martedì 17 giugno 2014

17.06.2014 - Commento al primo libro dei Re cap. 21, par. 4-5

4. Nei fulgori della giustizia di Dio.
Il Signore permise la sopraffazione contro il povero Nabot, per i suoi altissimi fini, ma non lasciò correre impunita l'iniquità, come fa sempre nella sua giustizia. Jezabel credeva di aver vinto, e saputo della morte di Nabot, esortò Acab a prendere possesso della vigna desiderata, giacché poteva confiscarla data l'accusa di lesa maestà fatta a Nabot. Il Re infatti discese per usurpare il territorio del defunto; aveva salvato le apparenze di un processo che al popolo sembrò legittimo, e non esitò a consumare la sua iniquità.
Dal contesto, cioè dal modo timido col quale rispose ad Elia, si rileva che egli discese alla vigna di Nabot non senza trepidazione. Prima che gli si fosse parato davanti il Profeta forte ed inflessibile, gli si era parato il rimorso. Quella vigna senza più coltivatori, senza il povero Nabot, senza i suoi figli, che Acab aveva tante volte visto dal suo palazzo, gli dava un senso di desolazione, ed il sangue sparso innocentemente gli acuiva questo senso di affanno. I viali erano ingombri di foglie, gli alberi sembravano spettri, il silenzio stesso sembrava un rimprovero, il canto degli uccelli un lamento. L' anima nostra lascia una certa impronta di sé nei luoghi dove noi dimoriamo, vi lascia non un semplice ricordo, ma qualche cosa di più vivo che è indefinibile. Acab sentiva quasi, in quella vigna desolata, Nabot ed i figli di lui, li ricordava vedendo gettati per terra gli ordigni del mestiere, e li temeva considerando il delitto commesso.
In queste condizioni psicologiche l'incontro di Elia, mandatogli da Dio per rimproverarlo, gli fece più impressione, gli sembrò quasi un’ombra del defunto; perciò, quando il Profeta in tono minaccioso gli si parò davanti, egli, quasi ad esplorarne l'animo, per lo stesso rimorso che sentiva, gli disse: — Mi hai tu trovato tuo nemico ? —
Secondo il Testo ebraico gli disse: — Mi hai tu trovato, o mio nemico ? — La frase rivela un altro momento psicologico del suo cuore, che coincide con quello espresso dal Testo della Volgata. Egli infatti, nella perplessità nella quale si trovava, considerava Elia come suo nemico, e nel timore che aveva delle conseguenze del suo peccato, avrebbe voluto conciliarsene la benevolenza ; lo considerava come la persona meno desiderabile che avesse potuto incontrare, si sdegnava, perché era venuto ad intralciare i suoi piani, e lo temeva perché si ricordava ancora della siccità e del prodigio del Carmelo.
Elia rispose con grande solennità che era venuto da lui per rimproverarlo, poiché egli si era venduto a fare il male ; con queste parole mostrava di conoscere soprannaturalmente che egli aveva commesso il delitto per istigazione di Jezabel ; si era venduto a lei, cioè ne era diventato schiavo, come chi è comprato a peso d’ argento, e si era venduto a satana. Perciò gli annunziò il castigo che avrebbe avuto : la sua casa sarebbe stata sterminata come quella di Geroboamo e come quella di Baasa, perché egli aveva fatto peccare Israele, provocando il popolo a lapidare l'innocente. Questa minaccia riguardava la posterità di Acab ed era più assoluta di quella che riguardava personalmente lui. Egli stesso infatti sarebbe stato mangiato dai cani, o dagli uccelli rapaci se non si fosse pentito del suo delitto. La sentenza è espressa assolutamente, ma nell'attuazione fu mitigata, perché tutte le minacce di Dio sono sempre condizionate, anche quando la condizione non è dichiarata. Elia parlava ad Acab e lo minacciava non solo per il delitto commesso, contro Nabot, ma anche per tutte le scelleratezze della sua vita; per questo il Sacro Testo interrompe il racconto e riepiloga nei vers. 25 e 26 l’empietà del Re infedele. Quei due versetti quindi non sono posti disordinatamente in mezzo al racconto, ma hanno un nesso logico con le parole del Profeta.
Il Signore parlò anche di Jezabel rivolgendosi ad Acab per mezzo di Elia, ed annunziò in termini più recisi ed assoluti ch'essa sarebbe stata divorata dai cani nella campagna di Jezrael, cioè nel luogo stesso dove aveva commesso l'orribile delitto. Dio sapeva bene che l’empia regina non si sarebbe pentita neppure per timore, come dopo fece Acab, perciò non volle che il Profeta le parlasse direttamente e la giudicò indegna di quella misericordia. Elia dal canto suo dovette essere contento di non doversi presentare alla perfida donna, che lo cercava a morte con tanta scellerata persistenza.
Acab aveva sperimentato personalmente quanto fosse veritiero il Profeta, e però le parole che gli aveva rivolte non lo lasciarono indifferente; stracciò in segno di duolo le sue vesti, si coprì di un cilicio, digiunò, dormì involto nel sacco, smise il suo atteggiamento altero, e camminò a testa bassa, o come dice il Testo originale, a passi lenti, in segno di penitenza e di umiliazione. Egli non si pentì per amore ma per timore, e ciò nonostante il Signore immediatamente mitigò la sentenza emanata contro di lui, non facendogli vedere la rovina della sua famiglia che avvenne dopo la sua morte.
