2. Felicità dell’uomo rigenerato in Cristo: egli è libero
dalla condanna causata dal peccato purché non viva secondo la carne.
Questo capitolo costituisce come il centro della lettera di san Paolo ai Romani, e parla del quarto frutto della giustificazione, ossia della felicità dell’uomo rigenerato in Gesù Cristo per mezzo del Battesimo. L’uomo così giustificato, ha la grazia in questa vita (1-11) e la gloria nella vita futura (12-27). Tutto questo per l’infinita carità di Dio verso l’uomo (28-39).
L’Apostolo comincia col dire che con la nuova Legge, ossia nello stato dell’uomo rigenerato, non v’è alcuna condanna per quelli che sono in Gesù Cristo e non camminano secondo la carne. Chi è rigenerato in Gesù Cristo per il Battesimo è liberato dal peccato originale, e per l’eccesso della divina misericordia anche dai peccati attuali. Se egli morisse in quello stato, andrebbe diritto al Paradiso, come vi vanno i bambini innocenti, liberati dal peccato originale. Dunque, in lui non v’è più alcuna macchia, non v’è condanna, non v’è pena eterna. È libero dall’ira di Dio e dal peccato, è libero dalla Legge, perché vive nel compimento della Legge, vive di Gesù Cristo, incorporato a Lui, membro del suo Corpo mistico, tralcio vivo unito alla vera vite (Gv 14,19-20). Questo ineffabile dono è conservato da lui se non cammina secondo la carne, cioè se non perde l’innocenza con peccati attuali. Stando ancora nella prova del pellegrinaggio terreno, la grazia che riceve non lo rende impeccabile e quindi, se cammina nella carne, viene a rinunciare ai frutti della rigenerazione.
San Paolo chiarisce come avviene che l’uomo rigenerato nel Battesimo è liberato dalla condanna del peccato: nell’unione con Gesù Cristo la legge dello Spirito di vita, cioè lo Spirito Santo che vive nell’anima rigenerata, le comunica la vita soprannaturale per i meriti di Gesù Cristo, nell’atto stesso nel quale l’anima è liberata dal peccato e dalla morte eterna. Quest’opera ammirabile di rigenerazione la Legge non poteva farla, perché era data ad anime ancora macchiate di colpa e schiave del peccato. La legge dava il precetto, ma era impotente, a causa della carne; essa veniva come paralizzata per la guasta natura dell’uomo che dava la prevalenza alla carne.
Ciò che non poteva fare la Legge, lo fece Dio, compiendo quello che la Legge prefigurava e annunciava, e mandando il suo proprio Figlio in una carne simile a quella del peccato', in Lui compì l’espiazione del peccato e la resurrezione dell’umanità, condannando il peccato nella carne innocente, santissima e divina di suo Figlio. Non diede a suo Figlio una carne di peccato, ma volle che il suo Corpo divino fosse formato per opera dello Spirito Santo nel seno di una Vergine Immacolata. Da un ramo incontaminato della radice di lesse, volle che spuntasse il suo Fiore divino, perché una carne macchiata non avrebbe potuto espiare i peccati degli uomini. Il Verbo Incarnato quindi era veramente Uomo come era veramente Dio, ma la carne assunta era in tutto come la nostra, fuori che il peccato. Egli si caricò dei peccati di tutti, e in Lui Dio condannò il peccato, affinché ciò che la Legge dichiara giusto, ossia i suoi precetti di santificazione, si compisse in noi che, rigenerati dal Battesimo e uniti e Gesù Cristo, non camminiamo secondo la carne ma secondo lo spirito. La grazia dataci per Gesù Cristo ci fa adempire i precetti, ed essi si adempiono in noi, ossia con la nostra cooperazione.
Chi non vive di carne è chiamato figlio di Dio
L’Apostolo spiega perché quelli che vivono secondo la carne, e si lasciano dominare da essa, non possono compiere la giustizia della Legge: coloro che vivono secondo la carne, gustano le cose della carne,... e le aspirazioni della carne portano alla morte. Quelli, invece, che vivono secondo lo spirito, sentono le cose dello Spirito,... e le aspirazioni dello spirito sono vita e pace. Sta in questa grande verità il segreto della malvagità umana e dell’avversione di tanti infelici a Dio; sta in questo contrasto tra la carne e lo spirito la vera ragione dell’implacabile guerra che i malvagi fanno alla Chiesa. Le teorie, i sistemi filosofici, le utopie politiche, la falsa scienza, il criticismo razionalista, e tutto il pesante bagaglio, più o meno ideali dei perversi, non sono che l’orpello per celare o giustificare gli obbrobri e le degenerazioni della carne. Basterebbe considerare la recentissima storia di famosi dittatori moderni, per scorgere immediatamente, sotto l’ingannevole verdeggiare ideale, un pantano d’impurità. L ’aspirazione della carne, infatti - soggiunge l’Apostolo - è nemica di Dio, non essendo soggetta alla Legge di Dio, e non essendone capace. Non accetta la Legge di Dio e vi si oppone con aperta ribellione; non è capace di accettarla, perché nella sua degradazione giunge a tale abisso d’iniquità che non può salire al di sopra della propria miseria. Quando si vede, dunque, uno che contrasta alla Legge di Dio, ci si trova sempre innanzi ad un essere avvilito al disotto dei bruti, come si può facilmente constatare negli infelicissimi senza Dio, e in generale nei comunisti, che sono sempre quanto di più infelice abbia mai avuto l’umanità.
Si deve notare che quando san Paolo parla di carne, intende parlare del peccato in genere e di tutte le concupiscenze dei sette peccati mortali. Siccome, però, la maledetta impurità è la concupiscenza che emerge e domina su tutte le altre, le sue parole possono riferirsi, e si riferiscono, infatti, a questo peccato che può chiamarsi causa ed effetto di tutti gli altri. Persino l’idolatria dei pagani, che aveva l’apparenza di religiosità, sia pure traviata e avvilita, nasceva dall’impurità e produceva impurità. Per questo san Paolo conclude: Quelli che sono carnali non possono piacere a Dio-, essi rifuggono da Dio e Dio li abomina, perché Dio è infinitamente puro e santo; abominandoli, il Signore li ricaccia da sé e li condanna alla morte eterna.
Rivolgendosi in modo particolare ai Romani, ai quali scrive, san Paolo applica loro ciò che ha detto, e si consola della grazia che li santifica e li eleva, in contrasto col mondo pagano nel cui centro essi vivevano: Voi, però - egli esclama - non siete carnali ma spirituali; lo siete per la vostra vocazione e per l’incorporamento a Cristo, e continuerete ad esserlo se conservate in voi lo Spirito Santo che vi ha uniti a Gesù Cristo e santificato. Lo Spirito Santo è lo Spirito di Cristo, poiché per Lui fu formato il suo Corpo nel seno di Maria, ed Egli ricolmò di grazie e di doni l’umanità assunta dal Verbo Incarnato; ora, chi vive di carne e non di Spirito Santo non appartiene a Gesù Cristo, perché si distacca da Lui, e non vive della vita della quale Egli visse, essendo la carne diametralmente opposta allo Spirito Santo.
