3. Se mi aveste conosciuto, dice Gesù, avreste conosciuto anche il Padre mio
La vita spirituale, in tutte le sue attività, si sintetizza in queste parole: Conoscere, amare e servire Dio. Ora per conoscere Dio, i suoi pensieri, la sua volontà, il suo amore, bisogna conoscere Gesù Cristo. È infatti da Lui e per Lui che ci viene la vera conoscenza di Dio. Anche la rivelazione dell'Antico Testamento, essendo ordinata all'incarnazione del Verbo, e concentrandosi in Lui per prometterlo, annunziarlo e figurarlo, si deve al Redentore. Senza il piano della discesa del Figlio di Dio in terra, l'Antico Testamento non avrebbe ragione di essere, anzi non ci sarebbe stato. In esso la figura centrale è Gesù Cristo, e da essa s'irradia la vivida luce che ci fa conoscere Dio. Per questo Gesù, dopo aver detto ai suoi apostoli che Egli era la via, la verità e la vita, e che nessuno poteva andare al Padre se non per Lui, soggiunse: Se voi m 'aveste conosciuto avreste conosciuto anche il Padre mio, e fin da ora lo conoscete e l 'avete veduto.
Gli apostoli non conoscevano ancora Gesù per quello che realmente era, Figlio di Dio, consustanziale al Padre; l'avevano qualche volta chiamato Figlio di Dio, ma non avevano ponderato il valore di questa espressione, ed avevano sempre finito per concentrarsi nella sua umanità, e considerarlo praticamente come uomo straordinario, e profeta singolare. Se l'avessero conosciuto come Dio, avrebbero capito che Egli era nel Padre e il Padre in Lui, ed attraverso la sua stessa umanità e la sua vita mortale avrebbero visto risplendere gli attributi di Dio. Egli infatti mostrava di conoscere tutto, passato, presente e futuro, era infinitamente buono, era padrone della creazione, che dominava come voleva, era infinitamente giusto e santo, penetrava il fondo dei cuori e li scrutava, rimetteva i peccati, ed aveva nel suo medesimo tratto una maestà che rivelava in Lui la divinità.
Gesù non aveva una fisionomia semplicemente umana, benché avesse un corpo reale come l'abbiamo noi; i suoi lineamenti rivelavano in Lui non un uomo eccezionale, ma qualche cosa di più grande, d'immensamente più grande, come possiamo controllare anche noi pallidamente sul volto e sul corpo effigiato nella santa Sindone. Ravvivando quei lineamenti statici nella morte, dando ad essi lo splendore dello spirito, rendendoli manifestazione della vita interiore, e dando a quelle labbra le parole della vita, non si ha il volto di un semplice uomo, ma un volto misterioso e divino. Certo nessun artista è stato capace di ravvivare quel volto, riconoscendolo divino anche nel gelo della morte che ne spense la vita umana, ma non poté separarlo dal Verbo che ancora lo terminava.
Gli apostoli per vedere Dio non avrebbero dovuto fare altro che fissare Gesù; ma essi convivevano con Lui senza quasi badarci, solleciti come erano delle loro attività temporali. Sentivano il Maestro divino che parlava del Padre, desideravano di conoscere il Padre, ma nel loro desiderio c'era più un senso di curiosità spirituale che un apprezzamento della consustanzialità del Padre con Lui; per questo essi lo vedevano e non si accorgevano dello splendore divino che rifulgeva da Lui e per questo Egli, leggendo nei loro cuori il desiderio di conoscere il Padre suo con una rivelazione esterna e manifesta ai sensi, disse: Fin da ora voi lo conoscete e l'avete veduto.
Quale manifestazione infatti più grande di Dio sulla terra, che il Verbo Incarnato? E quale grazia per essi il trattarlo da vicino, il conversare con Lui ed il vivere con Lui! Essi però non lo capivano, e le parole di Gesù acuivano la loro brama di avere una rivelazione di Dio; e perciò Filippo, in nome di tutti, disse con l'accento di chi esprime un desiderio che da lungo tempo gli ferveva nel cuore: Signore, facci vedere il Padre e ci basta. Faccelo vedere con gli occhi del corpo almeno una volta, e saremo appagati, anzi avremo un argomento pieno e definitivo sulla realtà della tua missione, e sulla verità di quello che tu dici ed operi. Evidentemente le parole di Filippo non erano un atto di fede, anzi svelavano, almeno inconsciamente, una piena incomprensione di ciò che era il Maestro divino; per questo Gesù con dolore rispose a lui per rispondere a tutti quelli che avevano la stessa incomprensione: Da tanto tempo sono con voi e tu non mi hai conosciuto, Filippo? Chi vede me vede anche il Padre. Ora come fai tu a dire: facci vedere il Padre? Non credi che io sono nel Padre e il Padre è in me?