S. Gregorio perciò (Omel. XIX in Ezech.), stupito di questa misericordia divina, esclama: " È da considerarsi come piaccia a Dio la penitenza nei suoi eletti che temono di perdere Dio, se tanto gli piacque la penitenza d’un reprobo che temeva di perdere i beni temporali, e come gli sia grata la spontanea afflizione per la colpa in quelli che gli piacciono, se tanto la gradì in chi V offendeva „. E S. Girolamo (Ep. XXX ad Ocean.) dice: “ O felice penitenza, che trasse a sé gli occhi di Dio e che, confessato l'errore, mutò la sentenza severissima di Dio Se Acab si fosse pentito veramente e soprannaturalmente, il Signore gli avrebbe senza dubbio rimessa tutta la pena perché la sua bontà è infinita.
Si noti poi che Dio prima di rimettere in parte la pena fulminata contro Acab, interrogò Elia e quasi domandò a lui il consenso per farlo. Con divina delicatezza Egli non volle perdonare senza il suo rappresentante, e lo fece sia per non farlo smentire dai fatti, e sia perché egli non prescinde mai dalla mediazione dell'uomo che lo rappresenta nel rimettere i peccati. Come possono pretendere i protestanti che Dio conceda loro il perdono direttamente, se non commutò neppure una sentenza di temporale castigo senza interrogare il Profeta ?
5. Nel nostro mortale cammino.
Il diritto è sacro ed è tutelato da Dio stesso nel mondo ; questa è una grande lezione che ci viene dal racconto scritturale. Al disopra delle umane sopraffazioni c' è Dio, il quale non permette incondizionatamente lo scempio del diritto individuale o sociale. L’usurpatore può giungere fino al compimento dei suoi disegni, il che è per lui un castigo più grave, ma quando già canta la vittoria e si crede impunito, viene improvvisamente il Signore e ristabilisce la giustizia. E un fatto controllato dall’esperienza dei secoli, e deve farci tremare.
Quando Napoleone percorreva la terra da trionfatore, era un flagello di Dio; ma quando credette di poter asservire tutte le nazioni, e stese la mano sul diritto più sacro che ci sia, sul diritto del Papa, fu colpito dalla giustizia divina, e finì da esule a S. Elena, mentre le nazioni e gli stati risorgevano e si ricostituivano. Si paga, si paga ! Ogni violenza, ogni' ingiustizia, ogni colpa si paga, o presto o tardi, e perciò è bene per noi rispettare scrupolosamente il diritto altrui anche nelle più piccole cose.
Nabot si volle opporre al potente e finì col subirne la sopraffazione ; egli aveva ragione, si sosteneva con l'autorità della legge, ma praticamente ne ebbe la peggio. È questo un esempio penoso che c' insegna la prudenza nella vita. Alcuni nel nome della giustizia lottano da soli contro i grandi della terra e credono di poterli vincere. È un’illusione pericolosa, poiché essi non restaurano la giustizia e vanno incontro a mille dissapori. Quando si ha una missione da Dio, bisogna combattere anche col proprio rischio; ma quando non si può agire in nome di un’autorità più alta, è meglio tacere e concentrarsi nella preghiera. Se tu vedi il disordine nella pubblica amministrazione, per es., e non hai l'autorità d'intervenire, invano parlerai ; anzi ne avrai la peggio e si scaricherà su di te l'ira del potente. Dio ci ha dato nelle mani un mezzo mille volte più efficace di qualunque lotta: la preghiera. Preghiamo, preghiamo silenziosamente, senza vane mormorazioni che non giovano a nulla; preghiamo e pensiamo con umiltà che i disordini sono frutto dei nostri peccati ; preghiamo e confidiamo in Dio, perché Egli può far venire tempi migliori sulla nostra povera terra.
Acab cadde in tanti delitti perché si lasciò dominare da Jezabel ; la Scrittura gliene fa un espresso addebito. Fuggiamo come peste i pessimi consigli degli empi e facciamoci regolare nella vita dalla legge di Dio e dal consiglio dei buoni. Fuggiamo soprattutto il consiglio delle donne corrotte, che col sorriso e col fascino gettano gli uomini nel baratro della perdizione. Quando Acab discese nella vigna di Nabot per prenderne possesso, Dio disse ad Elia : Ecco egli discende nella vigna di Nabot. Il Signore parlava come colui che vede tutto dall’alto, e mandava il suo Profeta incontro al Re scellerato per rimproverarlo. Ad Acab quell'incontro sembrò fortuito e se ne adontò come se fosse stato per lui una disdetta. Pensiamo che mentre noi facciamo il male, Dio guarda tutto dall'alto, e che tutto quello che ci contraria nei disegni cattivi non è una disdetta del caso, ma è una paterna disposizione divina per arrestarci sull'orlo del precipizio. Ascoltiamo le voci di Dio e non ci ostiniamo mai nel male, perché l'ostinazione ci conduce a sicura rovina.
Acab, risparmiato in parte durante la sua vita dal castigo minacciatogli da Elia, ci fa ricordare di quelli che sembrano impuniti nel mondo. A volte il Signore differisce il rendiconto dopo la nostra morte, e ci fa pagare la pena dei peccati o nell'inferno se non sono rimessi, o nel Purgatorio se sono rimessi solo in quanto alla colpa e non in quanto alla pena. Se tutto si paga rigorosamente perché siamo così stolti da accumulare responsabilità su responsabilità per effimere soddisfazioni? Facciamo penitenza e siamo contenti di pagare in vita i debiti contratti con la divina giustizia. È assai più bello l’espiazione presente che è facile e sopportabile, anziché l’espiazione futura che è severa e terribile anche quando è solo temporanea nel Purgatorio.
Sac. Dolindo Ruotolo

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