4. La guarigione del figlio di un ufficiale del re Erode
Gesù Cristo dimorò due giorni nella Samaria, dopo dei quali andò nella Galilea. L'evangelista fa notare ch'Egli era andato via dalla Giudea, perché nessun profeta è onorato nella sua patria, secondo una parola detta da Lui stesso.
Gesù Cristo, infatti, essendo nato a Betlem, e discendendo dalla casa di Davide, era considerato come Giudeo, benché, per la sua lunga dimora a Nazaret, sia stato anche considerato come Galileo dagli altri evangelisti e dal popolo stesso. La Giudea avrebbe dovuto gloriarsi di Lui, ed invece lo perseguitò e lo minacciò, costringendolo a ritornare nella Galilea.
I Galilei che avevano assistito ai miracoli che Egli aveva operati a Gerusalemme in occasione della festa di Pasqua, lo accolsero con entusiasmo, e probabilmente furono essi stessi ad invitarlo a Cana, dove aveva mutato l'acqua in vino. Quel miracolo era stato certamente conosciuto nella regione, ed è logico che suscitasse il desiderio da parte degli sposi di ospitare il Redentore.
Ora vi era a Cafarnao un ufficiale del tetrarca Erode Antipa, chiamato dal popolo, per adulazione, re, il quale aveva un figlio gravemente infermo, che stava già per morire. Saputo che Gesù era a Cana vi andò, e lo supplicò a discendere a Cafarnao per guarirgli il figlio. La fede dell'ufficiale era imperfetta, giacché egli credeva che fosse indispensabile la presenza di Gesù per la guarigione; era imperfetta anche la fede del popolo, il quale, alla preghiera dell'ufficiale, pensò di poter assistere ad un nuovo miracolo; perciò il Redentore paragonando questa fede avida di segni e di conferme, con quella dei Samaritani, avida solo della divina Parola, disse accoratamente rivolgendosi a tutti: Se voi non vedete segni e prodigi non credete. Evidentemente alla domanda del desolato padre fece eco anche il popolo, pregando Gesù di compiere il miracolo, e per questo l'ufficiale, prendendo coraggio, insistette dicendo: Signore, discendi prima che il mio figlio muoia. Ma Gesù gli rispose con un accento di sicurezza rassicurante: Va', tuo figlio vive. Quell'uomo credette, sentì nel cuore la sicurezza di ciò che gli aveva detto il Signore, e si avviò verso Cafarnao che dista da Cana circa 29 chilometri.
Quando Gesù gli disse che il figlio viveva, era l'ora settima, cioè un'ora dopo mezzogiorno; per percorrere i 29 chilometri l'ufficiale, defatigato già dal cammino, e certamente anche dalle veglie fatte per il figlio suo, dovette impiegare al minimo 6 o 7 ore; giunse quindi nei pressi di Cafarnao quando già era calata la notte, essendo dicembre, e quando era già cominciato il giorno seguente, secondo l'uso ebraico. Con le 6 pomeridiane, infatti, terminava la giornata, e cominciava a computarsi il giorno nuovo.
Il miglioramento del figlio, cominciato all'ora settima, andò rapidamente verso la completa guarigione, e perciò i familiari spedirono subito i servi incontro al padre per annunziargli la lieta novella. I servi, incontratolo nei pressi della città, gli corsero incontro pieni di gioia, e gli dissero che il figlio viveva. Dal resoconto minuto, fattogli dietro sua domanda, delle circostanze della guarigione, capì che il miglioramento era cominciato proprio nell'ora nella quale Gesù gli aveva detto che il figlio viveva, e credette lui e tutta la sua casa che Egli era veramente il Messia.
Quanti giovani malati nell'anima, oggi!
L'ufficiale del re, chiamato comunemente il regolo, si preoccupò che il figlio stava per morire, e corse da Gesù, supplicandolo di andare da lui prima che morisse.
Quanti padri hanno la stessa preoccupazione per l'anima dei loro figli, e quanti ricorrono a Gesù perché li visiti prima che muoiano spiritualmente? La gioventù, quando comincia a cedere alle passioni, è presa dalla febbre del male, si ammala e declina rapidamente verso la morte spirituale, la peggiore delle morti. I genitori che si preoccupano dei loro malanni corporali, e li scrutano attentamente per vedere se hanno a posto il cuore, lo stomaco o le viscere, non li scrutano per vedere se hanno a posto l'anima; anzi, dolorosamente, spesso guardano con folle compiacimento i primi sintomi d'un traviamento morale, che declina poi rapidamente verso la morte!