Se uno, poi, non vive di carne, ma di Spirito Santo, santificato e guidato dall’Amore divino, Cristo è in lui, sia per concomitanza, essendo inseparabili le tre divine Persone, e sia perché lo Spirito Santo glielo dona e lo forma in lui. Il corpo allora è morto, cioè è ancora soggetto alla morte per il peccato originale, ma lo spirito vive a ragione della giustizia, ossia, come dice il testo greco, della giustificazione comunicata dallo Spirito Santo nel Battesimo. San Paolo dice che lo spirito vive, cioè che l’anima adorna di grazia e unita allo Spirito Santo vive di una vita soprannaturale, nonostante che il corpo sia morto, ossia sia sottoposto ancora alla morte e muoia di fatto. Egli non dice che il corpo morirà, ma, lo considera per anticipazione come già morto, dato che la vita mortale è un continuo cammino verso la morte, e che il mondo vede continuamente la morte passare da trionfatrice tra gli uomini.
La morte, però, non è padrona dell’uomo rigenerato nello spirito che per poco tempo, e quindi, strettamente parlando, non può considerarsi quasi come un fallimento dell’opera redentrice del Cristo: se lo Spirito di Colui che risuscitò Gesù dalla morte abita in voi per la grazia da voi ricevuta, Egli che risuscitò Gesù Cristo dalla morte, vivificherà anche i vostri corpi mortali, a ragione del suo Spirito abitante in voi. Gesù Cristo, come Dio, risuscitò per virtù propria, ma come Uomo risuscitò per l’onnipotenza di Dio, e quindi del Padre, al quale si riferiscono le opere dell’onnipotenza. San Paolo espone questo argomento per dimostrare che anche il corpo mortale di uno, rigenerato dalla grazia dello Spirito Santo e incorporato a Gesù Cristo, risorgerà: se lo Spirito del Padre, che risuscitò dalla morte Gesù Cristo, abita per la grazia nell’anima cristiana, questa, insieme col proprio corpo, è tempio vivo dello Spirito Santo, ed il Padre ne farà risorgere anche il corpo, santificato dalla presenza dello Spirito Santo. San Paolo considera qui solo la resurrezione dei giusti, perché questa è vera risurrezione; quella dei peccatori è una seconda morte, e se essi risorgono anche per divina potenza, questo non avviene perché sono tempio dello Spirito Santo, ma perché debbono presentarsi innanzi al Giudizio di Dio, e pagare anche col corpo le proprie colpe.
Da tutto quello che ha detto, san Paolo trae come conclusione che noi, pur vivendo nella carne mortale, non dobbiamo vivere di carne, anzi dobbiamo darle la morte con la penitenza e mortificazione, negandole tutte quelle soddisfazioni che sono contrarie allo spirito. Dunque, o fratelli — egli esclama — noi non siamo debitori alla carne da dover vivere secondo la carne, perché se vivrete secondo la carne morirete, se poi con lo spirito mortificherete le azioni della carne vivrete. La carne non può affacciare su di noi alcun diritto; poiché non è per la carne che siamo capaci dei doni di Dio. Essa, anzi, deve come morire sotto l’impero dello spirito, e dev’essere con questa santa mortificazione strumento dello spirito. Noi non viviamo per questa misera terra, ma aspiriamo ad essere figli di Dio, per essere poi eredi dell’eterna gloria; ora, chi non vive di carne ma è mosso dallo Spirito Santo, questi è chiamato figlio di Dio, perché per la grazia dello Spirito Santo è incorporato a Gesù Cristo, è membro del suo Corpo mistico, e partecipa in Lui alla sua filiazione.
Essere figli di Dio significa essere liberi in Lui nella Legge dell’amore; essere uomini carnali significa invece essere schiavi dei sensi e ritornare ad essere pagani, nella legge dell’oppressione e del timore.
Ora, noi non abbiamo ricevuto lo spirito dì schiavitù, né i convertiti dal paganesimo hanno lasciato l’idolatria per passare nel dominio della Legge dell’Antico Patto dove il bene si compiva per timore, ma noi in Gesù Cristo abbiamo ricevuto lo spirito di adozione, per il quale ci rivolgiamo a Dio come figli, e lo chiamiamo affettuosamente Padre. San Paolo cita una parola aramaica, Abbà, che egli stesso traduce: O Padre!, indicando il principio dell’orazione insegnataci da Gesù: Padre nostro che sei nei cieli, ecc. E non solo noi preghiamo Dio chiamandolo Padre, ma, per la grazia santificante donataci dallo Spirito Santo, sentiamo per Dio la fiducia di figli, e sospiriamo alla gloria eterna come a nostra eredità futura. Se siamo figli, siamo anche eredi, e se sospiriamo all’eredità eterna per Gesù Cristo che in Lui ci ha dato il diritto di eredi facendoci suoi coeredi, noi intendiamo di essere figli di Dio. Né le pene della vita possono oscurare la nostra fiducia filiale in Dio, perché, essendo coeredi in Cristo dell’eterna gloria, noi intendiamo che dobbiamo partecipare ai suoi dolori per partecipare alla sua eredità.
L’uomo, erede con Gesù Cristo, del Regno Eterno, purché patisca...
I patimenti della vita presente sono per noi una grande oscurità in questa dottrina della nostra filiazione con Dio, poiché a noi potrebbe sembrare strano che un Padre amoroso ci triboli. Ma se pensiamo non solo di essere coeredi di Gesù Cristo crocifisso, ma di dover meritare l’eterna gloria con le prove e le pene della vita, noi intendiamo che esse, per quanto gravi, non sono proporzionate a quella gloria che si manifesterà in noi, nell’eternità.
San Paolo parla per esperienza personale, poiché egli fu rapito al Paradiso (2Cor 12,2ss), e vi contemplò tale a- bisso di felicità, da poter dire con sicurezza: Io ritengo per certo che i patimenti del tempo presente non hanno proporzione alcuna con la gloria futura che si manifesterà in noi. Nonostante, dunque, le prove della vita, noi sappiamo che Dio ci è Padre, abbiamo speranza in Lui, sospiriamo a Lui, e sentiamo quasi l’eco di questa grande speranza in tutto il mondo che ci circonda e in tutte le creature a noi inferiori, poiché tutto è ordinato ad una maggiore perfezione e ad un ordine perfetto, proprio perché in tutto il creato si ripercossero gli effetti della colpa originale, ed esso appare come qualcosa di provvisorio, come un abbozzo che attende dall’artefice il perfezionamento.
Anche il creato è sconvolto dal peccato
San Paolo esprime questa grande idea che ci fa capire perché, il mondo è pieno di miserie, rappresentandolo come una persona che col capo levato e gli occhi fìssi in lontananza, secondo l’espressione del testo greco, aspetta con trepida ansia la glorificazione dei figli di Dio, per sentirsi liberato dai disordini che in esso ha causato il peccato, e per sentirsi quasi libero di glorificare Dio nell’ordine ammirabile delle leggi che gli aveva date. La terra, infatti, fu maledetta da Dio quando l’uomo peccò, e lo fu perché gli avesse prodotto triboli e spine, dandogli occasione di e- spiare il suo peccato e ritrovare la via della salvezza (Gen
3,17).
Dio, infatti, disse ad Adamo, dopo il peccato, secondo il testo ebraico: Maledetta è la terra PER CAUSA TUA, ed essa fu assoggettata alla vanità, cioè alla mutabilità, al deperimento, al disordine, al disfacimento, pur amando naturalmente la propria conservazione e pur tendendo ad una benefica evoluzione in meglio, che si rivela in tutte le leggi del creato che l’uomo scopre ed applica, e si rivela nelle forze di reazione che il creato oppone a chi tenta turbarle o distruggerle.
