sabato 3 maggio 2014

03.05.2014 - Commento al vangelo di S. Giovanni cap. 14, par. 2-3

2. Il luogo di eterna pace che Gesù ci dona e la via per giungervi. Gesù è la via, la verità e la vita. Il vero cammino di santità e la schiavitù d'amore
Gli apostoli erano rimasti turbati e sconvolti da quello che Gesù aveva loro detto, che sarebbe stato con loro solo per poco, e che l'avrebbero cercato, ma non avrebbero potuto seguirlo dov'Egli sarebbe andato allora (13,33).
Il loro turbamento era tanto più profondo, in quanto che ad essi sembrava svanissero di un tratto tutte le speranze che avevano concepito, e gli ideali che avevano sognato. Speravano ancora che Gesù avesse dovuto trionfare clamorosamente e politicamente dei nemici d'Israele, e inaugurare un regno glorioso, nel quale essi avrebbero avuto posti eminenti; speravano che questo dovesse presto avverarsi, e pregustavano forse, fantasticamente, la confusione che avrebbero avuto i suoi nemici; ora il sentir parlare di tradimento, ed implicitamente di morte, li turbava e disorientava. Per questo Gesù rincuorandoli disse: Il vostro cuore non si turbi, abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me; cioè: abbiate fede in Dio che saprà compiere le sue promesse, ed abbiatela anche in me, che non vi lascerò delusi nella speranza che avete riposta in me.
Al dolore per la mancata realizzazione delle loro speranze e dei loro sogni si univa, negli apostoli, quello per essi anche più penoso della separazione dal loro amatissimo Maestro. Le sue parole, infatti, erano un annuncio di prossima morte, ed essi pensavano angosciati che non l'avrebbero più veduto. Per questo Gesù soggiunse che Egli se ne andava per preparare loro il posto, giacché nella Casa del Padre suo c'erano molte dimore. Se non fosse così - soggiunse - ve lo avrei detto, cioè mi sarei licenziato da voi definitivamente; ma io verrò di nuovo, vi prenderò con me, e sarete anche voi dove io sarò.
Come padre amoroso, per non scoraggiarli, prospettò l'epilogo del loro pellegrinaggio ed il premio che avrebber avuto un giorno, ma certo questo epilogo di gioia non sarebbe avvenuto né presto né senza lunghe e penose prove, delle quali tante volte aveva loro parlato, e delle quali dava l'esempio, e perciò soggiunse: Voi sapete dove io vado e ne sapete la via. Non volle parlar esplicitamente del cammino della croce, ma si richiamò con una sola espressione a quello che tante volte aveva detto, per non disorientarli in quel momento di angoscia. Tommaso prese l'espressione di Gesù in senso materialmente letterale e, immaginando che Gesù volesse fare un viaggio lontano, disse: Signore, noi non sappiamo dove tu vada, e come possiamo conoscerne la via? Con una parola sublime Gesù rispose a lui, aprendo all'umanità un orizzonte magnifico di ascensioni, e disse: Io sono la via la verità e la vita; nessuno viene al Padre se non per me. Egli è la via, Tunica via di salvezza, perché coi suoi meriti riconcilia gli uomini con Dio, li muove con la sua grazia, li illumina e li dirige coi suoi esempi e con la sua dottrina.
Egli non traccia solo la via della salvezza, ma è la via della salvezza, di modo che nessuno può andare a Dio se non per Lui, incorporandosi a Lui, e lasciandosi portare da Lui.
La via è un tratto immobile, che congiunge due termini lontani. Napoli, per esempio, è lontana da Roma, e nessuno stando in questa città può trovarsi a Roma. La via congiunge questi due luoghi, e rappresenta il prolungamento dell'uno verso l'altro. La via partecipa quindi dei due luoghi che congiunge: Roma - Napoli e Napoli - Roma.
Gesù Cristo è Dio e uomo, e congiunge in sé questi due termini infinitamente distanti; chi va a Lui Redentore, si avanza verso Dio, ed a misura che più si stacca da sé e più si congiunge a Lui, più si trova vicino a Dio e più lo raggiunge. La perfezione è in fondo un progredire in questa unione di amore, un perdere di vista sempre più se stesso, ma congiungersi maggiormente a Lui, fino quasi a combaciare col punto di arrivo cui Egli ci porta.
