giovedì 26 giugno 2014

26.06.2014 - Commento al secondo libro dei Re cap. 24, par. 2

2. Il significato letterale di questo capitolo.
Il misterioso amore di Dio nella deportazione del popolo suo.

Oli avvenimenti del mondo dovrebbero raccoglierci in profonda meditazione, pensando che al di sopra di essi, Dio regna con la sua provvidenza e con la sua sapienza. Le nazioni sembrano abbandonate a loro stesse, e su di esse sembra che si compia un destino quasi cieco. Noi spieghiamo gli avvenimenti della storia con tante trovate più o meno ingegnose, con le parabole ascendenti e di
scendenti, con i corsi e ricorsi storici, con la gioventù o la vecchiezza dei popoli, con i fattori demografici, e simili cose che dicono tutto e non dicono nulla. Ci fermiamo nell'atmosfera terrestre e non ci eleviamo al di sopra di essa; eppure al di sopra degli eventi umani c’è Dio che tutto dispone e che tutto utilizza per i suoi alti fini. Ecco il regno di Babilonia che assorge ad un grande fastigio, eclissando l’impero degli Assiri e dei Faraoni ; Nabucodonosor diventa un potente conquistatore, innanzi al quale nulla resiste, eppure egli non era che strumento della divina giustizia. Come l'acqua dilaga là dove trova il pendio e ristagna nelle fosse, come un corpo più duro diventa il martello di uno più molle, così, il regno di Babilonia si allargava là dove l’iniquità era più grande, e diventava il martello della divina giustizia.
Nabucodonosor assalì il Re d'Egitto e gli tolse tutti i possedimenti che aveva, dal torrente d'Egitto che divideva la Palestina da quella nazione, fino all'Eufrate. Il Re di Giuda che parteggiava per il Faraone, venne fatto tributario, e rimase soggetto al Re Babilonese per tre anni. Poi si ribellò sperando probabilmente che il Re d'Egitto avesse rialzata la testa ed avesse scosso il giogo di Nabucodonosor. Questi gli mandò contro delle bande armate di Caldei, di Siri, di Moabiti e di Ammoniti per molestarlo. Sembrava un evento qualunque, eppure il Sacro Testo dice espressamente che tutto questo avveniva per castigo di Dio ed in punizione del sangue innocente sparso da Manasse in Gerusalemme. Il Signore, è detto al vers. 4, non volle usare misericordia, ovvero non volle essere propizio ; Egli era la diga che avrebbe potuto arginare quel torrente invasore, ma l'iniquità di Giuda lo aveva allontanato, anzi lo aveva scacciato, sostituendo a Lui degl'idoli; il Signore dunque non volle usare misericordia perché l'umana libertà traviata non glielo consentiva ; Giuda si era dato volontariamente in mano ai nemici abbandonando Dio, l'unica sua forza e l’unica sua speranza; gl'idoli non potevano salvarlo, e Nabucodonosor trovò la porta aperta ed indifesa.
Joachim morì probabilmente di morte violenta; nel Sacro Testo non si parla della sua sepoltura, e poiché Geremia aveva predetto che avrebbe avuto la sepoltura di un asino, senza alcun onore (Gerem. XXII, 19; XXXVI, 30), si suppone che sia rimasto insepolto, almeno per un certo tempo. A lui successe nell'età di diciotto anni il figlio Joachin ; nel II dei Paralipomeni (XXXVI, 9) si dice che aveva otto anni ; si può supporre che il padre fin da quella tenera età l'avesse associato a sé nel regno, forse per as
sicurargli la successione in tempi così torbidi. Alcuni suppongono che nei Paralipomeni vi sia un errore di copista.
Joachin fece il male nel cospetto del Signore, e questo attrasse su di lui il castigo eia tribolazione. Nella linea delle vicende umane il cambiamento di Re in Giuda insospettì Nabucodonosor, il quale, temendo una nuova ribellione, spedì di urgenza un esercito contro Gerusalemme, e poi vi andò personalmente per espugnarla. Joachin, non essendo abbastanza forte per resistergli, gli uscì incontro insieme con la madre, con i principi della corte, e con i suoi ministri, sperando così di ottenere un trattamento più umano. Ma Nabucodonosor non era uomo da lasciarsi intenerire da coreografie più o meno sentimentali; egli saccheggiò il Tempio e la casa reale, spezzando ed asportando anche quei vasi d'oro fatti da Salomone che erano stati salvati nei precedenti saccheggi. Era giustizia di Dio, come nota il Sacro Testo, giustizia logica, poiché a che cosa dovevano servire quei vasi sacri, profanati dall'idolatria più nefanda ? Non erano essi già dissacrati, e non erano moralmente in potere degl'idolatri?