Dio, che aveva dato all’uomo il creato come coefficiente di felicità anche nella vita terrena, lo assoggettò alla vanità e permise in esso tanti disordini, perché avesse dato occasione all’uomo di espiare, nella speranza di una rinnovazione. Questa speranza riguarda anche il creato, poiché, restaurato in pieno l’uomo, anche il creato sarà meravigliosamente ordinato, e vi saranno cieli nuovi e terra nuova (cf Is 65,16; 66,22; Ap 21,1). Il creato è come oppresso da una schiavitù, è ristretto nelle sue manifestazioni, è come legato in ceppi nelle sue mirabili forze, perché l’uomo abusa di tutto per fare il male e offendere Dio. Ne abbiamo un sentore in quelle strabilianti forze scoperte ultimamente negli atomi, e nei disastrosi effetti della bomba atomica.
Chi può dire quali sono i segreti della creazione?
Chi può dire quante meraviglie potrebbero cavarsi dalla loro applicazione?
Noi non abbiamo neppure la più lontana idea di un mondo perfettamente libero di manifestare la potenza divina, e di glorificare il Creatore nelle sue manifestazioni. Secondo la potente espressione di san Paolo, esso fino ad ora geme ed è come nei dolori del parto, perché vorrebbe manifestare i tesori di gloria di Dio che raccoglie nelle sue leggi e non lo può. Attende anch’esso, quindi, la libertà dei figli di Dio, perché anch’esso è creatura di Dio, e anela alla libertà come vi aneliamo noi, esclama con mirabile enfasi l’Apostolo, noi che abbiamo le primizie soltanto dello Spirito Santo in questa terra, e gemiamo dentro di noi, sospirando alla pienezza della rivelazione della gloria di Dio in noi, anelando l’adozione dei figli di Dio nell’eterna gloria, e la redenzione del nostro corpo nella risurrezione, quando, con l’anima e col corpo glorificati, saremo veramente in Gesù figli adottivi di Dio.
Nella speranza, la nostra salvezza
La nostra aspirazione alla piena adozione di figli di Dio, a cui fa eco tutto il creato, che tende ad una rinnovazione perché oppresso da miserie e sconcerti, ci fa capire che noi siamo stati salvati nella speranza, cioè non interamente in questa vita, poiché non si compie in essa la nostra piena adozione di figli di Dio con l’anima e col corpo, né rifulge in essa la pienezza della gloria di Dio nel creato, disordinato dal peccato e quasi oppresso nelle manifestazioni di tutte le meraviglie che Dio vi ha posto. Se noi siamo salvati nella speranza è chiaro che non possiamo vedere in questa vita tutti i frutti della piena salvezza; se li vedessimo li possederemmo già, ed essi non costituirebbero più una speranza.
Non ci rimane, dunque, che attendere con pazienza, aspettando il compimento delle divine promesse, e pregando perché si compiano secondo le disposizioni della divina volontà. La nostra vita presente, essendo come abbozzata ed incompleta, è un continuo sospirare, sperando in Dio con incrollabile fiducia. In che cosa speriamo con precisione, non lo sappiamo neppure noi, poiché siamo molte volte carnali, e confondiamo i desideri della nostra debolezza con le grandi aspirazioni della vita eterna e della glorificazione di Dio in noi.
Ma anche allora lo Spirito Santo, che abita in noi, viene in nostro aiuto, e prega per noi, per mezzo nostro, con gemiti inesprimibili, cioè ci muove Egli stesso a domandare il compimento del disegno di Dio, e muove i santi a quelle potenti orazioni nelle quali essi si abbandonano in Dio e sospirano al suo regno, senza saper esprimere neppure che cosa domandano. Essi sospirano quello che al mondo sembra utopia, gemono per i mali del mondo, e gemendo implorano, senza capire neppure la portata e l’estensione dei loro desideri, il compimento della salvezza. Dio, però, che scruta i cuori, conosce quali sono i desideri che lo Spirito Santo ispira ai suoi servi, e per mezzo dei quali prega, supplendo l’umana debolezza.
Queste misteriose parole, quasi incomprensibili alla nostra piccolezza, ci rivelano un grande segreto dell’economia divina nella nostra salvezza, e ci fanno capire in parte certe misteriose aspirazioni dei santi in tutto il percorso della vita della Chiesa.
Noi, salvati da Gesù Cristo, ci troviamo dinanzi a un mondo tuttora perverso, che cresce anzi nella sua malvagità. Non sappiamo spiegarcelo, perché non intendiamo che in quelli che sono uniti a Gesù Cristo la piena salvezza avviene nel Cielo e dopo la resurrezione finale. Camminiamo sperando tempi migliori anche sulla terra, ma non sappiamo come potranno compiersi.
I santi, più che il resto dei fedeli, ispirati da speciali mozioni dello Spirito Santo, intuiscono il regno di Dio, vi sospirano e vi lavorano tra i gemiti inesprimibili delle loro immolazioni, e tra le difficoltà e le persecuzioni che incontrano nel compiere quelle opere di carità e di zelo che tendono tutte al compimento del regno di Dio. Essi appaiono al mondo come anormali e persino come squilibrati, perché i gemiti delle loro aspirazioni sono inesprimibili. Par che tutto fallisca in loro; ma Dio, che conosce e scruta il fondo dei cuori, sa bene ciò che essi domandano per particolare mozione dello Spirito Santo, e prepara di secolo in secolo la manifestazione del suo regno e della sua gloria. La Chiesa è ricca di queste voci misteriose e di questi gemiti inesprimibili imploranti il regno di Dio.
Quanti sono i suoi santi e le opere da essi compiute tante sono queste voci e questi inesprimibili gemiti di speranza e di preghiera: i martiri, i confessori, le vergini, gli anacoreti, le vedove sante rappresentano tanti cori di queste preghiere.
Agli stolti, il sospiro al regno di Dio sembra un’ingenuità, ma in realtà esso è una preghiera ispirata dallo Spirito Santo, che lo attira e ne implora il compimento. I tempi non sembrano mutare, il mondo è sempre lo stesso, le tribolazioni della Chiesa anzi, incalzano, ma essa sa che tutto toma in bene per quelli che amano Dio, e che secondo il suo disegno furono chiamati santi. Le tribolazioni santificano i giusti e, tra esse, Dio sceglie e raccoglie quelli che interamente salvati, nell’anima e nel corpo, dovranno essere simili a suo Figlio, e formare il regno dei glorificati che è il suo regno eterno.
La selezione degli eletti si fa appunto tra le tribolazioni della vita, e nulla può separarli dall’amore di Gesù Cristo, nel quale sono salvati.
Dio sceglie i suoi eletti
Il disegno di Dio è il suo decreto eterno. Nel testo greco, infatti, la parola equivale ad un disegno prestabilito, ed è il decreto col quale Dio, fin da tutta l’eternità, ha stabilito di dare ad un certo numero di uomini la gloria del Cielo, e quindi la grazia e i meriti a ciò necessari. Tutto questo lo fa non perché ci sia tenuto o perché gli uomini lo abbiano meritato de condigno, ma per un atto della sua bontà e della sua misericordia (Rm 4,6; 9,11; Ef 1,11; 3,11; 5,9; 2Tm 1,9).
