2. Per la nostra vita spirituale.
Siamo pellegrini su questa terra
Noi siamo pellegrini sopra di questa terra, nella quale in realtà non abbiamo nulla di nostra eredità, e passiamo come ombra. Tutto lasciamo, tutto, ed anche il corpo, poiché morendo non è più in nostro possesso, e lo lasciamo alla terra che lo dissolve o ai vermi che lo rodono. Passiamo come in un viaggio determinato, per raggiungere una meta, e la meta è l’eternità, perché abbiamo un’anima immortale, che deve arricchirsi e purificarsi con le prove e le pene della vita presente, per la conquista dell’eterna felicità. Questa è la nostra vita terrena, e la meta ce l’ha indicata Gesù Cristo, venendo sulla terra per tracciarcela, dopo che l’uomo, caduto nel peccato, l’aveva smarrita.
Nell’infinita misericordia Dio mandò in terra il suo Figliuolo eterno, il quale si fece uomo, passò anche Lui come pellegrino, soffrì le nostre pene, s’immolò per nostro amore, e, risorgendo dalla morte, ascese al Cielo tracciandoci così la via per conseguire la nostra meta. Poveri e miseri come siamo, noi veniamo purificati ed arricchiti per l’aspersione del Sangue di Gesù, siamo fortificati dalla grazia che ci viene abbondantemente da Lui per i Sacramenti e vivendo di Lui nell’Eucaristia.
Noi, dunque, non siamo dei miserabili smarriti in questa terra, abbandonati ad un cieco destino o ad un incosciente fato; non siamo dei disperati che annaspiamo tra le tenebre di un labirinto senza uscita o strapiombante in un cupo abisso. Nelle tormentanti incertezze della vita, fatta tutta di interrogativi, di voci clamanti tra monti impervi, che non rispondono nulla, all’infuori dell’eco della nostra angosciata voce, ci pare di sentire una risposta, ma non guida la nostra vita: la disorienta con persuasioni false, eco di nascoste passioni, rimbalzanti come monche voci tra gl’impervi sentieri della vita, come l’eco tra le scoscese gole dei monti.
L’anima domanda dal profondo delle sue ansietà: « C’è Dio? ». Risponde l’eco: « Io », ed essa, accecata, crede solo al suo io, e non c’è smarrimento maggiore che concentrandosi nel proprio io!
L’anima cerca la vita nei tristi balocchi del peccato, come un bimbo cerca l’occupazione nei giocattoli, ma li frantuma, e non raccoglie che cocci che tagliano le mani e le fanno sanguinare.
L’anima, delusa, grida nel vuoto desolante che le si fa d’intorno: « Che cosa rimane di me miserabile? ». E l’eco risponde: « bile. Angoscia ». E grida: « sono dunque smarrita? » E l’eco risponde: « Ita, è così! ». Cerca lo sfogo in una creatura, e si lusinga di trovare appagamento alla sua ansietà tormentosa, ma, a contatto d’un frutto
che sembrava dolce, trova spine, spine velenose che la tumefanno, e grida disperata nel vuoto che le si fa nel cuore: « Sono tutta infelice? » Ed in quel vuoto l’eco risponde con disperante voce cavernosa: « Infelice! ».
Il suo pensiero corre ai salici piangenti, corre ai lugubri cipressi di un camposanto, corre alle fosse, ahimè, alle fosse, come torbida acqua che cerca ingorgarsi nel vuoto e sparire. Non alimenta germogli, li trascina; non apre la corolla ai disseccati fiori sognati nell’ansia della felicità, li travolge nella melma, e come melma cade nell’abisso... senza speranza! Vi pensa, e nel fondo la fantasia vi apre una voragine: ossa spolpate, teschi che non veggono nulla dalle orbite vuote, che non odorano nulla dal vuoto settore di un naso che marcì; scheletri che non si rizzano, tibie disseccate che non si articolano, carpi, metacarpi e falangette che non stringono... il nulla? La putredine soffocante il respiro, onda di morte! Che orrore!...
Di fronte a questo quadro desolante di una vita smarrita, risuona la potente parola di S. Pietro, come sole che sorgendo dissipa la nebbia: « Sia benedetto Dio e Padre del Signor nostro Gesù Cristo, Dio che per la sua grande misericordia ci rigenerò in una speranza viva mediante la resurrezione di Gesù Cristo dai morti, ci rigenerò ad una eredità incorruttibile, immacolata ed inalterabile, serbata nei cieli per voi, che dalla potenza di Dio siete custoditi mediante la fede, per raggiungere la salvezza, che deve manifestarsi nell’ultimo tempo.
Viviamo per salvarci, e la vita presente, nelle sue medesime pene, non deve farci smarrire, perché le pene sono il prezzo di una novella vita di eterna felicità, se siamo fedeli. Sembrano quasi un assurdo, alla presente generazione smidollata, le parole di S. Pietro: Trasalirono di gioia anche se conviene che, proprio per poco tempo, siate molestati da prove di ogni genere, perché in tutte le prove della vita trasalirono di gioia i Santi, e per la fede e la speranza che li animava; la loro vita non fu infelice, ma, unita alla Passione di Gesù Cristo, fu vita di pace e di amore. Credettero in quello che non vedevano, e la loro mente era piena di luce; amarono Colui che non vedevano, ed il loro cuore fu pieno di vita. Vissero austeramente, per la speranza di possedere un giorno l’eterna felicità, modellarono la loro vita sulle parole e gli esempi di Gesù Cristo, e furono santi in tutte le loro azioni.
Per questo S. Pietro esorta i fedeli alla santità, e noi dobbiamo considerare come un nostro dovere la santità. Non possiamo limitare la nostra vita cristiana a fuggire i peccati gravi, ma dobbiamo cercare la perfezione, anche a costo di sacrifici, ricordando le parole di Gesù Cristo: Chi vuole venire appresso a me rinneghi se stesso, prenda la sua croce emi segua. Non possiamo formarci un concetto della perfezione con le nostre idee ed i nostri apprezzamenti.
Oggi c’è la mania di « aggiornarsi » ai tempi
Oggi è facilissimo il voler quasi cristianizzare lo spirito del mondo, o mondanizzare i precetti della santificazione dell’anima nostra con massime che sono agli antipodi con le massime dei Santi. Si pretende con una parola che sembra fatidica, aggiornarsi ai tempi, mutare i principi fondamentali della perfezione; è per questo che lo spirito del mondo è penetrato persino nelle case religiose, e nei Seminari dove si formano i leviti della casa del Signore. Il mondo ha preteso di modificare l’Evangelo ed aggiornarlo.
È così che si giustificano le passioni (dalle quali i Santi aborrirono) con un ipocrito slogan che vorrebbe contestare tutto con un più ipocrito sorriso di innocente semplicità: che male c’è? Ed è logico che, quando la coscienza si è cauterizzata, non si vegga più il male anche nelle azioni più obbrobriose. È logico che certe nature e certe anime profondamente difettose e viziate si ribellino ad ogni riprensione, ad ogni avviso salutare, fatto loro per sincero bene, e veggano solo col loro occhio cisposo di orgoglioso risentimento.
È logico che le anime, prese dal loro pensiero e dai loro apprezzamenti, non intendano più le parole della verità, immerse come sono nelle tenebre che credono bene, nei risentimenti che credono giustizia, nelle dispettose reazioni che rasentano la follia. È una cosa da considerarsi profondamente, perché le anime, così disorientate, peccano con facilità mortalmente contro la carità, con sospetti che non hanno fondamenti, con giudizi temerari che credono evidenze, con scatti di gelosia e persino di odio, che credono reazione giusta e ragionevole ad un male, che però non esiste, ma che scaturisce dal loro cervello dissestato.
Queste anime piene di se stesse non si umiliano mai, non si riconoscono mai colpevoli; soffocano i rimorsi salutari esaltando la propria rettitudine, per qualche opera buona che fanno, compiacendosi del loro ingegno, e riguardando gli altri come scervellati e stolti, illudendosi di vedere esse sole giustamente, divorate, come sono, da intimo orgoglio; e, commettendo peccati gravi, si mettono al livello del Fariseo che, lodandosi, si credeva giusto, anzi santo, e, disprezzando il pubblicano, giudicandolo vile e riprovevole a paragone suo, fu riprovato da Dio.
Insistiamo, gemendo, su questo punto, perché oggi è facilissimo trovare anime così disorientate, incapaci di obbedienza, perché credono di potersi guidare da sé, ribelli a quelli che sono posti da Dio per curarle; ribelli fino al disprezzo di loro, all’insulto volgare, al presuntuoso giudizio di condanna, irruente nella forma e dilagante nella mormorazione. Peccano così mortalmente, e s’illudono di essere innocenti, di fruire della libertà che Dio ha loro data, di essere anzi lodevoli per la loro franchezza, soddisfatte di aver detto le cose nella verità, piene perciò dello spirito di Dio, quando sono agitate dallo spirito diabolico.
... e il « non serviam! » urla la sua ribellione a Dio
È per questo spirito diabolico, che si manifesta nell’agitazione, nella irruenza nel credersi vittime d’ingiustizie, nel gridare volgarmente, nel non voler ragionare, che queste povere anime sono ingrate ai doni di Dio, sono incapaci di conversione, e corrono il pericolo di eterna rovina. Dolorosamente è per questo spirito orgoglioso, tracotante, ribelle, pieno di sé, pronto al diabolico non serviam, acquiescente con facilità alle tentazioni, che oggi si lamenta la defezione e l’apostasia di tanti Sacerdoti e di tante anime consacrate a Dio.
È per questo spirito che oggi riesce impossibile formare le anime pie ad una vera e maschia virtù, con prove che demoliscano la loro natura. Oggi le anime debbono carezzarsi, cioè talvolta bisogna seguirle nei loro squilibri con una prudenza della carne che acquiesce alle loro miserie per amore di pace, e si crede di aver fatto molto quando si è riusciti a scongiurare una tragedia o a soffocare uno scandalo sotto i sarmenti della tolleranza. È così che chi sta a capo non ha più autorità, ma è un succubo della critica, della resistenza e della ribellione di chi dovrebbe guidare, riprendere, raddrizzare, elevare, provare, per condurre le anime alla santità.
Dove sono i... Filippi Neri che potevano ottenere dal Cardinale Baronio, dottissimo storico, la rinunzia di sé portando per le vie principali di Roma una damigiana, per comprarvi un quarto di aceto? Il Baronio obbedì, e quell’atto fu una dura sconfitta per satana, e la damigiana fu come un robusto piede che gli schiacciò il capo. Dove sono i Santi Dositei, che al comando di S. Doroteo obbedivano, camminando sulle acque per soccorrere un frate che annegava?
Dove sono gli umili fraticelli, che alla voce dell’obbedienza innaffiavano un palo secco, e lo rendevano fiorente; piantavano i broccoli con la radice in su, e li vedevano rigogliosi; che alla severa e sprezzante parola di rimprovero, cadevano in ginocchio baciando la terra ed implorando perdono? Erano folli i capi e folli i sudditi, come li giudicano oggi le anime moderne, delle quali abbiamo dato appena un accenno più sopra?
Ma che cosa sarebbe dunque la parola di Gesù: Rinnega te stesso, prendi la tua croce e seguimi? E qual valore avrebbe la parola di S. Pietro: Colui che vi chiamò è santo, e diventate pure voi santi in tutta la vostra condotta, e la parola di Dio: Siate santi perché io sono santo, con la quale San Pietro conferma la sua vibrante esortazione? Quale dunque il senso di questa arcana, divina parola: Siate santi perché io sono santo?
