13. Gesù a Nazaret
Dopo aver terminato le sue istruzioni, Gesù se ne andò nella sua patria, cioè a Nazaret, dov'era stato cresciuto. Egli non aveva potuto ricevere a Cafarnao la Madre, come si disse nel capitolo precedente, ed andò a Nazaret per mostrarle il suo tenero amore. Il Vangelo non lo dice espressamente, ma si può rilevare dal contesto medesimo, giacché Gesù non avrebbe avuto ragione di andare a Nazaret, città nella quale sapeva che diventava inutile la sua predicazione, e dove non era solito recarsi. Forse fu la stessa sua Madre a pregarlo d'insegnare nelle sinagoghe, ed Egli lo fece, pur non potendo operarvi miracoli a causa dell'incredulità dei suoi concittadini. L'unico frutto che questi ricavarono dalla sua parola, fu una meraviglia grande per la dottrina che mostrava di possedere, pur non avendo studiato.
Erano abituati a conoscerlo nel suo nascondimento, come il figlio di falegname; Egli non aveva dovuto fare grandi opere esterne nella sua dimora in città, e perciò maggiormente si stupivano nel vederlo circondato da molti discepoli che pendevano dal suo labbro. La loro ammirazione però non era frutto di riconoscimento ma d'incredulità, giacché ad essi sembrava impossibile che il figlio del falegname avesse potuto elevarsi a tanta altezza; perciò ricordarono che Egli aveva per Madre Maria, umile e povera donna ai loro sguardi, e per parenti poveri operai e povere donne. Essi chiamavano a nome i suoi parenti, designandoli come fratelli, perché, come si disse, si usava chiamare fratelli e sorelle i parenti più prossimi. Li chiamarono per nome per dispregiarli: Giacomo, Giuseppe, Simone e Giuda, quasi per dire: Com'è possibile che faccia da maestro in Israele colui che è così insignificante, da avere simili parenti? E come potrebbe essere il Cristo, Re e dominatore, il figlio di un fabbro?
14. La questione dei parenti di Gesù
L'avere essi elencati per nome quelli che chiamavano fratelli del Signore tronca radicalmente l'empia supposizione dei protestanti e degli eretici, i quali si appellano in mala fede ai passi dei Vangeli nei quali si parla dei fratelli ossia parenti di Gesù, per bestemmiare contro l'intemerata verginità di Maria dopo il parto divino.
San Matteo nomina tra le donne che assistettero alla Passione di Gesù Cristo Maria madre di Giacomo, e di Giuseppe (27,56); questa da san Giovanni viene detta moglie di Cleofa e sorella della Madre di Gesù (19,25). Da questo appare chiarissimo che Giacomo detto da san Marco il minore (15,40) e Giuseppe ebbero una madre diversa da quella di Gesù. L'antichità, oltre Giacomo figlio di Zebedeo e fratello di san Giovanni, non ha conosciuto altro Giacomo che il figlio di Cleofa, detto anche Alfeo, e di Maria sorella di Maria Santissima sempre Vergine; egli quindi era cugino di Gesù come lo erano pure i suoi fratelli Giuseppe e Giuda (Gd 1,1) e Simone anch'egli figlio di Cleofa, secondo Egesippo. La lingua ebraica, poverissima di vocaboli esprimenti i vari gradi di parentela, non ha un termine corrispondente alla parola cugino, e per questo usa in senso più largo la parola fratello. Sono numerosi nella Sacra Scrittura simili esempi (Gen 13,8; 14,14-16; 19, 12-15; Nm 16,10, ecc.). La versione greca dei LXX ha tradotto quasi meccanicamente la parola ebraica ach per fratello, perché era quella usata per indicare i gradi più prossimi di parentela; né diversamente hanno fatto gli autori del Nuovo Testamento che, pur quando hanno scritto in greco, hanno pensato in aramaico e in ebraico.
