domenica 19 gennaio 2014

19.01.2014 - Commento al vangelo di S. Giovanni cap. 1 par. 7

7. La testimonianza di san Giovanni Battista
San Giovanni, dopo aver detto che il Verbo si è fatto carne, conferma la sua testimonianza con quella del Battista, prima di spiegare quale pienezza ha il Verbo Incarnato, e quale grazia e verità ci comunica. Il versetto 15 è come un inciso, una parentesi, una conferma dell’Incarnazione del Verbo, per la testimonianza di san Giovanni Battista, come i versetti 16, 17 e 18 sono la spiegazione della pienezza di grazia e di verità che il Verbo Incarnato ebbe e ci comunicò. San Giovanni Battista rese questa testimonianza solennemente, gridando alle turbe nell’additare Gesù Cristo: Questi è Colui del quale io dissi: Quegli che verrà dopo di me a predicare, è più di me per dignità e per dottrina, perché era prima di me, essendo vero Dio.
Nella generazione secondo la carne san Giovanni era prima di Gesù, perchè concepito e nato sei mesi prima di Lui; con quelle solenni parole non poteva dunque alludere che alla preesistenza del Verbo nell’eternità, ossia alla sua divinità. Per quelli che ancora riguardavano il Battista come un prodigio di santità la testimonianza era di grandissimo valore. Gesù Cristo era stato come presentato al mondo da un grande profeta, e presentato come Dio; non era dunque un ignoto, come dicevano i farisei: Nescimus unde sit: non sappiamo da dove venga, ma era glorificato dalla testimonianza di uno, certamente mandato da Dio. Se era Dio, evidentemente noi abbiamo ricevuto e riceviamo dalla sua pienezza di grazia, grazia su grazia, e dalla sua pienezza di verità la grazia e la verità, cioè l’annunzio pieno della verità e la grazia per accoglierla e metterla in pratica.
A Mosè fu data la Legge, ed egli è il fondamento dell’Antico Testamento; ma la Legge era piena di ombre e di figure, e non aveva valore che per il suo riferimento al Redentore che doveva venire, né giustificava che in vista di Lui. Era grazia divina e diffondeva grazia, ma non ne era pienezza, né poteva dirsi completa luce di verità, dato che annunziava la Luce vera che doveva un giorno illuminare ogni uomo.
Nessuno, infatti, soggiunge san Giovanni, ha mai veduto Dio nella sua essenza, e nessuno ha potuto rivelarcene il mistero profondo; solo il Figlio Unigenito che è nel seno del Padre, cioè a Lui consustanziale, ed infinita conoscenza di Lui, ha potuto rivelarcelo, annunziandoci la Santissima Trinità, e svelandoci il mistero della sua eterna generazione dal Padre e dell’eterna spirazione dello Spirito Santo.
Con queste parole l’evangelista indica la fonte dalla quale egli ha attinto la verità che forma lo scopo del suo Vangelo: la divinità di Gesù Cristo. Egli non fa supposizioni, non esprime un’opinione, non propugna fantasie, attinge la sua dottrina dalla stessa rivelazione fattane da Gesù Cristo, Verbo di Dio fatto uomo, e confermata dai suoi miracoli e dalla sua vita.
I nemici di Gesù Cristo avrebbero potuto opporre a Lui il Battista, che con la sua austerità rispondeva di più alle idee che essi avevano del futuro Messia, ma san Giovanni, prevenendo l’obiezione, la sfata con la stessa testimonianza del Battista. I Giudei, infatti, cioè i capi del sinedrio di Gerusalemme, avendo saputo della predicazione di san Giovanni Battista e dell’entusiasmo che aveva suscitato nel popolo, sospettarono che potesse essere egli il Messia e vollero accertarsene con un’inchiesta. Siccome poi l’evangelista scriveva quando il popolo giudaico si era già posto in opposizione col cristianesimo, e designava per Giudei gli Ebrei traviati e i nemici di Gesù Cristo, si può supporre che l’ambasceria mandata al Battista, più che un’inchiesta per riconoscere il Messia, sia stata un’inquisizione per togliere di mezzo il Precursore ed impedirgli ogni forma di apostolato.