O mio Dio, o mio Dio,
tutto mi testimonia la tua potenza!
L’anima mia, misera e poverella, tenta di levare il trepido ed annebbiato sguardo a te, o infinito Dio, e per levarlo attraversa tutta la creazione, come cosmonauta, nella ristretta capsula della sua mente, e nel vibrante razzo che la spinge in alto, la fede, con lo scoppio del cuore che vi ama e che vorrebbe amarti consumandosi per te, o Dio, o Dio! Tutto mi parla di Te, eppure non ti vedo; tutto mi testimonia la tua potenza, eppure non so misurarla; tutto la tua sapienza, eppure non so comprenderla; tutto il tuo amore, eppure non so infiammarmi! Tutto è riflesso della tua bontà, eppure non so commuovermi.
Sei luce infinita, ma lo splendore mi acceca, perché vorrei vederti, ma l’occhio mio può scorgerti solo nello schermo oscuro della fede, che mi fa intravedere la tua infinita bellezza, quando umiliandomi ti contemplo e ti prego. Sei come una stella lontana, che spunta da una nebulosa immensa, la cui luce è come un uragano di fiamma, e giunge a me come un punto tremolante, dopo miliardi di secoli, percorrendo trecentomila chilometri al secondo, ed ogni secondo è un lampo, ogni lampo una luce che avanza nella sorridente oscurità della notte, che in quel lampo, in quei lampi s’illumina... Dio, mio Dio, come posso scrutare la tua grandezza, come posso estasiarmi della tua santità? Sono tanto piccolo, tanto meschino; posso solo amarti adorandoti... credo!
Io sono sulla terra, io, minuscolo atomo che ci si smarrisce, eppure è tanto piccola innanzi a te; un polveroso granello che rotea nello spazio, e a quel granello tu tracciasti il cammino intorno al sole, perché s’illuminasse e si riscaldasse. Piccolo come sono, i monti nella loro gravitante mole par che mi schiaccino, e nella loro catena fra- stagliata... picchi che s’ergono e valli inabissate, acque che sgorgano, cascate che strapiombano, fiumi che s’avanzano, nastri d’argento tra le fulve rive... io m’incanto ed in quelle altezze veggo un pallido riflesso della tua maestà; nel disordine di quelle vette veggo la tua bellezza; in quelle acque la tua bontà che si effonde, nel loro rigurgito la tua provvidenza che feconda, e, negli immensi mari dove sfociano, la tua misericordia che dilata ed abbraccia... Dio, ordine infinito, bentà infinita, carità, carità infinita!... Credo!
La vita: ad un cenno della tua parola dalla terra che germoglia, dai mari che brulicano di piccoli e giganteschi esseri che guizzano! Dalle erbose valli gli animali domestici che vi muggiscono, e le fiere che ruggiscono, e gli uccelli che cantano... tutto un inno di vita, e tu sei vita, e tu solo mio Dio, eterna vita che è tutta in te; senza principio perché è in te; senza fine perché è eterna; senza mutamenti, perché è tutta in atto, tutta perfetta nella sua infinita semplicità: potenza che si effonde, sapienza che ordina, amore che abbraccia le sue creature, e nella sua eterna, semplicissima essenza, conoscenza infinita di Sé che genera il Verbo eterno, amore infinito che lo ama ed è amato... Dio, Dio mio, ti credo e ti adoro!
Dai monti all’atomo tutto è materia, grezza nei monti, e quasi spiritualizzata nell’atomo che diventa energia. Nell’immenso firmamento miliardi di corpi che si muovono con una danza matematica, ordinata da Dio con infallibili leggi, delle quali nessuna fallisce, e nell’atomo elettroni che si muovono intorno al nucleo, miniatura del firmamento, ma anche potenza di forze che vi ha poste Dio. Ancora una volta, materia che diventa energia, che diventa forza. Canto dei cieli stellati e sommessa voce di gloria negli atomi. E sopra i cieli, nel cielo eterno, miriadi di Angeli e la loro voce, come inno di gloria, che si leva potente innanzi a Dio; Santo, santo, santo il Signore Dio onnipotente, principio e fine di tutte le creature che come un esercito obbedisce al comando, Sabaoth!
La santità è spiritualità; e chi è più santo di Dio, spirito purissimo? La santità è perfezione; e chi è più perfetto di Dio che è perfettissimo nella sua infinita semplicità? Santità è carità; e chi è più santo di Dio che è infinita carità, è amore? Santità è effusione di bene; e chi è più santo di Dio che effonde Se stesso nella generazione del Verbo, e che fuori effonde la sua bontà creando, e la sua vita con la grazia? Santità è misericordia e perdono; e chi è più santo di Dio, che usò misericordia mandando il suo Figlio sulla terra per perdonare con il suo sacrificio agli uomini caduti? Santità è espansione di dolcezza che beatifica; e chi è più santo di Dio infinita dolcezza per le anime alle quali si comunica con la sua grazia, per lo Spirito Santo, eterno e vivificante Amore, eterna felicità per le anime che si uniscono a Lui? Santità è verità; e chi più santo di Dio, verità eterna che è colui che è?
Chi potrebbe volere scrutare la ragione del suo infinito essere, se Egli è colui che è, e la ragione del suo essere è in Lui stesso, perché il solo essere necessario, il merito, diciamo così, della sua esistenza e della sua perfettissima perfezione, come la perfezione, di una verità assiomatica è nella medesima semplicità del suo enunziato? Santità è l’estetica del bene, ed Egli è sommo Bene, bellezza infinita che incanta e delizia quelli che lo contemplano. Santità è fioritura di un’anima; e chi più santo di Dio che fiorisce nell’infinito Verbo nell’eternità, e fiorisce in Maria nel tempo, alta e sublime più che creatura?
E i Santi non sono fioritura della grazia e dell’amore di Dio? Ciò che è ha il merito nella sua stessa natura, perché il merito è frutto di vita, e Dio è la vita, è colui che è, il suo stesso essere da Sé possiamo riguardarlo nella luce di quello che noi chiamiamo merito, e possiamo dire con trepidante ammirazione: Dio ha fatto Dio, perché è essere da Sé, Dio è tutto, perché è essere necessario e senza di Lui nulla è stato fatto di ciò che è fatto; dunque nella necessità assoluta del suo essere c’è la ragione di ciò che è fatto, e l’ha fatto Lui, artefice supremo di tutto con la parola onnipotente della sua divina essenza.
E non sarebbe merito per un operaio formare, non dico un mondo, ma un piccolo giocattolo con una parola? E il giocoliere quasi lo ha in sé e lo effonde da sé, e lo effonde da sé con una parola arguta e con un gesto ardito. Perché, mio Dio, hai detto che tu giochi, ludens in orbe terrarum?
O giocoliere divino, che hai formato non un pupattolo ma l’universo, e nell’armonia di mille e mille leggi fisiche e chimiche, nell’ordinato loro intreccio, nelle sorprese del loro sviluppo, dai continuamente al mondo spettacoli meravigliosi di forza, di equilibrio e di fecondità... O merito stupefacente dell’infinita essenza!... E tutto cade e si dissolve come vestimento che veterasce, e tu rimani, o Dio, perché tu solo sei, e mostri che nulla è necessario fuori di te, giocoliere divino, come, diremmo, il giocoliere che mette mille oggetti sul tavolo, e ad uno ad uno li fa sparire, bolle di sapone iridescenti, che ad un tocco spariscono e lasciano vedere solo il tavolo.
Io mi smarrisco nella tua infinita semplicità, o mio Dio, merito infinito della tua semplicissima essenza, e veggo la fecondità infinita di questa semplicità considerando quello che hai fatto e quello che fai. O motivo grande di adorazione e di amore che tu mi dai, Signore; o apprezzamento della tua santità, merito infinito che in armonia senza contrasti è misericordia e giustizia, è dolcezza umilissima e maestà formidabile, che è bontà che premia ed infinita rettitudine che condanna, calamita che attrae, ed elettrodo che respinge il polo negativo che di saturarsi presume di positivo, la creatura che nell’orgoglio del peccato si esalta contro Dio, come si esaltarono Lucifero e gli Angeli ribelli e furono repulsi per la loro pretesa di essere simili a Dio. Eppure potevano esserlo nell’umile merito della sottomissione, e nell’eterna felicità potevano dire: siamo simili a Lui, perché lo vediamo faccia a faccia e per la sua grazia ci beiamo di Lui.
Mi fermo presso un albero fiorito
Ed io, nella mia stupida semplicità, mi fermo presso un albero fiorito che si carica di frutti: quale è il tuo merito per fiorire così? E l’albero risponde: fiorisco, fruttifico. E domando al piumato uccellino: qual è il merito tuo, o piccola creatura di Dio? E l’uccellino risponde con gorgheggi: io canto, le corde della mia piccola gola vibrano, ed il mio respiro le fa vibrare in un richiamo di gioia. E domando all’onda che risucchia, e che tra gli aridi scogli s’infrange, sfavilla in mille gocce, mormora un poco... tace e si ritira, ricominciando la sua danza: qual è il tuo merito, o flutto che rinnovi e mantieni la marina frescura? E il flutto mi risponde: obbedisco al vento, mi muovo, ondeggio, irrompo, riposo, taccio e di nuovo obbedisco perché la mia vita è il moto fino al limite postomi da Dio: fin qui frangerai le tue onde.
E domando ai monti che sorgono dal mare, e quasi sogghignano a quel mobile elemento che sembra irrequieto: o monti, qual è il merito della vostra maestosa stabilità? E i monti mi rispondono: stiamo fermi nella gravitante nostra mole. Ogni creatura ha, dunque, il merito di quello che è nella sua stessa natura e nell’attività sua ordinata.
Ancora una volta, con trepidante amore, io ti domando, o mio Dio, perdonami, ma satana a volte disorienta le creature con questa domanda stolta: « Qual è il tuo merito? » E tu mi trasporti con profonda contemplazione nella eternità, che a me già mostrasti. Che cosa è, o mio Dio? Io immagino una cosa lontana lontana, e guardo come nel buio; io penso ad una cosa immobile nel vuoto di una immensità, e mi sperdo; io mi volgo alla meridiana del sole, all’orologio, alla clessidra, e con la fantasia invento gl’indici per computare i secoli a miliardi nel passato... Ma non è questa la eternità; è la verità che sussiste, è quello che è, sei tu mio Dio, eri tu, mio Dio, dove nulla vi era, dove il tempo non aveva misura, dove tu solo eri in te, da te, per te. Verità eterna sempre in atto: tutto presente a te che solo eri, tutto presente anche quando creasti gli Angeli e l’universo, anche quando le orbite degli astri fuggenti cominciarono a segnare il tempo sul quadrante dei cieli, ed il cosmo nello stato di caos numerava i giorni della diffusione della tua bontà fuori della tua infinita natura, ad extra. Erano giorni non segnati sui meridiani terrestri, ma sui meridiani del caos; giorni di milioni di secoli. Ma non passavano ancora... tu solo eri nel principio.
Ed ecco, io ti contemplo, tu guardi te stesso con la tua mente infinita, ti conosci per quello che sei, non verità vaga, non esistenza confusa, non realtà che s’immagina, come i piccoli uomini immaginarono gl’idoli; nella conoscenza tua generavi il Verbo, perché era conoscenza infinita di te infinita verità; conoscenza infinita dell’Infinito, che essendo sussistente, non era uno sguardo che si posa e passa, era una persona generata che ti conosceva perché era tua conoscenza infinita. E tu guardandoti nell’eternità fosti come divino fiore che sboccia dalla divina pianta; come luce che dardeggia dall’infinito sole, come fontana divina, Fontana Deitas come ti chiama la Chiesa; è la tua sussistente intelligenza di te, da te fu generata e fu tuo Figlio. Io povero nulla dico fu, ma non fu, era ab aeterno della tua realtà eterna.
