domenica 1 giugno 2014

01.06.2014 - Commento alla prima lettera agli Efesini cap. 1, par. 2

2. San Paolo si annuncia apostolo per volontà di Dio, saluta gli Efesini e benedice Dio per la fede e i doni loro concessi per la gloria sua.
San Paolo comincia la sua lettera annunciandosi apostolo di Gesù Cristo per volontà di Dio, per poter insinuare nei fedeli ai quali scrive il dovuto rispetto alla sua parola, rivolta loro in nome e per autorità di Dio. Egli non parla da privato ma da apostolo, ed è tale non per missione avuta dagli uomini ma da Dio. Si rivolge a tutti i santi e fedeli in Gesù Cristo che sono in Efeso, cioè a tutti i cristiani consacrati a Dio in forza della loro vocazione, fedeli al Signore per Gesù Cristo che è la loro santificazione, e in Lui e per Lui li rende graditi a Dio.
Nel Testo della Volgata è detto: a tutti i santi, nel testo greco manca la parola tutti, come in alcuni codici mancano le altre: che sono in Efeso; ma è evidente che l’Apostolo si rivolgeva a tutti indistintamente i cristiani, e determinatamente a quelli di Efeso, ai quali indirizzava la lettera. Egli augura loro e invoca su di loro la grazia di Dio, che è il primo e indispensabile dono del Signore che ci rende partecipi della divina natura, fratelli di Gesù Cristo e coeredi della gloria del Padre, ed augura loro la pace
che è conseguenza della grazia, perché ci dà la tranquillità interiore e l’equilibrio che viene dalla pratica della virtù.
La grazia e la pace vengono a noi da Dio Padre nostro che ce la dona per sua infinita misericordia, e dal Signore Gesù Cristo che ce la merita. Senza di Lui e della sua redenzione per il suo preziosissimo Sangue, non potremmo avere né grazia né pace. Egli ci riconcilia con Dio, Egli ci attrae nell’anima la sua grazia, Egli ci dona la pace, unendoci a Dio con la grazia.
Pieno di riconoscenza per questi doni della divina misericordia, san Paolo esclama: Benedetto il Dio e Padre del nostro Signor Gesù Cristo, il quale ci ha benedetti in Cristo con ogni sorta di benedizione spirituale nei cieli. Queste benedizioni provengono dai cieli, cioè dalla bontà di Dio, e sono attuate per gli eterni disegni e decreti del suo amore. Sono quelle benedizioni con le quali il Signore ci prescelse prima della creazione del mondo, cioè dall’eternità, fra tante creature possibili, ci predestinò, eleggendoci con la sua libera volontà e per puro e gratuito amore fra tutte le creature che per loro colpa si perdono, e ci giustificò per questo in Gesù Cristo e per Gesù Cristo, affinché fossimo santi ed immacolati al suo cospetto, e potessimo comparire innanzi a Lui come suoi figli adottivi per Gesù Cristo suo eterno Figlio.
L’elezione, la predestinazione e la giustificazione non sono un capriccio o una scelta fatta senza profondissima e arcana ragione: il Signore vuole che sia glorificata e si e- salti la sua grazia trionfante, mediante la quale ci rese accetti nel suo diletto Figlio. E la causa finale di ogni opera di Dio: la sua gloria; è la causa finale dell’elezione, predestinazione e adozione dei figli suoi, opera più grande e più bella della stessa creazione, opera di potenza, di sapienza e di amore, che manifesta più di qualunque opera la gloria di Dio.
La gloria di Dio è come un ritorno delle creature in Lui, ed è per esse uno splendore che lo rivela ad esse come Creatore, infinita potenza, infinita sapienza ed infinito Amore. Dio non ha bisogno evidentemente di una gloria ad extra, perché la sua infinita gloria è il suo Verbo eterno, ma Egli non può operare che per la sua gloria, perché è il primo principio di tutto e l’ultimo fine, e perché la sua gloria giova alle sue creature e le sostenta nell’essere e nella vita. Esse sono come lampade accese intorno al suo trono, rifornite ad ogni istante di vita come si rifornisce una lampada perché arda. Senza la gloria di Dio non avrebbero ragione di essere e si dileguerebbero nel nulla, quasi come si spegne una lampada che non deve far luce. Glorificando Dio, si elevano innanzi a Lui come si eleva in alto un cantico potente, sapientemente armonizzato e soavemente amoroso.