Gli atti di Dio relativi alla nostra salvezza si congiungono l’uno all’altro succedendosi in questo ordine: prescienza, predestinazione o proposito, vocazione o elezione, giustificazione e glorificazione. Coloro che Dio ha preconosciuti, cioè che vide con un atto dell’intelletto da tutta l’eternità che avrebbero corrisposto al suo appello, li ha anche predestinati, con un atto di volontà, ad essere conformi all’immagine del Figlio suo, cioè ad essere realmente simili, benché in modo imperfetto, a suo Figlio per mezzo della grazia santificante, ad essere quindi fratelli di Gesù, in modo da diventare Egli il primogenito tra molti fratelli. La prescienza che è un atto dall’intelletto, precede la predestinazione, che è un atto della volontà. Sono questi gli atti fatti da Dio da tutta l’eternità per la salvezza degli eletti. Gli atti che seguono sono quelli fatti nel tempo per l’esecuzione del suo disegno: Quelli che Egli ha predestinati li ha anche chiamati con un appello efficace alla fede, e quelli che ha chiamati li ha anche giustificati, purificandoli dal peccato e santificandoli con la grazia; quelli poi che ha giustificati li ha pure glorificati, poiché la grazia è il seme della gloria, e in certo modo è la gloria incominciata. Tutto questo per quanto dipende da Dio, perché evidentemente si richiede la libera cooperazione dell’uomo che non guasti l’opera di Dio. Di qui le iterate raccomandazioni dell’Apostolo ai fedeli perché osservino la Legge di Dio, ed operino la loro salvezza in timore e tremore (cf GIOVANNI Re, S.J. Le lettere di san Paolo, pp. 251-252).
... E chi potrà separarci dall’Amore di Gesù Cristo?
Dio vuole tutti salvi, e, quelli che si perdono, si perdono per loro colpa. Egli ha tanta cura dei suoi eletti che fin dall’eternità, prima ancora di crearli li preconosce e li predestina con infinita misericordia, e dopo averli creati li chiama, li giustifica e li glorifica. Che diremo dunque dopo tutto questo? esclama l’Apostolo ai suoi fedeli, chiamati appunto da Dio alla salvezza per la fede, e giustificati per la grazia del Battesimo; potremo noi scoraggiarci in mezzo alle insidie del mondo, e temere di perderci? Se Dio ci ha chiamati e vuole salvarci, Egli è con noi; e se Dio è per noi chi sarà contro di noi? Se ci ha dato il massimo suo dono non risparmiando nemmeno il suo proprio Figlio, ma dandolo alla morte per tutti noi, come non ci accorderà ogni cosa insieme con Lui?
Il Figlio suo Dio lo ha dato a tutti gli uomini, è di fede e non ne possiamo dubitare; dunque, tutti possono salvarsi; dunque, Egli vuole tutti salvi, perché se a tutti dà il massimo dono, a tutti offre le grazie e gli aiuti che vengono da quel dono ineffabile.
Solo chi rifiuta il suo dono e i suoi aiuti si perde miseramente per propria colpa.
San Paolo scriveva ai Romani convertiti, che fin dal principio della sua lettera chiamò gli amati da Dio e i chiamati a santità (1,7); egli, quindi, li considerava come eletti da Dio e, per incoraggiarli a confidare nel Signore ed a perseverare nel bene, esclama: Chi porterà accusa contro gli eletti di Dio? Chi potrà loro rinfacciare di nuovo i peccati dai quali furono liberati? Potrà farlo forse quel Dio che li giustifica? E chi mai condannerà? Potrà farlo forse Gesù Cristo che per assolverci dai peccati morì per noi, risuscitò per aprirci le porte del Paradiso, ed è alla destra di Dio per intercedere per noi?
Se il suo amore, infatti, è così potente e ci attrae non con un semplice fascino ma con la grazia, chi ci potrà separare da Lui? Forse la tribolazione della vita? Forse l’angoscia delle pene interiori che opprimono l’anima? Forse la persecuzione di quelli che ci fanno guerra? Forse la fame, la nudità, il pericolo, che nelle persecuzioni ci colpiscono, perché privi di tutto, siamo come esseri reietti? Forse la spada, cioè la morte stessa violenta che ci s’infligge nelle persecuzioni?
Noi, infatti, siamo continuamente esposti alla morte, dice san Paolo, e si avvera in noi quello che il salmo 43,23 dice del popolo d’Israele, esposto alle persecuzioni dei violenti: Per te ogni giorno siamo dati alla morte, siamo ritenuti come pecore da macello. Egli cita il salmo secondo la versione dei Settanta, e soggiunge che anche nelle persecuzioni sanguinose noi non siamo sopraffatti, né cediamo per debolezza, separandoci da Gesù Cristo, ma stravinciamo per mezzo di Colui che ci ha amati.
Io sono certo - conclude l’Apostolo con enfasi dovuta al grande amore che aveva per Gesù Cristo - che né la morte, il male più terribile di questa vita, né la vita, il bene più desiderabile della terra, né gli angeli buoni medesimi se per assurdo volessero con la loro potenza strapparci dal Signore, né i principati delle tenebre, i demoni, con tutte le loro arti perverse, né il presente, cioè le tribolazioni che ci sovrastano, né l’avvenire, ossia quelle che potranno colpirci, né le potenze di questo mondo, né l’altezza né la profondità, cioè né alcuna cosa creata o alcuna creatura ci potrà separare dall’amore di Dio, in Gesù Cristo Signor nostro.
La certezza assoluta che san Paolo ha di non potersi separare dall’amore di Gesù Cristo e dall’amore di Dio nasceva da una particolare rivelazione da lui avuta, o era un impeto di fiducia in Dio? Nessuno, infatti è certo, senza una speciale rivelazione, se è degno d’amore o di odio, e se sia predestinato (Conc. Trid. Sess. VI, cap. XII). Egli poi non parla solo di se stesso, ma di tutti i fedeli ai quali si rivolge, ed in un senso anche più generale, di tutti i cristiani eletti da Dio e uniti a Gesù Cristo per il Battesimo. Egli, dunque, parla in un impeto di fiducia, in un momento di accesissimo amore verso Dio e Gesù Cristo. Il suo slancio del resto era la logica conseguenza di ciò che aveva
detto: nessuna condanna vi può essere per quelli che sono in Cristo e non camminano secondo la carne, poiché la legge dello Spirito di vita, libera dalla legge del peccato e della morte.
Alla nostra debolezza è venuto incontro il Signore mandandoci SUO Figlio, e con suo Figlio ci ha dato tutti gli
aiuti della grazia per poterci salvare.
I fedeli Romani ai quali parlava non erano carnali ma spirituali, e vivevano in Gesù Cristo e per Gesù Cristo, con la speranza incrollabile dell’eterna gloria e del regno di Dio. Questa speranza non era una semplice aspirazione, ma era mossa in loro e rafforzata dallo Spirito Santo. Essi erano certamente chiamati da Dio alla vocazione cristiana da un particolare disegno d’amore, erano stati giustificati nel Battesimo, e potevano avere ferma speranza di salvarsi per Gesù Cristo. Avrebbe mai potuto riprovarli Dio che li aveva giustificati per salvarli, o Gesù Cristo che era morto per loro? Chi, dunque, poteva separarli dal divino Amore e da Gesù Cristo?
E chi potrà separare noi da Dio e da Gesù Cristo, se non viviamo di carne e li amiamo con tutta l’anima nostra? Sì, non possiamo essere certi della salvezza, che è sempre un dono gratuito di Dio, perché immensamente superiore ad ogni nostro merito, ma possiamo sperarla così fermamente da esserne in certo modo sicuri, per la stessa misericordia di Dio che con tanta bontà ci ha voluto salvare.
dalla condanna causata dal peccato purché non viva secondo la carne.