Ti compiacesti, mio Dio, di te con compiacimento di verità; si compiacque il tuo Verbo che era da te ed era in te, e spirò un amore infinito, sussistente, da due persone divine: lo Spirito Santo. Se non ti fossi conosciuto saresti stato un fantasma; se non ti fossi amato, saresti stato una fatalità; e niente è più arido di una fatalità, come niente è più oscuro di un fantasma vago, che si suppone, ma non è, e tu sei Colui che sei.
È nella Trinità adorabile, mio Dio, oso dire il tuo merito eterno, nella Trinità eri Dio vero, Colui che è, e come l’uomo è quando è come coagulato nel seno materno, come disse Giobbe, sicut lac me coagulasti, perdonami mio Dio, tu fosti come coagulato nella eterna verità per il mistero della tua adorabile Trinità. E quale spirito infernale può dire: quale è mai il tuo merito? Merito in te, da te, per te!
Chi conosce Dio non merita? E tu ti conoscesti infinitamente. Chi ama Dio non merita? E tu ti amasti infinitamente. Chi, conoscendosi potente, sapiente ed amore, opera effondendo fuori di sé la sua potenza, la sua sapienza ed il suo amore nelle opere sue, non merita? E tu effondesti la tua bontà fuori di te e creasti innumerevoli meraviglie invisibili e visibili. E gli Angeli, adorandoti nel loro puro spirito, non dissero, amando: per te, per tuo merito, siamo, viviamo e siamo beati: santo, santo, santo, sei tu infinito Dio, Uno e Trino? E gli Angeli che non ti adorarono e si compiacquero di loro orgogliosamente, rimasero muti, e, staccati da te, precipitarono.
E le creature tutte, nella loro esistenza e nella loro vita consciamente o inconsciamente non erano esistenti e viventi per merito di Dio, Uno e Trino? E l’uomo creato ad immagine e somiglianza di Dio, non fu anima vivente per il soffio divino del tuo Spirito, e, caduto, non risorse per merito di Dio umanato? Per questo la più bella e più pura creatura di Dio, immacolata, cantò quando per merito divino fu madre del Verbo incarnato in lei, voce purissima che per il Verbo in lei vivente, lode eterna di Dio, cantò per tutte le creature, visibili ed invisibili: Magnificat anima mea Deminum.
O ineffabili misteri d’infinita luce, voi ci tracciate il cammino della santità!
O ineffabili misteri d’infinita luce che ci tracciano il cammino della santità: Siate santi perché io sono santo... siate perfetti come è perfetto il Padre vostro che è nei cieli.
Dunque, la santità implica il concetto di una somiglianza con Dio, e completa il disegno di Dio che ci creò ad immagine sua. Se non raggiunge questa vetta non è immagine, è sgorbio, è quasi una caricatura. Un’immagine è vera ed artistica quando riproduce i lineamenti di una persona che rappresenta in un modo il più che è possibile perfetto. Non può riprodurre la vita, perché è creta modellata, è marmo scolpito, è bronzo fuso; ma con un gesto di posa può riprodurre, in un atteggiamento, l’espressione umile della sua vita. La posa o l’atteggiamento di un’immagine, per quanto espressiva, ha sempre qualche cosa di umile di fronte al modello.
Il Mosè di Michelangelo, con le tavole della Legge che Dio gli aveva date, con lo sguardo minaccioso al popolo che delirava intorno al bue conflatile di oro, par che viva. Ma non balza dal seggio perché è marmo; tanto espressivo, non vive; è un’immagine in posa di potenza, ma in umiltà di espressione, tanto che Michelangelo, quasi esasperato da quella impotenza, gli percosse il ginocchio col martello esclamando: Perché non parli? Ed il Mosè non parlò e non parla, perché nella sua espressione forte era, in realtà, in una realtà di somma umiltà, era marmo. La sua artistica espressione in certo modo parlava a chi lo vedeva, ma in chi lo vedeva si articolava, per così dire, una parola per l’impressione che faceva quella statua.
Siate santi perché io sono santo, dice Dio e ripete S. Pietro in suo nome, e la creatura, immagine di Dio come può esserlo? Dio è tutto, essa è poco più che nulla: Dio è l’essere necessario, essa è contingente; Dio è eterno essere da Sé, essa nasce nel tempo da una donna, e vive sulla terra per un tempo tanto breve, che passa come ombra; Dio è immutabile, perché perfettissimo in ogni suo attributo; essa è imperfetta, e non rimane mai nello stesso stato, come dice Giobbe, ed è piena di miserie; Dio conoscendosi genera il Verbo infinito ed è fiamma di eterno amore, è carità; essa conoscendosi è impotente e misera senza la grazia di Dio; Dio è infinita potenza, infinita sapienza, infinito amore in un’eterna felicità; essa è tanto fragile, è stolta nei suoi pensieri, è torbida e desolata nei suoi affetti...
Povera creatura, non puoi ascendere alla santità che in un profondo atto di umiltà che attira su di te la grazia di Dio che ti trasforma e ti eleva. È il primo gradino della santità che per la grazia ti rende partecipe della divina natura. E tu nell’umiltà ascendi, perché Egli ti guarda e ti abbellisce di grazia. Ascolta la parola della più santa creatura, che magnificò Dio più di tutte le creature, e vedi quale fu il segreto della sua santità: Dio guardò l’umiltà della sua serva...
operò in me cose grandi per il suo santo nome, e per la sua misericordia.
Umiltà, umiltà, umiltà...
Dunque, o creatura chiamata alla santità, se vuoi raggiungerla umiliati profondamente innanzi a Dio. L’anima che non si umilia, che è piena di sé, che si concentra in sé esaltandosi nella sua estimazione di fronte agli altri, non attira la grazia di Dio, si stacca da Lui come se ne staccò Lucifero, compiaciuto di sé. Per l’umiltà l’anima partecipa alla santità di Dio: Egli genera il Verbo conoscendosi ed il Verbo è lode sua, infinito come Lui nella natura divina, e l’anima conoscendosi nella sua limitazione non genera un verbo di lode, ma di umiltà, perché dalla limitazione e dalla miseria non può sorgere l’esaltamento, ma l’umile abbandono alla grazia ed alla misericordia di Dio.
Se l’anima non si umilia con amore, è dispersa da Dio. Ascolta Maria: Dispersit superbos mente cordis sui. Dio conoscendosi generò il Verbo e col Verbo spirò l’infinito Amore, e l’anima conoscendosi si umilia innanzi a Dio, e Dio la esalta: exaltavit humiles, l’abbraccia con la sua grazia, la riempie di beni, la riceve come sua figlia, come sua serva fedele, e da essa spira l’amore che la unisce a Dio, la satolla di Lui, perché lo brama, esurientes ìmplevit bonis, e nel suo amplesso la santifica col bacio della sua misericordia: recordatus misericordiae suae.
Oh, se le anime capissero questo segreto di vera santità che è l’umiltà! Oh, se intendessero che la grandezza vera della santità è l’umiltà! Il firmamento del cielo è immenso, e chi può raggiungerlo, chi può dirsi simile a lui? I monti, i mari, i continenti non possono darne un’idea, non possono elevarsi in somiglianza con lui. Solo il piccolissimo atomo, la più umile delle creature, invisibile, porta nella sua struttura la somiglianza col firmamento.
Dio è infinito, l’anima è piccolissima innanzi a Lui; ma se per l’umiltà si fa atomo può portare nella sua piccolezza la somiglianza con Dio per la grazia. Umiliarsi non è avvilirsi, è conoscenza di verità, e la verità della nostra piccolezza, come nell’atomo fissato o scisso, genera un’ardente fiamma di amore a Dio, fiamma di adorante apprezzamento di Lui, e questo è santità di unione mistica, ascesa di somma santità.
O anime che aspirate alla santità, perché Dio è santo, umiliatevi innanzi a Dio, e colpite tutte le occasioni della vita terrena per umiliarvi innanzi a Dio ed innanzi alle stesse creature che ve ne dànno occasione, per glorificare Dio nella vostra santificazione profonda. Dall’umiltà, come fioritura di un ceppo virente, sboccia l’altro ramo dell’amore a Dio, che è l’amore al prossimo, la carità, la pace.
Il Verbo di Dio si umiliò facendosi uomo, sino alla morte di Croce, e se la divina sua maestà volle umiliarsi per noi, facendosi obbediente sino alla morte, noi potremo trovare difficoltà ad umiliarci? Togliamo dalla nostra vita tutto quello che è superbia: un giudizio duro sugli altri è superbia, una parola frizzante è saetta di superbia, un dispetto è superbia che reagisce, una contesa è superbia che vuole imporsi,... ogni mancanza di umiltà è come barriera che si oppone al fluire della grazia di Dio che ci santifica.
... purezza!
Per questo S. Pietro, dopo aver esortato a considerare Gesù Cristo umiliato per noi sino alla morte, esclama perché ne imitiamo l’esempio con la carità: Dopo che avete purificato le anime vostre con l’obbedienza alla verità, possedete un amore fraterno senza finzioni, di cuore; a vicenda amatevi continuamente, poiché foste rigenerati, non da un seme corruttibile, ma incorruttibile, mediante la parola di Dio viva e persuadente.
Siate perfetti com’è perfetto il Padre vostro che è nei cieli, disse Gesù; ora, Dio è spirito purissimo e noi, per elevarci a Lui nella santità, dobbiamo essere puri. È una condizione posta da Gesù Cristo: Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio. L’impurità è il flaccido schermo che c’impedisce di vedere Dio in questa vita e nell’altra, perché è concentramento nella carne, ed è assurdo che colui che si rende schiavo della carne possa sollevarsi a Dio che è purissimo Spirito. S. Paolo si lamentava di avere in sé una doppia legge, una che lo traeva alla terra ed una che doveva sollevarlo al cielo, e si dichiarava infelice per la miseria della carne, sospirandone la liberazione: «t Infelice me, uomo; chi mi libererà dalla morte di questo corpo? » Eppure l’impurità ci si presenta come piacere, come felicità dei sensi.
È la generale e la più stupida delle passioni, che travolge l’uomo dall’infanzia alla estrema vecchiezza. È stupida, perché per un diletto obbrobrioso produce uno sconvolgimento penoso, che porta con sé la sanzione di malanni penosissimi. Qualunque passione ha l’illusione di raggiungere quello che brama, anche se le costa sacrificio. L’impurità non raggiunge mai quello che brama, perché quando crede di averlo, è come fuoco che bruciando consuma, che dilettando degrada, che soddisfatta lascia più furente la brama.
È desolante il pensare che nel giudizio universale, dove sono raccolti miliardi di uomini di tutti i secoli si numerano solo cento- quaranta quattro mila segnati dell’aureola della purezza, che seguono l’Agnello divino dovunque vada, e cantano un cantico che nessuno può cantare. Eppure gli eletti purificati dalla penitenza e dalla misericordia di Dio, sono certamente un esercito sterminato, e vanno tutti incontro a Dio, purissimo spirito. Portano tutte le stimmate della penosissima ma misericordiosa purificazione del Purgatorio, che anche allora fa capire quanto è necessario essere puri per ascendere a Dio, purissimo spirito.
