2. II colloquio di Gesù con la Samaritana e la sua esplicita dichiarazione di essere Lui il Messia
Al principio della sua grande missione Gesù Cristo evitava tutto quello che avesse potuto comprometterne il normale sviluppo. Egli avrebbe potuto superare ogni ostacolo con la sua onnipotenza, ma preferiva le vie normali della mitezza e della prudenza, per istruzione dei suoi apostoli, e di quanti avrebbero un giorno continuato nel mondo l'apostolato. Fu per questa regola di prudenza che, avendo saputo che i farisei già si allarmavano perché Egli faceva maggior numero di discepoli e battezzava più di Giovanni, benché non lo facesse Lui direttamente ma per mezzo dei suoi discepoli, lasciò la Giudea e si avviò verso la Galilea.
L'allarme dei farisei costituiva in realtà una grave minaccia; essi, che mal tolleravano Giovanni e già brigavano presso Erode per farlo togliere di mezzo, non volevano ad ogni costo che quell'apostolato, da essi stimato arbitrario, si rinnovasse in altri, e che, soppresso il Battista, ne sorgesse un altro. Giovanni aveva già un grande prestigio nel popolo, ed essi non osavano opporglisi direttamente, ma non erano affatto disposti a tollerare che altri ne pigliasse il posto, e si perpetuasse così un ministero extralegale; erano decisi perciò a tutto pur di stroncare al principio ogni tentativo.
L'uomo, dolorosamente, non capisce quasi mai i disegni di Dio, e mentre lascia correre il male autentico senza protestare, si allarma poi e prende posizione di combattimento contro il bene.
Il male è violento ed audace, ed egli non osa opporvisi, il bene è modesto e pacifico, e vi s'irrompe contro con tutte le forze.
Gesù Cristo nell'andare dalla Giudea verso la Galilea scelse la via più breve attraversando la Samaria che stava fra le due regioni.
La Samaria, abitata in prevalenza da pagani di origine, era considerata dagli Ebrei come una terra scismatica, poiché aveva sul Garizim, che è una montagna che la domina, un tempio rivale di quello di Gerusalemme, ed aveva una religione tutta propria, mista a superstizioni di ogni genere. I Samaritani a loro volta avversavano gli Ebrei propriamente detti, e non lasciavano di ingiuriarli e maltrattarli quando passavano per la loro terra per recarsi al tempio di Gerusalemme. Per questa ragione gli Ebrei evitavano la Samaria allungando notevolmente i loro viaggi. Gesù Cristo stesso aveva vietato ai suoi apostoli di andare nella Samaria a predicare, per non comprometterne il ministero innanzi agli Israeliti, che li avrebbero considerati come scismatici, e non avrebbero accettato la loro parola. Questa Volta però volle andarvi personalmente per convertirvi una peccatrice, e gettarvi il primo germe del regno di Dio.
Gesù incontra la Samaritana
Camminando, Gesù giunse in una città chiamata Sicar, identificata oggi con Askar, non lontana da Sichem, chiamata Napoli, capitale della Samaria, e si fermò presso il pozzo famoso, scavato da Giacobbe, nella tenuta lasciata in eredità al figlio Giuseppe. Sedette così, alla buona, come indica il testo greco, dissimulando la sua maestà, umilmente, preso da un sentimento di compassione per le anime. Era quasi l'ora sesta, nota l'evangelista, cioè quasi mezzogiorno. Per questa circostanza di tempo, e per le altre particolarità del racconto, alcuni suppongono che san Giovanni sia stato presente alla scena.
Gli altri discepoli però erano andati in città per comprare qualche cosa da mangiare, ed erano certamente assenti.
Mentre Gesù stava pensoso e raccolto nei pressi del pozzo, ecco una donna samaritana, con l'anfora in testa, che veniva ad attingere. Veniva da lontano perché l'acqua fresca e sorgiva del pozzo l'attirava, e molto più l'attirava la grazia, che con delicata disposizione di amore la spingeva ad andare là dove avrebbe trovato la salvezza.
Gesù Cristo le rivolse la parola e le disse: Dammi da bere. Dal vestito che indossava e dalla pronunzia delle parole, la donna si accorse subito ch'Egli era un Giudeo, e meravigliandosi che le domandasse da bere, giacché i Giudei aborrivano i Samaritani, gli disse: Come mai tu, che sei un Giudeo, chiedi da bere a me che sono Samaritana? Psicologicamente, non osò dire la frase opposta: Come posso darti da bere se tu sei un Giudeo? perché sentiva, inconsciamente, la propria inferiorità innanzi a Gesù, e perché quel volto divino e bellissimo, dai lineamenti regali e dall'occhio splendentemente ceruleo, l'aveva conquisa già. Proprio perché peccatrice, la poveretta aveva un profondo senso di umiliazione interiore che le facilitò il non considerare Gesù col solito disprezzo dei Samaritani, ed il guardarlo con rispettosa venerazione.
Era ancora lontana dal supporre chi Egli fosse, ma si accorse subito di trovarsi innanzi a un giusto. La santità spirava da Lui, ed essa si sentì meschina. Dimenticando quindi la fierezza con la quale i Samaritani sprezzavano i Giudei, si stupì piuttosto che quel Giudeo le domandasse da bere. E una sottigliezza psicologica che ci fa capire il processo misericordioso della grazia nel convertirla.
Gesù le rispose con infinita amabilità: Se tu conoscessi il dono dì Dio, e chi è Colui che ti dice: Dammi da bere, tu stessa gliene avresti chiesto, ed Egli ti avrebbe dato l'acqua viva. Con queste parole cercò rendere cosciente il sentimento subcosciente di devozione e di umiltà ch'era sorto nella donna, e volle cominciare a farle intendere ch'essa si trovava innanzi ad un essere non semplicemente buono, ma straordinario. La donna prese le parole alla lettera, e vedendo che Gesù mancava dell'anfora o hauritorium, che portavano i viaggiatori per poter attingere acqua lungo il cammino, avendola portata con loro gli apostoli, rispose: Signore, tu non hai come attingere, e il pozzo è profondo; dove hai tu dunque l'acqua viva? Gli Ebrei chiamavano acqua viva l'acqua di sorgente, in contrapposizione all'acqua stagnante; la donna però aveva sentito nell'anima, in quella promessa dell'acqua viva, qualche cosa che non era propriamente l'acqua del pozzo; inconsciamente e forse anche coscientemente, aveva sentito che si trattava di un dono e non dell'acqua. Essendo molto scaltra, però, come si rileva da tutto il racconto, volle indagarlo senza mostrare d'averlo capito, affinché Gesù stesso glielo avesse spiegato. Perciò lo pose in contrapposizione col patriarca Giacobbe che aveva scavato quel pozzo, e gli domandò, dissimulando la propria impressione: Sei tu forse di più di Giacobbe nostro Padre, il quale diede a noi questo pozzo, e ne bevve egli stesso, i suoi figli e il suo bestiame?
La donna porta spesso nei suoi atti una sconcertante vanità, anche quando si trova in momenti penosi della sua vita. Se si osserva, per esempio, un drappello di donne reclutate per la guerra, esse hanno nelle loro movenze, nei loro gesti, nel loro sguardo qualche cosa che pretende d'interessare.
Questa vanità nasce o dalla presunzione del suo ingegno o da quella della sua bellezza o, peggio, dalla persuasione di poter sconcertare una testa più o meno di zucca.
La Samaritana, avendo avuto cinque mariti, e convivendo con uno che non le apparteneva, aveva dovuto essere un tipo interessante dal punto di vista materiale, ed era abituata a sentirsi corteggiata. Non è improbabile che, almeno inconsciamente, le sia passato nell'animo che quel forestiero giudeo cercasse modo d'intavolare un discorso con lei per passatempo; perciò
Gesù la sollevò subito ad un pensiero di cielo, mostrandole così che parlava per un fine spirituale: Chi beve di quest'acqua, disse, tornerà ad aver sete, chi invece beve dell'acqua che io gli darò non avrà più sete in eterno; anzi l'acqua che gli darò, diventerà in lui una sorgente d'acqua zampillante fino alla vita eterna.