Questo capitolo costituisce come il centro della lettera di san Paolo ai Romani, e parla del quarto frutto della giustificazione, ossia della felicità dell’uomo rigenerato in Gesù Cristo per mezzo del Battesimo. L’uomo così giustificato, ha la grazia in questa vita (1-11) e la gloria nella vita futura (12-27). Tutto questo per l’infinita carità di Dio verso l’uomo (28-39).
L’Apostolo comincia col dire che con la nuova Legge, ossia nello stato dell’uomo rigenerato, non v’è alcuna condanna per quelli che sono in Gesù Cristo e non camminano secondo la carne. Chi è rigenerato in Gesù Cristo per il Battesimo è liberato dal peccato originale, e per l’eccesso della divina misericordia anche dai peccati attuali. Se egli morisse in quello stato, andrebbe diritto al Paradiso, come vi vanno i bambini innocenti, liberati dal peccato originale. Dunque, in lui non v’è più alcuna macchia, non v’è condanna, non v’è pena eterna. È libero dall’ira di Dio e dal peccato, è libero dalla Legge, perché vive nel compimento della Legge, vive di Gesù Cristo, incorporato a Lui, membro del suo Corpo mistico, tralcio vivo unito alla vera vite (Gv 14,19-20). Questo ineffabile dono è conservato da lui se non cammina secondo la carne, cioè se non perde l’innocenza con peccati attuali. Stando ancora nella prova del pellegrinaggio terreno, la grazia che riceve non lo rende impeccabile e quindi, se cammina nella carne, viene a rinunciare ai frutti della rigenerazione.
San Paolo chiarisce come avviene che l’uomo rigenerato nel Battesimo è liberato dalla condanna del peccato: nell’unione con Gesù Cristo la legge dello Spirito di vita, cioè lo Spirito Santo che vive nell’anima rigenerata, le comunica la vita soprannaturale per i meriti di Gesù Cristo, nell’atto stesso nel quale l’anima è liberata dal peccato e dalla morte eterna. Quest’opera ammirabile di rigenerazione la Legge non poteva farla, perché era data ad anime ancora macchiate di colpa e schiave del peccato. La legge dava il precetto, ma era impotente, a causa della carne; essa veniva come paralizzata per la guasta natura dell’uomo che dava la prevalenza alla carne.
Ciò che non poteva fare la Legge, lo fece Dio, compiendo quello che la Legge prefigurava e annunciava, e mandando il suo proprio Figlio in una carne simile a quella del peccato', in Lui compì l’espiazione del peccato e la resurrezione dell’umanità, condannando il peccato nella carne innocente, santissima e divina di suo Figlio. Non diede a suo Figlio una carne di peccato, ma volle che il suo Corpo divino fosse formato per opera dello Spirito Santo nel seno di una Vergine Immacolata. Da un ramo incontaminato della radice di lesse, volle che spuntasse il suo Fiore divino, perché una carne macchiata non avrebbe potuto espiare i peccati degli uomini. Il Verbo Incarnato quindi era veramente Uomo come era veramente Dio, ma la carne assunta era in tutto come la nostra, fuori che il peccato. Egli si caricò dei peccati di tutti, e in Lui Dio condannò il peccato, affinché ciò che la Legge dichiara giusto, ossia i suoi precetti di santificazione, si compisse in noi che, rigenerati dal Battesimo e uniti e Gesù Cristo, non camminiamo secondo la carne ma secondo lo spirito. La grazia dataci per Gesù Cristo ci fa adempire i precetti, ed essi si adempiono in noi, ossia con la nostra cooperazione.
Chi non vive di carne è chiamato figlio di Dio
L’Apostolo spiega perché quelli che vivono secondo la carne, e si lasciano dominare da essa, non possono compiere la giustizia della Legge: coloro che vivono secondo la carne, gustano le cose della carne,... e le aspirazioni della carne portano alla morte. Quelli, invece, che vivono secondo lo spirito, sentono le cose dello Spirito,... e le aspirazioni dello spirito sono vita e pace. Sta in questa grande verità il segreto della malvagità umana e dell’avversione di tanti infelici a Dio; sta in questo contrasto tra la carne e lo spirito la vera ragione dell’implacabile guerra che i malvagi fanno alla Chiesa. Le teorie, i sistemi filosofici, le utopie politiche, la falsa scienza, il criticismo razionalista, e tutto il pesante bagaglio, più o meno ideali dei perversi, non sono che l’orpello per celare o giustificare gli obbrobri e le degenerazioni della carne. Basterebbe considerare la recentissima storia di famosi dittatori moderni, per scorgere immediatamente, sotto l’ingannevole verdeggiare ideale, un pantano d’impurità. L ’aspirazione della carne, infatti - soggiunge l’Apostolo - è nemica di Dio, non essendo soggetta alla Legge di Dio, e non essendone capace. Non accetta la Legge di Dio e vi si oppone con aperta ribellione; non è capace di accettarla, perché nella sua degradazione giunge a tale abisso d’iniquità che non può salire al di sopra della propria miseria. Quando si vede, dunque, uno che contrasta alla Legge di Dio, ci si trova sempre innanzi ad un essere avvilito al disotto dei bruti, come si può facilmente constatare negli infelicissimi senza Dio, e in generale nei comunisti, che sono sempre quanto di più infelice abbia mai avuto l’umanità.
Si deve notare che quando san Paolo parla di carne, intende parlare del peccato in genere e di tutte le concupiscenze dei sette peccati mortali. Siccome, però, la maledetta impurità è la concupiscenza che emerge e domina su tutte le altre, le sue parole possono riferirsi, e si riferiscono, infatti, a questo peccato che può chiamarsi causa ed effetto di tutti gli altri. Persino l’idolatria dei pagani, che aveva l’apparenza di religiosità, sia pure traviata e avvilita, nasceva dall’impurità e produceva impurità. Per questo san Paolo conclude: Quelli che sono carnali non possono piacere a Dio-, essi rifuggono da Dio e Dio li abomina, perché Dio è infinitamente puro e santo; abominandoli, il Signore li ricaccia da sé e li condanna alla morte eterna.
Rivolgendosi in modo particolare ai Romani, ai quali scrive, san Paolo applica loro ciò che ha detto, e si consola della grazia che li santifica e li eleva, in contrasto col mondo pagano nel cui centro essi vivevano: Voi, però - egli esclama - non siete carnali ma spirituali; lo siete per la vostra vocazione e per l’incorporamento a Cristo, e continuerete ad esserlo se conservate in voi lo Spirito Santo che vi ha uniti a Gesù Cristo e santificato. Lo Spirito Santo è lo Spirito di Cristo, poiché per Lui fu formato il suo Corpo nel seno di Maria, ed Egli ricolmò di grazie e di doni l’umanità assunta dal Verbo Incarnato; ora, chi vive di carne e non di Spirito Santo non appartiene a Gesù Cristo, perché si distacca da Lui, e non vive della vita della quale Egli visse, essendo la carne diametralmente opposta allo Spirito Santo.
