martedì 20 maggio 2014

20.05.2014 - Commento al vangelo di S. Giovanni cap. 14, par. 5

5.  Nelle incomprensioni, affidarsi ai lumi dello Spirito Santo. Nei turbamenti, riposare nella pace di Dio. Nelle prove, guardare l'eternità. Marciare come militi di Dio alla conquista eterna
Gli apostoli si mostrarono un po' disorientati alle parole di Gesù; non le comprendevano appieno e non sapevano come metterle in pratica. Gesù però non parlava perché avessero praticato tutto ciò che diceva allora stesso né parlava solo per loro; si rivolgeva a tutti gli uomini ed alla sua Chiesa futura, della quale essi erano le primizie; non dovevano dunque turbarsi per la loro incomprensione attuale, ma aspettare con fiducia le illuminazioni dello Spirito Santo. La santità infatti non è un edificio morto che si eleva a via d'industrie, ma è come il germinare, il crescere, il fiorire e il fruttificare di una pianta, che si compie sotto i raggi del sole, per vita interna. L'anima è istruita da chi la guida, ed ha l'impressione di dimenticare tutto ciò che ascolta né sa vedere come possa metterlo in pratica. Ciò che ascolta però non è una lezione ma una semina, non è uno studio arido di problemi spirituali o psicologici, ma è come l'aprirsi di un orizzonte e il delinearsi di una strada, a percorrere la quale occorre poi la guida ed il veicolo.
L'anima quasi sempre, come avveniva anche agli apostoli, dimentica ciò che ascolta o ciò che legge e, povera com'è, non sa come cominciare e proseguire il suo cammino di perfezione. Essa non deve disorientarsi, o stillarsi il cervello, ma, offrendosi tutta a Dio, deve confidare nei lumi dello Spirito Santo. E proprio quello che Gesù disse agli apostoli: Queste cose vi ho detto mentre mi trovavo ancora in mezzo a voi; cioè, voleva dire: io vi ho detto molte cose per profittare del tempo nel quale sono con voi, ma voi non vi preoccupate di non ricordarle, o di ricordarle in parte; verrà poi lo Spirito Santo, che il Padre manderà nel nome mio, ed Egli vi insegnerà ogni cosa, spiegandovi quello che non avete capitole vi ricorderà, a mano a mano che vi occorrerà, tutto quello che vi ho detto, e che avete dimenticato.
Questa soave provvidenza nella formazione e nella perfezione dell'anima possiamo constatarla continuamente: noi ascoltiamo e leggiamo qualche cosa di vitale, ne esultiamo, e poi dimentichiamo tutto o quasi tutto. Quel nutrimento spirituale non è perduto, ma è come la concimazione o l'innaffiamento della pianta: rimane in noi e, ai raggi salutari dell'azione dello Spirito Santo, affiora nelle parti avvizzite del cuore, e le vivifica. A volte si trasforma, diventa un pensiero che par che nasca da noi, ed è invece l'elaborazione venuta dalla grazia di un pensiero vitale, rendendolo come linfa appropriata alle particolari nostre disposizioni, ed ai fini che il Signore vuol conseguire nella nostra vita. Quando l'anima si dona interamente a Dio nella soave schiavitù dell'amore, lungi dal preoccuparsi nel suo cammino di perfezione, deve rimettersi alla grazia dello Spirito Santo e confidare, con la ferma volontà di rispondere e di fare tutto ciò che Egli le ispira, nella luce di chi la guida nel cammino della santità.
Bando agli estetismi dello spirito!
La preoccupazione, in questa via di amore, può spegnere precisamente l'amore, diventare ansietà orgogliosa di vedersi buoni, diventare vanità di estetica spirituale, e togliere la pace dal cuore. E questa la ragione dell'agonia che tante anime hanno nel cammino spirituale; esse non si affidano alla grazia dello Spirito Santo ma alle loro attività, non cercano la gloria di Dio ma inconsciamente la loro gloria, e vanno cercando la pace nelle pieghe del loro cuore inquieto, anziché nel caldo soave e materno della divina volontà. Per questo Gesù, dopo aver parlato agli apostoli della futura azione dello Spirito Santo nella loro santificazione, soggiunge: Vi lascio la pace, vi do la mia pace; non ve la do come la dà il mondo. Il vostro cuore non si turbi né si sgomenti. La pace che dona Gesù è la tranquillità dell'anima data interamente a Dio, è la calma nelle prove, che nasce dall'unione alla divina volontà, è l'intima gioia di sentirsi di Dio anche quando la povera natura agonizza, è il dolore stesso e la pena illuminati dalla luce della bontà divina, e dalla speranza dell'eterna gloria. Gli apostoli erano turbati e sgomenti perché Gesù aveva loro accennato alla sua prossima dipartita dal mondo; ebbene, neppure questo doveva turbarli, quando pensavano che Egli se ne andava al Padre, e che la sua umanità, minore del Padre, andava alla gloria. Come Dio Egli era nel Padre ed il Padre in Lui; era suo Verbo consustanziale e stava immutabilmente nella divina gloria; ma come uomo era minore del Padre, era pellegrino, angustiato, afflitto, e prossimo a subire l'estrema immolazione. Se essi l'amavano veramente, dovevano godere che la sua addolorata umanità andava ad immergersi nella gloria del Padre.