Un accenno così improvviso all'eterno orizzonte dei cieli, per una donna di facili costumi, era una stonatura; dove andava il suo interlocutore, dovette pensare, col suo discorso? Che cosa è l'acqua spirituale che disseta e porta al cielo, se viviamo di senso e ci dissetiamo solo ai piaceri? Perciò prendendo in giro il suo interlocutore, rispose con evidente ironia, per stornare il discorso da un argomento che la scottava: Signore, dammi di quest'acqua, affinché io non abbia più sete, né venga più ad attingerne. Parlò così per evitare un discorso spirituale che le suscitava rimorsi, e Gesù con un lampo divino di luce la richiamò proprio alla considerazione dello stato deplorevole della sua vita disordinata, dicendo: Va', chiama tuo marito e toma qua. La donna ne fu sconcertata, perché la parola di Gesù le penetrò in fondo all'anima; ma dissimulando il suo turbamento rispose con aria indifferente: Io non ho marito. E Gesù mostrando di conoscere appieno la vita di lei soggiunse: Hai detto bene: Non ho marito, perché hai avuto cinque mariti, e quello che hai adesso non è tuo marito; in questo hai detto il vero. Se aveva detto il vero allora, è chiaro che prima, domandando l'acqua dissetante, aveva mentito, ed aveva parlato solo per ironia.
Signore, vedo che sei un profeta, ma... la questione del tempio...
Il discorso aveva preso per la donna una piega sconcertante; essa scaltramente cercò di deviarlo, portando Gesù su un argomento che per un giudeo doveva essere scottante, e doveva attrame tutta l'attenzione. Ella però non potè trattenersi da
un'espressione di meraviglia per quello che le aveva detto e, per non mostrarsi inceppata o confusa, esclamò quasi per fargli un complimento: Signore, vedo che sei un profeta. Era un'espressione ambigua, con la quale non affermava né negava quello che Gesù le aveva detto; era una lode che poteva pure significare: Tu parli come un profeta, vuoi indovinare ciò che è in me, vuoi scrutarmi. Per una Samaritana, infatti, un profeta non era che un indovino, poiché quel popolo viveva di superstizioni. Se essa avesse avuto un vero sentimento di stima soprannaturale per Gesù, e se fosse stata compunta nel suo cuore, avrebbe domandato perdono dei propri peccati, e lo avrebbe supplicato ad ottenerglielo da Dio.
Sviando dunque il discorso, la donna soggiunse: I nostri padri hanno adorato Dio su questo monte, e voi dite che il luogo dove bisogna adorare è Gerusalemme. Dicendo questo, inconsciamente essa prendeva una rivincita per l'umiliazione subita nel vedersi svelate le proprie colpe. Essa infatti non domandò a Gesù la soluzione della gravissima questione, ma parlò come una che era sicura di avere ragione, quasi per dire: ecco, voi dite che bisogna adorare in Gerusalemme, mentre i nostri padri hanno adorato qui il Signore.
A poca distanza di là, a Sichem, Abramo aveva eretto al Signore della promessa e della rivelazione un altare (Gen 12, 6-7); Giacobbe vi aveva pregato, e Giosuè aveva eretto un altare sulla cima del monte Ebel, immolandovi numerose vittime (Gs 8,30). Sul monte Garizim, poi, che sorge presso il pozzo di Giacobbe, al tempo di Neemia i Samaritani, visto rifiutato dai Giudei il loro concorso all'edificazione del tempio di Gerusalemme, ne edificarono un altro, distrutto poi dal sommo sacerdote Giovanni Ircano I, e da allora riguardarono sempre il Garizim come centro del loro culto.
La Samaritana perciò, lungi dal domandare a Gesù la soluzione del problema, credette di poter affermare che l'opinione
dei suoi connazionali era fondata su valide ragioni, e che i Giudei erravano.
Adorerete il Padre in spirito e verità
Il Signore, aprendole un nuovo orizzonte, rispose con grande maestà: Credimi, o donna, eh 'è venuta l'ora in cui né su questo monte né in Gerusalemme adorerete il Padre. Voi adorate quello che non conoscete, noi adoriamo quello che conosciamo, perché la salvezza viene dai Giudei. Ma viene il tempo, anzi è proprio ora, in cui veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità. Tali adoratori, infatti, il Padre ricerca. Dio è spirito e quelli che l 'adorano lo debbono adorare in spirito e verità.
Questo discorso non era solo per quella donna ma per tutti quelli ai quali sarebbe stato annunziato, e troncava dalle fondamenta la questione tra Samaritani e Giudei. Non era il luogo, infatti, che poteva dar valore all'adorazione fatta a Dio da un'anima, ma era lo spirito col quale si faceva.
Per adorare Dio bisogna conoscere la verità, accettarla, crederla, praticarla, e proclamarne la gloria. Andare al Garizim o a Gerusalemme non significava conoscere, apprezzare ed amare Dio. Se si vuol fare la questione tra Samaritani e Giudei, soggiunse Gesù, bisogna riconoscere da questo punto di vista che i Giudei sono nella verità più di essi.
I Samaritani infatti accettavano solo il Pentateuco e rifiutavano il resto dei Libri Sacri; avevano una rivelazione incompleta, ed ignoravano Colui che adoravano; i Giudei riconoscevano invece tutte le Scritture, ed avevano, teoricamente almeno, tutto il sacro patrimonio. Essi, poi, soprattutto, erano eredi della grande promessa del Redentore, che da essi doveva nascere. L'argomento era fortissimo e non ammetteva repliche: se i Giudei avevano tutta la rivelazione e da essi doveva nascere il Redentore, i Samaritani non potevano presumere di essere ad essi superiori, e tanto meno che possedessero il privilegio unico di adorare Dio.
Ma v'è di più, soggiunge Gesù, poiché non si tratta neppure di vedere se si debba adorare in un luogo o in un altro, né di attribuire ad un popolo solo il privilegio della conoscenza e dell'adorazione di Dio; è venuto già il tempo del regno universale di Dio su tutta la terra, il tempo nel quale si adorerà Dio come Padre di tutti gli uomini, in spirito e verità, con adorazione cioè interna, oltre che esterna, fondata non su di un semplice rito, ma sulla verità, poiché questo solo onora Dio che è spirito infinitamente esistente, infinita verità ed infinito amore. Finisce l'adorazione simbolica e figurata, in altri termini, fatta con riti che annunziavano solo il futuro e figuravano la vera Vittima, e comincia l'adorazione vera, fondata sul compimento delle figure, dei simboli e della grande promessa.
Gesù Cristo non voleva condannare il culto esterno, com'è evidente dal contesto, ma voleva contrapporre al culto divino puramente esterno e simbolico quello interno e reale, ai riti freddamente legali l'adorazione fatta per mezzo di Lui, eterna sapienza, e dello Spirito Santo, eterno Amore. Dio è Spirito infinito, volle dire Gesù, e l'adorazione che richiede e gli è proporzionata è quella che gli viene per il Verbo Incarnato e per lo Spirito Santo; non bisogna dunque credere che il Garizim o Gerusalemme possano avere il privilegio di essere unici centri di adorazione, ma bisogna unirsi al Redentore e con Lui nello Spirito Santo adorare Dio.
Il modo come Gesù parlò fu così solenne e luminoso, che la donna cominciò a vedere in Lui un essere straordinario. Anche i Samaritani aspettavano il Messia, da essi chiamato il Taheb, cioè colui che ristabilisce e ad essa venne il sospetto che potesse essere proprio Lui; per accertarsene disse quasi nel tono indifferente di chi chiude una discussione: Io so che viene il Messia; quando dunque Egli verrà ci annunzierà ogni cosa. Gesù le disse in un fulgore di luminosa verità che dava
alle sue parole l'accento della certezza più assoluta: Sono io che ti parlo.
La donna corre in città ad annunziare che il Messia era venuto
Forse tra i Samaritani, essendo oramai nell'animo di tutti che la pienezza dei tempi era venuta, si parlava già della prossima manifestazione del Messia; forse tra i cittadini c'era quasi una gara a chi l'avesse trovato per primo; certo la donna si affrettò a correre in città per dame l'annunzio e, per correre più spedita, lasciò la sua anfora al pozzo. A quanti incontrava poi, diceva: Venite a vedere un uomo che mi ha detto tutto quello che ho fatto; che sia proprio lui il Cristo? Esagerò un poco per indurre la gente ad andare, e disse che Gesù le aveva detto tutto quello che essa aveva fatto, mentre Egli le aveva solo accennato il disordine morale nel quale viveva, ed espresse in forma dubitativa che Egli era il Cristo per non esporsi a fare una brutta figura, qualora i suoi concittadini, andando da Gesù, non lo avessero riconosciuto per Cristo. La gente, a quell'annunzio, uscì dalla città, incuriosita di vedere l'essere straordinario.
Mentre Gesù diceva alla donna le ultime parole, sopraggiunsero i discepoli, e si meravigliarono ch'egli discorresse con una donna samaritana.
