5. L'infanzia. Lo smarrimento di Gesù e la sua vita nascosta
Maria e Giuseppe, dopo aver compiuto tutto ciò che ordinava la Legge, se ne ritornarono nella Galilea, andando a dimorare col Figlio divino nell'umile borgata di Nazaret. Siccome san Giuseppe, quando ritornò dalla fuga in Egitto, voleva fissare il suo domicilio a Betlem (Mt 2,22) si può supporre che, dopo la purificazione, la sacra Famiglia sia andata a Nazaret per un certo tempo, per ritornare poi a Betlem, dove più tardi avvenne l'adorazione dei Magi, e poi la fuga in Egitto ed il definitivo stabilirsi a Nazaret.
In questa dimenticata borgata Maria allevò il suo Bambino, e san Giuseppe cercò di sopperire alle necessità della casa col suo lavoro. L'idea che ebbe più tardi di stabilirsi a Betlem ci fa intendere che a Nazaret il lavoro doveva esservi scarso, e che la vita della sacra Famiglia conoscesse le angustie della povertà; ma in quella povertà splendeva Gesù, tesoro divino, ed era la felicità della casa. Il Sacro Testo dice che egli cresceva e s 'irrobustiva, pieno di sapienza, e la grazia di Dio era in Lui. Da queste brevi parole, che san Luca attinse dalla bocca di Maria, si può arguire quale fosse la sua vita col Figlio divino. Ogni madre è attratta teneramente a considerare il crescere e l'irrobustirsi fisico del figlio, ed è incantata dalle prime manifestazioni della sua intelligenza e del suo cuore.
Chi alleva un figlio sa quanta gioia si prova nel vederlo sano, forte, intelligente e buono, ossia nel constatarne lo sviluppo fisico e morale. Questa soddisfazione di amore in Maria era immensa, poiché Essa sentiva dalla vita del Redentore una continua comunione di grazie, ed era come immersa nei raggi della sua divinità. Cresceva Gesù e cresceva l'amore di Maria; si irrobustiva il piccolo corpo ed aumentava la sua tenerezza materna; Egli non balbettava ma le parlava da Dio al cuore, e le rivelava i tesori della sua carità.
Maria, quindi, era in continua contemplazione. Nessuna maternità fu più gioiosa della sua. Cresceva e s'irrobustiva Gesù, e quindi cominciava a camminare ed a prestare piccoli servigi in casa e nella bottega di san Giuseppe.
Quale tenerezza e quale esempio l'intimità della casa di Nazaret! Vi regnava sovrana la pace, il raccoglimento, la più intima e pura gioia, e la luce divina la mutava in un tempio. Che cosa era Gesù al petto materno! Con quale umilissimo amore Essa gli continuava a dare nel latte la sua vita, con quale tenerezza si sentiva succhiare la vita! Una delle più tenere funzioni materne è l'allattamento; aprirsi quasi il cuore, donare se stessa, sentirsi leggermente mordere, notare la soddisfazione del piccolo infante, i suoi occhi, la sua stessa avidità commuove le sue viscere. Si sente alleggerita dal suo piccolo, perché si vuota di quella pienezza che il suo amore vuol donare, e quando lo vede staccato dal suo petto, nel sonno, rimane a guardarlo e lo bacia soavemente, lo sfiora con un soffio di amore.
La Chiesa sintetizza questa funzione materna di Maria con una frase ammirabile: Sola virgo lactabat, ubere de coelo pieno-, aveva il petto verginale pieno di cielo perché fecondo per opera dello Spirito Santo. Essa dunque non gli donava solo il latte verginale, ma effondeva in Lui la sua vita di amore, e lo avvolgeva nei profumi della sua purezza e della sua umiltà. Quel petto immacolato era veramente un campo di gigli dove il Diletto suo discendeva per pascolarsi di amore, ed Essa gli donava tutto il suo Cuore Immacolato, attingendo a sua volta da Lui quella grazia della quale era ripieno.
Sapeva benissimo, poi, di avere al petto il Figlio di Dio, e la sua umiltà a quel contatto doveva essere immensa, ineffabile. Lo toccava come un'Ostia consacrata, lo avvolgeva con le sue braccia più dell'angelo dell'Arca, era tutta splendente di amore, era la Madre di Dio, l'unica Madre nella quale questo nome era veramente divino!