L’ambasceria dei farisei
Ad ogni modo i capi del sinedrio scelsero una rappresentanza di sacerdoti e di leviti, cioè di persone competenti in materia religiosa, e la mandarono dove Giovanni battezzava, per domandargli: Tu chi sei?
La domanda era un poco strana, giacché l’autorità costituita non poteva domandare alla persona interessata o incriminata chi fosse; avrebbe dovuto indagare per conoscerlo da altri. Ma Giovanni aveva tale accento di verità nelle sue parole, e la sua forte lealtà rifulgeva talmente nei rimproveri fatti ad Erode, che gli inviati credettero di doversi appellare a lui solo.
Appena lo interrogarono: Tu chi sei? Egli capì subito lo scopo della domanda, e inorridendo al pensiero che potesse essere scambiato per il Messia, rispose con ansiosa insistenza, pari all’amore che portava al Redentore ed alla disistima che aveva di se stesso: Non sono io il Cristo. L’evangelista esprime quest’ansia con l’insistente espressione: Ed egli confessò e non negò, e confessò: Non sono io il Cristo.
I sacerdoti e i leviti dovettero rimanere impressionati dall’aspetto e dalle parole del Battista. Secondo le profezie i tempi erano maturi per la venuta del Messia, ed essi lo sapevano bene; ora i Giudei credevano che Elia dovesse ritornare sulla terra per annunziarlo, ed essi, notando in Giovanni qualche cosa di straordinario, dato che aveva detto precisamente di non essere il Messia, sospettarono che fosse Elia o il profeta predetto da Mosè (Dt 18,15), che da alcuni si credeva dovesse essere il Messia e da altri che dovesse essere Geremia; perciò lo interrogarono di nuovo: Sei tu Elia? Ed egli rispose di no. Sei tu il profeta? Ed egli rispose ancora di no. Soggiunsero allora: Chi sei tu, affinché possiamo dare una risposta a quelli che ci hanno mandati. Che dici di te stesso?
Parlarono così perché essi non vollero mostrare di dargli importanza eccessiva e, nel loro orgoglio, temettero di accomunarsi al popolo che se ne mostrava entusiasto; avevano avuto un mandato e dovevano eseguirlo, dovevano portare una risposta qualunque a quelli che avevano dato loro quell’incarico.
È profondamente psicologico: nell’andare da Giovanni avevano un senso di diffidenza e, se si vuole, di un certo disprezzo; questa stessa prevenzione sfavorevole concorse a produrre in loro una sorpresa diversa quando lo videro; la sua figura, la sua posa, le sue parole e il modo stesso come parlava al popolo fecero sull’animo loro una profonda impressione e credettero in un primo momento che potesse essere il Cristo, o almeno uno di quei grandi profeti che doveva annunziarne la venuta. Quando dalla sua stessa bocca ascoltarono che non lo era, temettero di fare la figura di creduloni, e presero l’atteggiamento indifferente di chi ha un mandato e deve pure portare una risposta qualunque a chi lo ha incaricato d’indagare.
Giovanni determinò qual era la sua missione, spiegando implicitamente chi era l’Elia, il profeta o il Geremia che il popolo attendeva, e ricordando la profezia d’Isaia che riguardava lui, Precursore del Messia (40,3). Io sono - egli disse - la voce di colui che grida nel deserto: raddrizzate la via del Signore. L’Elia che aspettavano era proprio lui, ma non era Elia ritornato in terra, era una voce di preparazione che gridava alle anime deserte di grazia che si preparassero alla manifestazione del Redentore, e raddrizzassero le vie del loro cuore, perché vi potesse passare Dio con la sua misericordia.
Era questo un ammonimento per tutti, ma lo era anche per i messaggeri; l’evangelista nota a bella posta che erano farisei, cioè che appartenevano alla classe di quegli uomini che si contentavano di una giustizia esterna, e che camminavano per le vie tortuose dell’ipocrisia e dell’ingiustizia.