Negli anni in cui gli apostoli avevano conversato con Gesù avrebbero dovuto accorgersi della sua divinità e capire che Egli era consustanziale al Padre; avrebbero dovuto capire che Egli era persona distinta dal Padre, ma della stessa natura e della stessa divinità; era Figlio di Dio, veramente Figlio e veramente Dio, e perciò il Padre era in Lui ed Egli era nel Padre, essendo le divine Persone strettissimamente presenti l'una all'altra, perché d'una stessa sostanza, e aventi la stessa operazione.
Per illuminarli maggiormente sulla sua unione sostanziale col Padre, Gesù soggiunse: Le parole che io dico non le dico da me stesso, ma il Padre, che è in me, Egli compie le opere. Non credete che io sono nel Padre e il Padre è in me? Essendo una cosa sola col Padre per la natura e la sostanza divina, sono una cosa per l'operazione, e quindi voi, sentendomi parlare, sentite le parole dell'eterna sapienza del Padre, e vedendomi operare soprannaturalmente vedete l'onnipotenza divina che opera. Non avete bisogno perciò di ascoltare la voce del Padre o di vederlo, poiché la mia parola è sua, e le mie azioni sono sue, essendo parole ed operazioni divine. Che siano operazioni divine - soggiunse Gesù - non è difficile capirlo, essendo miracoli strepitosi; ora questi miracoli rivelano che opera Dio nella mia umanità, e che io sono Dio come il Padre, giacché le opere miracolose il Padre le compie per affermare la mia divinità e la mia missione.
Credere in Gesù com'Egli è veramente
Il discorso di Gesù Cristo certo era difficile per gli apostoli, ma non era per loro difficile il constatare la soprannaturalità delle opere che Egli compiva; essi dunque potevano capire che Egli era Dio e come tale era una cosa sola col Padre, consustanziale a Lui. Il ripetere Gesù due volte: Non credete che io sono nel Padre e il Padre è in me? (versetti 10 e 11) mostra chiaro che Egli aveva loro dato tanta luce che avrebbero potuto e dovuto credere. Gesù Cristo stabiliva un fondamento indispensabile a chi vuole seguirlo, credergli ed essere vivificato da Lui, a chi vuole averlo come via, verità e vita, a chi gli si dona interamente perché Egli viva in lui ed operi in lui, e questo fondamento indispensabile è il credere in Gesù com'Egli è veramente, l'apprezzarlo come merita, e il riguardarlo non come il termine o l'oggetto di un sentimento naturale qualunque, ma come vero Dio, le cui parole sono divine, e divine le opere. E in questa luce soltanto che deve vedersi in Lui la via che ci conduce, la verità che ci illumina e la vita che ci vivifica.
Gesù non ci traccia solo un ideale, non ci parla come un maestro terreno, non appaga solo un nostro vago desiderio di elevazioni spirituali; Egli ci mostra la via dell'eternità, la via che ci porta a Dio, ci rivela le verità divine ed assolute, e ci vivifica con la sua stessa vita nei Sacramenti, e specie nell'Eucaristia. E solo così che Egli può vivere in noi e noi in Lui, e che la nostra miseria può essere come sostituita dalla sua ricchezza. Perciò, con mirabile e profondissimo nesso logico, nel suo stile divinamente sintetico, Egli soggiunse: In verità, in verità vi dico: chi crede in me farà anch'egli le opere che io faccio, e ne farà maggiori di queste, perché io vado al Padre. Io me ne vado, e continuo la mia azione in voi e nella Chiesa; voi, credendo in me, cioè uniti a me che vi vivifico, farete ciò che io ho fatto, ed opere anche maggiori, com'è maggiore la pianta che sboccia dalla semente e cresce in albero maestoso. Non sarete più di me, evidentemente, ma farete per me opere maggiori di quelle che ho fatto io, domandandole al Padre nel mio nome, cioè per la mia gloria. Voi le domanderete al Padre per glorificarmi, ed io opererò in voi per glorificare il Padre; e se voi domanderete a me qualche cosa in mio nome, per glorificarmi, io la farò per glorificare il Padre con la mia gloria che è sua gloria, perché io sono infinita ed eterna sua glorificazione.