Tra tanti miliardi di creature una sola è purissima, l’immacolata Maria Vergine che potette ascendere al Cielo anche col corpo, senza passare per la purificazione della morte, assunta alla gloria, immersa tutta in Dio, come nessuna creatura potette slanciarvisi.
Questa statistica desolante della purezza nel mondo e nei secoli, ci fa capire di più quanto è doveroso per un cristiano essere puro per rispondere al comando di Dio: Siate santi perché io sono santo, spirito purissimo. L’inferno stesso, il terribile inferno, che sembrerebbe suscitare un tremendo pallore di spietatezza per la sua eternità, ci fa capire come Dio, purissimo spirito, repelle da Sé le anime impure, e come queste nella loro estrema miseria, volontariamente aborrono da quella infinita purezza, cadono nella dannazione e vi permangono perché sono impure, consumate dalla naturale brama di Dio, che in loro diventa odio, disperazione ed eterna infelicità.
Dunque l’anima nostra dev’essere santa con la pratica di una illibata purezza, con una profonda umiltà, ed una grande carità, perché Dio è santo, santissimo; spirito purissimo che per nostro amore ha mandato il suo Figliuolo, ubbidiente ed umiliato sino alla morte di Croce, ed è infinita carità nella sua provvidenza e nella sua infinita misericordia. Non può un cristiano concepire una santità fantastica che indulge alla sua natura, scusandosi o con l’umana debolezza o con le esigenze della vita terrena.
La purezza esige una lotta, tra lo spirito e la carne, tra le due leggi che S. Paolo gemendo constatava in sé, ma proprio per questa lotta l’anima, vincendo, si solleva a Dio. La doppia legge poi la possiamo vedere in un aeroplano moderno specialmente, che può pesare anche centinaia di tonnellate. Questo enorme peso è la legge che lo trasporta verso la terra con una forza che sembra invincibile, anzi che, matematicamente, cresce a misura che il peso va verso la terra, in ragione inversa del quadrato della distanza.
Il peso di un aeroplano è invincibile; è una legge che sembra fatale, come sempre ed in ogni età della vita sembra fatale il peso dell’impurità al Freud ed a quelli della scuola materialistica, che non hanno altra bilancia per valutare l’ictus delle umane attività, né hanno altro peso che l’erotismo, l’impurità della carne e dello spirito... un mucchio di pesante putredine che, secondo essi, determina ogni oscillazione ed ogni calata della coppa della bilancia.
Ma se l’aeroplano ha la legge del peso che lo trae verso la terra, ha anche la legge dell’elevazione che lo trae verso i cieli: ha le ali distese, ha il timone di altezza, ha le eliche o i tubi reattori, ha la benzina che è come... il suo gassificato spirito, che non solo non lo fa cadere, ma lo trae su verso il cielo a migliaia di metri di altezza. La doppia legge che S. Paolo constatava in sé l’ha ogni uomo mortale che peregrina su questa terra di esilio, ma ha pure la grazia di Dio, la forza dei Sacramenti e della preghiera che lo sostiene, e gli fa vincere il peso della carne. Questa grazia S. Paolo l’avvertiva potente in sé, perché sufficiente a vincere completamente in lui l’impeto della sua carne, la tentazione di satana che lo tormentava.
La lotta fra la carne e lo spirito e la vittoria che lo spirito riporta sulla carne è la santità di fronte a Dio, è la santità che ci unisce a Dio purissimo spirito, e con l’umiltà e la carità realizza in noi le parole di Dio: Siate santi perché io sono santo.
Là santità divina è quella che ci fa capire la grandezza di Dio, il merito, come abbiamo detto rispondendo alla stupida ma sconcertante obiezione di quelli che vanno cercando in Dio il merito della sua grandezza. Essi pensano che si merita quando si può fare liberamente il male o il bene e quando l’anima si determina volontariamente al bene. Questo può avvenire nella creatura limitata, quando sta nelle prove terrene, ma non può concepirsi nell’Essere infinitamente perfetto che è tutto santo.
Se concepiamo come merito la limitata, volontaria determinazione al bene, quando potrebbe liberamente scegliere anche il male, non concepiremo come merito il bene completo in un’anima santa che le è come natura, e che è perfezione in atto? E non vedremo infinitamente di più come merito, come sommo merito di santità e di dignità l’essere tutto in atto perfettissimo e santissimo, purissimo spirito?
Santo, Santo, Santo è il Signore Dio!
Se non concepiamo così Dio, infinitamente santo, avremo di Lui un concetto falsissimo e di semplice idolatria, e non l’idea assolutamente vera di Colui che è, infinito principio, infinita sapienza ed infinito amore, e che gli Angeli riconoscono ed adorano, cantando con sommo amore: Santo, Santo, Santo, è il Signore Dio, creatore di tutta la creazione, visibile ed invisibile.
Questo merito sommo di Dio, santissimo e tutto in atto, santissimamente infinito, è tanto vero che quando l’anima umana raggiunge l’eterna felicità non può meritare più, perché è santa, perfetta e purificata; assisa nel grado di gloria è felicissima secondo la capacità acquistata nella vita presente e nella purificazione del Purgatorio, che è un’immensa misericordia di Dio pur nelle pene che l’anima soffre, perché sia più adatta a godere.
Il purgatorio non è un merito, è una purificazione che rende i meriti avuti nella vita adatti alla conquista della felicità senza alcun lutto, clamore o dolore nell’eternità. Nel Purgatorio i pochi frutti meritori della vita si... sbucciano, perché siano dolci e liberi dal mallo spinoso che li copriva; gli occhi veggenti, sì, ma con residuo cisposo, si chiarificano con... collirio di fuoco; lo spirito assonnato, la cui fede era ancora imperfetta, si risveglia nella realtà soprannaturale, con potenti spinte che la dilatano nella brama di Dio e nell’amoroso apprezzamento della sua misericordiosa bontà.
Impotente l’anima a meritare, la raggiungono le indulgenze della Chiesa, tutto frutto dei meriti di Gesù, di Maria e dei Santi, quasi refrigeranti spruzzi di profumata acqua sulla guancia riscaldata dal frizzare della purificazione, e le preghiere dei fedeli la raggiungono come raggiunge un volto rugoso la diadermina, la caliderma o la vellutina, per renderlo più bello allo Sposo infinito, che con infinito amore vuole abbracciarla, nel supremo merito del possesso della gloria, che la fa regina.
L’anima non ha scelta più tra il bene e il male nel Purgatorio, ha conquistato il supremo merito dell’eternità: la gloria, che non può offuscarsi, la felicità che la ricolma secondo la capacità acquistata nella vita e nel Purgatorio, piccola o grande coppa che è tutta colma sempre, senza timore che si svuoti di una sola goccia.
Dio non sceglie tra il bene e il male, perché è sommo bene nella sua divina natura, ed ha infinito merito di gloria perché è perfettissimo, creatore e padrone di tutte le cose, Re supremo che domina nell’amore e si effonde nella misericordia. La sua divina natura e la sua adorabile Trinità è la somma sua gloria. Egli è uno nella natura infinita, e questa è somma ed infinita gloria, che egli comunica solo al Verbo eterno generandolo ed allo Spirito Santo spirandolo insieme col Verbo. Ecco perché Dio dice nella Scrittura: Gloriam meati alteri non dabo. Non darò ad altri la mia gloria.
Non è una parola quasi di orgoglioso assolutismo o egocentrismo, come potremmo dirla noi quando vogliamo esaltarci sugli altri, è una parola di assoluta verità nella vita trinitaria di Dio. Egli non può comunicare la sua natura divina sostanzialmente che al Verbo suo ed allo Spirito Santo, non può dare a nessuna creatura questa sublime gloria e questo altissimo merito di dignità divina. Dicendo: Non darò la mia gloria ad altri parla della divina vita ad intra. Ma nella sua vita ad extra, Egli effonde la sua bontà creando, e santifica le creature ragionevoli con la sua grazia, rendendole partecipi della divina natura.
Come creatore e santificatore Egli è infinitamente generoso nel comunicare la sua gloria, e tollera persino che le creature attribuiscano all’ignoto o a se stesse il merito e la gloria delle manifestazioni della sua potenza, sapienza ed amore, fuori, della sua vita trinitaria ad intra. Le creature, infatti, attribuiscono il più delle volte le meraviglie della creazione e della provvidenza divina alla natura, e dicono che la natura è meravigliosa nelle più piccole manifestazioni di bellezza e di provvidenza, senza riferirsi con senso di riconoscente adorazione ed amore a Dio.
Dicono vedendo un fiore: la natura ha fatto le meraviglie di questi colori e di queste screziature. Di fronte alla mimosa pudica che al tocco si contrae nelle sue foglie, quasi per nascondersi, ed alla pianta pigliamosche, che contrae le valve delle sue foglie per serrarvi l’insetto del quale si nutre come vivo concime, gli uomini stupefatti ammirano la natura che ha fatto queste cose come l’ammirano nelle provvidenze degli animali giganteschi e nei più piccoli insetti, nel corpo di un cetaceo o di un elefante come nella struttura di un’ameba, di una cellula, di un microbo, e non glorificano Dio, ma la natura, cadendo nell’assurdo di chi dicesse che i mobili li ha fatti... la mobilia, e le irrompenti cascate che strapiombano dai monti, le hanno fatte le... acque.
Gli uomini spesso si ricordano di Dio solo per giustificare i propri vizi, massime impuri dicendo che;.. Dio li ha creati con quelle esigenze di obbrobrio. Glorificano gli uomini nelle loro invenzioni, quasi idolatrandoli, e non glorificano Dio che ha dato loro l’intelligenza che li rende scopritori attenti di quello che ha fatto.
Se Dio si glorifica nel Verbo suo, conoscendosi nell’eterna generazione del suo Figliuolo ed amandosi infinitamente per lo Spirito Santo, noi che dobbiamo essere santi perché Dio è santo, e dobbiamo imitate il Padre nostro che è nei Cieli, non dobbiamo essere santi con una purezza illibata che ci fa degni di elevarci a Lui, per la fede, con una purezza incontaminata di mente e di cuore, con una intemerata purezza di anima e di corpo, che ci renda capaci di lodarlo e di amarlo? Se i Leviti dovevano essere santi perché ministravano al Tempio di Dio, non dobbiamo essere santi noi nell’anima e nel corpo che è tempio di Dio?
Puri nella mente, viviamo della sua verità senza ombre, perché è l’impurità che può tristamente annebbiarci, ed in realtà non c’è un miscredente che non sia impuro. Puri nel cuore, lo amiamo sopra tutte le cose, perché l’impuro amore verso le creature ci distacca da Lui.' Puri nei sensi, non profaniamo i doni di natura che Dio ci ha dati, ma, glorificandolo nelle nostre attività, compiamo nella purezza delle intenzioni la missione che ognuno deve compire sulla terra.
O purità, o purità, virtù angelica che può renderci Angeli, pur vivendo noi in un corpo di fango, e che è uno dei fondamenti che fanno fiorire la santità, perché non affascini gli uomini, e perché essi si lasciano affascinare dalle più putride cose? O perché non camminiamo tutti per le vie della purezza e della santità che sole possono darci nell’esilio terreno un placido saggio della felicità eterna che noi dobbiamo sospirare in questa valle di lacrime?
Perché, perché non viviamo tutti, e massime le anime consacrate a Dio, della beatitudine che Gesù Cristo ha proclamata per i puri di cuore? Perché ci concentriamo nella carne miserabile, avendo nei Cieli la nostra meta?...
Ogni carne è come erba,
ed ogni gloria sua è come fiore d’erba
e cadde il fiore...
ma la parola del Signore rimane in eterno...
Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio (Matt. 5, 8).