Cresceva Gesù e s 'irrobustiva, dando i primi passi, e poi prestando i primi servigi, come s'è detto. Il piccolino dolcissimo camminava per le umili stanze come una visione celeste; perfettissimo di forme, tutto riccioli d'oro, rifulgente nella sua divinità, amabile, soave, e i suoi occhi brillavano di un'intelligenza che costringeva all'adorazione. Era soffuso da una leggera mestizia, perché era, Vittima d'amore, e Maria nel guardarlo penetrava i misteri di quel Cuore infinito e li conservava nel suo Cuore gemendo in un profondo dolore. La profezia di Simeone le era sempre presente, ed il passare degli anni l'avvicinava sempre più al Calvario. Essa lo sapeva, ma si univa tutta alla divina volontà e pregava per gli uomini.
Cresceva Gesù [...] pieno di sapienza, e la grazia di Dio era in Lui. Egli, infatti, possedeva, come uomo, in modo mille volte più perfetto degli angeli e dei santi, la scienza beata e la scienza infusa, ed aveva anche la scienza sperimentale od acquisita proporzionata alla sua età ed alla perfezione ammirabile delle sue facoltà naturali. La sua anima umana era rivestita della pienezza della grazia santificante, e possedeva in sommo grado i doni dello Spirito Santo, le grazie gratis datce e tutte le virtù infuse od acquisite. Era perfettissimo anche nella piccola età, e spirava tale soave maestà da conquidere. Ogni atto suo era divino, e dai piccoli servizi che prestava spirava qualche cosa di solenne, perché Egli faceva tutto adorando, riparando, ringraziando e pregando il Padre per gli uomini che era venuto a redimere. La piccola casa di Nazaret, quindi, risuonava di arcane lodi più che un tempio, ed a quelle lodi divine rispondevano i Cuori di Maria e di Giuseppe, due cuori che palpitavano all'unisono col Verbo Incarnato.
Gesù, smarrito e ritrovato nel tempio
Ogni anno Maria si recava con san Giuseppe a Gerusalemme per la solennità della Pasqua, benché, essendo donna, non vi fosse obbligata; gli uomini dovevano andarci tre volte l'anno, nella Pasqua, nella Pentecoste e nella festa dei Tabernacoli; le donne ne erano dispensate, e solo le più pie vi si recavano nella Pasqua; i fanciulli, poi, contraevano questi obblighi legali all'età di dodici anni. Maria andando a Gerusalemme portava con sé anche Gesù, ma quando Egli giunse all'età legale, dovette farlo viaggiare nella comitiva degli uomini, com'era di uso, e fu così che al ritorno non si accorse che Egli era rimasto in Gerusalemme. Credettero, tanto Essa che san Giuseppe, che fosse in mezzo agli altri, e camminarono una giornata. Alla prima sosta, però, constatarono che mancava e lo cercarono inutilmente tra i parenti ed i conoscenti. Col cuore estremamente angosciato, allora, ritornarono in Gerusalemme, e per ritornarvi impiegarono un altro giorno; non sapendo come rintracciarlo, stettero un giorno intero a fame ricerche, e nessuno seppe dare loro indicazioni perché non lo conoscevano. Finalmente il terzo giorno andarono al tempio, forse per supplicare Dio a farlo loro ritrovare, ed attraversando le sale annesse all'edificio sacro, dove i rabbini si radunavano per insegnare la Legge, riconobbero la voce dell'amatissimo Figlio, che in mezzo ai dottori stava seduto come un discepolo, ascoltandoli e proponendo loro varie questioni.
È impossibile formarsi un'idea del dolore di Maria e di Giuseppe nello smarrimento di Gesù; bisognerebbe poter misurare l'amore che gli portavano. Erano angosciati, agonizzavano, temevano di avere essi provocato quell'allontanamento per la loro indegnità, trepidavano per la sua incolumità, gemevano nella maniera più straziante.
