venerdì 7 marzo 2014

07.03.2014 - Commento al vangelo di S. Matteo cap. 9 par. 5

5. La questione del digiuno
I farisei non dovettero essere contenti della risposta di Gesù, e dovettero anzi andar propagando con disprezzo la notizia che Egli stava a pranzo coi pubblicani. Certo si seppe di quel banchetto da alcuni discepoli di san Giovanni, i quali, abituati all'austerità del loro maestro, si scandalizzarono, che i discepoli di Gesù partecipassero ad una simile festa. Sembrò ad essi che i farisei dessero un esempio migliore digiunando, e che i discepoli del Signore fossero invece esempio di una vita più rilassata. Presero occasione da quel banchetto per notare quello che ad essi sembrava intollerabile nella vita dei discepoli di Gesù. Gesù diede loro una risposta sublime, dichiarando anche meglio che cosa aveva significato quel banchetto: nelle nozze si solevano fare sontuosi pranzi, ai quali partecipavano gli amici dello sposo; nessuno avrebbe potuto pretendere che gli amici avessero digiunato in quei giorni. Ora il pranzo offerto da san Matteo era un vero pranzo di nozze, poiché Egli, Sposo divino delle anime, aveva sposato a sé quel pubblicano convertendolo a Dio.
Non si trattava, dunque, di un banchetto soltanto, ma della festa nuziale della misericordia che stringeva a Dio un peccatore. Egli era venuto proprio per i peccatori, e tutta la sua dimora in terra era come una continua festa nuziale; perciò permetteva ai discepoli una minore austerità di vita. Il digiuno si fa per tutelare l'anima e per conciliare la misericordia di Dio; ora, essendo Egli coi discepoli, rappresentava la loro tutela più bella, ed era la stessa misericordia discesa in terra. Quando Egli sarebbe ritornato al Padre, allora i suoi discepoli avrebbero digiunato per implorare la misericordia di Dio sulle anime. Del resto un'austerità, come l'avrebbero voluta i discepoli di san Giovanni e i farisei, sarebbe stata fuori luogo per anime principianti, ed avrebbe potuto scoraggiarle ed allontanarle dal bene. Un'austerità in un'anima principiante è come una toppa di panno nuovo posta su di un vestito vecchio, o come vino nuovo posto in un otre vecchio; il panno nuovo non s'innesta bene sul vecchio, e ritirandosi lo strappa di più; il vino nuovo, ancora in fermento, rompe facilmente un otre vecchio, e produce la perdita dell'otre e del vino.
Sac. Dolindo Ruotolo

Nessun commento:

Posta un commento