Il discorso di Gesù, come si vede, raggiunge qui altissime vette, e ci apre un mirabile orizzonte di santità che solo i santi hanno intuito e seguito per sua grazia. Egli non parla di qualunque preghiera fatta al Padre o a Lui nel suo nome, cioè semplicemente invocandolo, per avere grazie temporali, o qualunque grazia spirituale; è importantissimo il capirlo. Egli parla di quelle grazie che ci uniscono a Lui e lo donano a noi, che lo rendono operante in noi e ci fanno dare a Lui come strumenti della gloria di Dio e della sua gloria; Egli ci dischiude l'orizzonte magnifico della soave schiavitù di amore che, dandoci a Gesù interamente, fa che Egli compia in noi opere maggiori di quelle fatte nella sua vita mortale, elevandoci ad altissima santità per la gloria di Dio, e compiendo in noi e per noi anche opere straordinarie, affinché il Padre sia glorificato nel Figlio.
Questo Egli l'ha fatto e lo fa nella Chiesa, organismo ammirabile, via degli uomini per la vita eterna, verità che li illumina, e vita che li vivifica per la gloria di Dio, di Gesù Cristo suo Figlio e dello Spirito Santo; questo Egli l'ha fatto nei santi e vuol farlo in ogni fedele; tutto sta da parte nostra, a crederlo per quello che è, e a donarci a Lui perché Egli ci guidi, c'illumini e ci vivifichi.
Gesù non è un mito da adattare alle nostre velleità
E questo un segreto ammirabile di santità ancora inesplorato, un segreto che dobbiamo raccogliere per inaugurare in noi il regno di Dio. Conosciamo Gesù per quello che è veramente, senza presumere di fame un mito, o di adattarlo alle nostre velleità, e diamoci a Lui domandandogli per la gloria di Dio e per la sua gloria che Egli viva in noi, e donandoci a Lui in una piena e soave schiavitù di amore, perché Egli si serva di noi e ci renda strumenti della gloria di Dio. Riconosciamoci nulla, poiché nell'umiltà è più facile che ci doniamo a Lui, e che Egli venga in noi e viva in noi. Comunichiamoci con questa principalissima intenzione ch'Egli sia in noi e noi in Lui; preghiamo con questo ardente desiderio, e toccheremo con mano che la nostra natura viziata e miserabile a mano a mano sparirà, come svapora l'acqua di un pantano ai raggi del sole, e vivrà in noi Gesù Cristo.
La vita spirituale, in tutte le sue attività, si sintetizza in queste parole: Conoscere, amare e servire Dio. Ora per conoscere Dio, i suoi pensieri, la sua volontà, il suo amore, bisogna conoscere Gesù Cristo. È infatti da Lui e per Lui che ci viene la vera conoscenza di Dio. Anche la rivelazione dell'Antico Testamento, essendo ordinata all'incarnazione del Verbo, e concentrandosi in Lui per prometterlo, annunziarlo e figurarlo, si deve al Redentore. Senza il piano della discesa del Figlio di Dio in terra, l'Antico Testamento non avrebbe ragione di essere, anzi non ci sarebbe stato. In esso la figura centrale è Gesù Cristo, e da essa s'irradia la vivida luce che ci fa conoscere Dio. Per questo Gesù, dopo aver detto ai suoi apostoli che Egli era la via, la verità e la vita, e che nessuno poteva andare al Padre se non per Lui, soggiunse: Se voi m 'aveste conosciuto avreste conosciuto anche il Padre mio, e fin da ora lo conoscete e l 'avete veduto.
Gli apostoli non conoscevano ancora Gesù per quello che realmente era, Figlio di Dio, consustanziale al Padre; l'avevano qualche volta chiamato Figlio di Dio, ma non avevano ponderato il valore di questa espressione, ed avevano sempre finito per concentrarsi nella sua umanità, e considerarlo praticamente come uomo straordinario, e profeta singolare. Se l'avessero conosciuto come Dio, avrebbero capito che Egli era nel Padre e il Padre in Lui, ed attraverso la sua stessa umanità e la sua vita mortale avrebbero visto risplendere gli attributi di Dio. Egli infatti mostrava di conoscere tutto, passato, presente e futuro, era infinitamente buono, era padrone della creazione, che dominava come voleva, era infinitamente giusto e santo, penetrava il fondo dei cuori e li scrutava, rimetteva i peccati, ed aveva nel suo medesimo tratto una maestà che rivelava in Lui la divinità.