Gesù Cristo è la verità prima ed essenziale, poiché è l'infinita ed eterna sapienza, conoscenza sostanziale ed infinita del Padre. Dio è colui che è; è la verità, l'unica verità dalla quale dipendono tutte le altre, l'unico assioma infinitamente vivente. Chi va a Dio deve conoscerlo per amarlo, e non può conoscerlo fuori di Gesù Cristo, che ce lo rivela in tutte le verità che ci annunzia. Noi non siamo capaci di conoscere l'eterna verità senza di Lui, e non possiamo quindi ascendere a Dio, conoscendolo ed apprezzandolo sopra tutte le cose, che unendoci a Gesù Cristo con una pienissima fede.
Gesù Cristo come Dio è la vita per essenza, e come uomo è la causa meritoria della vita soprannaturale che ci viene comunicata per mezzo della grazia e della gloria.
Egli ci vivifica, e da Lui dobbiamo attingere la vita, comunicandoci di Lui.
Gesù Cristo è la via che ci porta a Dio, la luce che illumina la via, la forza che la fa percorrere. E la vera via delle ascensioni umane, è la vera sapienza dell'intelletto nostro, ed è la vera vita delle nostre attività e del nostro cuore. Per Lui si nasce soprannaturalmente e si percorre la via dell'eternità; per Lui si ha, diremmo, l'uso della ragione soprannaturale, e si conosce la verità; per Lui e in Lui il cuore viene vivificato ed ama Dio sopra tutte le cose.
Invece di innestarci a Lui, spesso formiamo in noi una statua del Cristo, scolpita secondo il nostro criterio
Con la risposta data a Tommaso Gesù cominciò a manifestare al mondo un segreto di vera vita, e diciamo pure di vera civiltà, un segreto di santificazione che andò sviluppando negli altri discorsi di addio che fece agli apostoli. Questo ammirabile segreto sta nell'incorporarsi a Lui, nel vivere di Lui, nel farsi vivificare da Lui, nel donarsi quindi interamente a Lui. Qualunque sforzo fa l'anima, per ascendere in alto, perfezionarsi e raggiungere la vita eterna, è vano se essa non si appoggia a Gesù, se non è illuminata e non è vivificata da Lui. Egli è la via vera della santità, è la luce della contemplazione, è il calore vivificante dell'amore; incorporandoci a sé ci mette per il cammino della santità, nutrendoci della sua parola ci illumina e ci eleva, donandoci il suo Corpo e il suo Sangue ci vivifica.
Noi dobbiamo essere sua immagine e sua somiglianza, dobbiamo sbocciare quasi da Lui, e non possiamo farlo che innestandoci a Lui. Oh se l'anima sapesse donarsi a Lui ed accoglierlo, se sapesse mettersi nelle sue mani come schiava di amore, come troverebbe facilitato il cammino della santità, come vedrebbe illuminato il suo intelletto e vivificato il suo cuore! Siamo così fiacchi nelle vie di Dio perché non sappiamo e, dolorosamente, non vogliamo donarci a Gesù completamente, senz'alcuna riserva, in modo che Egli ci porti nel suo Cuore come membra sue, e ci vivifichi con la sua stessa vita.
Noi, tutt'al più, attingiamo da Lui ad intervalli, come si attinge con un secchiello l'acqua da una fonte.
Se l'avessimo in noi come acquedotto che fa rifluire in noi la sua vita, se fossimo pienamente innestati a Lui, e se gli donassimo interamente l'anima, il corpo, le potenze e le attività nostre, controlleremmo in noi stessi dei mirabili progressi di santificazione. Infatti, vivendo di noi smarriamo la via, ci facciamo sorprendere dalle tenebre e c'inaridiamo miseramente. Ci prefiggiamo con la nostra iniziativa umana un programma di vita, quasi sempre lontano dalle disposizioni della divina volontà, giudichiamo col nostro criterio oscuro ed errato ciò che dobbiamo fare, ci formiamo una dottrina tutta personale, cercando di trovare nella nostra ragione la giustificazione dei nostri capricci e della nostra volontà, e ci alimentiamo dei... surrogati della grazia soprannaturale, nutrendoci di devozioni che appagano i sensi più che l'anima, e fioriscono come erbe selvatiche che il Signore non ha seminate. È questa, dolorosamente, la pietà e la devozione delle anime che sono tutte prese dalle loro aspirazioni, dai loro criteri, dal loro giudizio, dalla loro volontà, e che, più che donarsi a Dio, desiderano adattare Dio a se stesse. Dimenticano che l'abnegazione è il fondamento di ogni cammino spirituale, dimenticano che la volontà di Dio deve esser l'unica luce intellettuale, l'unica ragione soprannaturale, dimenticano che la vera vita è Gesù Cristo, e si sforzano di formare in loro non la sua vita, ma un vano simulacro della sua vita.