Se gli uomini samaritani erano tenuti in disprezzo presso gli Ebrei, molto più vi erano tenute le donne. In generale si aborriva discutere con una donna, sia riguardandola come un essere inferiore, sia per timore di generare sospetti; ma gli apostoli, conoscendo già la bontà di Gesù con tutti, e non osando neppure lontanamente pensare di Lui l'ombra del male, non gli domandarono di che parlasse o che cosa cercasse da lei; si meravigliarono perché era cosa insolita nel loro Maestro, ma capirono che per discorrere con quella donna doveva aver avuto un fine alto e divino.
Assorto in Dio, Gesù non ha fame che di Dio
Gesù stava tutto pensoso; aveva nel volto i riflessi del suo grande amore per le anime; adorava Dio Padre allora stesso in spirito e verità, come Verbo Incarnato, nell'infinita luce della conoscenza e nell'amore del suo Cuore. Egli consacrava in quel momento al Signore l'intelletto e il cuore di tutta l'umanità, meritandole la fede e l'amore. Fruiva di Dio nella sua anima, ed essa era tutta fulgente di verità, amava col suo Cuore, ed era tutto acceso dallo Spirito Santo; guardava le creature e la vita per quello che erano, e le umiliava innanzi a Dio nella verità della loro piccolezza, le guardava nella luce dell'infinito amore che le aveva create, e le riscaldava nel suo Cuore perché avessero risposto con amore all'amore. Guardava il mondo ed i secoli, il percorso della storia passata e di quella futura, e stava al centro di tutto per tutto riportare a Dio nella verità e nell'amore. In Lui vi era l'adorazione pura, senza ombra di incoscienza senza mescolanza di umane miserie.
Egli stava tra il cielo e la terra, mediatore divino che suppliva all'adorazione di tutte le creature; stava nei raggi dell'infinita verità, e dell'infinito Amore, intelletto fulgente e volontà tutta inabissata nella divina volontà che è lo stesso amore suo infinito.
Il suo Corpo non era trasfigurato, ma traluceva dell'interna luce, e mandava effluvi di placido amore; non sentiva quasi la sua condizione terrena, non esigeva nulla, come non l'esige la vittima posta sull'altare dell'olocausto, tutta data a Dio e tutta avvolta dalle fiamme che la consumano. Non aveva più fame, non aveva più sete, la vita si era quasi tutta riversata nell'intelletto e nella volontà; aveva fame di Dio, fame della sua volontà e sete del suo amore.
Il mondo, le cose terrene e le esigenze della vita fisica stavano innanzi a Lui nelle loro vere proporzioni di estrema piccolezza, e la sua Santissima umanità era il virgulto di lesse
che affondava le radici nelle eterne grandezze; ne era il fiore che quasi s'allungava sullo stelo e cercava la zona del sole eterno per respirarne la vita e il calore. La Samaritana lo vide proprio in questo arcano atteggiamento quando Egli le disse: Sono io che ti parlo il Messia', vide il volto fulgente di verità, le pupille cerulee splendenti di cielo, e i lineamenti armonizzati in una maestà luminosa; le sembrò ingigantito, si sentì dominata, vide la sua gloria; si sentì nella verità calda di un amore mai provato, d'una purezza mai sentita, d'una pace che tutta ravvolgeva nella gioia e, lasciata la sua anfora, fuggì, fuggì per chiamare anime e per dissetare l'Amore che le aveva domandato da bere; fuggì come chi chiama gli altri perché osservino un fenomeno celeste prima che svanisca, poiché il volto divino splendeva come sole in un alone, e diffondeva pace come sole sui campi ricolmi di messe.
I poveri apostoli avevano comprato da mangiare...
Gli apostoli, al contrario, venivano a Gesù come abbacinati dal mondo; avevano comprato da mangiare, avevano forse litigato sul prezzo delle modeste derrate, sentivano la fame corporale più forte per l'attesa, giacché il mezzogiorno era passato da un pezzo e non s'accorsero di nulla22. Sembrò anzi loro abbastanza strano che il Maestro dopo tanta attesa non domandasse da mangiare, sembrò loro che l'attesa l'avesse illanguidito e lo esortavano a mangiare, non osando per amore cominciare essi per primi; la loro vita era in quel momento tutta concentrata nell'esigenza del corpo, e quando Gesù disse loro che doveva mangiare un cibo a loro sconosciuto, si domandarono stupiti l'un l'altro se qualche altro gli avesse portato da mangiare.
Che pena fa, all'anima che contempla questo momento solenne della vita di Gesù, il contrasto con la preoccupazione degli apostoli! Che angustia la loro incomprensione, immagine viva dell'incomprensione dell'umanità preoccupata solo del mangiare, del bere, e delle esigenze della vita materiale, di fronte all'esigenza della vita soprannaturale! Quando non si riguardano le cose terrene come provvisorie e accidentali, e non si pensa che ci sono per l'anima un cibo ed una bevanda che debbono sostenerne la vita, allora si è come in una sfera inferiore, nella quale ciò che è spirituale sembra esagerata stranezza. Si vive di animalità allora, e come un cane è attratto vivamente dal pezzo di carne e vi fissa la pupilla, mentre non guarda neppure qualunque oggetto di arte o prezioso che gli si presenti, così l'uomo non sa fissare la mente e il cuore che in ciò che serve al corpo e soddisfa il corpo. Si sazia allora di cibo e rimane affamato nell'anima, simile a quei serpenti colossali che ingoiano la preda e cadono nel letargo della lenta digestione.
Oh, se si capissero le esigenze dell'anima, quanto apparirebbero meschine le preoccupazioni della vita del corpo!
Altri semina e altri miete
Gesù Cristo cercò di sollevare i suoi cari apostoli ad una sfera superiore e disse loro: Il mio cibo è fare la volontà di Colui che mi ha mandato e di compiere l 'opera sua. Non aveva desiderio di mangiare, attendeva le anime che la Samaritana era andata a chiamare, e desiderava che i suoi discepoli fossero entrati nel merito di questa sua grande preoccupazione; perciò soggiunse: Non vi sono ancora quattro mesi e poi viene la mietitura? Ebbene io vi dico: alzate i vostri occhi e mirate i campi che già biondeggiano per la messe. E voleva dire: si avvicina la mietitura; voi pensate con gioia alla raccolta, e quando vedete i campi biondeggianti di messe, voi pensate a raccoglierla, e credete che non si possa pensare ad altro.
Ora ecco un campo maturo per la messe, un campo di anime, e non dovete stupirvi che io pensi solo a questo, anzi dovete anche voi aiutarmi a raccoglierla abbondante. Non vi preoccupate ora di mangiare con comodo; piuttosto state pronti ad accogliere le anime che presto verranno qui, perché vi dico che ne riceverete la mercede per la vita eterna e godrete insieme con me che ho seminato la buona semente. Pensate alla vostra grande missione e non vi preoccupate di cose materiali; si verifica per voi il proverbio: altri semina ed altri miete; io vi ho mandati a mietere quello che voi non avete lavorato; altri hanno lavorato, e voi siete entrati nel campo del loro lavoro. Hanno seminato i profeti annunziando la divina promessa, ed esortando al bene; ha seminato Giovanni preparando le anime al regno di Dio, ho seminato e semino io annunziando la buona novella, e voi dovete poi raccogliere la messe chiamando le anime alla salvezza e diffondendo nel mondo la luce della verità.
Gli apostoli non pensavano infatti, allora, di avere una missione tutta spirituale; credevano di dover solo aiutare il Maestro nel provvedere alle necessità della vita. Concepivano poco o nulla la bellezza dell'apostolato; anzi dovevano essere annoiati del concorso di popolo che non dava loro il tempo neppure di mangiare tranquillamente un boccone. Forse si annoiarono persino quando videro da lontano che la Samaritana conversava con Gesù, pensando che fosse venuta in un momento importuno, e temendo che la conversazione potesse andare per le lunghe. Avevano dovuto portare qualche cosa di cucinato e di caldo, ed avevano premura che non si raffreddasse. Potrebbe supporsi, giacché Gesù, nell'esortarli, disse che mancavano quattro mesi alla messe. Ora la messe in Palestina si compie verso la metà di aprile, e si era quindi a dicembre.
Gesù Cristo, rifiutando il cibo, volle attenuare quella loro preoccupazione materiale, ed esortandoli col paragone della messe, volle far loro ponderare che se i contadini nell'epoca
della raccolta conducono una vita quasi randagia e provvisoria nei campi, molto più dovevano essi contentarsi di condurla per amore delle anime, pensando poi che il loro lavoro non sarebbe stato né infruttuoso né privo della debita mercede. I profeti che avevano seminato la buona parola, non avevano condotto anch'essi una vita provvisoria? Non aveva fatto lo stesso san Giovanni e non lo faceva Egli nel suo divino ministero?