Vi lascio la pace, vi do la mia pace
Dicendo questo Gesù apriva alle anime desolate l'orizzonte eterno, ed alle anime vittime la visuale della pace imperturbabile nell'eterna gloria. Certo le pene della vita sono gravi, ed a volte ci danno l'impressione di una fitta oscurità senza uscita e senza scampo. Ci accoriamo di noi, e ci sentiamo sgomenti; eppure basta pensare che l'angustia passa e che viene presto la pace eterna, per sentirsi rianimati. Basti a ciascun giorno il suo affanno; il domani mettiamolo interamente nelle mani di Dio, ed orientiamo l'anima nostra al domani eterno che ci attende. Quando ci uniamo alla divina volontà e viviamo in questa soave speranza, i giorni amari diventano come una spinta maggiore verso gli eterni orizzonti, ci astraggono dal mondo, ci appartano dalle umane cose, e ci uniscono a Dio in modo così profondo, ed in un abbandono così completo, che satana non può aver nulla di comune con noi né può esercitare in noi quel maligno dominio che ha sui peccatori, fonte di disperata agitazione.
Gesù accennò velatamente alla sua Passione e morte, riparlando della sua dipartita dal mondo, e l'accennò perché gli apostoli, vedendola avverata, non si fossero turbati; Egli però protestò che il principe di questo mondo, cioè satana, non aveva nulla in Lui, e che quello che avrebbe fatto contro di Lui Egli lo avrebbe permesso per dimostrare al mondo il suo amore al Padre nell'immolazione, e per compiere il suo grande disegno dell'umana redenzione. Non parlerò ancora molto con voi - soggiunse - perché me ne andrò vittima della macchinazione infernale di Giuda, mosso da satana; non vi turbate però né crediate che io sia sotto il suo dominio quando sarò tormentato e posto a morte. Satana non può nulla senza il mio permesso, e non ha nulla in me, perché non può colpirmi e raccogliere da me neppure un'impazienza; quello che avverrà, e di cui vi prevengo, avverrà per l'amore infinito che porto al Padre e per il quale m'immolo, e sarà da parte mia il compimento pieno della sua volontà.
Dicendo queste parole Gesù esortò gli apostoli ad alzarsi ed a disporsi ad andar via, perché Egli voleva recarsi all'orto a pregare, e iniziare così la sua Passione. Non disse loro di uscire immediatamente, perché continuò a parlare, né volle esortarli semplicemente a muoversi, ma, essendo essi afflitti e timorosi, volle dir loro: non vi accasciate, e non temete che uscendo di qui troviate subito qualche agguato; siate forti, seguitemi, ed unitevi a me come soldati coraggiosi, che seguono il capitano nel cammino della lotta. Siamo tutti di Dio, offriamoci a Lui come schiavi di amore, nel pieno abbandono della sua volontà, e satana non avrà nulla di noi, quantunque egli muova contro di noi lotte gravi ed atroci per sconcertarci.
Operiamo e soffriamo come vittime di amore e non come vittime di fatalità, come esecutori del piano ammirabile della divina volontà in noi, e non come schiavi di eventi crudeli. C'immoli l'amore, non satana, e ci metta in croce il Signore per i suoi fini di amore, non la perfidia diabolica per i suoi fini di rovina spirituale.
Come militi di Dio, pronti ai suoi amorosi ordini, marciamo verso le mete eterne, per conquistare l'eterna felicità. Quando si delineano nella nostra vita delle contrarietà, non ci scoraggiamo, né diamo luogo a satana impazientendoci. Sorgiamo, ed offrendoci a Dio in un pieno abbandono di amore diciamogli in unione a Gesù: voglio abbracciare la croce perché il mondo sappia che io ti amo sopra tutte le cose, e che compio la tua volontà; la volontà di Dio non è l'immolazione direttamente, ma la gloria ed il premio che consegue l'immolazione; la prova è solo un mezzo per guadagnarsi il premio, ed un breve cammino per giungere trionfanti alla Patria. Marciamo con coraggio verso l'eterna conquista, e pensiamo che il dolore di un giorno equivale alla gioia di una eternità.
Doniamoci a Dio, interamente, senza riserva e senza presumere di tracciare noi il cammino che deve condurci a Lui. Egli lo ha segnato con ammirabile precisione di amore e, come stratega divino, ha ponderato le nostre forze e la meta che ciascuno di noi deve raggiungere. Abbandoniamoci a Lui, seguiamo la sua via, nella luce della sua verità, sostenuti da Lui, nostra vita; doniamoci a Gesù Cristo, via, verità e vita nostra e raggiungeremo la gloria eterna.
Sac. Dolindo Ruotolo

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