per compiere i suoi. La croce, scelta apposta come supplizio infamante per distruggere ogni prestigio del Redentore, diventò per i secoli invece il trono del suo immenso amore; ed il sepolcro, suggellato perché mai più si fosse parlato di Lui, divenne il piedistallo della sua gloria per i secoli, poiché risorgendo Egli confermò la sua missione divina e dette l'argomento inconfutabile della sua divinità, come della sua vera umanità.

Adoriamo i disegni di Dio e, riconoscendo nel Crocifìsso il nostro re morto per i nostri peccati, percuotiamoci il petto e diciamogli piangendo: Sii propizio a me povero peccatore.

Sac. Dolindo Ruotolo

 

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