Apostolato e comodità
E una lezione di grande importanza non solo per chi zela la salvezza delle anime ma molto più per chi compie un'opera nuova e straordinaria di apostolato nella Chiesa. Tutte le opere di Dio cominciano da umili principi, e richiedono in chi le compie un grande spirito di rinunzia e di abnegazione.
La natura vi ripugna, è vero, e vorrebbe le sue comodità, non solo temporali ma anche spirituali; vorrebbe magari il tempo di riposo, la cella o l'abitazione pacifica, il sostentamento sufficiente, il momento di piena e calma alimentazione spirituale, e questo non è sempre possibile. Ogni fondazione richiede sacrifici non comuni in chi è chiamato ad esserne pietra fondamentale, ed ogni apostolato, che è raccolta di messe spirituale già matura, richiede molte rinunzie.
Siamo contenti di zelare anche così la salvezza delle anime e la gloria di Dio e pensiamo che verrà poi il tempo della ricompensa eterna; allora ci riposeremo, allora avremo agio di espanderci in Dio interamente, allora troveremo piena la gioia alla quale ora aneliamo.
Molti Samaritani risposero aH'invito della donna, corsero da Gesù, lo sentirono e credettero in Lui. Non videro miracoli, ascoltarono solo la sua parola, come si rileva dal versetto 42, e fu per essi un argomento valido di verità.
La donna intanto, fatta ardita dal successo, doveva gloriarsi presso i suoi concittadini d'aver essa per prima trovato il Messia, e doveva dire, come appare dal contesto: Ho detto il vero? Avete visto che era come io vi dicevo? Avevo ragione di entusiasmarmi? Eh, vedete bene che il mio intuito è stato preciso ecc. Per questo i suoi concittadini, forse un po' annoiati di queste sue insistenze, le dicevano: Noi non crediamo per ciò che tu ci hai detto, poiché noi stessi l'abbiamo udito e riconosciamo che questi è veramente il Salvatore del mondo.
Gesù, a richiesta dei Samaritani, rimase due giorni presso di loro, evangelizzando il regno di Dio, e raccolse frutti abbondanti di fede. Presso i Giudei, invece, aveva fatto molti miracoli e non solo non avevano creduto in Lui, ma avevano cominciato a minacciarlo, tanto che Egli dovette allontanarsi dalla loro terra. Il loro orgoglio metteva ostacolo alla graziale la semente gettata in mezzo ad essi trovò le pietre, fu soffocata dalle spine e fu rapita dal diavolo. Oh, come spesso le anime più rozze e più semplici vanno avanti ai sapienti nel regno di Dio, ed in quante maniere l'orgoglio e la presunzione impediscono che la grazia penetri nel cuore e lo trasformi! Umiliamoci, non assumiamo mai pose da superuomini, andiamo a Dio come fanciulli, ed entreremo nel suo regno.
3. Dissetare Gesù
Gesù viene all'anima nostra nel mattino della vita, quando essa, assetata di felicità, Sicar, corre ad attingere l'acqua dei piaceri nel pozzo della Samaria, nella feccia cioè della carne, nel carcere tenebroso del mondo, e nelle spine dei suoi divertimenti. Questo pozzo è scavato dal soppiantatone, Giacobbe, cioè da satana, che cerca soppiantare la grazia in noi, e ci tiene il calcagno per impedirci di uscire alla luce di Dio. Gesù viene a noi stanco dal viaggio, cioè defatigato per il suo pellegrinaggio terreno, coi segni della sua Passione, e s'asside accanto a questo pozzo per domandarci da bere.
Al pozzo s'avanza una donna per attingere con la sua anfora, una donna samaritana, prigioniera dei sensi, roveto di spine nei falsi diletti, feccia della vita nelle degradazioni del cuore. Una donna! È sempre la donna della colpa che attinge dal mondo, attinge a piene mani, e porta l'anfora in giro per dissetare alle acque della perdizione. Gesù dice alla donna: Dammi da bere, ma la donna si rifiuta di dissetare un Giudeo, lode di Dio73. Così avviene nel mondo, dolorosamente: le donne della vanità e del peccato portano in giro l'anfora dei lubrici diletti per dissetare gli avidi sensi depravati, ed a Gesù appassionato negano una stilla di amore, una stilla sola, ostinate come sono nell'ostentare la loro vanità e la loro immodestia1.
All'anima traviata che corre ad attingere al mondo Gesù dice, defatigato quasi nel cercarla per i dirupi nei quali s'è smarrita: Dammi da bere. Non vuole acqua materiale, vuole amore, e lo vuole per darle la felicità. Ma l'anima non ha comunione con Lui, non lo riceve Sacramentato, e tanto spesso rifiuta il dono di Dio!
Oh se conoscesse chi è che le domanda da bere, e se ponderasse la felicità di comunicarsi con Gesù, essa stessa gli domanderebbe l'acqua viva, e correrebbe a Lui come a fonte di vero amore! Ma l'anima traviata non conosce altro pozzo che quello dei piaceri dei sensi, crede che Gesù non abbia modo d'attingere in questo abisso profondo per dissetarla, lo crede praticamente inferiore al soppiantatone che la inganna, e stima un assurdo trovare la pace e la felicità nelle ricchezze del cielo.
Non disseta Gesù amandolo, e rifiuta l'invito del suo amore eucaristico, paga delle proprie acque che non dissetano mai.
Quale fonte zampillante fino all'eterna vita sei Tu, Gesù mio, e quale divino assetato del mio amore! Erompi come fontana di vita nell'Eucaristia, mi inondi e vuoi dissetarmi; poi d'un tratto sembri inaridito come lo fosti sulla croce e mi domandi da bere: Sitio, da mihi bibere! Ho sete, dammi da bere! Io so che attingendo al tuo amore non ho più sete, e come mai rifiuto di bere da Te? So che dissetandoti di me ti consolo, e come mai ti rifiuto questo sollievo? Sei assetato e dissetante, perché io sia assetato e Ti disseti, o infinito Amore, che sei rimasto vivo e vero sulle vie del nostro pellegrinaggio nell'Eucaristia, per dissetarci, e come mai non ascolto la tua voce di amore?
Gesù disse alla donna samaritana: Va chiama tuo marito e ritorna qua.
Questa parola la ripete anche oggi alle poveri mogli che hanno mariti traviati dal male, la ripete alle anime che sono legate ad un vincolo di morte, la ripete a quanti conoscono persone dedite al peccato.
Non possiamo andar soli da Gesù, non ci vuole soli, dobbiamo portargli col nostro cuore anche quello delle anime che non lo conoscono e non lo amano, perché solo così il suo amore si disseta.
Gesù aveva sete dell'unità di tutte le genti
La Samaritana propose a Gesù la famosa questione del luogo dove bisognava adorare Dio, e Gesù le rispose che era venuta l'ora di adorarlo in spirito e verità.
Aveva sete dell'unità di tutte le genti nella fede e nell'amore, ha questa gran sete anche oggi che il mondo è diviso e dilaniato dall'errore e dall'egoismo più brutto. Egli è il Redentore del mondo, ed in Lui e per Lui le anime e le nazioni debbono trovare l'unità e la pace.
Dolorosamente anche oggi ci sono quelli che credono si debba adorare Dio sul Garizim, che significa divisori, scismatici, scissori, laceratori della inconsutile veste del Redentore e dell'unità della Chiesa.
Ma viene il tempo, ed è già, come ardentemente lo speriamo, che, conosciuto meglio Dio e la grandiosa vita e bellezza della Chiesa, il mondo si unificherà in Essa come un solo ovile, per adorare Dio nell'unica infallibile verità, e nella grazia dello Spirito Santo, diffusa attraverso i Sacramenti della Chiesa. Si può dire con Gesù che i campi già biondeggiano per la messe abbondante che si raccoglierà, perché l'umanità si avvia a grandi passi sulla via del disinganno, proprio per il fallimento completo di tutti i suoi idoli. Lavoriamo con ardente zelo perché si affretti l'ora di Dio, lavoriamo a diffondere la Parola del Signore, perché, come i Samaritani non si convertirono per i miracoli ma per la Parola di Gesù, così il mondo ritornerà a Dio solo in una grande illuminazione di verità, ed in una grande diffusione delle grazie dello Spirito Santo.
Dissetiamo l'amore di Gesù che cerca le anime, non badiamo più né ai nostri interessi, né ai nostri comodi; non siamo solleciti, come gli apostoli, delle cose temporali, ma sia anche per noi nostro cibo il compiere la divina volontà, e l'essere fedeli alla missione che ci ha dato, perché i popoli corrano a Gesù, lo riconoscano Salvatore del mondo, ne dissetino l'amore e trovino la pace.