Sembra loro che allora comincino ad essere uomini, ed indulgono loro scusandoli con la gioventù, quasi che questa età, che dovrebbe essere tutta fiorita di virtù, dovesse gloriarsi del disordine e del fango! Quando comincia nei giovani la febbre delle passioni, e sembra invincibile, allora più che mai i genitori debbono andare a Gesù perché li visiti e li risani, poiché solo Gesù, nutrendoli di sé e della sua Parola, può fare spezzare la loro febbre e guarirli. Debbono essi per primi andare a Gesù e credere, poiché ogni esortazione è vana quando essi non danno il buon esempio, e quando non ricorrono al Sacramentato Signore con le lacrime sincere di chi capisce quanto sia deplorevole e grave la morte dell'anima.
Il regolo per ottenere la guarigione del figlio, andò da Cafarnao a Cana, dalla città della giocondità a quella del lamento, così deve fare un padre che vuole la rinascita spirituale del suo figlio: deve lasciare i bagordi ed i vani divertimenti, e deve vivere i suoi giorni levando a Dio il supplichevole grido dell'intensa e continua preghiera.
Non si converte un'anima semplicemente col desiderarlo; è necessario andare a Gesù con frutti di penitenza e col cuore compunto, con una fede viva e praticante, implorando dalla sua misericordia la grazia.
Oggi che la gioventù, ignara e presuntuosa, è quasi tutta inferma della febbre di disordinate passioni, perché insidiata da quelli che pretendono esserne i padri e gli educatori, mentre ne sono i corruttori, dobbiamo tutti pregare Gesù che la visiti e la converta, risanandola. Cana significa anche città dello zelo e dell'emulazione; ora noi dobbiamo, con le opere dello zelo e con una santa emulazione di virtù, cooperare alla salvezza della gioventù, implorando da Gesù che ne abbia pietà, e la sottragga dal baratro del peccato. Dalla città della giocondità, cioè dalla ricerca dei nostri comodi e del nostro quieto vivere, andiamo alla città dello zelo e, stabilendo fra noi una grande emulazione di opere buone, imploriamo dal Signore che i giovani non muoiano spiritualmente, e risorgano per Lui a vita nuova.
Gesù Cristo dimorò due giorni nella Samaria, dopo dei quali andò nella Galilea. L'evangelista fa notare ch'Egli era andato via dalla Giudea, perché nessun profeta è onorato nella sua patria, secondo una parola detta da Lui stesso.
Gesù Cristo, infatti, essendo nato a Betlem, e discendendo dalla casa di Davide, era considerato come Giudeo, benché, per la sua lunga dimora a Nazaret, sia stato anche considerato come Galileo dagli altri evangelisti e dal popolo stesso. La Giudea avrebbe dovuto gloriarsi di Lui, ed invece lo perseguitò e lo minacciò, costringendolo a ritornare nella Galilea.
I Galilei che avevano assistito ai miracoli che Egli aveva operati a Gerusalemme in occasione della festa di Pasqua, lo accolsero con entusiasmo, e probabilmente furono essi stessi ad invitarlo a Cana, dove aveva mutato l'acqua in vino. Quel miracolo era stato certamente conosciuto nella regione, ed è logico che suscitasse il desiderio da parte degli sposi di ospitare il Redentore.
Ora vi era a Cafarnao un ufficiale del tetrarca Erode Antipa, chiamato dal popolo, per adulazione, re, il quale aveva un figlio gravemente infermo, che stava già per morire. Saputo che Gesù era a Cana vi andò, e lo supplicò a discendere a Cafarnao per guarirgli il figlio. La fede dell'ufficiale era imperfetta, giacché egli credeva che fosse indispensabile la presenza di Gesù per la guarigione; era imperfetta anche la fede del popolo, il quale, alla preghiera dell'ufficiale, pensò di poter assistere ad un nuovo miracolo; perciò il Redentore paragonando questa fede avida di segni e di conferme, con quella dei Samaritani, avida solo della divina Parola, disse accoratamente rivolgendosi a tutti: Se voi non vedete segni e prodigi non credete. Evidentemente alla domanda del desolato padre fece eco anche il popolo, pregando Gesù di compiere il miracolo, e per questo l'ufficiale, prendendo coraggio, insistette dicendo: Signore, discendi prima che il mio figlio muoia. Ma Gesù gli rispose con un accento di sicurezza rassicurante: Va', tuo figlio vive. Quell'uomo credette, sentì nel cuore la sicurezza di ciò che gli aveva detto il Signore, e si avviò verso Cafarnao che dista da Cana circa 29 chilometri.
