lunedì 9 giugno 2014

09.06.2014 - Commento al primo libro dei Re cap. 17, par. 1-5

2. Il dolore che è una benedizione, e l’ammirabile Provvidenza di Dio nell’umana libertà.
Spunta quasi improvvisamente sul cielo d'Israele un astro luminosissimo, tanto luminoso che non è ancora tramontato, poiché ancora vive misteriosamente sulla terra in attesa degli ultimi tempi, Elia Profeta. La Scrittura che è così minutamente accurata nel parlarci dei genitori dei vari personaggi dei quali tratta, non ci dice nulla degli antenati e dei genitori di questo Profeta. Egli appare senza genealogia, come Melchisedec; è vindice di Dio, è pieno di: potenza soprannaturale, fino al punto che i cieli obbediscono alla sua voce ; è dominatore della morte, fino al punto da risuscitare il figlio della vedova di Sarepta, il primo morto risorto a novella vita di cui ci parli la Scrittura ; glorifica la Divina Provvidenza, moltiplicando la farina e l'olio della vedova, eppure è perseguitato ed umiliato, e fugge dalla faccia del perfido Acab. Egli da solo si oppone alla marea idolatra, ristabilisce l'onore di Dio, riaccende in tanti cuori l’ amore alla legge ; egli è immagine viva del Redentore, disceso dal Cielo per ristabilire la gloria di Dio, per consolare l'umanità vedovata, per affrontare la morte e vincerne l'impero ; è immagine del Redentore che domina i cieli e la terra, e pure e perseguitato e si nasconde dalla faccia dei suoi nemici.
Questo gran dono di Dio, Elia Profeta, non fu dato al popola che in mezzo ad una nube di tribolazioni, e la fame più terribile infierì in Israele. Elia, dice S. Giovanni Crisostomo, risoluto a distruggere il culto di Baal, pregò Dio a riserbare a lui, benché piccolo mortale, il dominio della pioggia del cielo, affinché avesse potuto indurre il popolo alla penitenza. Dio che è paternamente fedele a chi confida in lui, lo esaudì, ed il Profeta, presentandosi ad Acab, potette dirgli quelle energiche parole : — Viva il Signore Dio d'Israele, alla cui presenza io sto, che non verrà né rugiada né pioggia in questi anni se non alle parole della mia bocca. — II tiranno poteva minacciarlo quanto voleva, poteva tendergli insidie e disprezzarlo, ma non poteva togliergli quel potere misterioso che
aveva avuto sulle piogge del cielo. Ed ecco che il vento caldo,, obbediente all’uomo di Dio, soffiò sulla terra, ricacciò lontano ogni umore svaporato, ogni addensamento di umidità, ed il cielo rimase terso, limpido, inesorabilmente azzurro, per tre anni e mezzo. Ogni pianta si disseccò, e la terra non diede più nulla; era l’assedio dell'Amore che circuiva le sue creature con la fame, perché si fossero arrese.
È un fatto costante nelle vie della Divina Provvidenza che le grandi misericordie non vengono sulla terra se non con una preparazione di grandi dolori; è un’esigenza dell’umana-libertà. Se noi potessimo valutare in forze fisiche le forze dell'umana volontà e dell’umana libertà non troveremmo nella creazione una formola equivalente. Le forze di milioni di cavalli, di milioni di volts, di milioni di atmosfere sarebbero un nulla a petto della forza di un solo atto della libertà e della volontà umana. Eppure questa forza tremenda che può resistere persino alla divina volontà ed isolarsi dal Creatore, perché solo fino a questo limite di morte e di stoltezza può dirsi completamente libera, questa forza che ha due abissi nei quali sconfinare, l’abisso dell’Amore Infinito e l’abisso del vuoto spaventoso, questa forza che è creata, ma ha caratteri di somiglianza con l’Eterno, si trova in questa condizione paradossale che può dirsi veramente il gioco dell'Onnipotente, la manifestazione più . grande della sua gloria : è libera, interamente libera, perché sia pieno e sconfinato il suo volo a Dio, unico fine dell'umana libertà ; è in prova perché liberamente conquisti la gloria, da regina coronata dei suoi stessi meriti, fino al punto da rendere il suo premio una corona di giustizia, come dice S. Paolo ; è posta nella condizione di poter volere anche il male perché in caso opposto non sarebbe libera di volerlo, fino al punto da potersi negare a Dio stesso, ma è vigilata dall'Infinito Amore che è geloso di lei, com'è gelosa la madre del frutto delle sue viscere. Nessuna forza la costringe, ma l’Amore non l’abbandona a se stessa quasi disinteressandosi di lei, perché l'Amore è vigilante.