Al principio della sua grande missione Gesù Cristo evitava tutto quello che avesse potuto comprometterne il normale sviluppo. Egli avrebbe potuto superare ogni ostacolo con la sua onnipotenza, ma preferiva le vie normali della mitezza e della prudenza, per istruzione dei suoi apostoli, e di quanti avrebbero un giorno continuato nel mondo l'apostolato. Fu per questa regola di prudenza che, avendo saputo che i farisei già si allarmavano perché Egli faceva maggior numero di discepoli e battezzava più di Giovanni, benché non lo facesse Lui direttamente ma per mezzo dei suoi discepoli, lasciò la Giudea e si avviò verso la Galilea.
L'allarme dei farisei costituiva in realtà una grave minaccia; essi, che mal tolleravano Giovanni e già brigavano presso Erode per farlo togliere di mezzo, non volevano ad ogni costo che quell'apostolato, da essi stimato arbitrario, si rinnovasse in altri, e che, soppresso il Battista, ne sorgesse un altro. Giovanni aveva già un grande prestigio nel popolo, ed essi non osavano opporglisi direttamente, ma non erano affatto disposti a tollerare che altri ne pigliasse il posto, e si perpetuasse così un ministero extralegale; erano decisi perciò a tutto pur di stroncare al principio ogni tentativo.
L'uomo, dolorosamente, non capisce quasi mai i disegni di Dio, e mentre lascia correre il male autentico senza protestare, si allarma poi e prende posizione di combattimento contro il bene.
Il male è violento ed audace, ed egli non osa opporvisi, il bene è modesto e pacifico, e vi s'irrompe contro con tutte le forze.
Gesù Cristo nell'andare dalla Giudea verso la Galilea scelse la via più breve attraversando la Samaria che stava fra le due regioni.
La Samaria, abitata in prevalenza da pagani di origine, era considerata dagli Ebrei come una terra scismatica, poiché aveva sul Garizim, che è una montagna che la domina, un tempio rivale di quello di Gerusalemme, ed aveva una religione tutta propria, mista a superstizioni di ogni genere. I Samaritani a loro volta avversavano gli Ebrei propriamente detti, e non lasciavano di ingiuriarli e maltrattarli quando passavano per la loro terra per recarsi al tempio di Gerusalemme. Per questa ragione gli Ebrei evitavano la Samaria allungando notevolmente i loro viaggi. Gesù Cristo stesso aveva vietato ai suoi apostoli di andare nella Samaria a predicare, per non comprometterne il ministero innanzi agli Israeliti, che li avrebbero considerati come scismatici, e non avrebbero accettato la loro parola. Questa Volta però volle andarvi personalmente per convertirvi una peccatrice, e gettarvi il primo germe del regno di Dio.
Gesù incontra la Samaritana
Camminando, Gesù giunse in una città chiamata Sicar, identificata oggi con Askar, non lontana da Sichem, chiamata Napoli, capitale della Samaria, e si fermò presso il pozzo famoso, scavato da Giacobbe, nella tenuta lasciata in eredità al figlio Giuseppe. Sedette così, alla buona, come indica il testo greco, dissimulando la sua maestà, umilmente, preso da un sentimento di compassione per le anime. Era quasi l'ora sesta, nota l'evangelista, cioè quasi mezzogiorno. Per questa circostanza di tempo, e per le altre particolarità del racconto, alcuni suppongono che san Giovanni sia stato presente alla scena.
Gli altri discepoli però erano andati in città per comprare qualche cosa da mangiare, ed erano certamente assenti.
Mentre Gesù stava pensoso e raccolto nei pressi del pozzo, ecco una donna samaritana, con l'anfora in testa, che veniva ad attingere. Veniva da lontano perché l'acqua fresca e sorgiva del pozzo l'attirava, e molto più l'attirava la grazia, che con delicata disposizione di amore la spingeva ad andare là dove avrebbe trovato la salvezza.
Gesù Cristo le rivolse la parola e le disse: Dammi da bere. Dal vestito che indossava e dalla pronunzia delle parole, la donna si accorse subito ch'Egli era un Giudeo, e meravigliandosi che le domandasse da bere, giacché i Giudei aborrivano i Samaritani, gli disse: Come mai tu, che sei un Giudeo, chiedi da bere a me che sono Samaritana? Psicologicamente, non osò dire la frase opposta: Come posso darti da bere se tu sei un Giudeo? perché sentiva, inconsciamente, la propria inferiorità innanzi a Gesù, e perché quel volto divino e bellissimo, dai lineamenti regali e dall'occhio splendentemente ceruleo, l'aveva conquisa già. Proprio perché peccatrice, la poveretta aveva un profondo senso di umiliazione interiore che le facilitò il non considerare Gesù col solito disprezzo dei Samaritani, ed il guardarlo con rispettosa venerazione.
Era ancora lontana dal supporre chi Egli fosse, ma si accorse subito di trovarsi innanzi a un giusto. La santità spirava da Lui, ed essa si sentì meschina. Dimenticando quindi la fierezza con la quale i Samaritani sprezzavano i Giudei, si stupì piuttosto che quel Giudeo le domandasse da bere. E una sottigliezza psicologica che ci fa capire il processo misericordioso della grazia nel convertirla.
Gesù le rispose con infinita amabilità: Se tu conoscessi il dono dì Dio, e chi è Colui che ti dice: Dammi da bere, tu stessa gliene avresti chiesto, ed Egli ti avrebbe dato l'acqua viva. Con queste parole cercò rendere cosciente il sentimento subcosciente di devozione e di umiltà ch'era sorto nella donna, e volle cominciare a farle intendere ch'essa si trovava innanzi ad un essere non semplicemente buono, ma straordinario. La donna prese le parole alla lettera, e vedendo che Gesù mancava dell'anfora o hauritorium, che portavano i viaggiatori per poter attingere acqua lungo il cammino, avendola portata con loro gli apostoli, rispose: Signore, tu non hai come attingere, e il pozzo è profondo; dove hai tu dunque l'acqua viva? Gli Ebrei chiamavano acqua viva l'acqua di sorgente, in contrapposizione all'acqua stagnante; la donna però aveva sentito nell'anima, in quella promessa dell'acqua viva, qualche cosa che non era propriamente l'acqua del pozzo; inconsciamente e forse anche coscientemente, aveva sentito che si trattava di un dono e non dell'acqua. Essendo molto scaltra, però, come si rileva da tutto il racconto, volle indagarlo senza mostrare d'averlo capito, affinché Gesù stesso glielo avesse spiegato. Perciò lo pose in contrapposizione col patriarca Giacobbe che aveva scavato quel pozzo, e gli domandò, dissimulando la propria impressione: Sei tu forse di più di Giacobbe nostro Padre, il quale diede a noi questo pozzo, e ne bevve egli stesso, i suoi figli e il suo bestiame?
La donna porta spesso nei suoi atti una sconcertante vanità, anche quando si trova in momenti penosi della sua vita. Se si osserva, per esempio, un drappello di donne reclutate per la guerra, esse hanno nelle loro movenze, nei loro gesti, nel loro sguardo qualche cosa che pretende d'interessare.
Questa vanità nasce o dalla presunzione del suo ingegno o da quella della sua bellezza o, peggio, dalla persuasione di poter sconcertare una testa più o meno di zucca.
La Samaritana, avendo avuto cinque mariti, e convivendo con uno che non le apparteneva, aveva dovuto essere un tipo interessante dal punto di vista materiale, ed era abituata a sentirsi corteggiata. Non è improbabile che, almeno inconsciamente, le sia passato nell'animo che quel forestiero giudeo cercasse modo d'intavolare un discorso con lei per passatempo; perciò
Gesù la sollevò subito ad un pensiero di cielo, mostrandole così che parlava per un fine spirituale: Chi beve di quest'acqua, disse, tornerà ad aver sete, chi invece beve dell'acqua che io gli darò non avrà più sete in eterno; anzi l'acqua che gli darò, diventerà in lui una sorgente d'acqua zampillante fino alla vita eterna.