Dio è verità, ed alcuni atti della sua giustizia sono lampi di verità e smascheramento d’ipocrisie. Quando permette che gli empi profanino la sua Casa, lo fa perché già l'hanno profanata i suoi ministri ; Egli preferisce che vi sia l'empietà manifesta, anziché l'ipocrisia palliata da pietà, per i propri interessi. Anche la deportazione dei Giudei in Babilonia era una chiarificazione, poiché da tempo l'anima loro s'era deportata volontariamente tra gl’idolatri accomunandosi alla loro vita. Era un non senso, una menzogna storica che il popolo di Dio rimanesse in Gerusalemme quando con lo spirito stava a Babilonia; Dio, facendolo deportare, gli faceva toccare con mano in quale stato s' era ridotto. Psicologicamente infatti, noi avversiamo quelli che ci opprimono, e troviamo ripugnante tutto quello che essi fanno ; questo sentimento naturale era maggiormente accentuato in un popolo attaccatissimo alla sua terra, come era il popolo ebreo. Dio dunque permise che fosse deportato, affinché gli fosse apparsa più odiosa e ripugnante l'idolatria che ricopiava dai popoli pagani; lo permise per un atto di materno amore, perché Egli è sempre Amore.
In fondo che cosa reclamava il Signore dal suo popolo? Non reclamava che l’osservanza della legge per gli stessi interessi della sua prosperità. Da padre, Dio tutelava la dignità dei suoi figli, poiché la sua legge era legge di libertà e di amore. Quel popolo .si era abbrutito nella schiavitù più opprimente, era ritornato moralmente in Egitto, s' era reso servo delle nazioni, poiché accettando l’idolatria, aveva rinnegata l’essenza stessa del suo spirito nazionale. Non ci voleva di meno per fargli toccare con mano che cosa era quella schiavitù morale, per farlo rinsavire, e però la deportazione era la logica conseguenza dello stato nel quale s’era ridotta la nazione.
Dio rigettava dal suo cospetto il popolo, come una mamma rigetta il figliuolo ribelle, per fargli sentire il peso della propria stoltezza e per farlo ritornare nelle braccia materne. Se il figlio potesse vedere il cuore materno quando gli mostra il volto severo, lo vedrebbe tutto stillante lagrime di sangue, tutto angosciato e torturato, e vedrebbe se stesso in quel cuore, nel posto più privilegiato, come tesoro della sua mamma. Oh, se noi considerassimo l'infinito abisso dell'amore di Dio, vedremmo uno spettacolo mille volte più tenero e più commovente, ed intenderemmo perché Egli fa festa quando un peccatore ritorna a Lui! Fa festa; dunque non era adirato, perché l'ira quando è placata porta alla maestosa indulgenza, non alla festa.
La donna che ha perduto la dramma, si affanna a ricercarla, e fa festa quando la ritrova. Essa spazza la casa perché tintinni sul pavimento la sua moneta, e quasi dia il suo gemito perché possa essere raccolta da quelle mani nelle quali ha tutto il suo valore. Il pastore insegue la pecorella smarrita, ha la faccia turbata ed il passo concitato, perché l'ama di più; per questo nel raccoglierla la pone sulle sue spalle, e la carezza. Come può raccoglierla egli, se non sospingendola verso l'abisso dove il timido animale non ha altra alternativa che o darsi al pastore o morire? Il padre del figliuol prodigo permise al figlio di andare in terra straniera, perché sentendo il vuoto, la solitudine, la miseria e l'oppressione, fosse tornato a lui. Il ritorno del prodigo fu cosi festoso per il padre, perché rispondeva al piano del suo amore.
Dio dunque, gemendo, spazzò la sua casa, per ritrovare il suo popolo, e gemendo lo rincorse fin sull'abisso, e permise che fosse deportato perché avesse sentito il peso del giogo idolatrico, e gli fosse rinata la nostalgia del suo Tempio e della sua Legge. Rimasero solo i poveri nella Giudea, perché i poveri ancora Lo amavano ed erano i meno rei; rimasero soli, come sentinelle avanzate nella loro terra, alla quale dovevano riattrarre i fratelli esiliati con le loro preghiere.
