giovedì 29 maggio 2014

29/30.05.2014 - Commento al vangelo di S. Giovanni cap. 16 par. 3

3. Separazione momentanea di Gesù dagli apostoli. Le pene che essi incontreranno nel mondo, e la loro consolazione
Gesù Cristo, nel suo infinito amore, parlava quasi confusamente, perché i suoi apostoli non si fossero eccessivamente afflitti della sua dipartita dal mondo. Voleva che l'avessero intuito, ma quasi non aveva il cuore di dirlo loro apertamente; all'accenno di una cosa dolorosa faceva succedere quello di un annunzio confortante, o a quello confortante faceva succedere una previsione poco lieta, affinché il loro spirito non si fosse troppo fermato su ciò che poteva contristarli. Dopo aver perciò loro annunziato la venuta dello Spirito Santo, soggiunse misteriosamente: Ancora un poco e mi vedrete, e di nuovo un altro poco e non mi vedrete perché io vado al Padre. Egli, voleva dire: Ecco, io sono con voi, ma per poco, perché verrà la Passione dolorosa, e non mi vedrete più. Morirò, ma per poco, e di nuovo mi vedrete dopo la risurrezione nella dimora che farò sulla terra prima d'andare al Padre.
Guardando poi più lontano, com'è chiaro dal contesto, Egli volle preannunziare alla Chiesa quei periodi tristissimi nei quali sarebbe stata come abbandonata, e consolarla con la promessa della gioia. Ma gli apostoli non capirono in che senso parlava, e si domandarono fra loro che cosa significassero quelle parole. Gesù non ascoltò fisicamente quel loro domandarsi a vicenda che cosa volessero dire le sue parole, ma conobbe con la sua scienza divina che volevano interrogarlo, e li prevenne con una spiegazione generale prima, per non contristarli a causa della sua morte imminente, e poi con una spiegazione più particolare, nella quale emergevano per loro più i motivi di consolazione che quelli del dolore. Egli disse: In verità, in verità vi dico che voi piangerete e gemerete e il mondo godrà; voi sarete, sì, in tristezza, ma la vostra tristezza si cambierà in gaudio. Quante lacrime, infatti, essi fecero, e quanti gemiti amarissimi, quando Egli fu catturato, fu condannato a morte, e spirò sul patibolo infame! I suoi nemici invece esultarono, sembrando loro di averlo vinto per sempre, e menarono trionfo della sua morte. Ma le cose mutarono radicalmente dopo la sua risurrezione, poiché la gioia degli apostoli allora fu immensa, ed il livore dei suoi nemici fu terribile.
Con una similitudine Gesù poi volle consolare il loro cuore, mostrando il frutto che avrebbero cavato dai loro dolori: La donna quando partorisce è afflitta perché è giunta l'ora sua, ma quando ha dato alla luce il bambino non si ricorda più del dolore per la gioia eh 'è nato al mondo un uomo. Essi avrebbero sofferto per la sua morte, associati in questo almeno alla sua immolazione, ma avrebbero poi avuto l'immensa gioia non della nascita temporale di un uomo, ma della rinascita spirituale dell'uomo, ed avrebbero capito così luminosamente il disegno di Dio, da non avere più bisogno d'interrogarlo in proposito. Avrebbero capito soprattutto di avere in Lui il mediatore divino presso il Padre, e di non dover più temere per la loro insufficienza perché con la preghiera fatta in suo nome avrebbero avuto ogni aiuto per compiere la loro missione.
Essi infatti fino ad allora non avevano capito il suo ufficio di mediatore presso il Padre, e non avevano domandato nel suo nome la vittoria sui nemici del bene e sull'Inferno. Ma dopo la sua risurrezione l'avrebbero capito, ed avrebbero avuto la gioia di sentirsi sostenuti nella loro debolezza. Per un'anima che compie una missione difficile da parte di Dio, non c'è gioia più completa quanto quella di sentirsi abbandonata a Lui e sostenuta dalla sua grazia. Per gli apostoli, intimi e familiari di Gesù, questa gioia sarebbe stata immensa, perché avrebbero capito di potersi appellare a Dio in nome di Colui che tanto li aveva amati, ed avrebbero avuto la certezza di essere esauditi.
Vi ho detto queste cose affinché abbiate pace in me