Un accenno così improvviso all'eterno orizzonte dei cieli, per una donna di facili costumi, era una stonatura; dove andava il suo interlocutore, dovette pensare, col suo discorso? Che cosa è l'acqua spirituale che disseta e porta al cielo, se viviamo di senso e ci dissetiamo solo ai piaceri? Perciò prendendo in giro il suo interlocutore, rispose con evidente ironia, per stornare il discorso da un argomento che la scottava: Signore, dammi di quest'acqua, affinché io non abbia più sete, né venga più ad attingerne. Parlò così per evitare un discorso spirituale che le suscitava rimorsi, e Gesù con un lampo divino di luce la richiamò proprio alla considerazione dello stato deplorevole della sua vita disordinata, dicendo: Va', chiama tuo marito e toma qua. La donna ne fu sconcertata, perché la parola di Gesù le penetrò in fondo all'anima; ma dissimulando il suo turbamento rispose con aria indifferente: Io non ho marito. E Gesù mostrando di conoscere appieno la vita di lei soggiunse: Hai detto bene: Non ho marito, perché hai avuto cinque mariti, e quello che hai adesso non è tuo marito; in questo hai detto il vero. Se aveva detto il vero allora, è chiaro che prima, domandando l'acqua dissetante, aveva mentito, ed aveva parlato solo per ironia.
Signore, vedo che sei un profeta, ma... la questione del tempio...
Il discorso aveva preso per la donna una piega sconcertante; essa scaltramente cercò di deviarlo, portando Gesù su un argomento che per un giudeo doveva essere scottante, e doveva attrame tutta l'attenzione. Ella però non potè trattenersi da
un'espressione di meraviglia per quello che le aveva detto e, per non mostrarsi inceppata o confusa, esclamò quasi per fargli un complimento: Signore, vedo che sei un profeta. Era un'espressione ambigua, con la quale non affermava né negava quello che Gesù le aveva detto; era una lode che poteva pure significare: Tu parli come un profeta, vuoi indovinare ciò che è in me, vuoi scrutarmi. Per una Samaritana, infatti, un profeta non era che un indovino, poiché quel popolo viveva di superstizioni. Se essa avesse avuto un vero sentimento di stima soprannaturale per Gesù, e se fosse stata compunta nel suo cuore, avrebbe domandato perdono dei propri peccati, e lo avrebbe supplicato ad ottenerglielo da Dio.
Sviando dunque il discorso, la donna soggiunse: I nostri padri hanno adorato Dio su questo monte, e voi dite che il luogo dove bisogna adorare è Gerusalemme. Dicendo questo, inconsciamente essa prendeva una rivincita per l'umiliazione subita nel vedersi svelate le proprie colpe. Essa infatti non domandò a Gesù la soluzione della gravissima questione, ma parlò come una che era sicura di avere ragione, quasi per dire: ecco, voi dite che bisogna adorare in Gerusalemme, mentre i nostri padri hanno adorato qui il Signore.
A poca distanza di là, a Sichem, Abramo aveva eretto al Signore della promessa e della rivelazione un altare (Gen 12, 6-7); Giacobbe vi aveva pregato, e Giosuè aveva eretto un altare sulla cima del monte Ebel, immolandovi numerose vittime (Gs 8,30). Sul monte Garizim, poi, che sorge presso il pozzo di Giacobbe, al tempo di Neemia i Samaritani, visto rifiutato dai Giudei il loro concorso all'edificazione del tempio di Gerusalemme, ne edificarono un altro, distrutto poi dal sommo sacerdote Giovanni Ircano I, e da allora riguardarono sempre il Garizim come centro del loro culto.
La Samaritana perciò, lungi dal domandare a Gesù la soluzione del problema, credette di poter affermare che l'opinione
dei suoi connazionali era fondata su valide ragioni, e che i Giudei erravano.
Adorerete il Padre in spirito e verità
Il Signore, aprendole un nuovo orizzonte, rispose con grande maestà: Credimi, o donna, eh 'è venuta l'ora in cui né su questo monte né in Gerusalemme adorerete il Padre. Voi adorate quello che non conoscete, noi adoriamo quello che conosciamo, perché la salvezza viene dai Giudei. Ma viene il tempo, anzi è proprio ora, in cui veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità. Tali adoratori, infatti, il Padre ricerca. Dio è spirito e quelli che l 'adorano lo debbono adorare in spirito e verità.
Questo discorso non era solo per quella donna ma per tutti quelli ai quali sarebbe stato annunziato, e troncava dalle fondamenta la questione tra Samaritani e Giudei. Non era il luogo, infatti, che poteva dar valore all'adorazione fatta a Dio da un'anima, ma era lo spirito col quale si faceva.
Per adorare Dio bisogna conoscere la verità, accettarla, crederla, praticarla, e proclamarne la gloria. Andare al Garizim o a Gerusalemme non significava conoscere, apprezzare ed amare Dio. Se si vuol fare la questione tra Samaritani e Giudei, soggiunse Gesù, bisogna riconoscere da questo punto di vista che i Giudei sono nella verità più di essi.
I Samaritani infatti accettavano solo il Pentateuco e rifiutavano il resto dei Libri Sacri; avevano una rivelazione incompleta, ed ignoravano Colui che adoravano; i Giudei riconoscevano invece tutte le Scritture, ed avevano, teoricamente almeno, tutto il sacro patrimonio. Essi, poi, soprattutto, erano eredi della grande promessa del Redentore, che da essi doveva nascere. L'argomento era fortissimo e non ammetteva repliche: se i Giudei avevano tutta la rivelazione e da essi doveva nascere il Redentore, i Samaritani non potevano presumere di essere ad essi superiori, e tanto meno che possedessero il privilegio unico di adorare Dio.
Ma v'è di più, soggiunge Gesù, poiché non si tratta neppure di vedere se si debba adorare in un luogo o in un altro, né di attribuire ad un popolo solo il privilegio della conoscenza e dell'adorazione di Dio; è venuto già il tempo del regno universale di Dio su tutta la terra, il tempo nel quale si adorerà Dio come Padre di tutti gli uomini, in spirito e verità, con adorazione cioè interna, oltre che esterna, fondata non su di un semplice rito, ma sulla verità, poiché questo solo onora Dio che è spirito infinitamente esistente, infinita verità ed infinito amore. Finisce l'adorazione simbolica e figurata, in altri termini, fatta con riti che annunziavano solo il futuro e figuravano la vera Vittima, e comincia l'adorazione vera, fondata sul compimento delle figure, dei simboli e della grande promessa.
Gesù Cristo non voleva condannare il culto esterno, com'è evidente dal contesto, ma voleva contrapporre al culto divino puramente esterno e simbolico quello interno e reale, ai riti freddamente legali l'adorazione fatta per mezzo di Lui, eterna sapienza, e dello Spirito Santo, eterno Amore. Dio è Spirito infinito, volle dire Gesù, e l'adorazione che richiede e gli è proporzionata è quella che gli viene per il Verbo Incarnato e per lo Spirito Santo; non bisogna dunque credere che il Garizim o Gerusalemme possano avere il privilegio di essere unici centri di adorazione, ma bisogna unirsi al Redentore e con Lui nello Spirito Santo adorare Dio.
Il modo come Gesù parlò fu così solenne e luminoso, che la donna cominciò a vedere in Lui un essere straordinario. Anche i Samaritani aspettavano il Messia, da essi chiamato il Taheb, cioè colui che ristabilisce e ad essa venne il sospetto che potesse essere proprio Lui; per accertarsene disse quasi nel tono indifferente di chi chiude una discussione: Io so che viene il Messia; quando dunque Egli verrà ci annunzierà ogni cosa. Gesù le disse in un fulgore di luminosa verità che dava
alle sue parole l'accento della certezza più assoluta: Sono io che ti parlo.
La donna corre in città ad annunziare che il Messia era venuto
Forse tra i Samaritani, essendo oramai nell'animo di tutti che la pienezza dei tempi era venuta, si parlava già della prossima manifestazione del Messia; forse tra i cittadini c'era quasi una gara a chi l'avesse trovato per primo; certo la donna si affrettò a correre in città per dame l'annunzio e, per correre più spedita, lasciò la sua anfora al pozzo. A quanti incontrava poi, diceva: Venite a vedere un uomo che mi ha detto tutto quello che ho fatto; che sia proprio lui il Cristo? Esagerò un poco per indurre la gente ad andare, e disse che Gesù le aveva detto tutto quello che essa aveva fatto, mentre Egli le aveva solo accennato il disordine morale nel quale viveva, ed espresse in forma dubitativa che Egli era il Cristo per non esporsi a fare una brutta figura, qualora i suoi concittadini, andando da Gesù, non lo avessero riconosciuto per Cristo. La gente, a quell'annunzio, uscì dalla città, incuriosita di vedere l'essere straordinario.
Mentre Gesù diceva alla donna le ultime parole, sopraggiunsero i discepoli, e si meravigliarono ch'egli discorresse con una donna samaritana.