La disistima dei messaggeri del sinedrio verso san Giovanni si accrebbe quando egli si dichiarò una voce che gridava. Egli, magro e quasi diafano, poteva dire di essere una voce, poiché sembrava che in lui non vi fosse rimasta che la voce; ma la sua espressione aveva un senso di profonda umiltà, incompresa dagli orgogliosi farisei; essi credettero di trovarsi di fronte ad un fanatico qualunque, ad un illuso che si arrogava una missione che non aveva, e perciò, rivestendosi di autorità, soggiunsero in tono reciso: Come tu dunque battezzi se non sei il Cristo, né Elia, né il profeta?
San Giovanni non affrontò la questione direttamente, perché non poteva provare la sua missione innanzi al sinedrio. Certe opere straordinarie, infatti, per il modo stesso come Dio le compie, hanno in loro l’argomento della verità; si vedono, non si possono negare, ma è difficile dimostrarle, com’è difficile dimostrare in pieno meriggio che il sole sta in cielo. Si vede, si constata, se ne sperimentano gli effetti, ma non ci si può fare sopra una dissertazione.
I farisei erano padroni di non credere a Giovanni, ma la missione del Precursore rimaneva qual era, ed egli continuava a compierla finché a Dio fosse piaciuto. Nelle grandi misericordie universali Dio opera da padrone, non si adatta alle leggi comuni, non ci si può adattare, e cammina da trionfatore tra le difficoltà, mostrando proprio in questo la sua potenza e la verità di ciò che compie.
San Giovanni però prospettò all’autorità costituita che la sua missione non rappresentava un pericolo, né era un’innovazione contro la Legge di Dio; egli battezzava con acqua, dandola come un segno di penitenza, e simbolo della grazia che doveva poi inondare le anime per il Redentore. Non valeva la pena di dare importanza soverchia al suo battesimo, e preoccuparsi di lui; era invece assai importante che essi avessero ricercato Colui che doveva salvarli, da essi ancora sconosciuto, benché fosse in mezzo a loro. Questi si sarebbe manifestato dopo di lui, ma era prima di lui perché Dio eterno, ed egli non era degno neppure di sciogliergli il legaccio dei sandali.
Con un atto di profonda umiltà, dichiarandosi solo Precursore del Messia, Giovanni chiuse la questione, e gl’inviati del sinedrio si ritirano senza potergli obiettare nulla.
L’evangelista soggiunge che queste cose accaddero a Betania, da non confondersi col villaggio omonimo presso Gerusalemme. Betania o Betabara, come hanno alcuni codici greci ed Origene, si trovava nella Perea sulla destra del Giordano, in un luogo dove il fiume poteva passarsi a guado, e quindi si prestava a dare il battesimo.
L’ambasciata dei rappresentanti del sinedrio, lungi dal lusingare Giovanni, lo aveva preoccupato, e perciò andava trovando l’occasione per fare intendere meglio al popolo che non era lui il Messia. L’occasione gli si presentò il giorno dopo: vedendo Gesù che gli veniva incontro, disse additandolo al popolo: Ecco l’Agnello di Dio, ecco Colui che toglie i peccati del mondo. Chiamandolo Agnello di Dio, lo designò come la grande vittima che doveva togliere il peccato con la sua espiazione, e soggiunse: Questi è Colui del quale ho detto: dopo dì me viene un personaggio che era avanti a me, perché era prima di me.
Non era possibile scambiare per Messia qualcuno che in quei giorni poteva emergere nel popolo; san Giovanni lo addita in Gesù Cristo, e confessa di averlo riconosciuto per un segno soprannaturale, quando Egli stesso ricevette il battesimo nel Giordano. Dio stesso gli aveva detto che lo Spirito Santo sarebbe disceso su Colui che doveva battezzare nello Spirito Santo; ora il segno promesso era stato dato per Gesù Cristo, vero Figlio di Dio non per adozione ma per natura.
 
Sac. Dolindo Ruotolo

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