Quello che si è detto relativamente a fratello, deve pure applicarsi a sorella, il che rende assai difficile determinare quale grado di parentela vi fosse tra Maria Santissima e la madre di Giacomo e dei suoi fratelli. Probabilmente le due madri erano semplici cognate, spose di due fratelli: Giuseppe e Cleofa. A Maria Santissima fu assegnato uno sposo nella sua parentela, proprio perché doveva essere unica figlia ed unica erede. Del resto Maria Santissima in nessun luogo è presentata come madre di Giacomo e dei fratelli di lui, ma sempre e solo come Madre di Gesù. Questi sulla croce l'affidò a Giovanni, il che sarebbe inconcepibile se Gesù avesse avuto dei fratelli veri e propri, ed affidò a Lei san Giovanni dicendole: Ecco il tuo figlio e non un tuo figlio, manifestando così chiaramente che non aveva altri figli (cf. Sales, San Matteo, pag. 63, nota).
È assurdo supporre che Gesù Cristo, vero Figlio di Dio e vero Figlio di Maria Santissima abbia potuto avere altri fratelli; solo chi non intende il privilegio altissimo di Madre di Dio può farneticare in simili ipotesi sommamente blasfeme contro Maria Santissima e contro lo stesso Gesù Cristo. Se questi avesse avuto dei fratelli, essi avrebbero dovuto avere, diciamo così, una certa relazione con l'incomunicabile ed eterna generazione del Verbo, poiché Gesù Cristo, anche in quanto uomo, era unico Figlio di Dio, concepito per opera e virtù dello Spirito Santo. Egli venne in terra per renderci tutti figli di adozione del Padre, ma la sua dignità divina non avrebbe potuto essere condivisa da nessuno. Si può anche dire che la sua infinita delicatezza non avrebbe potuto permettere che la Vergine Santissima, arricchita di un Figlio Dio, avesse potuto avere un figlio puro uomo, infinitamente inferiore. Se Isacco ed Ismaele non poterono stare insieme, come avrebbero potuto stare insieme due figli infinitamente distanti? La figliolanza numerosa è onore della madre; Maria però, generando il Verbo Incarnato, aveva avuto tale onore, che non poteva essere accresciuto ma offuscato da altri figli. Essa ci ha accolti tutti come figli di adozione e lo ha fatto perché eravamo stati adottati dal suo divin Figlio, ed eravamo parte del suo Corpo mistico.
I poveri protestanti rinnegano la maternità universale di Maria e pretendono, senza il più piccolo fondamento, attribuirle una maternità che le riuscirebbe di obbrobrio. Sarebbe, infatti, obbrobrioso al sommo che la sposa del Re diventasse contemporaneamente la sposa del servo, o che la madre del Re fosse contemporaneamente la madre naturale dello schiavo o peggio del nemico del Re. Se una regina, dopo aver generato il principe glorioso, discendesse dal trono, ed avvilita fra le serve, generasse un mostriciattolo o addirittura un bruto, mostrerebbe in se stessa un'anormalità mille e mille volte inferiore a quella che sarebbe nella Madre di Dio la generazione di un uomo, o peggio quella di un uomo macchiato di colpa.
Tu, o Maria, Mamma nostra dolcissima, potevi avere solo noi, poveri peccatori, come tuoi figli di adozione, perché tu generasti e donasti al mondo il Redentore proprio per salvarci. Gesù Cristo, assegnandoti come Madre di noi tutti, ti diede nuovi tesori di grazie che ti elevarono, e ti sublimò fino all'altezza di corredentrice. Tu ci generasti come Gesù ci redense, e la tua figliolanza mistica non fu l'obbrobrio tuo ma il trofeo della tua grandezza. Solo chi non conosce la bellezza tua che è come sole che ti riveste, può immaginare che, dopo esserti ammantata di luce eterna, avessi potuto ammantarti contemporaneamente della fosforescenza fioca di una generazione naturale, che è più frutto di miseria putrescente anziché di vera grandezza e di vera luce!