Se gli uomini samaritani erano tenuti in disprezzo presso gli Ebrei, molto più vi erano tenute le donne. In generale si aborriva discutere con una donna, sia riguardandola come un essere inferiore, sia per timore di generare sospetti; ma gli apostoli, conoscendo già la bontà di Gesù con tutti, e non osando neppure lontanamente pensare di Lui l'ombra del male, non gli domandarono di che parlasse o che cosa cercasse da lei; si meravigliarono perché era cosa insolita nel loro Maestro, ma capirono che per discorrere con quella donna doveva aver avuto un fine alto e divino.
Assorto in Dio, Gesù non ha fame che di Dio
Gesù stava tutto pensoso; aveva nel volto i riflessi del suo grande amore per le anime; adorava Dio Padre allora stesso in spirito e verità, come Verbo Incarnato, nell'infinita luce della conoscenza e nell'amore del suo Cuore. Egli consacrava in quel momento al Signore l'intelletto e il cuore di tutta l'umanità, meritandole la fede e l'amore. Fruiva di Dio nella sua anima, ed essa era tutta fulgente di verità, amava col suo Cuore, ed era tutto acceso dallo Spirito Santo; guardava le creature e la vita per quello che erano, e le umiliava innanzi a Dio nella verità della loro piccolezza, le guardava nella luce dell'infinito amore che le aveva create, e le riscaldava nel suo Cuore perché avessero risposto con amore all'amore. Guardava il mondo ed i secoli, il percorso della storia passata e di quella futura, e stava al centro di tutto per tutto riportare a Dio nella verità e nell'amore. In Lui vi era l'adorazione pura, senza ombra di incoscienza senza mescolanza di umane miserie.
Egli stava tra il cielo e la terra, mediatore divino che suppliva all'adorazione di tutte le creature; stava nei raggi dell'infinita verità, e dell'infinito Amore, intelletto fulgente e volontà tutta inabissata nella divina volontà che è lo stesso amore suo infinito.
Il suo Corpo non era trasfigurato, ma traluceva dell'interna luce, e mandava effluvi di placido amore; non sentiva quasi la sua condizione terrena, non esigeva nulla, come non l'esige la vittima posta sull'altare dell'olocausto, tutta data a Dio e tutta avvolta dalle fiamme che la consumano. Non aveva più fame, non aveva più sete, la vita si era quasi tutta riversata nell'intelletto e nella volontà; aveva fame di Dio, fame della sua volontà e sete del suo amore.
Il mondo, le cose terrene e le esigenze della vita fisica stavano innanzi a Lui nelle loro vere proporzioni di estrema piccolezza, e la sua Santissima umanità era il virgulto di lesse
che affondava le radici nelle eterne grandezze; ne era il fiore che quasi s'allungava sullo stelo e cercava la zona del sole eterno per respirarne la vita e il calore. La Samaritana lo vide proprio in questo arcano atteggiamento quando Egli le disse: Sono io che ti parlo il Messia', vide il volto fulgente di verità, le pupille cerulee splendenti di cielo, e i lineamenti armonizzati in una maestà luminosa; le sembrò ingigantito, si sentì dominata, vide la sua gloria; si sentì nella verità calda di un amore mai provato, d'una purezza mai sentita, d'una pace che tutta ravvolgeva nella gioia e, lasciata la sua anfora, fuggì, fuggì per chiamare anime e per dissetare l'Amore che le aveva domandato da bere; fuggì come chi chiama gli altri perché osservino un fenomeno celeste prima che svanisca, poiché il volto divino splendeva come sole in un alone, e diffondeva pace come sole sui campi ricolmi di messe.
I poveri apostoli avevano comprato da mangiare...
Gli apostoli, al contrario, venivano a Gesù come abbacinati dal mondo; avevano comprato da mangiare, avevano forse litigato sul prezzo delle modeste derrate, sentivano la fame corporale più forte per l'attesa, giacché il mezzogiorno era passato da un pezzo e non s'accorsero di nulla22. Sembrò anzi loro abbastanza strano che il Maestro dopo tanta attesa non domandasse da mangiare, sembrò loro che l'attesa l'avesse illanguidito e lo esortavano a mangiare, non osando per amore cominciare essi per primi; la loro vita era in quel momento tutta concentrata nell'esigenza del corpo, e quando Gesù disse loro che doveva mangiare un cibo a loro sconosciuto, si domandarono stupiti l'un l'altro se qualche altro gli avesse portato da mangiare.
Che pena fa, all'anima che contempla questo momento solenne della vita di Gesù, il contrasto con la preoccupazione degli apostoli! Che angustia la loro incomprensione, immagine viva dell'incomprensione dell'umanità preoccupata solo del mangiare, del bere, e delle esigenze della vita materiale, di fronte all'esigenza della vita soprannaturale! Quando non si riguardano le cose terrene come provvisorie e accidentali, e non si pensa che ci sono per l'anima un cibo ed una bevanda che debbono sostenerne la vita, allora si è come in una sfera inferiore, nella quale ciò che è spirituale sembra esagerata stranezza. Si vive di animalità allora, e come un cane è attratto vivamente dal pezzo di carne e vi fissa la pupilla, mentre non guarda neppure qualunque oggetto di arte o prezioso che gli si presenti, così l'uomo non sa fissare la mente e il cuore che in ciò che serve al corpo e soddisfa il corpo. Si sazia allora di cibo e rimane affamato nell'anima, simile a quei serpenti colossali che ingoiano la preda e cadono nel letargo della lenta digestione.
Oh, se si capissero le esigenze dell'anima, quanto apparirebbero meschine le preoccupazioni della vita del corpo!
Altri semina e altri miete
Gesù Cristo cercò di sollevare i suoi cari apostoli ad una sfera superiore e disse loro: Il mio cibo è fare la volontà di Colui che mi ha mandato e di compiere l 'opera sua. Non aveva desiderio di mangiare, attendeva le anime che la Samaritana era andata a chiamare, e desiderava che i suoi discepoli fossero entrati nel merito di questa sua grande preoccupazione; perciò soggiunse: Non vi sono ancora quattro mesi e poi viene la mietitura? Ebbene io vi dico: alzate i vostri occhi e mirate i campi che già biondeggiano per la messe. E voleva dire: si avvicina la mietitura; voi pensate con gioia alla raccolta, e quando vedete i campi biondeggianti di messe, voi pensate a raccoglierla, e credete che non si possa pensare ad altro.
Ora ecco un campo maturo per la messe, un campo di anime, e non dovete stupirvi che io pensi solo a questo, anzi dovete anche voi aiutarmi a raccoglierla abbondante. Non vi preoccupate ora di mangiare con comodo; piuttosto state pronti ad accogliere le anime che presto verranno qui, perché vi dico che ne riceverete la mercede per la vita eterna e godrete insieme con me che ho seminato la buona semente. Pensate alla vostra grande missione e non vi preoccupate di cose materiali; si verifica per voi il proverbio: altri semina ed altri miete; io vi ho mandati a mietere quello che voi non avete lavorato; altri hanno lavorato, e voi siete entrati nel campo del loro lavoro. Hanno seminato i profeti annunziando la divina promessa, ed esortando al bene; ha seminato Giovanni preparando le anime al regno di Dio, ho seminato e semino io annunziando la buona novella, e voi dovete poi raccogliere la messe chiamando le anime alla salvezza e diffondendo nel mondo la luce della verità.
Gli apostoli non pensavano infatti, allora, di avere una missione tutta spirituale; credevano di dover solo aiutare il Maestro nel provvedere alle necessità della vita. Concepivano poco o nulla la bellezza dell'apostolato; anzi dovevano essere annoiati del concorso di popolo che non dava loro il tempo neppure di mangiare tranquillamente un boccone. Forse si annoiarono persino quando videro da lontano che la Samaritana conversava con Gesù, pensando che fosse venuta in un momento importuno, e temendo che la conversazione potesse andare per le lunghe. Avevano dovuto portare qualche cosa di cucinato e di caldo, ed avevano premura che non si raffreddasse. Potrebbe supporsi, giacché Gesù, nell'esortarli, disse che mancavano quattro mesi alla messe. Ora la messe in Palestina si compie verso la metà di aprile, e si era quindi a dicembre.
Gesù Cristo, rifiutando il cibo, volle attenuare quella loro preoccupazione materiale, ed esortandoli col paragone della messe, volle far loro ponderare che se i contadini nell'epoca
della raccolta conducono una vita quasi randagia e provvisoria nei campi, molto più dovevano essi contentarsi di condurla per amore delle anime, pensando poi che il loro lavoro non sarebbe stato né infruttuoso né privo della debita mercede. I profeti che avevano seminato la buona parola, non avevano condotto anch'essi una vita provvisoria? Non aveva fatto lo stesso san Giovanni e non lo faceva Egli nel suo divino ministero?