Se uno, poi, non vive di carne, ma di Spirito Santo, santificato e guidato dall’Amore divino, Cristo è in lui, sia per concomitanza, essendo inseparabili le tre divine Persone, e sia perché lo Spirito Santo glielo dona e lo forma in lui. Il corpo allora è morto, cioè è ancora soggetto alla morte per il peccato originale, ma lo spirito vive a ragione della giustizia, ossia, come dice il testo greco, della giustificazione comunicata dallo Spirito Santo nel Battesimo. San Paolo dice che lo spirito vive, cioè che l’anima adorna di grazia e unita allo Spirito Santo vive di una vita soprannaturale, nonostante che il corpo sia morto, ossia sia sottoposto ancora alla morte e muoia di fatto. Egli non dice che il corpo morirà, ma, lo considera per anticipazione come già morto, dato che la vita mortale è un continuo cammino verso la morte, e che il mondo vede continuamente la morte passare da trionfatrice tra gli uomini.
La morte, però, non è padrona dell’uomo rigenerato nello spirito che per poco tempo, e quindi, strettamente parlando, non può considerarsi quasi come un fallimento dell’opera redentrice del Cristo: se lo Spirito di Colui che risuscitò Gesù dalla morte abita in voi per la grazia da voi ricevuta, Egli che risuscitò Gesù Cristo dalla morte, vivificherà anche i vostri corpi mortali, a ragione del suo Spirito abitante in voi. Gesù Cristo, come Dio, risuscitò per virtù propria, ma come Uomo risuscitò per l’onnipotenza di Dio, e quindi del Padre, al quale si riferiscono le opere dell’onnipotenza. San Paolo espone questo argomento per dimostrare che anche il corpo mortale di uno, rigenerato dalla grazia dello Spirito Santo e incorporato a Gesù Cristo, risorgerà: se lo Spirito del Padre, che risuscitò dalla morte Gesù Cristo, abita per la grazia nell’anima cristiana, questa, insieme col proprio corpo, è tempio vivo dello Spirito Santo, ed il Padre ne farà risorgere anche il corpo, santificato dalla presenza dello Spirito Santo. San Paolo considera qui solo la resurrezione dei giusti, perché questa è vera risurrezione; quella dei peccatori è una seconda morte, e se essi risorgono anche per divina potenza, questo non avviene perché sono tempio dello Spirito Santo, ma perché debbono presentarsi innanzi al Giudizio di Dio, e pagare anche col corpo le proprie colpe.
Da tutto quello che ha detto, san Paolo trae come conclusione che noi, pur vivendo nella carne mortale, non dobbiamo vivere di carne, anzi dobbiamo darle la morte con la penitenza e mortificazione, negandole tutte quelle soddisfazioni che sono contrarie allo spirito. Dunque, o fratelli — egli esclama — noi non siamo debitori alla carne da dover vivere secondo la carne, perché se vivrete secondo la carne morirete, se poi con lo spirito mortificherete le azioni della carne vivrete. La carne non può affacciare su di noi alcun diritto; poiché non è per la carne che siamo capaci dei doni di Dio. Essa, anzi, deve come morire sotto l’impero dello spirito, e dev’essere con questa santa mortificazione strumento dello spirito. Noi non viviamo per questa misera terra, ma aspiriamo ad essere figli di Dio, per essere poi eredi dell’eterna gloria; ora, chi non vive di carne ma è mosso dallo Spirito Santo, questi è chiamato figlio di Dio, perché per la grazia dello Spirito Santo è incorporato a Gesù Cristo, è membro del suo Corpo mistico, e partecipa in Lui alla sua filiazione.
Essere figli di Dio significa essere liberi in Lui nella Legge dell’amore; essere uomini carnali significa invece essere schiavi dei sensi e ritornare ad essere pagani, nella legge dell’oppressione e del timore.
Ora, noi non abbiamo ricevuto lo spirito dì schiavitù, né i convertiti dal paganesimo hanno lasciato l’idolatria per passare nel dominio della Legge dell’Antico Patto dove il bene si compiva per timore, ma noi in Gesù Cristo abbiamo ricevuto lo spirito di adozione, per il quale ci rivolgiamo a Dio come figli, e lo chiamiamo affettuosamente Padre. San Paolo cita una parola aramaica, Abbà, che egli stesso traduce: O Padre!, indicando il principio dell’orazione insegnataci da Gesù: Padre nostro che sei nei cieli, ecc. E non solo noi preghiamo Dio chiamandolo Padre, ma, per la grazia santificante donataci dallo Spirito Santo, sentiamo per Dio la fiducia di figli, e sospiriamo alla gloria eterna come a nostra eredità futura. Se siamo figli, siamo anche eredi, e se sospiriamo all’eredità eterna per Gesù Cristo che in Lui ci ha dato il diritto di eredi facendoci suoi coeredi, noi intendiamo di essere figli di Dio. Né le pene della vita possono oscurare la nostra fiducia filiale in Dio, perché, essendo coeredi in Cristo dell’eterna gloria, noi intendiamo che dobbiamo partecipare ai suoi dolori per partecipare alla sua eredità.
L’uomo, erede con Gesù Cristo, del Regno Eterno, purché patisca...
I patimenti della vita presente sono per noi una grande oscurità in questa dottrina della nostra filiazione con Dio, poiché a noi potrebbe sembrare strano che un Padre amoroso ci triboli. Ma se pensiamo non solo di essere coeredi di Gesù Cristo crocifisso, ma di dover meritare l’eterna gloria con le prove e le pene della vita, noi intendiamo che esse, per quanto gravi, non sono proporzionate a quella gloria che si manifesterà in noi, nell’eternità.
San Paolo parla per esperienza personale, poiché egli fu rapito al Paradiso (2Cor 12,2ss), e vi contemplò tale a- bisso di felicità, da poter dire con sicurezza: Io ritengo per certo che i patimenti del tempo presente non hanno proporzione alcuna con la gloria futura che si manifesterà in noi. Nonostante, dunque, le prove della vita, noi sappiamo che Dio ci è Padre, abbiamo speranza in Lui, sospiriamo a Lui, e sentiamo quasi l’eco di questa grande speranza in tutto il mondo che ci circonda e in tutte le creature a noi inferiori, poiché tutto è ordinato ad una maggiore perfezione e ad un ordine perfetto, proprio perché in tutto il creato si ripercossero gli effetti della colpa originale, ed esso appare come qualcosa di provvisorio, come un abbozzo che attende dall’artefice il perfezionamento.
Anche il creato è sconvolto dal peccato
San Paolo esprime questa grande idea che ci fa capire perché, il mondo è pieno di miserie, rappresentandolo come una persona che col capo levato e gli occhi fìssi in lontananza, secondo l’espressione del testo greco, aspetta con trepida ansia la glorificazione dei figli di Dio, per sentirsi liberato dai disordini che in esso ha causato il peccato, e per sentirsi quasi libero di glorificare Dio nell’ordine ammirabile delle leggi che gli aveva date. La terra, infatti, fu maledetta da Dio quando l’uomo peccò, e lo fu perché gli avesse prodotto triboli e spine, dandogli occasione di e- spiare il suo peccato e ritrovare la via della salvezza (Gen
3,17).
Dio, infatti, disse ad Adamo, dopo il peccato, secondo il testo ebraico: Maledetta è la terra PER CAUSA TUA, ed essa fu assoggettata alla vanità, cioè alla mutabilità, al deperimento, al disordine, al disfacimento, pur amando naturalmente la propria conservazione e pur tendendo ad una benefica evoluzione in meglio, che si rivela in tutte le leggi del creato che l’uomo scopre ed applica, e si rivela nelle forze di reazione che il creato oppone a chi tenta turbarle o distruggerle.