Gesù non aveva una fisionomia semplicemente umana, benché avesse un corpo reale come l'abbiamo noi; i suoi lineamenti rivelavano in Lui non un uomo eccezionale, ma qualche cosa di più grande, d'immensamente più grande, come possiamo controllare anche noi pallidamente sul volto e sul corpo effigiato nella santa Sindone. Ravvivando quei lineamenti statici nella morte, dando ad essi lo splendore dello spirito, rendendoli manifestazione della vita interiore, e dando a quelle labbra le parole della vita, non si ha il volto di un semplice uomo, ma un volto misterioso e divino. Certo nessun artista è stato capace di ravvivare quel volto, riconoscendolo divino anche nel gelo della morte che ne spense la vita umana, ma non poté separarlo dal Verbo che ancora lo terminava.
Gli apostoli per vedere Dio non avrebbero dovuto fare altro che fissare Gesù; ma essi convivevano con Lui senza quasi badarci, solleciti come erano delle loro attività temporali. Sentivano il Maestro divino che parlava del Padre, desideravano di conoscere il Padre, ma nel loro desiderio c'era più un senso di curiosità spirituale che un apprezzamento della consustanzialità del Padre con Lui; per questo essi lo vedevano e non si accorgevano dello splendore divino che rifulgeva da Lui e per questo Egli, leggendo nei loro cuori il desiderio di conoscere il Padre suo con una rivelazione esterna e manifesta ai sensi, disse: Fin da ora voi lo conoscete e l'avete veduto.
Quale manifestazione infatti più grande di Dio sulla terra, che il Verbo Incarnato? E quale grazia per essi il trattarlo da vicino, il conversare con Lui ed il vivere con Lui! Essi però non lo capivano, e le parole di Gesù acuivano la loro brama di avere una rivelazione di Dio; e perciò Filippo, in nome di tutti, disse con l'accento di chi esprime un desiderio che da lungo tempo gli ferveva nel cuore: Signore, facci vedere il Padre e ci basta. Faccelo vedere con gli occhi del corpo almeno una volta, e saremo appagati, anzi avremo un argomento pieno e definitivo sulla realtà della tua missione, e sulla verità di quello che tu dici ed operi. Evidentemente le parole di Filippo non erano un atto di fede, anzi svelavano, almeno inconsciamente, una piena incomprensione di ciò che era il Maestro divino; per questo Gesù con dolore rispose a lui per rispondere a tutti quelli che avevano la stessa incomprensione: Da tanto tempo sono con voi e tu non mi hai conosciuto, Filippo? Chi vede me vede anche il Padre. Ora come fai tu a dire: facci vedere il Padre? Non credi che io sono nel Padre e il Padre è in me?
Negli anni in cui gli apostoli avevano conversato con Gesù avrebbero dovuto accorgersi della sua divinità e capire che Egli era consustanziale al Padre; avrebbero dovuto capire che Egli era persona distinta dal Padre, ma della stessa natura e della stessa divinità; era Figlio di Dio, veramente Figlio e veramente Dio, e perciò il Padre era in Lui ed Egli era nel Padre, essendo le divine Persone strettissimamente presenti l'una all'altra, perché d'una stessa sostanza, e aventi la stessa operazione.
Per illuminarli maggiormente sulla sua unione sostanziale col Padre, Gesù soggiunse: Le parole che io dico non le dico da me stesso, ma il Padre, che è in me, Egli compie le opere. Non credete che io sono nel Padre e il Padre è in me? Essendo una cosa sola col Padre per la natura e la sostanza divina, sono una cosa per l'operazione, e quindi voi, sentendomi parlare, sentite le parole dell'eterna sapienza del Padre, e vedendomi operare soprannaturalmente vedete l'onnipotenza divina che opera. Non avete bisogno perciò di ascoltare la voce del Padre o di vederlo, poiché la mia parola è sua, e le mie azioni sono sue, essendo parole ed operazioni divine. Che siano operazioni divine - soggiunse Gesù - non è difficile capirlo, essendo miracoli strepitosi; ora questi miracoli rivelano che opera Dio nella mia umanità, e che io sono Dio come il Padre, giacché le opere miracolose il Padre le compie per affermare la mia divinità e la mia missione.