Siamo pellegrini su questa terra
Noi siamo pellegrini sopra di questa terra, nella quale in realtà non abbiamo nulla di nostra eredità, e passiamo come ombra. Tutto lasciamo, tutto, ed anche il corpo, poiché morendo non è più in nostro possesso, e lo lasciamo alla terra che lo dissolve o ai vermi che lo rodono. Passiamo come in un viaggio determinato, per raggiungere una meta, e la meta è l’eternità, perché abbiamo un’anima immortale, che deve arricchirsi e purificarsi con le prove e le pene della vita presente, per la conquista dell’eterna felicità. Questa è la nostra vita terrena, e la meta ce l’ha indicata Gesù Cristo, venendo sulla terra per tracciarcela, dopo che l’uomo, caduto nel peccato, l’aveva smarrita.
Nell’infinita misericordia Dio mandò in terra il suo Figliuolo eterno, il quale si fece uomo, passò anche Lui come pellegrino, soffrì le nostre pene, s’immolò per nostro amore, e, risorgendo dalla morte, ascese al Cielo tracciandoci così la via per conseguire la nostra meta. Poveri e miseri come siamo, noi veniamo purificati ed arricchiti per l’aspersione del Sangue di Gesù, siamo fortificati dalla grazia che ci viene abbondantemente da Lui per i Sacramenti e vivendo di Lui nell’Eucaristia.
Noi, dunque, non siamo dei miserabili smarriti in questa terra, abbandonati ad un cieco destino o ad un incosciente fato; non siamo dei disperati che annaspiamo tra le tenebre di un labirinto senza uscita o strapiombante in un cupo abisso. Nelle tormentanti incertezze della vita, fatta tutta di interrogativi, di voci clamanti tra monti impervi, che non rispondono nulla, all’infuori dell’eco della nostra angosciata voce, ci pare di sentire una risposta, ma non guida la nostra vita: la disorienta con persuasioni false, eco di nascoste passioni, rimbalzanti come monche voci tra gl’impervi sentieri della vita, come l’eco tra le scoscese gole dei monti.
L’anima domanda dal profondo delle sue ansietà: « C’è Dio? ». Risponde l’eco: « Io », ed essa, accecata, crede solo al suo io, e non c’è smarrimento maggiore che concentrandosi nel proprio io!
L’anima cerca la vita nei tristi balocchi del peccato, come un bimbo cerca l’occupazione nei giocattoli, ma li frantuma, e non raccoglie che cocci che tagliano le mani e le fanno sanguinare.
L’anima, delusa, grida nel vuoto desolante che le si fa d’intorno: « Che cosa rimane di me miserabile? ». E l’eco risponde: « bile. Angoscia ». E grida: « sono dunque smarrita? » E l’eco risponde: « Ita, è così! ». Cerca lo sfogo in una creatura, e si lusinga di trovare appagamento alla sua ansietà tormentosa, ma, a contatto d’un frutto
che sembrava dolce, trova spine, spine velenose che la tumefanno, e grida disperata nel vuoto che le si fa nel cuore: « Sono tutta infelice? » Ed in quel vuoto l’eco risponde con disperante voce cavernosa: « Infelice! ».
Il suo pensiero corre ai salici piangenti, corre ai lugubri cipressi di un camposanto, corre alle fosse, ahimè, alle fosse, come torbida acqua che cerca ingorgarsi nel vuoto e sparire. Non alimenta germogli, li trascina; non apre la corolla ai disseccati fiori sognati nell’ansia della felicità, li travolge nella melma, e come melma cade nell’abisso... senza speranza! Vi pensa, e nel fondo la fantasia vi apre una voragine: ossa spolpate, teschi che non veggono nulla dalle orbite vuote, che non odorano nulla dal vuoto settore di un naso che marcì; scheletri che non si rizzano, tibie disseccate che non si articolano, carpi, metacarpi e falangette che non stringono... il nulla? La putredine soffocante il respiro, onda di morte! Che orrore!...
Di fronte a questo quadro desolante di una vita smarrita, risuona la potente parola di S. Pietro, come sole che sorgendo dissipa la nebbia: « Sia benedetto Dio e Padre del Signor nostro Gesù Cristo, Dio che per la sua grande misericordia ci rigenerò in una speranza viva mediante la resurrezione di Gesù Cristo dai morti, ci rigenerò ad una eredità incorruttibile, immacolata ed inalterabile, serbata nei cieli per voi, che dalla potenza di Dio siete custoditi mediante la fede, per raggiungere la salvezza, che deve manifestarsi nell’ultimo tempo.
Viviamo per salvarci, e la vita presente, nelle sue medesime pene, non deve farci smarrire, perché le pene sono il prezzo di una novella vita di eterna felicità, se siamo fedeli. Sembrano quasi un assurdo, alla presente generazione smidollata, le parole di S. Pietro: Trasalirono di gioia anche se conviene che, proprio per poco tempo, siate molestati da prove di ogni genere, perché in tutte le prove della vita trasalirono di gioia i Santi, e per la fede e la speranza che li animava; la loro vita non fu infelice, ma, unita alla Passione di Gesù Cristo, fu vita di pace e di amore. Credettero in quello che non vedevano, e la loro mente era piena di luce; amarono Colui che non vedevano, ed il loro cuore fu pieno di vita. Vissero austeramente, per la speranza di possedere un giorno l’eterna felicità, modellarono la loro vita sulle parole e gli esempi di Gesù Cristo, e furono santi in tutte le loro azioni.
Per questo S. Pietro esorta i fedeli alla santità, e noi dobbiamo considerare come un nostro dovere la santità. Non possiamo limitare la nostra vita cristiana a fuggire i peccati gravi, ma dobbiamo cercare la perfezione, anche a costo di sacrifici, ricordando le parole di Gesù Cristo: Chi vuole venire appresso a me rinneghi se stesso, prenda la sua croce emi segua. Non possiamo formarci un concetto della perfezione con le nostre idee ed i nostri apprezzamenti.
Oggi c’è la mania di « aggiornarsi » ai tempi
Oggi è facilissimo il voler quasi cristianizzare lo spirito del mondo, o mondanizzare i precetti della santificazione dell’anima nostra con massime che sono agli antipodi con le massime dei Santi. Si pretende con una parola che sembra fatidica, aggiornarsi ai tempi, mutare i principi fondamentali della perfezione; è per questo che lo spirito del mondo è penetrato persino nelle case religiose, e nei Seminari dove si formano i leviti della casa del Signore. Il mondo ha preteso di modificare l’Evangelo ed aggiornarlo.
È così che si giustificano le passioni (dalle quali i Santi aborrirono) con un ipocrito slogan che vorrebbe contestare tutto con un più ipocrito sorriso di innocente semplicità: che male c’è? Ed è logico che, quando la coscienza si è cauterizzata, non si vegga più il male anche nelle azioni più obbrobriose. È logico che certe nature e certe anime profondamente difettose e viziate si ribellino ad ogni riprensione, ad ogni avviso salutare, fatto loro per sincero bene, e veggano solo col loro occhio cisposo di orgoglioso risentimento.
È logico che le anime, prese dal loro pensiero e dai loro apprezzamenti, non intendano più le parole della verità, immerse come sono nelle tenebre che credono bene, nei risentimenti che credono giustizia, nelle dispettose reazioni che rasentano la follia. È una cosa da considerarsi profondamente, perché le anime, così disorientate, peccano con facilità mortalmente contro la carità, con sospetti che non hanno fondamenti, con giudizi temerari che credono evidenze, con scatti di gelosia e persino di odio, che credono reazione giusta e ragionevole ad un male, che però non esiste, ma che scaturisce dal loro cervello dissestato.
Queste anime piene di se stesse non si umiliano mai, non si riconoscono mai colpevoli; soffocano i rimorsi salutari esaltando la propria rettitudine, per qualche opera buona che fanno, compiacendosi del loro ingegno, e riguardando gli altri come scervellati e stolti, illudendosi di vedere esse sole giustamente, divorate, come sono, da intimo orgoglio; e, commettendo peccati gravi, si mettono al livello del Fariseo che, lodandosi, si credeva giusto, anzi santo, e, disprezzando il pubblicano, giudicandolo vile e riprovevole a paragone suo, fu riprovato da Dio.
Insistiamo, gemendo, su questo punto, perché oggi è facilissimo trovare anime così disorientate, incapaci di obbedienza, perché credono di potersi guidare da sé, ribelli a quelli che sono posti da Dio per curarle; ribelli fino al disprezzo di loro, all’insulto volgare, al presuntuoso giudizio di condanna, irruente nella forma e dilagante nella mormorazione. Peccano così mortalmente, e s’illudono di essere innocenti, di fruire della libertà che Dio ha loro data, di essere anzi lodevoli per la loro franchezza, soddisfatte di aver detto le cose nella verità, piene perciò dello spirito di Dio, quando sono agitate dallo spirito diabolico.
... e il « non serviam! » urla la sua ribellione a Dio
È per questo spirito diabolico, che si manifesta nell’agitazione, nella irruenza nel credersi vittime d’ingiustizie, nel gridare volgarmente, nel non voler ragionare, che queste povere anime sono ingrate ai doni di Dio, sono incapaci di conversione, e corrono il pericolo di eterna rovina. Dolorosamente è per questo spirito orgoglioso, tracotante, ribelle, pieno di sé, pronto al diabolico non serviam, acquiescente con facilità alle tentazioni, che oggi si lamenta la defezione e l’apostasia di tanti Sacerdoti e di tante anime consacrate a Dio.
È per questo spirito che oggi riesce impossibile formare le anime pie ad una vera e maschia virtù, con prove che demoliscano la loro natura. Oggi le anime debbono carezzarsi, cioè talvolta bisogna seguirle nei loro squilibri con una prudenza della carne che acquiesce alle loro miserie per amore di pace, e si crede di aver fatto molto quando si è riusciti a scongiurare una tragedia o a soffocare uno scandalo sotto i sarmenti della tolleranza. È così che chi sta a capo non ha più autorità, ma è un succubo della critica, della resistenza e della ribellione di chi dovrebbe guidare, riprendere, raddrizzare, elevare, provare, per condurre le anime alla santità.
Dove sono i... Filippi Neri che potevano ottenere dal Cardinale Baronio, dottissimo storico, la rinunzia di sé portando per le vie principali di Roma una damigiana, per comprarvi un quarto di aceto? Il Baronio obbedì, e quell’atto fu una dura sconfitta per satana, e la damigiana fu come un robusto piede che gli schiacciò il capo. Dove sono i Santi Dositei, che al comando di S. Doroteo obbedivano, camminando sulle acque per soccorrere un frate che annegava?
Dove sono gli umili fraticelli, che alla voce dell’obbedienza innaffiavano un palo secco, e lo rendevano fiorente; piantavano i broccoli con la radice in su, e li vedevano rigogliosi; che alla severa e sprezzante parola di rimprovero, cadevano in ginocchio baciando la terra ed implorando perdono? Erano folli i capi e folli i sudditi, come li giudicano oggi le anime moderne, delle quali abbiamo dato appena un accenno più sopra?
Ma che cosa sarebbe dunque la parola di Gesù: Rinnega te stesso, prendi la tua croce e seguimi? E qual valore avrebbe la parola di S. Pietro: Colui che vi chiamò è santo, e diventate pure voi santi in tutta la vostra condotta, e la parola di Dio: Siate santi perché io sono santo, con la quale San Pietro conferma la sua vibrante esortazione? Quale dunque il senso di questa arcana, divina parola: Siate santi perché io sono santo?