Apostolato e comodità
E una lezione di grande importanza non solo per chi zela la salvezza delle anime ma molto più per chi compie un'opera nuova e straordinaria di apostolato nella Chiesa. Tutte le opere di Dio cominciano da umili principi, e richiedono in chi le compie un grande spirito di rinunzia e di abnegazione.
La natura vi ripugna, è vero, e vorrebbe le sue comodità, non solo temporali ma anche spirituali; vorrebbe magari il tempo di riposo, la cella o l'abitazione pacifica, il sostentamento sufficiente, il momento di piena e calma alimentazione spirituale, e questo non è sempre possibile. Ogni fondazione richiede sacrifici non comuni in chi è chiamato ad esserne pietra fondamentale, ed ogni apostolato, che è raccolta di messe spirituale già matura, richiede molte rinunzie.
Siamo contenti di zelare anche così la salvezza delle anime e la gloria di Dio e pensiamo che verrà poi il tempo della ricompensa eterna; allora ci riposeremo, allora avremo agio di espanderci in Dio interamente, allora troveremo piena la gioia alla quale ora aneliamo.
Molti Samaritani risposero aH'invito della donna, corsero da Gesù, lo sentirono e credettero in Lui. Non videro miracoli, ascoltarono solo la sua parola, come si rileva dal versetto 42, e fu per essi un argomento valido di verità.
La donna intanto, fatta ardita dal successo, doveva gloriarsi presso i suoi concittadini d'aver essa per prima trovato il Messia, e doveva dire, come appare dal contesto: Ho detto il vero? Avete visto che era come io vi dicevo? Avevo ragione di entusiasmarmi? Eh, vedete bene che il mio intuito è stato preciso ecc. Per questo i suoi concittadini, forse un po' annoiati di queste sue insistenze, le dicevano: Noi non crediamo per ciò che tu ci hai detto, poiché noi stessi l'abbiamo udito e riconosciamo che questi è veramente il Salvatore del mondo.
Gesù, a richiesta dei Samaritani, rimase due giorni presso di loro, evangelizzando il regno di Dio, e raccolse frutti abbondanti di fede. Presso i Giudei, invece, aveva fatto molti miracoli e non solo non avevano creduto in Lui, ma avevano cominciato a minacciarlo, tanto che Egli dovette allontanarsi dalla loro terra. Il loro orgoglio metteva ostacolo alla graziale la semente gettata in mezzo ad essi trovò le pietre, fu soffocata dalle spine e fu rapita dal diavolo. Oh, come spesso le anime più rozze e più semplici vanno avanti ai sapienti nel regno di Dio, ed in quante maniere l'orgoglio e la presunzione impediscono che la grazia penetri nel cuore e lo trasformi! Umiliamoci, non assumiamo mai pose da superuomini, andiamo a Dio come fanciulli, ed entreremo nel suo regno.
3. Dissetare Gesù
Gesù viene all'anima nostra nel mattino della vita, quando essa, assetata di felicità, Sicar, corre ad attingere l'acqua dei piaceri nel pozzo della Samaria, nella feccia cioè della carne, nel carcere tenebroso del mondo, e nelle spine dei suoi divertimenti. Questo pozzo è scavato dal soppiantatone, Giacobbe, cioè da satana, che cerca soppiantare la grazia in noi, e ci tiene il calcagno per impedirci di uscire alla luce di Dio. Gesù viene a noi stanco dal viaggio, cioè defatigato per il suo pellegrinaggio terreno, coi segni della sua Passione, e s'asside accanto a questo pozzo per domandarci da bere.
Al pozzo s'avanza una donna per attingere con la sua anfora, una donna samaritana, prigioniera dei sensi, roveto di spine nei falsi diletti, feccia della vita nelle degradazioni del cuore. Una donna! È sempre la donna della colpa che attinge dal mondo, attinge a piene mani, e porta l'anfora in giro per dissetare alle acque della perdizione. Gesù dice alla donna: Dammi da bere, ma la donna si rifiuta di dissetare un Giudeo, lode di Dio73. Così avviene nel mondo, dolorosamente: le donne della vanità e del peccato portano in giro l'anfora dei lubrici diletti per dissetare gli avidi sensi depravati, ed a Gesù appassionato negano una stilla di amore, una stilla sola, ostinate come sono nell'ostentare la loro vanità e la loro immodestia1.
All'anima traviata che corre ad attingere al mondo Gesù dice, defatigato quasi nel cercarla per i dirupi nei quali s'è smarrita: Dammi da bere. Non vuole acqua materiale, vuole amore, e lo vuole per darle la felicità. Ma l'anima non ha comunione con Lui, non lo riceve Sacramentato, e tanto spesso rifiuta il dono di Dio!
Oh se conoscesse chi è che le domanda da bere, e se ponderasse la felicità di comunicarsi con Gesù, essa stessa gli domanderebbe l'acqua viva, e correrebbe a Lui come a fonte di vero amore! Ma l'anima traviata non conosce altro pozzo che quello dei piaceri dei sensi, crede che Gesù non abbia modo d'attingere in questo abisso profondo per dissetarla, lo crede praticamente inferiore al soppiantatone che la inganna, e stima un assurdo trovare la pace e la felicità nelle ricchezze del cielo.
Non disseta Gesù amandolo, e rifiuta l'invito del suo amore eucaristico, paga delle proprie acque che non dissetano mai.
Quale fonte zampillante fino all'eterna vita sei Tu, Gesù mio, e quale divino assetato del mio amore! Erompi come fontana di vita nell'Eucaristia, mi inondi e vuoi dissetarmi; poi d'un tratto sembri inaridito come lo fosti sulla croce e mi domandi da bere: Sitio, da mihi bibere! Ho sete, dammi da bere! Io so che attingendo al tuo amore non ho più sete, e come mai rifiuto di bere da Te? So che dissetandoti di me ti consolo, e come mai ti rifiuto questo sollievo? Sei assetato e dissetante, perché io sia assetato e Ti disseti, o infinito Amore, che sei rimasto vivo e vero sulle vie del nostro pellegrinaggio nell'Eucaristia, per dissetarci, e come mai non ascolto la tua voce di amore?
Gesù disse alla donna samaritana: Va chiama tuo marito e ritorna qua.
Questa parola la ripete anche oggi alle poveri mogli che hanno mariti traviati dal male, la ripete alle anime che sono legate ad un vincolo di morte, la ripete a quanti conoscono persone dedite al peccato.
Non possiamo andar soli da Gesù, non ci vuole soli, dobbiamo portargli col nostro cuore anche quello delle anime che non lo conoscono e non lo amano, perché solo così il suo amore si disseta.
Gesù aveva sete dell'unità di tutte le genti
La Samaritana propose a Gesù la famosa questione del luogo dove bisognava adorare Dio, e Gesù le rispose che era venuta l'ora di adorarlo in spirito e verità.
Aveva sete dell'unità di tutte le genti nella fede e nell'amore, ha questa gran sete anche oggi che il mondo è diviso e dilaniato dall'errore e dall'egoismo più brutto. Egli è il Redentore del mondo, ed in Lui e per Lui le anime e le nazioni debbono trovare l'unità e la pace.
Dolorosamente anche oggi ci sono quelli che credono si debba adorare Dio sul Garizim, che significa divisori, scismatici, scissori, laceratori della inconsutile veste del Redentore e dell'unità della Chiesa.
Ma viene il tempo, ed è già, come ardentemente lo speriamo, che, conosciuto meglio Dio e la grandiosa vita e bellezza della Chiesa, il mondo si unificherà in Essa come un solo ovile, per adorare Dio nell'unica infallibile verità, e nella grazia dello Spirito Santo, diffusa attraverso i Sacramenti della Chiesa. Si può dire con Gesù che i campi già biondeggiano per la messe abbondante che si raccoglierà, perché l'umanità si avvia a grandi passi sulla via del disinganno, proprio per il fallimento completo di tutti i suoi idoli. Lavoriamo con ardente zelo perché si affretti l'ora di Dio, lavoriamo a diffondere la Parola del Signore, perché, come i Samaritani non si convertirono per i miracoli ma per la Parola di Gesù, così il mondo ritornerà a Dio solo in una grande illuminazione di verità, ed in una grande diffusione delle grazie dello Spirito Santo.
Dissetiamo l'amore di Gesù che cerca le anime, non badiamo più né ai nostri interessi, né ai nostri comodi; non siamo solleciti, come gli apostoli, delle cose temporali, ma sia anche per noi nostro cibo il compiere la divina volontà, e l'essere fedeli alla missione che ci ha dato, perché i popoli corrano a Gesù, lo riconoscano Salvatore del mondo, ne dissetino l'amore e trovino la pace.
Sac. Dolindo Ruotolo
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