Dio ama l’anima nostra come può amarla Lui solo che l’ha creata. Chi può intendere la forza dell'amore creante? Solo nella maternità ne vediamo una scintilla, ed è piena d'ineffabile bellezza ; solo la madre ci dà una pallida idea di quella che può essere, diremmo quasi, l’angustia di Dio nel vedersi sfuggire un’anima. Chi più di Lui conosce la felicità che le ha riserbata e l'infelicità tremenda del distacco di lei dal suo cuore? Chi più di Lui può valutare l'ineffabile bellezza della quale la grazia l'adorna e l’orrida turpitudine nella quale il peccato la soffoca ? Se potessimo usare un’espressione ardita, diremmo che Dio con la creazione dell’anima e degli Spiriti Intelligenti, s'è posto quasi in angustia. La libertà è il sommo dono di una creatura intelligente e ragionevole, ed esige per necessità la prova, perché diventi elevazione e merito; la prova importa la piena libertà della creatura intelligente, importa quindi anche il pericolo di una caduta. Se la mamma lascia il bimbo suo perché dia i primi passi, con quale ansia, con quale sguardo lo segue ! Si tendono verso di lui le mani, il cuore che palpita trepidante, l'occhio che vorrebbe sostenerlo con i raggi della sua luce; è uno spettacolo meraviglioso di bellezza. Dio non può avere ansie, perché è impassibile ed immutabile, non può avere sorprese perché conosce tutto, ma con quale amore ha seguita la vita degli Angeli e la vita degli uomini durante il tempo • della loro prova ! La sua Provvidenza accurata, e più la Provvidenza della sua grazia, è come l’ansia del suo Amore che segue le sue fragili creature. Di quante delicatezze le circonda, in quanta bontà le sommerge perché non le sfuggano !
O inesplorato amore di Dio, o dolcezze della tua tenerezza materna, o delicatezze della tua bontà, chi può intenderti? Se un verme che striscia nella terra l’hai circondato di tante cure e se segui il volo di un passero, e numeri persino i capelli del nostro capo, con quale carità segui lo sviluppo della vita di un’anima?
Dio non può tollerare che una creatura libera e ragionevole si perda, prima di averla assediata in tutti i modi. Or quando l'anima non sente più le voci della sua legge, le esortazioni della sua carità, le insistenze del suo amore, Egli le manda colui che la deporta, Nabucodonosor, l'angustia, il pianto, il gemito e la tristezza del giudizio; le manda colui che la deporta in Babilonia, la confusione. Il dolore è il conquistatore dell’anima ; l'angustia, il pianto,
il gemito, frutto del giusto giudizio divino, la deportano nella terra della confusione, in Babilonia, dove le rinasce a poco a poco, insensibilmente la nostalgia del bene e la sete di Dio.
Nabucodonosor mandò contro Giuda i predoni dei Caldei, i demoni, i depredatori; i predoni della Siria, il godimento, la felicità, il cammino ; i predoni dei Moabiti, il figlio del padre; ed i predoni degli Ammoniti, il popolo suo. Questi predoni furono mandati dal Re di Babilonia, eppure nel Sacro Testo è detto che li mandò il Signore. Era come l'avanguardia della deportazione. Così fa Dio con l’anima infedele : le manda i demoni che la tormentano, che la depredano della sua gioia, della sua felicità, e le rendono aspro il cammino; le manda i predoni di Moab, che le tolgono la familiarità col Redentore, il Figlio del Padre divino, e i predoni di Ammon, che la rendono estranea al suo popolo. Il peccato non distacca l’anima da Dio senza depredarla di tutto, senza toglierle ogni felicità, ogni lume, ogni vita, ogni unione col Redentore; e tutto questo è provvidenziale, poiché nel vuoto di ogni bene l'anima sente il bisogno del Sommo Bene. Sembra quasi strano che Dio privi della grazia l’anima che si distacca da Lui, ed invece è un segreto di amore, perché Egli vuole che liberamente essa si dia a Lui. Peccando, l’anima si abbandona alla propria libertà, ed è logico che Dio non, la forzi, ma che le mandi i ladroni che la depredano, affinché senta il vuoto dell’abisso nel quale è caduta.
È detto che il Signore mandò i predoni contro Giuda per i peccati fatti da Manasse, ai quali il popolo aveva cooperato e partecipato, e per il sangue innocente sparso in Gerusalemme. Or proprio per questo Dio manda i ladroni nell'anima, per i peccati di Manasse, il dimenticato, la dimenticanza, cioè per la noncuranza che l'anima ha del divino amore, e per il sangue innocente sparsa in Gerusalemme, cioè per la profanazione del Sangue Preziosissimo della Redenzione.