Gesù era tutta la loro vita, e l'anima loro era straziata senza di Lui. Che cosa furono quei giorni di ricerche! Non perdettero la pace, perché erano santissimi; ma perdettero, potrebbe dirsi, il cuore, perché se lo sentivano straziato. Gesù Cristo conosceva il loro strazio, ma permise quella terribile prova per santificarli di più e per esempio di tutti. Il suo Cuore divino ne soffriva più di loro, ma, nel momento nel quale Egli iniziava la sua vita legale, per compiere l'opera sua, era necessaria una grande immolazione di amore che rendesse l'uomo degno d'accogliere il suo amore.
La spaventosa indifferenza delle creature per ciò che appartiene a Dio, e l'agitazione del mondo nelle miserie delle sue stupide attività, tutte orientate alla materia, esigevano quell'agonia di due anime tese solo a Dio e viventi solo per Dio. La terribile resistenza che fanno tanti cuori alle chiamate di Dio, preferendo i loro disegni alla sua volontà, esigeva il sacrificio che Gesù faceva del suo amore a Maria ed a Giuseppe, come riparazione e come preparazione ad accogliere il disegno della divina volontà. Egli doveva affermare il diritto di Dio sulla gioventù, speranza della vita delle nazioni, doveva distruggere d'un colpo le pretese delle tirannidi sui cuori che appartengono solo a Dio, doveva dare una luce che non doveva spegnersi più, sull'educazione dei figli e sulla loro vocazione, ed ebbe bisogno di un grande dolore per affondare nel duro cuore dell'umanità questa semente di vita. Se avesse prevenuto Maria e Giuseppe delle sue intenzioni, non avrebbe conseguito l'altissimo scopo che voleva conseguire; fece, dunque, forza al suo cuore, s'appartò, ritornò al tempio, e schiuse la sua mente agli insegnamenti della Legge, per insegnare ai giovani ad aprire la loro vita a Dio, e a seguire, senza riguardi umani, le ispirazioni particolari della divina volontà su di loro.
A dodici anni Gesù era ben sviluppato, a giudicare dalla statura che raggiunse nell'età matura. Era di forme perfettissime, bellissimo, splendente, affascinante. La sua chioma intensa, a modo dei Nazirei, gli scendeva sulle spalle, ed incorniciava il volto come in un'aureola di gloria. I suoi bellissimi occhi rivelavano il mistero divino che in Lui si nascondeva, avevano una espressione arcana ed una luce ineffabile; penetravano, per così dire, i cuori. Entrò nella sala dov'erano i dottori e sedette ascoltandoli. Il suo Cuore si saziava della divina Parola, ed ardeva per la gloria del Padre. Attrasse subito l'attenzione di tutti, poiché, interrogato, diede risposte profondissime e fece domande che stupirono tutta l'assemblea. Di che cosa parlò? Il Sacro Testo non ce lo dice, ma si può supporre che parlasse della pienezza dei tempi e del Messia, e parlasse del Padre suo celeste, come potrebbe rilevarsi dalla risposta che diede a Maria. Parlò di Dio, e per la prima volta sulla terra echeggiò una parola divinamente luminosa fra tante tenebre che gravavano sugli uomini.
Maria e Giuseppe entrarono nel sacro recinto, e furono stupiti che Gesù si fosse manifestato così al pubblico. Il suo amore al nascondimento era così profondo che non lo credevano possibile. Forse si stupirono che fra tanto loro dolore Egli si fosse mostrato insensibile, sapendo quanto era affettuoso ed amabile. Maria non poté frenare il suo amore materno; corse là dove stava il Figlio, lo interruppe nel suo discorso ed esclamò: Figlio, perché ci hai fatto Tu questo? Ecco che tuo padre ed io, addolorati, andavamo in cerca di Te.
Tutto il suo dolore era espresso in queste poche parole: lo chiamò figlio, e con questo disse che lo cercava da madre, e da Madre divina; gli domandò perché aveva fatto quella cosa, e con questo manifestò tutte le trepidazioni angosciose del suo cuore e di quello di san Giuseppe; espresse la pena immensa con la quale l'aveva rintracciato, e con questo espresse l'amore che aveva reso un'agonia il suo materno affanno e quello di san Giuseppe.