Dio, che aveva dato all’uomo il creato come coefficiente di felicità anche nella vita terrena, lo assoggettò alla vanità e permise in esso tanti disordini, perché avesse dato occasione all’uomo di espiare, nella speranza di una rinnovazione. Questa speranza riguarda anche il creato, poiché, restaurato in pieno l’uomo, anche il creato sarà meravigliosamente ordinato, e vi saranno cieli nuovi e terra nuova (cf Is 65,16; 66,22; Ap 21,1). Il creato è come oppresso da una schiavitù, è ristretto nelle sue manifestazioni, è come legato in ceppi nelle sue mirabili forze, perché l’uomo abusa di tutto per fare il male e offendere Dio. Ne abbiamo un sentore in quelle strabilianti forze scoperte ultimamente negli atomi, e nei disastrosi effetti della bomba atomica.
Chi può dire quali sono i segreti della creazione?
Chi può dire quante meraviglie potrebbero cavarsi dalla loro applicazione?
Noi non abbiamo neppure la più lontana idea di un mondo perfettamente libero di manifestare la potenza divina, e di glorificare il Creatore nelle sue manifestazioni. Secondo la potente espressione di san Paolo, esso fino ad ora geme ed è come nei dolori del parto, perché vorrebbe manifestare i tesori di gloria di Dio che raccoglie nelle sue leggi e non lo può. Attende anch’esso, quindi, la libertà dei figli di Dio, perché anch’esso è creatura di Dio, e anela alla libertà come vi aneliamo noi, esclama con mirabile enfasi l’Apostolo, noi che abbiamo le primizie soltanto dello Spirito Santo in questa terra, e gemiamo dentro di noi, sospirando alla pienezza della rivelazione della gloria di Dio in noi, anelando l’adozione dei figli di Dio nell’eterna gloria, e la redenzione del nostro corpo nella risurrezione, quando, con l’anima e col corpo glorificati, saremo veramente in Gesù figli adottivi di Dio.
Nella speranza, la nostra salvezza
La nostra aspirazione alla piena adozione di figli di Dio, a cui fa eco tutto il creato, che tende ad una rinnovazione perché oppresso da miserie e sconcerti, ci fa capire che noi siamo stati salvati nella speranza, cioè non interamente in questa vita, poiché non si compie in essa la nostra piena adozione di figli di Dio con l’anima e col corpo, né rifulge in essa la pienezza della gloria di Dio nel creato, disordinato dal peccato e quasi oppresso nelle manifestazioni di tutte le meraviglie che Dio vi ha posto. Se noi siamo salvati nella speranza è chiaro che non possiamo vedere in questa vita tutti i frutti della piena salvezza; se li vedessimo li possederemmo già, ed essi non costituirebbero più una speranza.
Non ci rimane, dunque, che attendere con pazienza, aspettando il compimento delle divine promesse, e pregando perché si compiano secondo le disposizioni della divina volontà. La nostra vita presente, essendo come abbozzata ed incompleta, è un continuo sospirare, sperando in Dio con incrollabile fiducia. In che cosa speriamo con precisione, non lo sappiamo neppure noi, poiché siamo molte volte carnali, e confondiamo i desideri della nostra debolezza con le grandi aspirazioni della vita eterna e della glorificazione di Dio in noi.
Ma anche allora lo Spirito Santo, che abita in noi, viene in nostro aiuto, e prega per noi, per mezzo nostro, con gemiti inesprimibili, cioè ci muove Egli stesso a domandare il compimento del disegno di Dio, e muove i santi a quelle potenti orazioni nelle quali essi si abbandonano in Dio e sospirano al suo regno, senza saper esprimere neppure che cosa domandano. Essi sospirano quello che al mondo sembra utopia, gemono per i mali del mondo, e gemendo implorano, senza capire neppure la portata e l’estensione dei loro desideri, il compimento della salvezza. Dio, però, che scruta i cuori, conosce quali sono i desideri che lo Spirito Santo ispira ai suoi servi, e per mezzo dei quali prega, supplendo l’umana debolezza.
Queste misteriose parole, quasi incomprensibili alla nostra piccolezza, ci rivelano un grande segreto dell’economia divina nella nostra salvezza, e ci fanno capire in parte certe misteriose aspirazioni dei santi in tutto il percorso della vita della Chiesa.
Noi, salvati da Gesù Cristo, ci troviamo dinanzi a un mondo tuttora perverso, che cresce anzi nella sua malvagità. Non sappiamo spiegarcelo, perché non intendiamo che in quelli che sono uniti a Gesù Cristo la piena salvezza avviene nel Cielo e dopo la resurrezione finale. Camminiamo sperando tempi migliori anche sulla terra, ma non sappiamo come potranno compiersi.
I santi, più che il resto dei fedeli, ispirati da speciali mozioni dello Spirito Santo, intuiscono il regno di Dio, vi sospirano e vi lavorano tra i gemiti inesprimibili delle loro immolazioni, e tra le difficoltà e le persecuzioni che incontrano nel compiere quelle opere di carità e di zelo che tendono tutte al compimento del regno di Dio. Essi appaiono al mondo come anormali e persino come squilibrati, perché i gemiti delle loro aspirazioni sono inesprimibili. Par che tutto fallisca in loro; ma Dio, che conosce e scruta il fondo dei cuori, sa bene ciò che essi domandano per particolare mozione dello Spirito Santo, e prepara di secolo in secolo la manifestazione del suo regno e della sua gloria. La Chiesa è ricca di queste voci misteriose e di questi gemiti inesprimibili imploranti il regno di Dio.
Quanti sono i suoi santi e le opere da essi compiute tante sono queste voci e questi inesprimibili gemiti di speranza e di preghiera: i martiri, i confessori, le vergini, gli anacoreti, le vedove sante rappresentano tanti cori di queste preghiere.
Agli stolti, il sospiro al regno di Dio sembra un’ingenuità, ma in realtà esso è una preghiera ispirata dallo Spirito Santo, che lo attira e ne implora il compimento. I tempi non sembrano mutare, il mondo è sempre lo stesso, le tribolazioni della Chiesa anzi, incalzano, ma essa sa che tutto toma in bene per quelli che amano Dio, e che secondo il suo disegno furono chiamati santi. Le tribolazioni santificano i giusti e, tra esse, Dio sceglie e raccoglie quelli che interamente salvati, nell’anima e nel corpo, dovranno essere simili a suo Figlio, e formare il regno dei glorificati che è il suo regno eterno.
La selezione degli eletti si fa appunto tra le tribolazioni della vita, e nulla può separarli dall’amore di Gesù Cristo, nel quale sono salvati.
Dio sceglie i suoi eletti
Il disegno di Dio è il suo decreto eterno. Nel testo greco, infatti, la parola equivale ad un disegno prestabilito, ed è il decreto col quale Dio, fin da tutta l’eternità, ha stabilito di dare ad un certo numero di uomini la gloria del Cielo, e quindi la grazia e i meriti a ciò necessari. Tutto questo lo fa non perché ci sia tenuto o perché gli uomini lo abbiano meritato de condigno, ma per un atto della sua bontà e della sua misericordia (Rm 4,6; 9,11; Ef 1,11; 3,11; 5,9; 2Tm 1,9).