Formano in loro una statua del Cristo, scolpita secondo il proprio criterio, simili a quei cinesi che non sanno effigiarlo che coi loro lineamenti, o a quegli artisti etiopi che lo fanno bruno perché essi sono bruni.
Gesù Cristo è la via la verità e la vita, e nessuno va al Padre se non per Lui.
Quando si è bigotti
La falsa devozione o perfezione, tutta soggettiva e personale, è in realtà sviamento, confusione e morte. È una devozione che non ha la via, ma un dedalo di labirinto, che stanca e non fa percorrere un vero cammino; è una devozione che non supera la meschinissima atmosfera naturale, e che dà come frutti lambrusche e spine. È la devozione che il popolo spontaneamente chiama bigotteria, e che ha sempre in sé qualche cosa di urtante e di ripugnante. È il dilettantismo spirituale, non l'arte vera; sa produrre, tutto al più, degli abbozzi, ma non può dare un vero lavoro di santificazione; è come un fiore artificiale che rimane quale l'ha formato la mano e, lungi dal mandare profumo, s'impolvera ogni giorno di più ed è completamente sterile. Non siamo cristiani così! Diciamo a Gesù piuttosto con tutta l'anima: eccomi, mi do a te interamente, guidami Tu in ogni passo, illuminami con la tua luce, e vivificami col tuo amore, perché non sia più io, ma sia vivo della tua vita, splendente della tua verità, e percorrente appresso a Te il cammino che mi conduce alla gloria.
3.  Se mi aveste conosciuto, dice Gesù, avreste conosciuto anche il Padre mio
La vita spirituale, in tutte le sue attività, si sintetizza in queste parole: Conoscere, amare e servire Dio. Ora per conoscere Dio, i suoi pensieri, la sua volontà, il suo amore, bisogna conoscere Gesù Cristo. È infatti da Lui e per Lui che ci viene la vera conoscenza di Dio. Anche la rivelazione dell'Antico Testamento, essendo ordinata all'incarnazione del Verbo, e concentrandosi in Lui per prometterlo, annunziarlo e figurarlo, si deve al Redentore. Senza il piano della discesa del Figlio di Dio in terra, l'Antico Testamento non avrebbe ragione di essere, anzi non ci sarebbe stato. In esso la figura centrale è Gesù Cristo, e da essa s'irradia la vivida luce che ci fa conoscere Dio. Per questo Gesù, dopo aver detto ai suoi apostoli che Egli era la via, la verità e la vita, e che nessuno poteva andare al Padre se non per Lui, soggiunse: Se voi m 'aveste conosciuto avreste conosciuto anche il Padre mio, e fin da ora lo conoscete e l 'avete veduto.
Gli apostoli non conoscevano ancora Gesù per quello che realmente era, Figlio di Dio, consustanziale al Padre; l'avevano qualche volta chiamato Figlio di Dio, ma non avevano ponderato il valore di questa espressione, ed avevano sempre finito per concentrarsi nella sua umanità, e considerarlo praticamente come uomo straordinario, e profeta singolare. Se l'avessero conosciuto come Dio, avrebbero capito che Egli era nel Padre e il Padre in Lui, ed attraverso la sua stessa umanità e la sua vita mortale avrebbero visto risplendere gli attributi di Dio. Egli infatti mostrava di conoscere tutto, passato, presente e futuro, era infinitamente buono, era padrone della creazione, che dominava come voleva, era infinitamente giusto e santo, penetrava il fondo dei cuori e li scrutava, rimetteva i peccati, ed aveva nel suo medesimo tratto una maestà che rivelava in Lui la divinità.
Gesù non aveva una fisionomia semplicemente umana, benché avesse un corpo reale come l'abbiamo noi; i suoi lineamenti rivelavano in Lui non un uomo eccezionale, ma qualche cosa di più grande, d'immensamente più grande, come possiamo controllare anche noi pallidamente sul volto e sul corpo effigiato nella santa Sindone. Ravvivando quei lineamenti statici nella morte, dando ad essi lo splendore dello spirito, rendendoli manifestazione della vita interiore, e dando a quelle labbra le parole della vita, non si ha il volto di un semplice uomo, ma un volto misterioso e divino. Certo nessun artista è stato capace di ravvivare quel volto, riconoscendolo divino anche nel gelo della morte che ne spense la vita umana, ma non poté separarlo dal Verbo che ancora lo terminava.