Le creature ragionevoli sono elevate a Dio come sua gloria dalla grazia e la grazia è trionfante in esse per il Figlio di Dio che col suo Sangue le redense, donò loro la remissione dei peccati e le arricchì dei suoi meriti. Eravamo schiavi del peccato e del demonio, e con satana eravamo peccato e dannazione. Gesù Cristo ci redense, pagò il prezzo del nostro riscatto col suo Sangue, e noi, uniti a Lui, Verbo di Dio ed eterna glorificazione del Padre, diventiamo anche noi glorificazione di Dio per la trionfante sua grazia. Questa grazia, Gesù Cristo l’ha effusa in noi sovrabbondantemente con ogni sorta di sapienza, facendoci conoscere i grandi misteri della fede, per i quali ci uniamo a Dio con l’intelletto che lo contempla, e l’ha effusa con ogni sorta di prudenza, insegnandoci a vivere santamente secondo i precetti della divina volontà.
La rivelazione dei grandi misteri della fede si attua in noi per la conoscenza dell’Incarnazione del Verbo, mistero della divina volontà, secondo il disegno benevolo della sua misericordia che Egli prestabilì ab aetemo, perché fosse compiuto nella pienezza dei tempi. Evidentemente il suo disegno era in beneficio delle creature e doveva compiersi nel tempo; il suo compimento esigeva una preparazione lunga per predisporre gli uomini a ricevere la misericordia divina; il compimento di questa preparazione rappresenta la pienezza dei tempi, come il tempo della maturazione di un frutto, lentamente formato dalla pianta e dal fiore, ne rappresenta la pienezza.
Il testo greco ha una frase che manca nella Volgata, e che tradotta letteralmente suona così: La grazia di Dio l’ha effusa in noi... avendoci fatto conoscere il mistero della sua volontà che aveva seco stabilito PER L’ORGANIZZAZIONE della SUA CASA, cioè di tutta la famiglia delle sue creature, e prima di tutte della Chiesa, per essere compiuto nella pienezza dei tempi. Questo disegno per l’organizzazione della sua casa era costituito dalla riunione di tutte le cose in Cristo come sotto un solo capo, come indica chiaramente l’espressione greca tradotta nella Volgata con la parola restaurare.
Questa parola non è mal tradotta, e tanto meno fu usata male dal Papa Pio X quando lanciò il suo programma di voler tutto restaurare in Cristo, come insinua qualche moderno; questa parola esprime invece mirabilmente, e come in sintesi comprensiva, il modo in cui Dio voleva riunire tutte le cose in Cristo, restaurando quelle che erano decadute per il peccato o in conseguenza del peccato. È questo il grande mistero della divina volontà, mistero la cui estensione noi non possiamo misurare su questa terra, perché Dio ce ne ha rivelato solo quello che riguarda noi.
Le creature del Cielo e della terra restaurate in Cristo
San Paolo parla certamente di un’opera che Gesù Cristo compie anche nei cieli e, stando alla Volgata e al senso che scaturisce anche dal greco, parla di una restaurazione che per volere di Dio doveva attuarsi nei cieli. In quale senso dice queste parole? Certamente nel senso che Gesù Cristo, nel quale dovevano riunirsi tutte le cose, doveva essere ed è, anche in quanto uomo, il capo degli angeli. Ma anche tra questi spiriti celesti ci fu una ribellione e una caduta tristissima, e la caduta degli angeli ribelli ebbe una ripercussione in tutta la creazione, come l’ebbe sulla terra la caduta dell’uomo. Ora, Gesù Cristo che morendo per gli uomini li redense e li restaurò, restaurando anche la terra, gradatamente fino al compimento dell’opera sua nel giorno del giudizio, operò anche per restaurare i cieli, riparandovi i disordini causati dalla ribellione angelica? Operò per dar modo persino agli angeli ribelli di potersi rinnovare in Lui?
È un mistero che Dio non ci ha rivelato e del quale non conosciamo l’estensione.