Gesù Cristo non rispose duramente, come potrebbe apparire dal Testo; noi, abituati ad adirarci quando siamo contraddetti e leggendo l'episodio con passionalità, possiamo facilmente essere indotti a dare un senso di durezza alla risposta di Gesù; Egli invece rispose con immensa dolcezza, e con infinita compassione al loro dolore: Perché mi cercavate? Non sapevate che io debbo attendere a ciò che riguarda il Padre mio? Se avessero riflettuto all'amore che loro portava ed alla missione che aveva, non avrebbero dubitato del suo affetto, ed avrebbero capito che s'era trattenuto al tempio. Egli voleva dire: come potevo io trascurarvi, e come potevo non tener conto del vostro dolore? Ma lo sapete che io sono Figlio di Dio, e potevate supporre che io fossi attratto dalla Casa del Padre mio e dagl'interessi della sua gloria.
Il Sacro Testo soggiunge che essi non compresero quello che loro aveva detto, non perché non fossero in grado di capire le sue parole, ma perché l'emozione e l'amore li concentravano in Lui solo. Era così bello nel sacro recinto, così fulgente di amore nelle sue parole, così profondo nelle sue risposte, che essi rimasero come incantati, e non rifletterono alle sue parole. Tardava loro solo il momento di averlo di nuovo, e per questo il Testo soggiunse: E se ne andò con loro, e fece ritorno a Nazaret, ed era loro sottomesso. Non fecero attenzione alle sue parole, dunque, perché lo invitarono a non lasciarli più soli; ed Egli, infatti, immediatamente obbedì.
Se avesse risposto per rimproverarli non li avrebbe seguiti, ed avrebbe continuato a parlare, invece tacque all'istante; la voce materna era per Lui un comando e doveva esserlo sempre; per questo Maria, passando dall'impeto del suo amore ad un sentimento di profondissima umiltà, meditava nel suo Cuore quello che s'era svolto, ed il mistero dell'amore che Egli le portava. Egli le obbediva, Egli il Figlio vero del Padre! La sua Maestà divina si piegava innanzi alla sua Parola! Tutt'altro che mostrare noncuranza o trattarla male, come dicono i protestanti, Egli lasciava di occuparsi del Padre suo divino per occuparsi della Madre, e mostrava che l'amava d'uno stesso amore, e che per Lui il consentire a ciò che Essa voleva era lo stesso che glorificare Dio suo Padre.Ritiratosi a Nazaret, Gesù vi rimase nascosto fino a che non cominciò la sua vita pubblica. Che cosa faceva nel suo arcano nascondimento? Evidentemente s'occupava delle cose del Padre suo, cioè della sua gloria, e se ne occupava umiliandosi, obbedendo e lavorando. Il Sacro Testo dice che Egli cresceva in sapienza, in statura ed in grazia presso Dio e gli uomini, e da queste poche parole si può intuire qualche cosa del mistero di quella vita divina: cresceva in sapienza non perché studiasse, ma perché manifestava sempre più gli arcani della sua scienza beata ed infusa, e meditava con la scienza acquisita, cioè con la energia della sua anima umana, le divine meraviglie, parlandone con la Madre, con san Giuseppe e con altre persone familiari. Era logico che facesse così, perché Egli voleva innalzare e nobilitare in sé l'umana natura, e non c'è cosa più nobile quanto il meditare le meraviglie celesti.
Cresceva in statura perché l'età s'avanzava, ed Egli essendo veramente anche uomo, lo mostrava in tutta la sua vita. Aveva però nella sua statura, cioè nel suo aspetto fisico attrattive mirabili che colpivano quanti lo vedevano, e quindi cresceva in queste attrattive come cresce il sole a misura che sale sull'orizzonte. Cresceva in grazia non secondo l'abito che era in Lui perfetto ed immutabile, ma secondo gli effetti, compiendo sempre più opere mirabili che ne manifestavano la pienezza. Presso Dio la sua vita era un'offerta sempre più grande, presso gli uomini era una manifestazione sempre più bella; a Dio donava gli atti della vita che progrediva e, seguendo lo sviluppo naturale, cresceva in questi doni di amore; agli uomini dava lo spettacolo di una grandezza sempre più attraente per la sua bontà e soavità.