O mio Dio, o mio Dio,
tutto mi testimonia la tua potenza!
L’anima mia, misera e poverella, tenta di levare il trepido ed annebbiato sguardo a te, o infinito Dio, e per levarlo attraversa tutta la creazione, come cosmonauta, nella ristretta capsula della sua mente, e nel vibrante razzo che la spinge in alto, la fede, con lo scoppio del cuore che vi ama e che vorrebbe amarti consumandosi per te, o Dio, o Dio! Tutto mi parla di Te, eppure non ti vedo; tutto mi testimonia la tua potenza, eppure non so misurarla; tutto la tua sapienza, eppure non so comprenderla; tutto il tuo amore, eppure non so infiammarmi! Tutto è riflesso della tua bontà, eppure non so commuovermi.
Sei luce infinita, ma lo splendore mi acceca, perché vorrei vederti, ma l’occhio mio può scorgerti solo nello schermo oscuro della fede, che mi fa intravedere la tua infinita bellezza, quando umiliandomi ti contemplo e ti prego. Sei come una stella lontana, che spunta da una nebulosa immensa, la cui luce è come un uragano di fiamma, e giunge a me come un punto tremolante, dopo miliardi di secoli, percorrendo trecentomila chilometri al secondo, ed ogni secondo è un lampo, ogni lampo una luce che avanza nella sorridente oscurità della notte, che in quel lampo, in quei lampi s’illumina... Dio, mio Dio, come posso scrutare la tua grandezza, come posso estasiarmi della tua santità? Sono tanto piccolo, tanto meschino; posso solo amarti adorandoti... credo!
Io sono sulla terra, io, minuscolo atomo che ci si smarrisce, eppure è tanto piccola innanzi a te; un polveroso granello che rotea nello spazio, e a quel granello tu tracciasti il cammino intorno al sole, perché s’illuminasse e si riscaldasse. Piccolo come sono, i monti nella loro gravitante mole par che mi schiaccino, e nella loro catena fra- stagliata... picchi che s’ergono e valli inabissate, acque che sgorgano, cascate che strapiombano, fiumi che s’avanzano, nastri d’argento tra le fulve rive... io m’incanto ed in quelle altezze veggo un pallido riflesso della tua maestà; nel disordine di quelle vette veggo la tua bellezza; in quelle acque la tua bontà che si effonde, nel loro rigurgito la tua provvidenza che feconda, e, negli immensi mari dove sfociano, la tua misericordia che dilata ed abbraccia... Dio, ordine infinito, bentà infinita, carità, carità infinita!... Credo!
La vita: ad un cenno della tua parola dalla terra che germoglia, dai mari che brulicano di piccoli e giganteschi esseri che guizzano! Dalle erbose valli gli animali domestici che vi muggiscono, e le fiere che ruggiscono, e gli uccelli che cantano... tutto un inno di vita, e tu sei vita, e tu solo mio Dio, eterna vita che è tutta in te; senza principio perché è in te; senza fine perché è eterna; senza mutamenti, perché è tutta in atto, tutta perfetta nella sua infinita semplicità: potenza che si effonde, sapienza che ordina, amore che abbraccia le sue creature, e nella sua eterna, semplicissima essenza, conoscenza infinita di Sé che genera il Verbo eterno, amore infinito che lo ama ed è amato... Dio, Dio mio, ti credo e ti adoro!
Dai monti all’atomo tutto è materia, grezza nei monti, e quasi spiritualizzata nell’atomo che diventa energia. Nell’immenso firmamento miliardi di corpi che si muovono con una danza matematica, ordinata da Dio con infallibili leggi, delle quali nessuna fallisce, e nell’atomo elettroni che si muovono intorno al nucleo, miniatura del firmamento, ma anche potenza di forze che vi ha poste Dio. Ancora una volta, materia che diventa energia, che diventa forza. Canto dei cieli stellati e sommessa voce di gloria negli atomi. E sopra i cieli, nel cielo eterno, miriadi di Angeli e la loro voce, come inno di gloria, che si leva potente innanzi a Dio; Santo, santo, santo il Signore Dio onnipotente, principio e fine di tutte le creature che come un esercito obbedisce al comando, Sabaoth!
La santità è spiritualità; e chi è più santo di Dio, spirito purissimo? La santità è perfezione; e chi è più perfetto di Dio che è perfettissimo nella sua infinita semplicità? Santità è carità; e chi è più santo di Dio che è infinita carità, è amore? Santità è effusione di bene; e chi è più santo di Dio che effonde Se stesso nella generazione del Verbo, e che fuori effonde la sua bontà creando, e la sua vita con la grazia? Santità è misericordia e perdono; e chi è più santo di Dio, che usò misericordia mandando il suo Figlio sulla terra per perdonare con il suo sacrificio agli uomini caduti? Santità è espansione di dolcezza che beatifica; e chi è più santo di Dio infinita dolcezza per le anime alle quali si comunica con la sua grazia, per lo Spirito Santo, eterno e vivificante Amore, eterna felicità per le anime che si uniscono a Lui? Santità è verità; e chi più santo di Dio, verità eterna che è colui che è?
Chi potrebbe volere scrutare la ragione del suo infinito essere, se Egli è colui che è, e la ragione del suo essere è in Lui stesso, perché il solo essere necessario, il merito, diciamo così, della sua esistenza e della sua perfettissima perfezione, come la perfezione, di una verità assiomatica è nella medesima semplicità del suo enunziato? Santità è l’estetica del bene, ed Egli è sommo Bene, bellezza infinita che incanta e delizia quelli che lo contemplano. Santità è fioritura di un’anima; e chi più santo di Dio che fiorisce nell’infinito Verbo nell’eternità, e fiorisce in Maria nel tempo, alta e sublime più che creatura?
E i Santi non sono fioritura della grazia e dell’amore di Dio? Ciò che è ha il merito nella sua stessa natura, perché il merito è frutto di vita, e Dio è la vita, è colui che è, il suo stesso essere da Sé possiamo riguardarlo nella luce di quello che noi chiamiamo merito, e possiamo dire con trepidante ammirazione: Dio ha fatto Dio, perché è essere da Sé, Dio è tutto, perché è essere necessario e senza di Lui nulla è stato fatto di ciò che è fatto; dunque nella necessità assoluta del suo essere c’è la ragione di ciò che è fatto, e l’ha fatto Lui, artefice supremo di tutto con la parola onnipotente della sua divina essenza.
E non sarebbe merito per un operaio formare, non dico un mondo, ma un piccolo giocattolo con una parola? E il giocoliere quasi lo ha in sé e lo effonde da sé, e lo effonde da sé con una parola arguta e con un gesto ardito. Perché, mio Dio, hai detto che tu giochi, ludens in orbe terrarum?
O giocoliere divino, che hai formato non un pupattolo ma l’universo, e nell’armonia di mille e mille leggi fisiche e chimiche, nell’ordinato loro intreccio, nelle sorprese del loro sviluppo, dai continuamente al mondo spettacoli meravigliosi di forza, di equilibrio e di fecondità... O merito stupefacente dell’infinita essenza!... E tutto cade e si dissolve come vestimento che veterasce, e tu rimani, o Dio, perché tu solo sei, e mostri che nulla è necessario fuori di te, giocoliere divino, come, diremmo, il giocoliere che mette mille oggetti sul tavolo, e ad uno ad uno li fa sparire, bolle di sapone iridescenti, che ad un tocco spariscono e lasciano vedere solo il tavolo.
Io mi smarrisco nella tua infinita semplicità, o mio Dio, merito infinito della tua semplicissima essenza, e veggo la fecondità infinita di questa semplicità considerando quello che hai fatto e quello che fai. O motivo grande di adorazione e di amore che tu mi dai, Signore; o apprezzamento della tua santità, merito infinito che in armonia senza contrasti è misericordia e giustizia, è dolcezza umilissima e maestà formidabile, che è bontà che premia ed infinita rettitudine che condanna, calamita che attrae, ed elettrodo che respinge il polo negativo che di saturarsi presume di positivo, la creatura che nell’orgoglio del peccato si esalta contro Dio, come si esaltarono Lucifero e gli Angeli ribelli e furono repulsi per la loro pretesa di essere simili a Dio. Eppure potevano esserlo nell’umile merito della sottomissione, e nell’eterna felicità potevano dire: siamo simili a Lui, perché lo vediamo faccia a faccia e per la sua grazia ci beiamo di Lui.
Mi fermo presso un albero fiorito
Ed io, nella mia stupida semplicità, mi fermo presso un albero fiorito che si carica di frutti: quale è il tuo merito per fiorire così? E l’albero risponde: fiorisco, fruttifico. E domando al piumato uccellino: qual è il merito tuo, o piccola creatura di Dio? E l’uccellino risponde con gorgheggi: io canto, le corde della mia piccola gola vibrano, ed il mio respiro le fa vibrare in un richiamo di gioia. E domando all’onda che risucchia, e che tra gli aridi scogli s’infrange, sfavilla in mille gocce, mormora un poco... tace e si ritira, ricominciando la sua danza: qual è il tuo merito, o flutto che rinnovi e mantieni la marina frescura? E il flutto mi risponde: obbedisco al vento, mi muovo, ondeggio, irrompo, riposo, taccio e di nuovo obbedisco perché la mia vita è il moto fino al limite postomi da Dio: fin qui frangerai le tue onde.
E domando ai monti che sorgono dal mare, e quasi sogghignano a quel mobile elemento che sembra irrequieto: o monti, qual è il merito della vostra maestosa stabilità? E i monti mi rispondono: stiamo fermi nella gravitante nostra mole. Ogni creatura ha, dunque, il merito di quello che è nella sua stessa natura e nell’attività sua ordinata.
Ancora una volta, con trepidante amore, io ti domando, o mio Dio, perdonami, ma satana a volte disorienta le creature con questa domanda stolta: « Qual è il tuo merito? » E tu mi trasporti con profonda contemplazione nella eternità, che a me già mostrasti. Che cosa è, o mio Dio? Io immagino una cosa lontana lontana, e guardo come nel buio; io penso ad una cosa immobile nel vuoto di una immensità, e mi sperdo; io mi volgo alla meridiana del sole, all’orologio, alla clessidra, e con la fantasia invento gl’indici per computare i secoli a miliardi nel passato... Ma non è questa la eternità; è la verità che sussiste, è quello che è, sei tu mio Dio, eri tu, mio Dio, dove nulla vi era, dove il tempo non aveva misura, dove tu solo eri in te, da te, per te. Verità eterna sempre in atto: tutto presente a te che solo eri, tutto presente anche quando creasti gli Angeli e l’universo, anche quando le orbite degli astri fuggenti cominciarono a segnare il tempo sul quadrante dei cieli, ed il cosmo nello stato di caos numerava i giorni della diffusione della tua bontà fuori della tua infinita natura, ad extra. Erano giorni non segnati sui meridiani terrestri, ma sui meridiani del caos; giorni di milioni di secoli. Ma non passavano ancora... tu solo eri nel principio.
Ed ecco, io ti contemplo, tu guardi te stesso con la tua mente infinita, ti conosci per quello che sei, non verità vaga, non esistenza confusa, non realtà che s’immagina, come i piccoli uomini immaginarono gl’idoli; nella conoscenza tua generavi il Verbo, perché era conoscenza infinita di te infinita verità; conoscenza infinita dell’Infinito, che essendo sussistente, non era uno sguardo che si posa e passa, era una persona generata che ti conosceva perché era tua conoscenza infinita. E tu guardandoti nell’eternità fosti come divino fiore che sboccia dalla divina pianta; come luce che dardeggia dall’infinito sole, come fontana divina, Fontana Deitas come ti chiama la Chiesa; è la tua sussistente intelligenza di te, da te fu generata e fu tuo Figlio. Io povero nulla dico fu, ma non fu, era ab aeterno della tua realtà eterna.