Gli apostoli per vedere Dio non avrebbero dovuto fare altro che fissare Gesù; ma essi convivevano con Lui senza quasi badarci, solleciti come erano delle loro attività temporali. Sentivano il Maestro divino che parlava del Padre, desideravano di conoscere il Padre, ma nel loro desiderio c'era più un senso di curiosità spirituale che un apprezzamento della consustanzialità del Padre con Lui; per questo essi lo vedevano e non si accorgevano dello splendore divino che rifulgeva da Lui e per questo Egli, leggendo nei loro cuori il desiderio di conoscere il Padre suo con una rivelazione esterna e manifesta ai sensi, disse: Fin da ora voi lo conoscete e l'avete veduto.
Quale manifestazione infatti più grande di Dio sulla terra, che il Verbo Incarnato? E quale grazia per essi il trattarlo da vicino, il conversare con Lui ed il vivere con Lui! Essi però non lo capivano, e le parole di Gesù acuivano la loro brama di avere una rivelazione di Dio; e perciò Filippo, in nome di tutti, disse con l'accento di chi esprime un desiderio che da lungo tempo gli ferveva nel cuore: Signore, facci vedere il Padre e ci basta. Faccelo vedere con gli occhi del corpo almeno una volta, e saremo appagati, anzi avremo un argomento pieno e definitivo sulla realtà della tua missione, e sulla verità di quello che tu dici ed operi. Evidentemente le parole di Filippo non erano un atto di fede, anzi svelavano, almeno inconsciamente, una piena incomprensione di ciò che era il Maestro divino; per questo Gesù con dolore rispose a lui per rispondere a tutti quelli che avevano la stessa incomprensione: Da tanto tempo sono con voi e tu non mi hai conosciuto, Filippo? Chi vede me vede anche il Padre. Ora come fai tu a dire: facci vedere il Padre? Non credi che io sono nel Padre e il Padre è in me?
Negli anni in cui gli apostoli avevano conversato con Gesù avrebbero dovuto accorgersi della sua divinità e capire che Egli era consustanziale al Padre; avrebbero dovuto capire che Egli era persona distinta dal Padre, ma della stessa natura e della stessa divinità; era Figlio di Dio, veramente Figlio e veramente Dio, e perciò il Padre era in Lui ed Egli era nel Padre, essendo le divine Persone strettissimamente presenti l'una all'altra, perché d'una stessa sostanza, e aventi la stessa operazione.
Per illuminarli maggiormente sulla sua unione sostanziale col Padre, Gesù soggiunse: Le parole che io dico non le dico da me stesso, ma il Padre, che è in me, Egli compie le opere. Non credete che io sono nel Padre e il Padre è in me? Essendo una cosa sola col Padre per la natura e la sostanza divina, sono una cosa per l'operazione, e quindi voi, sentendomi parlare, sentite le parole dell'eterna sapienza del Padre, e vedendomi operare soprannaturalmente vedete l'onnipotenza divina che opera. Non avete bisogno perciò di ascoltare la voce del Padre o di vederlo, poiché la mia parola è sua, e le mie azioni sono sue, essendo parole ed operazioni divine. Che siano operazioni divine - soggiunse Gesù - non è difficile capirlo, essendo miracoli strepitosi; ora questi miracoli rivelano che opera Dio nella mia umanità, e che io sono Dio come il Padre, giacché le opere miracolose il Padre le compie per affermare la mia divinità e la mia missione.
Credere in Gesù com'Egli è veramente
Il discorso di Gesù Cristo certo era difficile per gli apostoli, ma non era per loro difficile il constatare la soprannaturalità delle opere che Egli compiva; essi dunque potevano capire che Egli era Dio e come tale era una cosa sola col Padre, consustanziale a Lui. Il ripetere Gesù due volte: Non credete che io sono nel Padre e il Padre è in me? (versetti 10 e 11) mostra chiaro che Egli aveva loro dato tanta luce che avrebbero potuto e dovuto credere. Gesù Cristo stabiliva un fondamento indispensabile a chi vuole seguirlo, credergli ed essere vivificato da Lui, a chi vuole averlo come via, verità e vita, a chi gli si dona interamente perché Egli viva in lui ed operi in lui, e questo fondamento indispensabile è il credere in Gesù com'Egli è veramente, l'apprezzarlo come merita, e il riguardarlo non come il termine o l'oggetto di un sentimento naturale qualunque, ma come vero Dio, le cui parole sono divine, e divine le opere. E in questa luce soltanto che deve vedersi in Lui la via che ci conduce, la verità che ci illumina e la vita che ci vivifica.