Gesù Cristo, salvando gli uomini col suo Sangue preziosissimo, e scegliendo tra essi gli eletti, riparò la caduta degli angeli, compiendo con i salvati il loro numero, sminuito dalla caduta; ma la potenza del suo Sangue prezioso
può estendersi ancora di più, ed assolutamente parlando, può dare anche agli angeli caduti il principio della restaurazione, sol che si uniscano a Lui come a loro capo divino. Essi, che caddero per non voler adorare il Verbo incarnato che fu loro presentato in visione lontana, perché crederono di essergli superiori nella natura, potranno ritrovare la via della salvezza sottomettendosi a Lui già venuto e già incarnato sulla terra, riconoscendone la superiorità su tutte le creature? Come potrebbe attuarsi questo primo passo verso la redenzione? Si attuerà?
Sono tutte domande alle quali non possiamo rispondere, perché Dio non ce l’ha rivelato.
Il desiderio dei santi nel mistero della misericordia di Dio
Potremmo affacciare solo un’ipotesi ardita, che potrebbe trovare una certa conferma sia nel desiderio che hanno avuto tanti santi di spegnere l’inferno dove sono gli angeli caduti, sia guardando quello che Gesù Cristo ha fatto per restaurare l’uomo. Il desiderio dei santi, ispirato dal più puro amore verso Dio e dalla più sublime carità, fu certamente ispirato loro dalla grazia, e non poté essere un frutto di fantastica esaltazione. Fu esso un’esuberanza di eroico amore, che in loro e solo in loro si accese, o fu un riflesso della misericordia di Dio che li illuminava e accendeva l’anima loro dal desiderio di ricondurre a Dio le legioni degli angeli perduti?
Noi non lo sappiamo, perché Dio non ci ha mai rivelato i limiti della sua misericordia. Quando l’ha effusa sugli uomini per il Papa e il sacerdozio, ha voluto che qualunque cosa avessero sciolta sulla terra fosse sciolta nei cieli,
ed ha voluto che il perdono non fosse dato solo sette volte ma settanta volte sette, cioè un numero illimitato. In questo ci ha fatto capire che la sua misericordia non ha limiti. Ora, questa misericordia che Egli effuse sugli uomini ingratissimi dando loro il suo stesso Figlio, si è arrestata, ha avuto o ha i suoi limiti alle porte della perdizione angelica? Dio che ha imposto al sacerdozio di perdonare settanta volte sette i peccati degli uomini caduti dopo la redenzione, ha negato solo agli angeli caduti, spiriti più nobili degli uomini una misericordia?
E se i meriti del prezioso Sangue di Gesù Cristo sono infiniti, non hanno essi trovato, diremmo, lo sfogo e l’espansione di questa infinità effondendosi su nobili creature cadute, e su quelle tra esse che liberamente avessero riconosciuto la superiorità del Verbo incarnato su di loro, unendosi a Lui, e cancellando per Lui l’orgoglio della loro ribellione? Noi non lo sappiamo, ma certamente non ripugna a Dio e ai suoi attributi una tale misericordia, anzi è tanto conveniente alla sua infinita bontà.
Se mettiamo come ipotesi la restaurazione di quegli angeli caduti, che liberamente, per impulso di grazia, riconoscono Gesù Cristo come capo, e si uniscono a Lui per i meriti del suo stesso Sangue, in quale modo potrebbe attuarsi in loro, ostinati nell’orgoglio e nel male, il primo passo verso la restaurazione? E un problema arduo assai, sul quale possiamo formare solo una vaga ipotesi, guardando per analogia quello che il Signore ha compiuto redimendo gli uomini.
16 Sono interrogativi interessanti, che riguardano più Dio che noi. Non è facile per noi sondare l’abisso infinito della divina misericordia anche se dobbiamo necessariamente ricordare... che in Dio anche la giustizia è infinita.
Gesù capo della Chiesa, suo Corpo mistico
Per avere contatto immediato con gli uomini, il Verbo di Dio si fece uomo, si sottopose a tutte le miserie umane, eccetto il peccato, perché era proprio il peccato che Egli voleva espiare e distruggere. L’uomo peccatore trovò in Lui e trova in Lui la via per ritornare a Dio, si congiunge a Lui come membro del suo Corpo mistico, partecipa alla sua vita nei Sacramenti, e soprattutto in quello dell’Eucaristia, si eleva in Lui e riprende il suo cammino soprannaturale, diventando per Gesù Cristo figlio adottivo di Dio.