Ti compiacesti, mio Dio, di te con compiacimento di verità; si compiacque il tuo Verbo che era da te ed era in te, e spirò un amore infinito, sussistente, da due persone divine: lo Spirito Santo. Se non ti fossi conosciuto saresti stato un fantasma; se non ti fossi amato, saresti stato una fatalità; e niente è più arido di una fatalità, come niente è più oscuro di un fantasma vago, che si suppone, ma non è, e tu sei Colui che sei.
È nella Trinità adorabile, mio Dio, oso dire il tuo merito eterno, nella Trinità eri Dio vero, Colui che è, e come l’uomo è quando è come coagulato nel seno materno, come disse Giobbe, sicut lac me coagulasti, perdonami mio Dio, tu fosti come coagulato nella eterna verità per il mistero della tua adorabile Trinità. E quale spirito infernale può dire: quale è mai il tuo merito? Merito in te, da te, per te!
Chi conosce Dio non merita? E tu ti conoscesti infinitamente. Chi ama Dio non merita? E tu ti amasti infinitamente. Chi, conoscendosi potente, sapiente ed amore, opera effondendo fuori di sé la sua potenza, la sua sapienza ed il suo amore nelle opere sue, non merita? E tu effondesti la tua bontà fuori di te e creasti innumerevoli meraviglie invisibili e visibili. E gli Angeli, adorandoti nel loro puro spirito, non dissero, amando: per te, per tuo merito, siamo, viviamo e siamo beati: santo, santo, santo, sei tu infinito Dio, Uno e Trino? E gli Angeli che non ti adorarono e si compiacquero di loro orgogliosamente, rimasero muti, e, staccati da te, precipitarono.
E le creature tutte, nella loro esistenza e nella loro vita consciamente o inconsciamente non erano esistenti e viventi per merito di Dio, Uno e Trino? E l’uomo creato ad immagine e somiglianza di Dio, non fu anima vivente per il soffio divino del tuo Spirito, e, caduto, non risorse per merito di Dio umanato? Per questo la più bella e più pura creatura di Dio, immacolata, cantò quando per merito divino fu madre del Verbo incarnato in lei, voce purissima che per il Verbo in lei vivente, lode eterna di Dio, cantò per tutte le creature, visibili ed invisibili: Magnificat anima mea Deminum.
O ineffabili misteri d’infinita luce, voi ci tracciate il cammino della santità!
O ineffabili misteri d’infinita luce che ci tracciano il cammino della santità: Siate santi perché io sono santo... siate perfetti come è perfetto il Padre vostro che è nei cieli.
Dunque, la santità implica il concetto di una somiglianza con Dio, e completa il disegno di Dio che ci creò ad immagine sua. Se non raggiunge questa vetta non è immagine, è sgorbio, è quasi una caricatura. Un’immagine è vera ed artistica quando riproduce i lineamenti di una persona che rappresenta in un modo il più che è possibile perfetto. Non può riprodurre la vita, perché è creta modellata, è marmo scolpito, è bronzo fuso; ma con un gesto di posa può riprodurre, in un atteggiamento, l’espressione umile della sua vita. La posa o l’atteggiamento di un’immagine, per quanto espressiva, ha sempre qualche cosa di umile di fronte al modello.
Il Mosè di Michelangelo, con le tavole della Legge che Dio gli aveva date, con lo sguardo minaccioso al popolo che delirava intorno al bue conflatile di oro, par che viva. Ma non balza dal seggio perché è marmo; tanto espressivo, non vive; è un’immagine in posa di potenza, ma in umiltà di espressione, tanto che Michelangelo, quasi esasperato da quella impotenza, gli percosse il ginocchio col martello esclamando: Perché non parli? Ed il Mosè non parlò e non parla, perché nella sua espressione forte era, in realtà, in una realtà di somma umiltà, era marmo. La sua artistica espressione in certo modo parlava a chi lo vedeva, ma in chi lo vedeva si articolava, per così dire, una parola per l’impressione che faceva quella statua.
Siate santi perché io sono santo, dice Dio e ripete S. Pietro in suo nome, e la creatura, immagine di Dio come può esserlo? Dio è tutto, essa è poco più che nulla: Dio è l’essere necessario, essa è contingente; Dio è eterno essere da Sé, essa nasce nel tempo da una donna, e vive sulla terra per un tempo tanto breve, che passa come ombra; Dio è immutabile, perché perfettissimo in ogni suo attributo; essa è imperfetta, e non rimane mai nello stesso stato, come dice Giobbe, ed è piena di miserie; Dio conoscendosi genera il Verbo infinito ed è fiamma di eterno amore, è carità; essa conoscendosi è impotente e misera senza la grazia di Dio; Dio è infinita potenza, infinita sapienza, infinito amore in un’eterna felicità; essa è tanto fragile, è stolta nei suoi pensieri, è torbida e desolata nei suoi affetti...
Povera creatura, non puoi ascendere alla santità che in un profondo atto di umiltà che attira su di te la grazia di Dio che ti trasforma e ti eleva. È il primo gradino della santità che per la grazia ti rende partecipe della divina natura. E tu nell’umiltà ascendi, perché Egli ti guarda e ti abbellisce di grazia. Ascolta la parola della più santa creatura, che magnificò Dio più di tutte le creature, e vedi quale fu il segreto della sua santità: Dio guardò l’umiltà della sua serva...
operò in me cose grandi per il suo santo nome, e per la sua misericordia.
Umiltà, umiltà, umiltà...
Dunque, o creatura chiamata alla santità, se vuoi raggiungerla umiliati profondamente innanzi a Dio. L’anima che non si umilia, che è piena di sé, che si concentra in sé esaltandosi nella sua estimazione di fronte agli altri, non attira la grazia di Dio, si stacca da Lui come se ne staccò Lucifero, compiaciuto di sé. Per l’umiltà l’anima partecipa alla santità di Dio: Egli genera il Verbo conoscendosi ed il Verbo è lode sua, infinito come Lui nella natura divina, e l’anima conoscendosi nella sua limitazione non genera un verbo di lode, ma di umiltà, perché dalla limitazione e dalla miseria non può sorgere l’esaltamento, ma l’umile abbandono alla grazia ed alla misericordia di Dio.
Se l’anima non si umilia con amore, è dispersa da Dio. Ascolta Maria: Dispersit superbos mente cordis sui. Dio conoscendosi generò il Verbo e col Verbo spirò l’infinito Amore, e l’anima conoscendosi si umilia innanzi a Dio, e Dio la esalta: exaltavit humiles, l’abbraccia con la sua grazia, la riempie di beni, la riceve come sua figlia, come sua serva fedele, e da essa spira l’amore che la unisce a Dio, la satolla di Lui, perché lo brama, esurientes ìmplevit bonis, e nel suo amplesso la santifica col bacio della sua misericordia: recordatus misericordiae suae.
Oh, se le anime capissero questo segreto di vera santità che è l’umiltà! Oh, se intendessero che la grandezza vera della santità è l’umiltà! Il firmamento del cielo è immenso, e chi può raggiungerlo, chi può dirsi simile a lui? I monti, i mari, i continenti non possono darne un’idea, non possono elevarsi in somiglianza con lui. Solo il piccolissimo atomo, la più umile delle creature, invisibile, porta nella sua struttura la somiglianza col firmamento.
Dio è infinito, l’anima è piccolissima innanzi a Lui; ma se per l’umiltà si fa atomo può portare nella sua piccolezza la somiglianza con Dio per la grazia. Umiliarsi non è avvilirsi, è conoscenza di verità, e la verità della nostra piccolezza, come nell’atomo fissato o scisso, genera un’ardente fiamma di amore a Dio, fiamma di adorante apprezzamento di Lui, e questo è santità di unione mistica, ascesa di somma santità.
O anime che aspirate alla santità, perché Dio è santo, umiliatevi innanzi a Dio, e colpite tutte le occasioni della vita terrena per umiliarvi innanzi a Dio ed innanzi alle stesse creature che ve ne dànno occasione, per glorificare Dio nella vostra santificazione profonda. Dall’umiltà, come fioritura di un ceppo virente, sboccia l’altro ramo dell’amore a Dio, che è l’amore al prossimo, la carità, la pace.
Il Verbo di Dio si umiliò facendosi uomo, sino alla morte di Croce, e se la divina sua maestà volle umiliarsi per noi, facendosi obbediente sino alla morte, noi potremo trovare difficoltà ad umiliarci? Togliamo dalla nostra vita tutto quello che è superbia: un giudizio duro sugli altri è superbia, una parola frizzante è saetta di superbia, un dispetto è superbia che reagisce, una contesa è superbia che vuole imporsi,... ogni mancanza di umiltà è come barriera che si oppone al fluire della grazia di Dio che ci santifica.
... purezza!
Per questo S. Pietro, dopo aver esortato a considerare Gesù Cristo umiliato per noi sino alla morte, esclama perché ne imitiamo l’esempio con la carità: Dopo che avete purificato le anime vostre con l’obbedienza alla verità, possedete un amore fraterno senza finzioni, di cuore; a vicenda amatevi continuamente, poiché foste rigenerati, non da un seme corruttibile, ma incorruttibile, mediante la parola di Dio viva e persuadente.
Siate perfetti com’è perfetto il Padre vostro che è nei cieli, disse Gesù; ora, Dio è spirito purissimo e noi, per elevarci a Lui nella santità, dobbiamo essere puri. È una condizione posta da Gesù Cristo: Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio. L’impurità è il flaccido schermo che c’impedisce di vedere Dio in questa vita e nell’altra, perché è concentramento nella carne, ed è assurdo che colui che si rende schiavo della carne possa sollevarsi a Dio che è purissimo Spirito. S. Paolo si lamentava di avere in sé una doppia legge, una che lo traeva alla terra ed una che doveva sollevarlo al cielo, e si dichiarava infelice per la miseria della carne, sospirandone la liberazione: «t Infelice me, uomo; chi mi libererà dalla morte di questo corpo? » Eppure l’impurità ci si presenta come piacere, come felicità dei sensi.
È la generale e la più stupida delle passioni, che travolge l’uomo dall’infanzia alla estrema vecchiezza. È stupida, perché per un diletto obbrobrioso produce uno sconvolgimento penoso, che porta con sé la sanzione di malanni penosissimi. Qualunque passione ha l’illusione di raggiungere quello che brama, anche se le costa sacrificio. L’impurità non raggiunge mai quello che brama, perché quando crede di averlo, è come fuoco che bruciando consuma, che dilettando degrada, che soddisfatta lascia più furente la brama.
È desolante il pensare che nel giudizio universale, dove sono raccolti miliardi di uomini di tutti i secoli si numerano solo cento- quaranta quattro mila segnati dell’aureola della purezza, che seguono l’Agnello divino dovunque vada, e cantano un cantico che nessuno può cantare. Eppure gli eletti purificati dalla penitenza e dalla misericordia di Dio, sono certamente un esercito sterminato, e vanno tutti incontro a Dio, purissimo spirito. Portano tutte le stimmate della penosissima ma misericordiosa purificazione del Purgatorio, che anche allora fa capire quanto è necessario essere puri per ascendere a Dio, purissimo spirito.
Tra tanti miliardi di creature una sola è purissima, l’immacolata Maria Vergine che potette ascendere al Cielo anche col corpo, senza passare per la purificazione della morte, assunta alla gloria, immersa tutta in Dio, come nessuna creatura potette slanciarvisi.