Gesù insiste ancora nei motivi che avranno di consolarsi dopo la sua dipartita dal mondo: essi ora sentono pena a non capirlo sempre, ed a sentirsi come smarriti innanzi a tanti misteri; ma dopo la sua risurrezione Egli avrebbe loro parlato senz'oscurità del Padre, ed essi si sarebbero sentiti così familiari con Dio, e pieni di tanta potestà soprannaturale, da non aver quasi più bisogno di operare per Lui, loro Maestro e loro Mediatore, sentendosi in Lui come mediatori di grazia.
Evidentemente Gesù alludeva all'esercizio del potere sacerdotale che loro aveva dato, e che sarebbe stato in loro completo dopo la sua risurrezione. Avrebbero ascoltato da Lui le ultime sue istruzioni, senza velo di simboli, avrebbero conosciuto apertamente la rivelazione dell'eterna verità, ed avrebbero operato come Lui, nella sua potestà, sentendosi vicini a Dio, amati da Dio come figli, e come familiari del suo amore.
Dopo averli consolati, in modo da attenuare la tristezza dell'annunzio della sua dipartita dal mondo, Gesù spiega loro che cosa avesse voluto dire con quelle parole: Ancora un poco e non mi vedrete, soggiungendo: Uscii dal Padre e venni al mondo; abbandono di nuovo il mondo e vado al Padre. Uscii dal Padre, e non dal nulla, ma uscii dalla sua fecondità, come suo Verbo, e venni al mondo per incarnarmi, mandato da Lui per compiere la sua volontà. Ora poi compiuto ciò che Egli vuole, ritornerò a Lui, e per questo non mi vedrete più.
Queste parole Gesù le disse con tale accento di penetrante verità, che gli apostoli ne furono compresi. Ebbero un lume novello su ciò che Egli era, e vedendosi risposti all'interrogazione che non avevano avuto il coraggio di fargli, esclamarono: Ecco che tu ora parli chiaramente e non dici nessuna parabola. Adesso sappiamo che tu sai tutto e che non hai bisogno che alcuno t 'interroghi; per questo crediamo che tu sei uscito da Dio. Parlarono così in un momento di entusiasmo, non tanto per le parole che Gesù aveva loro detto, quanto per quello che avevano sentito nell'anima.
Psicologicamente, infatti, ci sono dei momenti d'intensa luce nello spirito quando si controlla la verità di ciò che a stento crediamo, anche per una constatazione piccola in sé. L'anima passa dallo smarrimento subcosciente alla gioia, e per la gioia che prova, dà un peso anche maggiore a ciò che controlla. Nell'esitazione che aveva nel credere si faceva guidare dal proprio giudizio, e nella luce che controlla si fa parimente guidare dal suo giudizio, perché giudica grande quella luce. Il suo atto di fede allora non è frutto di grazia, ma frutto d'un ragionamento, e dura poco. Alle prime tenebre nuovamente s'eclissa, e subentrano in lei le tenebre. Non crede a Dio, in altri termini, ma a se stessa ed alla propria convinzione momentanea.
Tale fu l'atto di fede degli apostoli, e per questo Gesù che ne conosceva la debolezza soggiunse: Adesso voi credete? Ecco viene l'ora, anzi è già venuta, che vi disperderete ciascuno nel suo luogo e mi lascerete solo; ma io non sono solo, perché il Padre è con me. Essi infatti in quella medesima notte se ne fuggirono cercando un rifugio presso persone amiche, e lo lasciarono solo nel grande combattimento. Gesù non era solo, era col Padre, essendo una cosa con Lui, ma la solitudine nella quale l'avrebbero subito lasciato gli apostoli gli era particolarmente penosa, giacché Egli li amava di amore infinito. Per questo amore che aveva per loro esclamò: Vi ho detto queste cose affinché abbiate pace in me. Nel mondo sarete angustiati, ma confidate: lo ho vinto il mondo. Il suo accenno alla loro infedeltà era per Lui di secondaria importanza; Egli la compativa, e se aveva parlato l'aveva fatto non per rimproverarli, ma per eccitarli ad avere fiducia in Lui. Quello di cui si preoccupava era la loro angustia e le persecuzioni che avrebbero avute nel mondo; ma non dovevano scoraggiarsi e dovevano confidare in Lui, vincitore del mondo. Avrebbero affrontato un nemico già vinto da Lui, e passato il momento del loro smarrimento, dovevano essere fermi nella lotta, e compiere la loro missione con la grazia di Dio.
Sac. Dolindo Ruotolo

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