Maria e Giuseppe, dopo aver compiuto tutto ciò che ordinava la Legge, se ne ritornarono nella Galilea, andando a dimorare col Figlio divino nell'umile borgata di Nazaret. Siccome san Giuseppe, quando ritornò dalla fuga in Egitto, voleva fissare il suo domicilio a Betlem (Mt 2,22) si può supporre che, dopo la purificazione, la sacra Famiglia sia andata a Nazaret per un certo tempo, per ritornare poi a Betlem, dove più tardi avvenne l'adorazione dei Magi, e poi la fuga in Egitto ed il definitivo stabilirsi a Nazaret.
In questa dimenticata borgata Maria allevò il suo Bambino, e san Giuseppe cercò di sopperire alle necessità della casa col suo lavoro. L'idea che ebbe più tardi di stabilirsi a Betlem ci fa intendere che a Nazaret il lavoro doveva esservi scarso, e che la vita della sacra Famiglia conoscesse le angustie della povertà; ma in quella povertà splendeva Gesù, tesoro divino, ed era la felicità della casa. Il Sacro Testo dice che egli cresceva e s 'irrobustiva, pieno di sapienza, e la grazia di Dio era in Lui. Da queste brevi parole, che san Luca attinse dalla bocca di Maria, si può arguire quale fosse la sua vita col Figlio divino. Ogni madre è attratta teneramente a considerare il crescere e l'irrobustirsi fisico del figlio, ed è incantata dalle prime manifestazioni della sua intelligenza e del suo cuore.
Chi alleva un figlio sa quanta gioia si prova nel vederlo sano, forte, intelligente e buono, ossia nel constatarne lo sviluppo fisico e morale. Questa soddisfazione di amore in Maria era immensa, poiché Essa sentiva dalla vita del Redentore una continua comunione di grazie, ed era come immersa nei raggi della sua divinità. Cresceva Gesù e cresceva l'amore di Maria; si irrobustiva il piccolo corpo ed aumentava la sua tenerezza materna; Egli non balbettava ma le parlava da Dio al cuore, e le rivelava i tesori della sua carità.
Maria, quindi, era in continua contemplazione. Nessuna maternità fu più gioiosa della sua. Cresceva e s'irrobustiva Gesù, e quindi cominciava a camminare ed a prestare piccoli servigi in casa e nella bottega di san Giuseppe.
Quale tenerezza e quale esempio l'intimità della casa di Nazaret! Vi regnava sovrana la pace, il raccoglimento, la più intima e pura gioia, e la luce divina la mutava in un tempio. Che cosa era Gesù al petto materno! Con quale umilissimo amore Essa gli continuava a dare nel latte la sua vita, con quale tenerezza si sentiva succhiare la vita! Una delle più tenere funzioni materne è l'allattamento; aprirsi quasi il cuore, donare se stessa, sentirsi leggermente mordere, notare la soddisfazione del piccolo infante, i suoi occhi, la sua stessa avidità commuove le sue viscere. Si sente alleggerita dal suo piccolo, perché si vuota di quella pienezza che il suo amore vuol donare, e quando lo vede staccato dal suo petto, nel sonno, rimane a guardarlo e lo bacia soavemente, lo sfiora con un soffio di amore.
La Chiesa sintetizza questa funzione materna di Maria con una frase ammirabile: Sola virgo lactabat, ubere de coelo pieno-, aveva il petto verginale pieno di cielo perché fecondo per opera dello Spirito Santo. Essa dunque non gli donava solo il latte verginale, ma effondeva in Lui la sua vita di amore, e lo avvolgeva nei profumi della sua purezza e della sua umiltà. Quel petto immacolato era veramente un campo di gigli dove il Diletto suo discendeva per pascolarsi di amore, ed Essa gli donava tutto il suo Cuore Immacolato, attingendo a sua volta da Lui quella grazia della quale era ripieno.
Sapeva benissimo, poi, di avere al petto il Figlio di Dio, e la sua umiltà a quel contatto doveva essere immensa, ineffabile. Lo toccava come un'Ostia consacrata, lo avvolgeva con le sue braccia più dell'angelo dell'Arca, era tutta splendente di amore, era la Madre di Dio, l'unica Madre nella quale questo nome era veramente divino!