Dopo aver terminato le sue istruzioni, Gesù se ne andò nella sua patria, cioè a Nazaret, dov'era stato cresciuto. Egli non aveva potuto ricevere a Cafarnao la Madre, come si disse nel capitolo precedente, ed andò a Nazaret per mostrarle il suo tenero amore. Il Vangelo non lo dice espressamente, ma si può rilevare dal contesto medesimo, giacché Gesù non avrebbe avuto ragione di andare a Nazaret, città nella quale sapeva che diventava inutile la sua predicazione, e dove non era solito recarsi. Forse fu la stessa sua Madre a pregarlo d'insegnare nelle sinagoghe, ed Egli lo fece, pur non potendo operarvi miracoli a causa dell'incredulità dei suoi concittadini. L'unico frutto che questi ricavarono dalla sua parola, fu una meraviglia grande per la dottrina che mostrava di possedere, pur non avendo studiato.
Erano abituati a conoscerlo nel suo nascondimento, come il figlio di falegname; Egli non aveva dovuto fare grandi opere esterne nella sua dimora in città, e perciò maggiormente si stupivano nel vederlo circondato da molti discepoli che pendevano dal suo labbro. La loro ammirazione però non era frutto di riconoscimento ma d'incredulità, giacché ad essi sembrava impossibile che il figlio del falegname avesse potuto elevarsi a tanta altezza; perciò ricordarono che Egli aveva per Madre Maria, umile e povera donna ai loro sguardi, e per parenti poveri operai e povere donne. Essi chiamavano a nome i suoi parenti, designandoli come fratelli, perché, come si disse, si usava chiamare fratelli e sorelle i parenti più prossimi. Li chiamarono per nome per dispregiarli: Giacomo, Giuseppe, Simone e Giuda, quasi per dire: Com'è possibile che faccia da maestro in Israele colui che è così insignificante, da avere simili parenti? E come potrebbe essere il Cristo, Re e dominatore, il figlio di un fabbro?
14. La questione dei parenti di Gesù
L'avere essi elencati per nome quelli che chiamavano fratelli del Signore tronca radicalmente l'empia supposizione dei protestanti e degli eretici, i quali si appellano in mala fede ai passi dei Vangeli nei quali si parla dei fratelli ossia parenti di Gesù, per bestemmiare contro l'intemerata verginità di Maria dopo il parto divino.
San Matteo nomina tra le donne che assistettero alla Passione di Gesù Cristo Maria madre di Giacomo, e di Giuseppe (27,56); questa da san Giovanni viene detta moglie di Cleofa e sorella della Madre di Gesù (19,25). Da questo appare chiarissimo che Giacomo detto da san Marco il minore (15,40) e Giuseppe ebbero una madre diversa da quella di Gesù. L'antichità, oltre Giacomo figlio di Zebedeo e fratello di san Giovanni, non ha conosciuto altro Giacomo che il figlio di Cleofa, detto anche Alfeo, e di Maria sorella di Maria Santissima sempre Vergine; egli quindi era cugino di Gesù come lo erano pure i suoi fratelli Giuseppe e Giuda (Gd 1,1) e Simone anch'egli figlio di Cleofa, secondo Egesippo. La lingua ebraica, poverissima di vocaboli esprimenti i vari gradi di parentela, non ha un termine corrispondente alla parola cugino, e per questo usa in senso più largo la parola fratello. Sono numerosi nella Sacra Scrittura simili esempi (Gen 13,8; 14,14-16; 19, 12-15; Nm 16,10, ecc.). La versione greca dei LXX ha tradotto quasi meccanicamente la parola ebraica ach per fratello, perché era quella usata per indicare i gradi più prossimi di parentela; né diversamente hanno fatto gli autori del Nuovo Testamento che, pur quando hanno scritto in greco, hanno pensato in aramaico e in ebraico.