Quando Gesù gli disse che il figlio viveva, era l'ora settima, cioè un'ora dopo mezzogiorno; per percorrere i 29 chilometri l'ufficiale, defatigato già dal cammino, e certamente anche dalle veglie fatte per il figlio suo, dovette impiegare al minimo 6 o 7 ore; giunse quindi nei pressi di Cafarnao quando già era calata la notte, essendo dicembre, e quando era già cominciato il giorno seguente, secondo l'uso ebraico. Con le 6 pomeridiane, infatti, terminava la giornata, e cominciava a computarsi il giorno nuovo.
Il miglioramento del figlio, cominciato all'ora settima, andò rapidamente verso la completa guarigione, e perciò i familiari spedirono subito i servi incontro al padre per annunziargli la lieta novella. I servi, incontratolo nei pressi della città, gli corsero incontro pieni di gioia, e gli dissero che il figlio viveva. Dal resoconto minuto, fattogli dietro sua domanda, delle circostanze della guarigione, capì che il miglioramento era cominciato proprio nell'ora nella quale Gesù gli aveva detto che il figlio viveva, e credette lui e tutta la sua casa che Egli era veramente il Messia.
Quanti giovani malati nell'anima, oggi!
L'ufficiale del re, chiamato comunemente il regolo, si preoccupò che il figlio stava per morire, e corse da Gesù, supplicandolo di andare da lui prima che morisse.
Quanti padri hanno la stessa preoccupazione per l'anima dei loro figli, e quanti ricorrono a Gesù perché li visiti prima che muoiano spiritualmente? La gioventù, quando comincia a cedere alle passioni, è presa dalla febbre del male, si ammala e declina rapidamente verso la morte spirituale, la peggiore delle morti. I genitori che si preoccupano dei loro malanni corporali, e li scrutano attentamente per vedere se hanno a posto il cuore, lo stomaco o le viscere, non li scrutano per vedere se hanno a posto l'anima; anzi, dolorosamente, spesso guardano con folle compiacimento i primi sintomi d'un traviamento morale, che declina poi rapidamente verso la morte!
Sembra loro che allora comincino ad essere uomini, ed indulgono loro scusandoli con la gioventù, quasi che questa età, che dovrebbe essere tutta fiorita di virtù, dovesse gloriarsi del disordine e del fango! Quando comincia nei giovani la febbre delle passioni, e sembra invincibile, allora più che mai i genitori debbono andare a Gesù perché li visiti e li risani, poiché solo Gesù, nutrendoli di sé e della sua Parola, può fare spezzare la loro febbre e guarirli. Debbono essi per primi andare a Gesù e credere, poiché ogni esortazione è vana quando essi non danno il buon esempio, e quando non ricorrono al Sacramentato Signore con le lacrime sincere di chi capisce quanto sia deplorevole e grave la morte dell'anima.
Il regolo per ottenere la guarigione del figlio, andò da Cafarnao a Cana, dalla città della giocondità a quella del lamento, così deve fare un padre che vuole la rinascita spirituale del suo figlio: deve lasciare i bagordi ed i vani divertimenti, e deve vivere i suoi giorni levando a Dio il supplichevole grido dell'intensa e continua preghiera.
Non si converte un'anima semplicemente col desiderarlo; è necessario andare a Gesù con frutti di penitenza e col cuore compunto, con una fede viva e praticante, implorando dalla sua misericordia la grazia.
Oggi che la gioventù, ignara e presuntuosa, è quasi tutta inferma della febbre di disordinate passioni, perché insidiata da quelli che pretendono esserne i padri e gli educatori, mentre ne sono i corruttori, dobbiamo tutti pregare Gesù che la visiti e la converta, risanandola. Cana significa anche città dello zelo e dell'emulazione; ora noi dobbiamo, con le opere dello zelo e con una santa emulazione di virtù, cooperare alla salvezza della gioventù, implorando da Gesù che ne abbia pietà, e la sottragga dal baratro del peccato. Dalla città della giocondità, cioè dalla ricerca dei nostri comodi e del nostro quieto vivere, andiamo alla città dello zelo e, stabilendo fra noi una grande emulazione di opere buone, imploriamo dal Signore che i giovani non muoiano spiritualmente, e risorgano per Lui a vita nuova.
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