Cresceva Gesù e s 'irrobustiva, dando i primi passi, e poi prestando i primi servigi, come s'è detto. Il piccolino dolcissimo camminava per le umili stanze come una visione celeste; perfettissimo di forme, tutto riccioli d'oro, rifulgente nella sua divinità, amabile, soave, e i suoi occhi brillavano di un'intelligenza che costringeva all'adorazione. Era soffuso da una leggera mestizia, perché era, Vittima d'amore, e Maria nel guardarlo penetrava i misteri di quel Cuore infinito e li conservava nel suo Cuore gemendo in un profondo dolore. La profezia di Simeone le era sempre presente, ed il passare degli anni l'avvicinava sempre più al Calvario. Essa lo sapeva, ma si univa tutta alla divina volontà e pregava per gli uomini.
Cresceva Gesù [...] pieno di sapienza, e la grazia di Dio era in Lui. Egli, infatti, possedeva, come uomo, in modo mille volte più perfetto degli angeli e dei santi, la scienza beata e la scienza infusa, ed aveva anche la scienza sperimentale od acquisita proporzionata alla sua età ed alla perfezione ammirabile delle sue facoltà naturali. La sua anima umana era rivestita della pienezza della grazia santificante, e possedeva in sommo grado i doni dello Spirito Santo, le grazie gratis datce e tutte le virtù infuse od acquisite. Era perfettissimo anche nella piccola età, e spirava tale soave maestà da conquidere. Ogni atto suo era divino, e dai piccoli servizi che prestava spirava qualche cosa di solenne, perché Egli faceva tutto adorando, riparando, ringraziando e pregando il Padre per gli uomini che era venuto a redimere. La piccola casa di Nazaret, quindi, risuonava di arcane lodi più che un tempio, ed a quelle lodi divine rispondevano i Cuori di Maria e di Giuseppe, due cuori che palpitavano all'unisono col Verbo Incarnato.
Gesù, smarrito e ritrovato nel tempio
Ogni anno Maria si recava con san Giuseppe a Gerusalemme per la solennità della Pasqua, benché, essendo donna, non vi fosse obbligata; gli uomini dovevano andarci tre volte l'anno, nella Pasqua, nella Pentecoste e nella festa dei Tabernacoli; le donne ne erano dispensate, e solo le più pie vi si recavano nella Pasqua; i fanciulli, poi, contraevano questi obblighi legali all'età di dodici anni. Maria andando a Gerusalemme portava con sé anche Gesù, ma quando Egli giunse all'età legale, dovette farlo viaggiare nella comitiva degli uomini, com'era di uso, e fu così che al ritorno non si accorse che Egli era rimasto in Gerusalemme. Credettero, tanto Essa che san Giuseppe, che fosse in mezzo agli altri, e camminarono una giornata. Alla prima sosta, però, constatarono che mancava e lo cercarono inutilmente tra i parenti ed i conoscenti. Col cuore estremamente angosciato, allora, ritornarono in Gerusalemme, e per ritornarvi impiegarono un altro giorno; non sapendo come rintracciarlo, stettero un giorno intero a fame ricerche, e nessuno seppe dare loro indicazioni perché non lo conoscevano. Finalmente il terzo giorno andarono al tempio, forse per supplicare Dio a farlo loro ritrovare, ed attraversando le sale annesse all'edificio sacro, dove i rabbini si radunavano per insegnare la Legge, riconobbero la voce dell'amatissimo Figlio, che in mezzo ai dottori stava seduto come un discepolo, ascoltandoli e proponendo loro varie questioni.
È impossibile formarsi un'idea del dolore di Maria e di Giuseppe nello smarrimento di Gesù; bisognerebbe poter misurare l'amore che gli portavano. Erano angosciati, agonizzavano, temevano di avere essi provocato quell'allontanamento per la loro indegnità, trepidavano per la sua incolumità, gemevano nella maniera più straziante.