Questa statistica desolante della purezza nel mondo e nei secoli, ci fa capire di più quanto è doveroso per un cristiano essere puro per rispondere al comando di Dio: Siate santi perché io sono santo, spirito purissimo. L’inferno stesso, il terribile inferno, che sembrerebbe suscitare un tremendo pallore di spietatezza per la sua eternità, ci fa capire come Dio, purissimo spirito, repelle da Sé le anime impure, e come queste nella loro estrema miseria, volontariamente aborrono da quella infinita purezza, cadono nella dannazione e vi permangono perché sono impure, consumate dalla naturale brama di Dio, che in loro diventa odio, disperazione ed eterna infelicità.
Dunque l’anima nostra dev’essere santa con la pratica di una illibata purezza, con una profonda umiltà, ed una grande carità, perché Dio è santo, santissimo; spirito purissimo che per nostro amore ha mandato il suo Figliuolo, ubbidiente ed umiliato sino alla morte di Croce, ed è infinita carità nella sua provvidenza e nella sua infinita misericordia. Non può un cristiano concepire una santità fantastica che indulge alla sua natura, scusandosi o con l’umana debolezza o con le esigenze della vita terrena.
La purezza esige una lotta, tra lo spirito e la carne, tra le due leggi che S. Paolo gemendo constatava in sé, ma proprio per questa lotta l’anima, vincendo, si solleva a Dio. La doppia legge poi la possiamo vedere in un aeroplano moderno specialmente, che può pesare anche centinaia di tonnellate. Questo enorme peso è la legge che lo trasporta verso la terra con una forza che sembra invincibile, anzi che, matematicamente, cresce a misura che il peso va verso la terra, in ragione inversa del quadrato della distanza.
Il peso di un aeroplano è invincibile; è una legge che sembra fatale, come sempre ed in ogni età della vita sembra fatale il peso dell’impurità al Freud ed a quelli della scuola materialistica, che non hanno altra bilancia per valutare l’ictus delle umane attività, né hanno altro peso che l’erotismo, l’impurità della carne e dello spirito... un mucchio di pesante putredine che, secondo essi, determina ogni oscillazione ed ogni calata della coppa della bilancia.
Ma se l’aeroplano ha la legge del peso che lo trae verso la terra, ha anche la legge dell’elevazione che lo trae verso i cieli: ha le ali distese, ha il timone di altezza, ha le eliche o i tubi reattori, ha la benzina che è come... il suo gassificato spirito, che non solo non lo fa cadere, ma lo trae su verso il cielo a migliaia di metri di altezza. La doppia legge che S. Paolo constatava in sé l’ha ogni uomo mortale che peregrina su questa terra di esilio, ma ha pure la grazia di Dio, la forza dei Sacramenti e della preghiera che lo sostiene, e gli fa vincere il peso della carne. Questa grazia S. Paolo l’avvertiva potente in sé, perché sufficiente a vincere completamente in lui l’impeto della sua carne, la tentazione di satana che lo tormentava.
La lotta fra la carne e lo spirito e la vittoria che lo spirito riporta sulla carne è la santità di fronte a Dio, è la santità che ci unisce a Dio purissimo spirito, e con l’umiltà e la carità realizza in noi le parole di Dio: Siate santi perché io sono santo.
Là santità divina è quella che ci fa capire la grandezza di Dio, il merito, come abbiamo detto rispondendo alla stupida ma sconcertante obiezione di quelli che vanno cercando in Dio il merito della sua grandezza. Essi pensano che si merita quando si può fare liberamente il male o il bene e quando l’anima si determina volontariamente al bene. Questo può avvenire nella creatura limitata, quando sta nelle prove terrene, ma non può concepirsi nell’Essere infinitamente perfetto che è tutto santo.
Se concepiamo come merito la limitata, volontaria determinazione al bene, quando potrebbe liberamente scegliere anche il male, non concepiremo come merito il bene completo in un’anima santa che le è come natura, e che è perfezione in atto? E non vedremo infinitamente di più come merito, come sommo merito di santità e di dignità l’essere tutto in atto perfettissimo e santissimo, purissimo spirito?
Santo, Santo, Santo è il Signore Dio!
Se non concepiamo così Dio, infinitamente santo, avremo di Lui un concetto falsissimo e di semplice idolatria, e non l’idea assolutamente vera di Colui che è, infinito principio, infinita sapienza ed infinito amore, e che gli Angeli riconoscono ed adorano, cantando con sommo amore: Santo, Santo, Santo, è il Signore Dio, creatore di tutta la creazione, visibile ed invisibile.
Questo merito sommo di Dio, santissimo e tutto in atto, santissimamente infinito, è tanto vero che quando l’anima umana raggiunge l’eterna felicità non può meritare più, perché è santa, perfetta e purificata; assisa nel grado di gloria è felicissima secondo la capacità acquistata nella vita presente e nella purificazione del Purgatorio, che è un’immensa misericordia di Dio pur nelle pene che l’anima soffre, perché sia più adatta a godere.
Il purgatorio non è un merito, è una purificazione che rende i meriti avuti nella vita adatti alla conquista della felicità senza alcun lutto, clamore o dolore nell’eternità. Nel Purgatorio i pochi frutti meritori della vita si... sbucciano, perché siano dolci e liberi dal mallo spinoso che li copriva; gli occhi veggenti, sì, ma con residuo cisposo, si chiarificano con... collirio di fuoco; lo spirito assonnato, la cui fede era ancora imperfetta, si risveglia nella realtà soprannaturale, con potenti spinte che la dilatano nella brama di Dio e nell’amoroso apprezzamento della sua misericordiosa bontà.
Impotente l’anima a meritare, la raggiungono le indulgenze della Chiesa, tutto frutto dei meriti di Gesù, di Maria e dei Santi, quasi refrigeranti spruzzi di profumata acqua sulla guancia riscaldata dal frizzare della purificazione, e le preghiere dei fedeli la raggiungono come raggiunge un volto rugoso la diadermina, la caliderma o la vellutina, per renderlo più bello allo Sposo infinito, che con infinito amore vuole abbracciarla, nel supremo merito del possesso della gloria, che la fa regina.
L’anima non ha scelta più tra il bene e il male nel Purgatorio, ha conquistato il supremo merito dell’eternità: la gloria, che non può offuscarsi, la felicità che la ricolma secondo la capacità acquistata nella vita e nel Purgatorio, piccola o grande coppa che è tutta colma sempre, senza timore che si svuoti di una sola goccia.
Dio non sceglie tra il bene e il male, perché è sommo bene nella sua divina natura, ed ha infinito merito di gloria perché è perfettissimo, creatore e padrone di tutte le cose, Re supremo che domina nell’amore e si effonde nella misericordia. La sua divina natura e la sua adorabile Trinità è la somma sua gloria. Egli è uno nella natura infinita, e questa è somma ed infinita gloria, che egli comunica solo al Verbo eterno generandolo ed allo Spirito Santo spirandolo insieme col Verbo. Ecco perché Dio dice nella Scrittura: Gloriam meati alteri non dabo. Non darò ad altri la mia gloria.
Non è una parola quasi di orgoglioso assolutismo o egocentrismo, come potremmo dirla noi quando vogliamo esaltarci sugli altri, è una parola di assoluta verità nella vita trinitaria di Dio. Egli non può comunicare la sua natura divina sostanzialmente che al Verbo suo ed allo Spirito Santo, non può dare a nessuna creatura questa sublime gloria e questo altissimo merito di dignità divina. Dicendo: Non darò la mia gloria ad altri parla della divina vita ad intra. Ma nella sua vita ad extra, Egli effonde la sua bontà creando, e santifica le creature ragionevoli con la sua grazia, rendendole partecipi della divina natura.
Come creatore e santificatore Egli è infinitamente generoso nel comunicare la sua gloria, e tollera persino che le creature attribuiscano all’ignoto o a se stesse il merito e la gloria delle manifestazioni della sua potenza, sapienza ed amore, fuori, della sua vita trinitaria ad intra. Le creature, infatti, attribuiscono il più delle volte le meraviglie della creazione e della provvidenza divina alla natura, e dicono che la natura è meravigliosa nelle più piccole manifestazioni di bellezza e di provvidenza, senza riferirsi con senso di riconoscente adorazione ed amore a Dio.
Dicono vedendo un fiore: la natura ha fatto le meraviglie di questi colori e di queste screziature. Di fronte alla mimosa pudica che al tocco si contrae nelle sue foglie, quasi per nascondersi, ed alla pianta pigliamosche, che contrae le valve delle sue foglie per serrarvi l’insetto del quale si nutre come vivo concime, gli uomini stupefatti ammirano la natura che ha fatto queste cose come l’ammirano nelle provvidenze degli animali giganteschi e nei più piccoli insetti, nel corpo di un cetaceo o di un elefante come nella struttura di un’ameba, di una cellula, di un microbo, e non glorificano Dio, ma la natura, cadendo nell’assurdo di chi dicesse che i mobili li ha fatti... la mobilia, e le irrompenti cascate che strapiombano dai monti, le hanno fatte le... acque.
Gli uomini spesso si ricordano di Dio solo per giustificare i propri vizi, massime impuri dicendo che;.. Dio li ha creati con quelle esigenze di obbrobrio. Glorificano gli uomini nelle loro invenzioni, quasi idolatrandoli, e non glorificano Dio che ha dato loro l’intelligenza che li rende scopritori attenti di quello che ha fatto.
Se Dio si glorifica nel Verbo suo, conoscendosi nell’eterna generazione del suo Figliuolo ed amandosi infinitamente per lo Spirito Santo, noi che dobbiamo essere santi perché Dio è santo, e dobbiamo imitate il Padre nostro che è nei Cieli, non dobbiamo essere santi con una purezza illibata che ci fa degni di elevarci a Lui, per la fede, con una purezza incontaminata di mente e di cuore, con una intemerata purezza di anima e di corpo, che ci renda capaci di lodarlo e di amarlo? Se i Leviti dovevano essere santi perché ministravano al Tempio di Dio, non dobbiamo essere santi noi nell’anima e nel corpo che è tempio di Dio?
Puri nella mente, viviamo della sua verità senza ombre, perché è l’impurità che può tristamente annebbiarci, ed in realtà non c’è un miscredente che non sia impuro. Puri nel cuore, lo amiamo sopra tutte le cose, perché l’impuro amore verso le creature ci distacca da Lui.' Puri nei sensi, non profaniamo i doni di natura che Dio ci ha dati, ma, glorificandolo nelle nostre attività, compiamo nella purezza delle intenzioni la missione che ognuno deve compire sulla terra.
O purità, o purità, virtù angelica che può renderci Angeli, pur vivendo noi in un corpo di fango, e che è uno dei fondamenti che fanno fiorire la santità, perché non affascini gli uomini, e perché essi si lasciano affascinare dalle più putride cose? O perché non camminiamo tutti per le vie della purezza e della santità che sole possono darci nell’esilio terreno un placido saggio della felicità eterna che noi dobbiamo sospirare in questa valle di lacrime?
Perché, perché non viviamo tutti, e massime le anime consacrate a Dio, della beatitudine che Gesù Cristo ha proclamata per i puri di cuore? Perché ci concentriamo nella carne miserabile, avendo nei Cieli la nostra meta?...
Ogni carne è come erba,
ed ogni gloria sua è come fiore d’erba
e cadde il fiore...
ma la parola del Signore rimane in eterno...
Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio (Matt. 5, 8).
Sac. Dolindo Ruotolo
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