Gli atti di Dio relativi alla nostra salvezza si congiungono l’uno all’altro succedendosi in questo ordine: prescienza, predestinazione o proposito, vocazione o elezione, giustificazione e glorificazione. Coloro che Dio ha preconosciuti, cioè che vide con un atto dell’intelletto da tutta l’eternità che avrebbero corrisposto al suo appello, li ha anche predestinati, con un atto di volontà, ad essere conformi all’immagine del Figlio suo, cioè ad essere realmente simili, benché in modo imperfetto, a suo Figlio per mezzo della grazia santificante, ad essere quindi fratelli di Gesù, in modo da diventare Egli il primogenito tra molti fratelli. La prescienza che è un atto dall’intelletto, precede la predestinazione, che è un atto della volontà. Sono questi gli atti fatti da Dio da tutta l’eternità per la salvezza degli eletti. Gli atti che seguono sono quelli fatti nel tempo per l’esecuzione del suo disegno: Quelli che Egli ha predestinati li ha anche chiamati con un appello efficace alla fede, e quelli che ha chiamati li ha anche giustificati, purificandoli dal peccato e santificandoli con la grazia; quelli poi che ha giustificati li ha pure glorificati, poiché la grazia è il seme della gloria, e in certo modo è la gloria incominciata. Tutto questo per quanto dipende da Dio, perché evidentemente si richiede la libera cooperazione dell’uomo che non guasti l’opera di Dio. Di qui le iterate raccomandazioni dell’Apostolo ai fedeli perché osservino la Legge di Dio, ed operino la loro salvezza in timore e tremore (cf GIOVANNI Re, S.J. Le lettere di san Paolo, pp. 251-252).
... E chi potrà separarci dall’Amore di Gesù Cristo?
Dio vuole tutti salvi, e, quelli che si perdono, si perdono per loro colpa. Egli ha tanta cura dei suoi eletti che fin dall’eternità, prima ancora di crearli li preconosce e li predestina con infinita misericordia, e dopo averli creati li chiama, li giustifica e li glorifica. Che diremo dunque dopo tutto questo? esclama l’Apostolo ai suoi fedeli, chiamati appunto da Dio alla salvezza per la fede, e giustificati per la grazia del Battesimo; potremo noi scoraggiarci in mezzo alle insidie del mondo, e temere di perderci? Se Dio ci ha chiamati e vuole salvarci, Egli è con noi; e se Dio è per noi chi sarà contro di noi? Se ci ha dato il massimo suo dono non risparmiando nemmeno il suo proprio Figlio, ma dandolo alla morte per tutti noi, come non ci accorderà ogni cosa insieme con Lui?
Il Figlio suo Dio lo ha dato a tutti gli uomini, è di fede e non ne possiamo dubitare; dunque, tutti possono salvarsi; dunque, Egli vuole tutti salvi, perché se a tutti dà il massimo dono, a tutti offre le grazie e gli aiuti che vengono da quel dono ineffabile.
Solo chi rifiuta il suo dono e i suoi aiuti si perde miseramente per propria colpa.
San Paolo scriveva ai Romani convertiti, che fin dal principio della sua lettera chiamò gli amati da Dio e i chiamati a santità (1,7); egli, quindi, li considerava come eletti da Dio e, per incoraggiarli a confidare nel Signore ed a perseverare nel bene, esclama: Chi porterà accusa contro gli eletti di Dio? Chi potrà loro rinfacciare di nuovo i peccati dai quali furono liberati? Potrà farlo forse quel Dio che li giustifica? E chi mai condannerà? Potrà farlo forse Gesù Cristo che per assolverci dai peccati morì per noi, risuscitò per aprirci le porte del Paradiso, ed è alla destra di Dio per intercedere per noi?
Se il suo amore, infatti, è così potente e ci attrae non con un semplice fascino ma con la grazia, chi ci potrà separare da Lui? Forse la tribolazione della vita? Forse l’angoscia delle pene interiori che opprimono l’anima? Forse la persecuzione di quelli che ci fanno guerra? Forse la fame, la nudità, il pericolo, che nelle persecuzioni ci colpiscono, perché privi di tutto, siamo come esseri reietti? Forse la spada, cioè la morte stessa violenta che ci s’infligge nelle persecuzioni?
Noi, infatti, siamo continuamente esposti alla morte, dice san Paolo, e si avvera in noi quello che il salmo 43,23 dice del popolo d’Israele, esposto alle persecuzioni dei violenti: Per te ogni giorno siamo dati alla morte, siamo ritenuti come pecore da macello. Egli cita il salmo secondo la versione dei Settanta, e soggiunge che anche nelle persecuzioni sanguinose noi non siamo sopraffatti, né cediamo per debolezza, separandoci da Gesù Cristo, ma stravinciamo per mezzo di Colui che ci ha amati.
Io sono certo - conclude l’Apostolo con enfasi dovuta al grande amore che aveva per Gesù Cristo - che né la morte, il male più terribile di questa vita, né la vita, il bene più desiderabile della terra, né gli angeli buoni medesimi se per assurdo volessero con la loro potenza strapparci dal Signore, né i principati delle tenebre, i demoni, con tutte le loro arti perverse, né il presente, cioè le tribolazioni che ci sovrastano, né l’avvenire, ossia quelle che potranno colpirci, né le potenze di questo mondo, né l’altezza né la profondità, cioè né alcuna cosa creata o alcuna creatura ci potrà separare dall’amore di Dio, in Gesù Cristo Signor nostro.
La certezza assoluta che san Paolo ha di non potersi separare dall’amore di Gesù Cristo e dall’amore di Dio nasceva da una particolare rivelazione da lui avuta, o era un impeto di fiducia in Dio? Nessuno, infatti è certo, senza una speciale rivelazione, se è degno d’amore o di odio, e se sia predestinato (Conc. Trid. Sess. VI, cap. XII). Egli poi non parla solo di se stesso, ma di tutti i fedeli ai quali si rivolge, ed in un senso anche più generale, di tutti i cristiani eletti da Dio e uniti a Gesù Cristo per il Battesimo. Egli, dunque, parla in un impeto di fiducia, in un momento di accesissimo amore verso Dio e Gesù Cristo. Il suo slancio del resto era la logica conseguenza di ciò che aveva
detto: nessuna condanna vi può essere per quelli che sono in Cristo e non camminano secondo la carne, poiché la legge dello Spirito di vita, libera dalla legge del peccato e della morte.
Alla nostra debolezza è venuto incontro il Signore mandandoci SUO Figlio, e con suo Figlio ci ha dato tutti gli
aiuti della grazia per poterci salvare.
I fedeli Romani ai quali parlava non erano carnali ma spirituali, e vivevano in Gesù Cristo e per Gesù Cristo, con la speranza incrollabile dell’eterna gloria e del regno di Dio. Questa speranza non era una semplice aspirazione, ma era mossa in loro e rafforzata dallo Spirito Santo. Essi erano certamente chiamati da Dio alla vocazione cristiana da un particolare disegno d’amore, erano stati giustificati nel Battesimo, e potevano avere ferma speranza di salvarsi per Gesù Cristo. Avrebbe mai potuto riprovarli Dio che li aveva giustificati per salvarli, o Gesù Cristo che era morto per loro? Chi, dunque, poteva separarli dal divino Amore e da Gesù Cristo?
E chi potrà separare noi da Dio e da Gesù Cristo, se non viviamo di carne e li amiamo con tutta l’anima nostra? Sì, non possiamo essere certi della salvezza, che è sempre un dono gratuito di Dio, perché immensamente superiore ad ogni nostro merito, ma possiamo sperarla così fermamente da esserne in certo modo sicuri, per la stessa misericordia di Dio che con tanta bontà ci ha voluto salvare.
Sac. Dolindo Ruotolo
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