Gesù era tutta la loro vita, e l'anima loro era straziata senza di Lui. Che cosa furono quei giorni di ricerche! Non perdettero la pace, perché erano santissimi; ma perdettero, potrebbe dirsi, il cuore, perché se lo sentivano straziato. Gesù Cristo conosceva il loro strazio, ma permise quella terribile prova per santificarli di più e per esempio di tutti. Il suo Cuore divino ne soffriva più di loro, ma, nel momento nel quale Egli iniziava la sua vita legale, per compiere l'opera sua, era necessaria una grande immolazione di amore che rendesse l'uomo degno d'accogliere il suo amore.
La spaventosa indifferenza delle creature per ciò che appartiene a Dio, e l'agitazione del mondo nelle miserie delle sue stupide attività, tutte orientate alla materia, esigevano quell'agonia di due anime tese solo a Dio e viventi solo per Dio. La terribile resistenza che fanno tanti cuori alle chiamate di Dio, preferendo i loro disegni alla sua volontà, esigeva il sacrificio che Gesù faceva del suo amore a Maria ed a Giuseppe, come riparazione e come preparazione ad accogliere il disegno della divina volontà. Egli doveva affermare il diritto di Dio sulla gioventù, speranza della vita delle nazioni, doveva distruggere d'un colpo le pretese delle tirannidi sui cuori che appartengono solo a Dio, doveva dare una luce che non doveva spegnersi più, sull'educazione dei figli e sulla loro vocazione, ed ebbe bisogno di un grande dolore per affondare nel duro cuore dell'umanità questa semente di vita. Se avesse prevenuto Maria e Giuseppe delle sue intenzioni, non avrebbe conseguito l'altissimo scopo che voleva conseguire; fece, dunque, forza al suo cuore, s'appartò, ritornò al tempio, e schiuse la sua mente agli insegnamenti della Legge, per insegnare ai giovani ad aprire la loro vita a Dio, e a seguire, senza riguardi umani, le ispirazioni particolari della divina volontà su di loro.
A dodici anni Gesù era ben sviluppato, a giudicare dalla statura che raggiunse nell'età matura. Era di forme perfettissime, bellissimo, splendente, affascinante. La sua chioma intensa, a modo dei Nazirei, gli scendeva sulle spalle, ed incorniciava il volto come in un'aureola di gloria. I suoi bellissimi occhi rivelavano il mistero divino che in Lui si nascondeva, avevano una espressione arcana ed una luce ineffabile; penetravano, per così dire, i cuori. Entrò nella sala dov'erano i dottori e sedette ascoltandoli. Il suo Cuore si saziava della divina Parola, ed ardeva per la gloria del Padre. Attrasse subito l'attenzione di tutti, poiché, interrogato, diede risposte profondissime e fece domande che stupirono tutta l'assemblea. Di che cosa parlò? Il Sacro Testo non ce lo dice, ma si può supporre che parlasse della pienezza dei tempi e del Messia, e parlasse del Padre suo celeste, come potrebbe rilevarsi dalla risposta che diede a Maria. Parlò di Dio, e per la prima volta sulla terra echeggiò una parola divinamente luminosa fra tante tenebre che gravavano sugli uomini.
Maria e Giuseppe entrarono nel sacro recinto, e furono stupiti che Gesù si fosse manifestato così al pubblico. Il suo amore al nascondimento era così profondo che non lo credevano possibile. Forse si stupirono che fra tanto loro dolore Egli si fosse mostrato insensibile, sapendo quanto era affettuoso ed amabile. Maria non poté frenare il suo amore materno; corse là dove stava il Figlio, lo interruppe nel suo discorso ed esclamò: Figlio, perché ci hai fatto Tu questo? Ecco che tuo padre ed io, addolorati, andavamo in cerca di Te.
Tutto il suo dolore era espresso in queste poche parole: lo chiamò figlio, e con questo disse che lo cercava da madre, e da Madre divina; gli domandò perché aveva fatto quella cosa, e con questo manifestò tutte le trepidazioni angosciose del suo cuore e di quello di san Giuseppe; espresse la pena immensa con la quale l'aveva rintracciato, e con questo espresse l'amore che aveva reso un'agonia il suo materno affanno e quello di san Giuseppe.