Quello che si è detto relativamente a fratello, deve pure applicarsi a sorella, il che rende assai difficile determinare quale grado di parentela vi fosse tra Maria Santissima e la madre di Giacomo e dei suoi fratelli. Probabilmente le due madri erano semplici cognate, spose di due fratelli: Giuseppe e Cleofa. A Maria Santissima fu assegnato uno sposo nella sua parentela, proprio perché doveva essere unica figlia ed unica erede. Del resto Maria Santissima in nessun luogo è presentata come madre di Giacomo e dei fratelli di lui, ma sempre e solo come Madre di Gesù. Questi sulla croce l'affidò a Giovanni, il che sarebbe inconcepibile se Gesù avesse avuto dei fratelli veri e propri, ed affidò a Lei san Giovanni dicendole: Ecco il tuo figlio e non un tuo figlio, manifestando così chiaramente che non aveva altri figli (cf. Sales, San Matteo, pag. 63, nota).
È assurdo supporre che Gesù Cristo, vero Figlio di Dio e vero Figlio di Maria Santissima abbia potuto avere altri fratelli; solo chi non intende il privilegio altissimo di Madre di Dio può farneticare in simili ipotesi sommamente blasfeme contro Maria Santissima e contro lo stesso Gesù Cristo. Se questi avesse avuto dei fratelli, essi avrebbero dovuto avere, diciamo così, una certa relazione con l'incomunicabile ed eterna generazione del Verbo, poiché Gesù Cristo, anche in quanto uomo, era unico Figlio di Dio, concepito per opera e virtù dello Spirito Santo. Egli venne in terra per renderci tutti figli di adozione del Padre, ma la sua dignità divina non avrebbe potuto essere condivisa da nessuno. Si può anche dire che la sua infinita delicatezza non avrebbe potuto permettere che la Vergine Santissima, arricchita di un Figlio Dio, avesse potuto avere un figlio puro uomo, infinitamente inferiore. Se Isacco ed Ismaele non poterono stare insieme, come avrebbero potuto stare insieme due figli infinitamente distanti? La figliolanza numerosa è onore della madre; Maria però, generando il Verbo Incarnato, aveva avuto tale onore, che non poteva essere accresciuto ma offuscato da altri figli. Essa ci ha accolti tutti come figli di adozione e lo ha fatto perché eravamo stati adottati dal suo divin Figlio, ed eravamo parte del suo Corpo mistico.
I poveri protestanti rinnegano la maternità universale di Maria e pretendono, senza il più piccolo fondamento, attribuirle una maternità che le riuscirebbe di obbrobrio. Sarebbe, infatti, obbrobrioso al sommo che la sposa del Re diventasse contemporaneamente la sposa del servo, o che la madre del Re fosse contemporaneamente la madre naturale dello schiavo o peggio del nemico del Re. Se una regina, dopo aver generato il principe glorioso, discendesse dal trono, ed avvilita fra le serve, generasse un mostriciattolo o addirittura un bruto, mostrerebbe in se stessa un'anormalità mille e mille volte inferiore a quella che sarebbe nella Madre di Dio la generazione di un uomo, o peggio quella di un uomo macchiato di colpa.
Tu, o Maria, Mamma nostra dolcissima, potevi avere solo noi, poveri peccatori, come tuoi figli di adozione, perché tu generasti e donasti al mondo il Redentore proprio per salvarci. Gesù Cristo, assegnandoti come Madre di noi tutti, ti diede nuovi tesori di grazie che ti elevarono, e ti sublimò fino all'altezza di corredentrice. Tu ci generasti come Gesù ci redense, e la tua figliolanza mistica non fu l'obbrobrio tuo ma il trofeo della tua grandezza. Solo chi non conosce la bellezza tua che è come sole che ti riveste, può immaginare che, dopo esserti ammantata di luce eterna, avessi potuto ammantarti contemporaneamente della fosforescenza fioca di una generazione naturale, che è più frutto di miseria putrescente anziché di vera grandezza e di vera luce!
Sac. Dolindo Ruotolo
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