Per noi che eravamo maledetti, Gesù si fece maledetto, e morì sulla croce che era l’espressione più brutta della maledizione, essendo scritto: Maledetto colui che pende dal legno. La nostra maledizione ci portava all’eterna maledizione, e quindi noi, viventi, eravamo come nell’anticamera dell’inferno, senza speranza di remissione. C’era anche su di noi, senza la redenzione, il suggello dell’eternità. Gesù Cristo si caricò di questa maledizione e fu per noi il maledetto sulla croce; ma lo fu non per ribellione bensì per obbedienza, non per orgoglio ma per estrema umiliazione, non per odio ma per amore, tanto verso Dio che verso gli uomini, e noi fummo salvati dalle sue piaghe per la sua obbedienza, per la sua umiliazione e per il suo amore. Egli ci ha dato il prezzo del riscatto, ma dobbiamo noi accettarlo e usufruirne unendoci a Lui, di modo che non si salvano quelli che non lo vogliono e resistono al suo amore.
Egli ci ha restaurati in Lui, e noi in Lui troviamo la restaurazione e la salvezza, ma le troviamo nella Chiesa e per il sacerdozio, perché nella Chiesa e per il sacerdozio ci
uniamo a Lui. È, dunque, il sacerdote, un uomo pieno della sua potestà che ci applica i meriti del suo Sangue.
Gli angeli perduti, per i quali nessuno potrebbe negare che sarebbero sufficienti alla salvezza i meriti infiniti di Gesù Cristo, potrebbero ritrovare la via della redenzione, se Egli mandasse loro un’anima piena di Lui, che raccogliesse anche la loro maledizione e la consumasse nella pienezza dei suoi meriti infiniti. Quest’anima dovrebbe raccogliere essa la loro perdizione immolandosi, ed essi, attaccandosi a lei, troverebbero Gesù Cristo, Verbo incarnato, ne riconoscerebbero la superiorità, lo adorerebbero, e si troverebbero fuori di quella pervicace ostinazione che ora li mantiene nell’eterna caligine.
Nessuno potrebbe negare questa possibilità, e san Tommaso afferma che Dio di potenza assoluta potrebbe salvare anche i dannati, conciliando però anche per essi le esigenze della giustizia con l’esuberanza della sua misericordia. Se è vero che Dio potrebbe liberare i dannati che ebbero la redenzione e non vollero usufruirne, potrebbe dare anche agli angeli caduti la possibilità della restaurazione in Gesù Cristo nel quale debbono riunirsi e restaurarsi tutte le cose, sia quelle che sono in cielo che quelle che sono in terra.
San Paolo, pur accennando ad una misericordia fuori della nostra terra, parla di quella che abbiamo di fatto ricevuta noi, e in particolare parla dei Giudei e degli Efesini. In Cristo - egli esclama - anche noi per sorte siamo stati fatti eredi, senza alcun nostro merito, poiché fummo predestinati ed eletti secondo il disegno di Lui, che opera secondo il consiglio della sua volontà. L’ultima ragione della scelta è da ricercarsi nella volontà di Dio, e l’ultimo fine della predestinazione e della vocazione alla fede è la gloria di Dio, e perciò san Paolo soggiunge: Affinché siamo argomento di lode alla sua gloria. I primi a sperare in Cristo furono i Giudei, i quali aspettavano la sua venuta e speravano in Lui, a differenza dei pagani che non avevano questa speranza. Ma, compiuta la redenzione per tutti gli uomini, anche i pagani furono chiamati alla fede, e san Paolo rivolgendosi agli Efesini in particolare, esclama: Anche voi, avendo ascoltato la parola della verità, cioè il Vangelo della nostra salvezza, ed avendo ad esso creduto, siete stati improntati del sigillo dello Spirito Santo promesso già da Gesù Cristo in varie occasioni (Le 11,3; Gv 7,39; 14,16, 26 ecc.).
Questo sigillo è il carattere impresso nei Sacramenti del Battesimo e della Confermazione, per il quale carattere chi è chiamato alla fede è riconosciuto autenticamente come figlio di Dio. Questo sigillo che porta nell’anima lo unisce a Gesù Cristo che ha pagato per lui il prezzo del riscatto, e quindi esso è come caparra dell’eredità eterna nella gloria, che sarà piena e completa alla fine dei tempi con la risurrezione finale; cioè fino alla redenzione di tutti coloro che Dio si è acquistati a lode della sua gloria.