Gesù non ci traccia solo un ideale, non ci parla come un maestro terreno, non appaga solo un nostro vago desiderio di elevazioni spirituali; Egli ci mostra la via dell'eternità, la via che ci porta a Dio, ci rivela le verità divine ed assolute, e ci vivifica con la sua stessa vita nei Sacramenti, e specie nell'Eucaristia. E solo così che Egli può vivere in noi e noi in Lui, e che la nostra miseria può essere come sostituita dalla sua ricchezza. Perciò, con mirabile e profondissimo nesso logico, nel suo stile divinamente sintetico, Egli soggiunse: In verità, in verità vi dico: chi crede in me farà anch'egli le opere che io faccio, e ne farà maggiori di queste, perché io vado al Padre. Io me ne vado, e continuo la mia azione in voi e nella Chiesa; voi, credendo in me, cioè uniti a me che vi vivifico, farete ciò che io ho fatto, ed opere anche maggiori, com'è maggiore la pianta che sboccia dalla semente e cresce in albero maestoso. Non sarete più di me, evidentemente, ma farete per me opere maggiori di quelle che ho fatto io, domandandole al Padre nel mio nome, cioè per la mia gloria. Voi le domanderete al Padre per glorificarmi, ed io opererò in voi per glorificare il Padre; e se voi domanderete a me qualche cosa in mio nome, per glorificarmi, io la farò per glorificare il Padre con la mia gloria che è sua gloria, perché io sono infinita ed eterna sua glorificazione.
Il discorso di Gesù, come si vede, raggiunge qui altissime vette, e ci apre un mirabile orizzonte di santità che solo i santi hanno intuito e seguito per sua grazia. Egli non parla di qualunque preghiera fatta al Padre o a Lui nel suo nome, cioè semplicemente invocandolo, per avere grazie temporali, o qualunque grazia spirituale; è importantissimo il capirlo. Egli parla di quelle grazie che ci uniscono a Lui e lo donano a noi, che lo rendono operante in noi e ci fanno dare a Lui come strumenti della gloria di Dio e della sua gloria; Egli ci dischiude l'orizzonte magnifico della soave schiavitù di amore che, dandoci a Gesù interamente, fa che Egli compia in noi opere maggiori di quelle fatte nella sua vita mortale, elevandoci ad altissima santità per la gloria di Dio, e compiendo in noi e per noi anche opere straordinarie, affinché il Padre sia glorificato nel Figlio.
Questo Egli l'ha fatto e lo fa nella Chiesa, organismo ammirabile, via degli uomini per la vita eterna, verità che li illumina, e vita che li vivifica per la gloria di Dio, di Gesù Cristo suo Figlio e dello Spirito Santo; questo Egli l'ha fatto nei santi e vuol farlo in ogni fedele; tutto sta da parte nostra, a crederlo per quello che è, e a donarci a Lui perché Egli ci guidi, c'illumini e ci vivifichi.
Gesù non è un mito da adattare alle nostre velleità
E questo un segreto ammirabile di santità ancora inesplorato, un segreto che dobbiamo raccogliere per inaugurare in noi il regno di Dio. Conosciamo Gesù per quello che è veramente, senza presumere di fame un mito, o di adattarlo alle nostre velleità, e diamoci a Lui domandandogli per la gloria di Dio e per la sua gloria che Egli viva in noi, e donandoci a Lui in una piena e soave schiavitù di amore, perché Egli si serva di noi e ci renda strumenti della gloria di Dio. Riconosciamoci nulla, poiché nell'umiltà è più facile che ci doniamo a Lui, e che Egli venga in noi e viva in noi. Comunichiamoci con questa principalissima intenzione ch'Egli sia in noi e noi in Lui; preghiamo con questo ardente desiderio, e toccheremo con mano che la nostra natura viziata e miserabile a mano a mano sparirà, come svapora l'acqua di un pantano ai raggi del sole, e vivrà in noi Gesù Cristo.
Sac. Dolindo Ruotolo

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