Dopo la depredazione viene l'assedio di Nabucodonosor, l'angustia, il pianto, il gemito, la tristezza del giudizio, poiché Dio assedia l’anima col dolore, affinché intenda quale gran male sia per lei la colpa. Vengono poi le sventure, e come il Re di Babilonia depredò i tesori del Tempio e della casa reale, così l'anima viene privata delle consolazioni della grazia soprannaturale e della ricchezza della sua dignità è della sua regalità. Infine essa viene deportata in Babilonia, nella confusione, lontana dal bene vero del suo cuore, schiava del mondo, schiava delle angustie, senza conforto, priva di fortezza, di attività, d'iniziative soprannaturali.
Come in Giuda, sui miseri avanzi rimasti, Nabucodonosor pose come Re Mattania, il dono di Dio, V espettazione, la speranza di Dio, ma gli cambiò il nome in quello di Sedecia, la giustizia del Signore; così nell’anima deportata dal dolore nella, confusione e nell'angustia, regna ancora la speranza di Dio, il dono suo, la sua espettazione, perché il castigo terribile è sempre misericordia, è pressione dell'amore di Dio, ma vi regna sotto altro nome, sotto il nome di giustizia divina, Sedecia, affinché il pensiero di essere colpita da Dio, susciti in essa il salutare timore che la faccia ritornare a Lui.
Non si sfugge all’infinito Amore che assedia ; tutte le angustie della vita, tutte le pene interne, l'orribile vuoto che ci tormenta, la povertà estrema che ci opprime, la confusione nelle aspirazioni, il disinganno dei nostri ideali, le spine che troviamo nelle creature, tutto è assedio dell’infinito Amore che vuole ad ogni costo salvarci e renderci eternamente felici. Chi oserebbe tacciare di crudeltà un Re che insegue il suo vassallo, lo chiama, gli toglie ogni rendita, gli strappa ogni gioia, perché non vuole che vada errando nelle mefitiche paludi, ma lo vuole con sé nei fulgori del trono? Chi può chiamare severa la madre che permette che un figlio lontano dalla casa paterna sia angustiato, perché vi ritorni? Se vedessimo dall'alto il mondo, ci apparirebbe come un campo trincerato dove stanno di fronte l'umana libertà e l'infinito Amore. Vedremmo in esso un epico combattimento, fatto con tutte le armi, meravigliosamente.
La tattica dell'Amore è il ritirarsi bruciando tutto, come facevano i Russi di fronte a Napoleone ; la strategia dell'Amore sta nel chiudere le fonti, nel bruciare le messi, nel rendere desolato il campo dove il nemico si attenda. Lo chiude nelle gole dei monti, lo ricaccia nelle paludi senza guado, lo incalza nei burroni senza fondo, finché non levi la bandiera bianca e non s'arrenda volontariamente. E la bandiera bianca è la coscienza fatta pura nel Sacramento della Penitenza che si leva in alto sulle desolate dune del deserto, ed implora la vita. Allora la scena si cambia, l'Amore discende dai monti con infinite ricchezze, si fa incontro all'anima, la inonda di gioia, l'abbraccia, la bacia, la consola, l'arricchisce, e si fa festa nei cieli perché ha vinto l’Amore, ha vinto per amore, ha diffuso amore, ha raccolto amore, ha coronato l’amore !
Chi sarà così stolto da rifiutarsi di consolare le angustie dell'Amore? E chi vorrà rimanere ancora nel lezzo delle sue colpe, deportato in terra straniera, con gli strumenti della gioia sospesi ai salici piangenti, senza dire al suo Creatore : Ecce anelila Domini, fiat mihi secundum verbum tuum ? Chi rifiuterà a Dio la propria volontà e la propria libertà, senza attendere che tuoni il mirabile furore del suo incalzante amore ?
Sono peccatore, o mio Dio, sono peccatore ! Volgimi lo sguardo, tendimi la mano, distilla su me la tua rugiada, inondami con la tua luce, sollevami con la tua forza, vincimi Tu, vincimi; ti cedo tutte le mie armi ! Nella placida pace della tua eternità mi hai guardato; come aquila sei disceso su dì me, mi hai preso negli artigli per portarmi in alto; hai vinto! Vincimi ancora! Quel tuo sguardo severo è amore, quel tuo percuotere spietato è amore, quel tuo incalzarmi ruggendo è amore ! Vincimi ancora ! Non ti contentar che io mi ti dia ferito e piagato ; sanami, anche bruciando la mia carne ; rischiarami la vista, anche tormentando i miei occhi ; dilatami il cuore anche gonfiandolo di pena ! Vincimi ancora, finché io non sia favilla pura che mi unisca al tuo incendio d'amore, e ti canti in eterno l’amore!...
Sac. Dolindo Ruotolo

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