Noi, per la fede e il sigillo della fede nel Battesimo e nella Cresima, siamo già eredi nel regno eterno, e ne abbiamo come la caparra. Il possesso di questo regno sarà completo per l’anima e per il corpo, allorché, compiuto il numero degli eletti, sarà compiuto il popolo santo che Gesù Cristo ha acquistato col suo Sangue per la gloria di Dio. Questo popolo è la Chiesa trionfante, e di essa faranno parte tutti quelli che si saranno salvati e si troveranno completamente purificati nel giorno del Giudizio universale.
Riflettendo a questi incommensurabili benefici della redenzione, san Paolo ringrazia Dio che ne ha fatto partecipi gli Efesini, i quali non solo hanno avuto fede in Gesù Cristo, ma hanno avuto anche la carità, inseparabile dalla fede: Perciò io pure - egli esclama - udita la vostra fede nel Signore Gesù e la vostra carità verso tutti i santi, cioè verso tutti i cristiani, non cesso di ringraziare Dio per voi, facendo memoria di voi nelle mie orazioni. Ringraziando Dio della fede e della carità degli Efesini, san Paolo prega per loro, affinché questa fede si accresca con i doni particolari dello Spirito Santo; egli supplica Dio, Padre del Signor nostro Gesù Cristo, Padre della sua gloria sostanziale che è il Verbo eterno generato da Lui, lo supplica a concedere loro spirito di sapienza e di rivelazione per conoscerlo sempre più, e lo supplica ad illuminare gli occhi del loro cuore, affinché possano sapere qual è la speranza della loro vocazione, ossia quanti beni possono sperare coloro che ebbero il dono della fede, quali le ricchezze della sua gloriosa eredità per i santi, cioè quanta gloria è riservata ai cristiani nel Cielo, del quale sono eredi come figli di Dio, e quale sia la sopraeminente grandezza della virtù di Dio verso i credenti, attestata dalle operazioni della sua vigorosa potenza. Egli con la virtù della sua grazia li sostiene perché raggiungano l’oggetto della loro speranza, cioè la gloria del Cielo, e mostra la sua vigorosa potenza vincendo gli ostacoli che si frappongono all’eterna salvezza che essi sperano ed alla quale tendono.
Questa vigorosa potenza Dio la mostrò in Gesù Cristo efficacemente, risuscitandolo dalla morte e facendolo sedere alla sua destra nei cieli, al disopra dei cori angelici, dei quali san Paolo nomina solo quelli nei cui nomi c’è un’espressione di potenza: Principati, Potestà, Virtù e Dominazioni, e al di sopra di qualsiasi altra creatura che abbia dignità non solo nel secolo presente ma anche nel futuro. Elevando la Santissima Umanità di Gesù Cristo a tale altezza, Dio sottopose tutto ai suoi piedi come a re universale, e lo costituì come capo supremo della Chiesa, la quale è il suo Corpo mistico, il compimento di Lui che si compie tutto in tutti.
La Chiesa, ossia la riunione di tutti i fedeli che costituisce il popolo di Dio, è come un solo corpo, del quale il capo invisibile è Gesù Cristo, e il capo visibile è il Papa che ne è il vicario. Come il corpo umano è quasi il compimento del capo, perché senza di esso il capo non potrebbe esercitare le sue diverse azioni, e come il corpo senza il capo non avrebbe né vita né movimento, così la Chiesa è il Corpo di Gesù Cristo, che per essa esercita le sue funzioni di redentore e di santificatore.
Egli si compie tutto in tutti, ovvero, come può anche tradursi in senso attivo il participio greco plerouménou, compie tutto in tutti. Si compie, quasi che l’umanità da Lui assunta trovasse il compimento nelle membra della Chiesa, quasi che Egli, oltre all’umanità assunta in Maria, abbia voluto assumere tutta l’umanità, formando da essa il suo Corpo mistico. Egli COMPIE tutto in tutti, cioè riempie dei suoi beni coloro che gli sono legati, e compie il suo
divino disegno in tutti, cioè nella sua Chiesa, nonostante tutti gli ostacoli che vi frappongono gli empi. Il corpo reale assunto da Gesù Cristo in Maria, visse su questa terra trentatré anni, e poi fu crocifisso e risorse; il Corpo mistico segue la sua stessa vita, soffre la sua medesima passione, apparirà come morto nelle ultime persecuzioni, e risorgerà nella gloria, quando sarà trionfante nel Cielo.
Sac. Dolindo Ruotolo

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