Credere in Gesù com'Egli è veramente
Il discorso di Gesù Cristo certo era difficile per gli apostoli, ma non era per loro difficile il constatare la soprannaturalità delle opere che Egli compiva; essi dunque potevano capire che Egli era Dio e come tale era una cosa sola col Padre, consustanziale a Lui. Il ripetere Gesù due volte: Non credete che io sono nel Padre e il Padre è in me? (versetti 10 e 11) mostra chiaro che Egli aveva loro dato tanta luce che avrebbero potuto e dovuto credere. Gesù Cristo stabiliva un fondamento indispensabile a chi vuole seguirlo, credergli ed essere vivificato da Lui, a chi vuole averlo come via, verità e vita, a chi gli si dona interamente perché Egli viva in lui ed operi in lui, e questo fondamento indispensabile è il credere in Gesù com'Egli è veramente, l'apprezzarlo come merita, e il riguardarlo non come il termine o l'oggetto di un sentimento naturale qualunque, ma come vero Dio, le cui parole sono divine, e divine le opere. E in questa luce soltanto che deve vedersi in Lui la via che ci conduce, la verità che ci illumina e la vita che ci vivifica.
Gesù non ci traccia solo un ideale, non ci parla come un maestro terreno, non appaga solo un nostro vago desiderio di elevazioni spirituali; Egli ci mostra la via dell'eternità, la via che ci porta a Dio, ci rivela le verità divine ed assolute, e ci vivifica con la sua stessa vita nei Sacramenti, e specie nell'Eucaristia. E solo così che Egli può vivere in noi e noi in Lui, e che la nostra miseria può essere come sostituita dalla sua ricchezza. Perciò, con mirabile e profondissimo nesso logico, nel suo stile divinamente sintetico, Egli soggiunse: In verità, in verità vi dico: chi crede in me farà anch'egli le opere che io faccio, e ne farà maggiori di queste, perché io vado al Padre. Io me ne vado, e continuo la mia azione in voi e nella Chiesa; voi, credendo in me, cioè uniti a me che vi vivifico, farete ciò che io ho fatto, ed opere anche maggiori, com'è maggiore la pianta che sboccia dalla semente e cresce in albero maestoso. Non sarete più di me, evidentemente, ma farete per me opere maggiori di quelle che ho fatto io, domandandole al Padre nel mio nome, cioè per la mia gloria. Voi le domanderete al Padre per glorificarmi, ed io opererò in voi per glorificare il Padre; e se voi domanderete a me qualche cosa in mio nome, per glorificarmi, io la farò per glorificare il Padre con la mia gloria che è sua gloria, perché io sono infinita ed eterna sua glorificazione.
Il discorso di Gesù, come si vede, raggiunge qui altissime vette, e ci apre un mirabile orizzonte di santità che solo i santi hanno intuito e seguito per sua grazia. Egli non parla di qualunque preghiera fatta al Padre o a Lui nel suo nome, cioè semplicemente invocandolo, per avere grazie temporali, o qualunque grazia spirituale; è importantissimo il capirlo. Egli parla di quelle grazie che ci uniscono a Lui e lo donano a noi, che lo rendono operante in noi e ci fanno dare a Lui come strumenti della gloria di Dio e della sua gloria; Egli ci dischiude l'orizzonte magnifico della soave schiavitù di amore che, dandoci a Gesù interamente, fa che Egli compia in noi opere maggiori di quelle fatte nella sua vita mortale, elevandoci ad altissima santità per la gloria di Dio, e compiendo in noi e per noi anche opere straordinarie, affinché il Padre sia glorificato nel Figlio.
Questo Egli l'ha fatto e lo fa nella Chiesa, organismo ammirabile, via degli uomini per la vita eterna, verità che li illumina, e vita che li vivifica per la gloria di Dio, di Gesù Cristo suo Figlio e dello Spirito Santo; questo Egli l'ha fatto nei santi e vuol farlo in ogni fedele; tutto sta da parte nostra, a crederlo per quello che è, e a donarci a Lui perché Egli ci guidi, c'illumini e ci vivifichi.
Gesù non è un mito da adattare alle nostre velleità
E questo un segreto ammirabile di santità ancora inesplorato, un segreto che dobbiamo raccogliere per inaugurare in noi il regno di Dio. Conosciamo Gesù per quello che è veramente, senza presumere di fame un mito, o di adattarlo alle nostre velleità, e diamoci a Lui domandandogli per la gloria di Dio e per la sua gloria che Egli viva in noi, e donandoci a Lui in una piena e soave schiavitù di amore, perché Egli si serva di noi e ci renda strumenti della gloria di Dio. Riconosciamoci nulla, poiché nell'umiltà è più facile che ci doniamo a Lui, e che Egli venga in noi e viva in noi. Comunichiamoci con questa principalissima intenzione ch'Egli sia in noi e noi in Lui; preghiamo con questo ardente desiderio, e toccheremo con mano che la nostra natura viziata e miserabile a mano a mano sparirà, come svapora l'acqua di un pantano ai raggi del sole, e vivrà in noi Gesù Cristo.
Sac. Dolindo Ruotolo
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