Gesù Cristo non rispose duramente, come potrebbe apparire dal Testo; noi, abituati ad adirarci quando siamo contraddetti e leggendo l'episodio con passionalità, possiamo facilmente essere indotti a dare un senso di durezza alla risposta di Gesù; Egli invece rispose con immensa dolcezza, e con infinita compassione al loro dolore: Perché mi cercavate? Non sapevate che io debbo attendere a ciò che riguarda il Padre mio? Se avessero riflettuto all'amore che loro portava ed alla missione che aveva, non avrebbero dubitato del suo affetto, ed avrebbero capito che s'era trattenuto al tempio. Egli voleva dire: come potevo io trascurarvi, e come potevo non tener conto del vostro dolore? Ma lo sapete che io sono Figlio di Dio, e potevate supporre che io fossi attratto dalla Casa del Padre mio e dagl'interessi della sua gloria.
Il Sacro Testo soggiunge che essi non compresero quello che loro aveva detto, non perché non fossero in grado di capire le sue parole, ma perché l'emozione e l'amore li concentravano in Lui solo. Era così bello nel sacro recinto, così fulgente di amore nelle sue parole, così profondo nelle sue risposte, che essi rimasero come incantati, e non rifletterono alle sue parole. Tardava loro solo il momento di averlo di nuovo, e per questo il Testo soggiunse: E se ne andò con loro, e fece ritorno a Nazaret, ed era loro sottomesso. Non fecero attenzione alle sue parole, dunque, perché lo invitarono a non lasciarli più soli; ed Egli, infatti, immediatamente obbedì.
Se avesse risposto per rimproverarli non li avrebbe seguiti, ed avrebbe continuato a parlare, invece tacque all'istante; la voce materna era per Lui un comando e doveva esserlo sempre; per questo Maria, passando dall'impeto del suo amore ad un sentimento di profondissima umiltà, meditava nel suo Cuore quello che s'era svolto, ed il mistero dell'amore che Egli le portava. Egli le obbediva, Egli il Figlio vero del Padre! La sua Maestà divina si piegava innanzi alla sua Parola! Tutt'altro che mostrare noncuranza o trattarla male, come dicono i protestanti, Egli lasciava di occuparsi del Padre suo divino per occuparsi della Madre, e mostrava che l'amava d'uno stesso amore, e che per Lui il consentire a ciò che Essa voleva era lo stesso che glorificare Dio suo Padre.Ritiratosi a Nazaret, Gesù vi rimase nascosto fino a che non cominciò la sua vita pubblica. Che cosa faceva nel suo arcano nascondimento? Evidentemente s'occupava delle cose del Padre suo, cioè della sua gloria, e se ne occupava umiliandosi, obbedendo e lavorando. Il Sacro Testo dice che Egli cresceva in sapienza, in statura ed in grazia presso Dio e gli uomini, e da queste poche parole si può intuire qualche cosa del mistero di quella vita divina: cresceva in sapienza non perché studiasse, ma perché manifestava sempre più gli arcani della sua scienza beata ed infusa, e meditava con la scienza acquisita, cioè con la energia della sua anima umana, le divine meraviglie, parlandone con la Madre, con san Giuseppe e con altre persone familiari. Era logico che facesse così, perché Egli voleva innalzare e nobilitare in sé l'umana natura, e non c'è cosa più nobile quanto il meditare le meraviglie celesti.
Cresceva in statura perché l'età s'avanzava, ed Egli essendo veramente anche uomo, lo mostrava in tutta la sua vita. Aveva però nella sua statura, cioè nel suo aspetto fisico attrattive mirabili che colpivano quanti lo vedevano, e quindi cresceva in queste attrattive come cresce il sole a misura che sale sull'orizzonte. Cresceva in grazia non secondo l'abito che era in Lui perfetto ed immutabile, ma secondo gli effetti, compiendo sempre più opere mirabili che ne manifestavano la pienezza. Presso Dio la sua vita era un'offerta sempre più grande, presso gli uomini era una manifestazione sempre più bella; a Dio donava gli atti della vita che progrediva e, seguendo lo sviluppo naturale, cresceva in questi doni di amore; agli uomini dava lo spettacolo di una grandezza sempre più attraente per la sua bontà e soavità.
Sac. Dolindo Ruotolo
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