Se lasci libero il piccolo areostato, il palloncino volante, tu piccolo atomo, non puoi non seguirlo con l’occhio nella sua ascesa o nella sua discesa; lo lasci libero e lo vuoi dominare, e non vuoi che la fiamma che lo innalza lo bruci e lo faccia cadere in faville. Quanto più l'infinito Amore vigila i movimenti liberi dell'umana libertà, lanciata nella vita per ascendere, lanciata con le fiamme dell'attività e delle stesse passioni, per vincere la propria inerzia nel continuo pericolo che ogni movimento falso di queste fiamme cagioni l'incendio dell'anima e tronchi l'ascesa, mutandola in rovinoso precipitare!
L'anima perfettamente libera fa parte di un mondo meravigliosamente armonizzato, del quale essa è la nota più bella; pur essendo così grande, l’anima è chiusa in un vaso di creta mortale che l’appesantisce e richiede in lei uno sforzo per elevarsi; il corpo dove abita è come l’ossatura, lo scafo, il motore dell'idroplano: serve al volo ma è anche di ostacolo al volo; senza quella pesantezza non può levarsi dalle acque, e nello stesso tempo quel peso può trascinarlo nei gorghi e sommergerlo. Su di una piuma non puoi volare e su di un idroplano puoi anche' inabissarti. Non puoi elevarti senza lasciar libero l'apparecchio, e non puoi lasciarlo libero illimitatamente senza precipitare. Considerando il peso enorme dell’idroplano carico ti sembra un assurdo che dieci mila chilogrammi si possano levare dall'acqua come una piuma, ma se lo scarichi del suo peso, rimane preda dei flutti. Ed allora tu hai bisogno di accendere i motori, di dare all'idroplano dei sussulti violenti, di tenere in ferrea mano le sue leve, pur lasciandolo libero di correre sulle onde e di farsi leggero nel tormentoso gemito delle eliche turbinose. Se lo costringi nei suoi movimenti non ascende, e se lo lasci libero nelle sue forze senza dominarlo, si sfascia. Se vuoi risparmiargli ogni sussulto e vuoi seguire la legge dei suoi organi, lo perdi, perché sono pesanti; tu lo attanagli, eppure lo lasci; lo guidi, eppure ti fai trascinare da lui; ci sei sopra ed esso t’innalza e ti glorifica, per così dire, elevandoti nei cieli, ma sei tu stesso che lo innalzi, manovrando quelle leve che tu stesso gli hai dato. Tale è la misteriosa condizione dell'umana libertà.
Dio non può forzarla, né può lasciarla libera, come la mamma che guida il piccino con le dande non può forzarlo, perché non camminerebbe, né può lasciarlo a se stesso perché cadrebbe. Dio allora domina l'uomo col dolore, con questo mirabile dono divino che è come il turbinare dei motori che liberano dal suo peso la nostra pesante miseria. Il dolore Dio non lo dà direttamente alla potenza che vuole sforzare ad agire, ma esso viene in noi come qualche cosa di accidentale e di estraneo alle nostre attività, come messaggero misterioso che non ti dice quel che tu debba fare, perché la tua libera ragione te lo dica. Un malanno, una paralisi, una perdita ruinosa, un'angoscia non ti dice nulla, non ha relazione stretta alle attività del tuo libero cuore; anche quando è un castigo evidente
di colpe commesse rimane avvolto nel mistero, tanto è vero che molti non si accorgono del castigo; il dolore è un sussulto, è un tremore, è un gemito che ti fa agitare, come il motore fa agitare l'idroplano sulle acque. Mentre tu gemi, la grazia volteggia su di te, come l'aria invisibile sulla quale in realtà l’idroplano si solleva. Un corpo disfatto che si scioglie in putridi umori lebbrosi, non ha relazione all’anima ma attrae la libera attenzione di lei sull’umana nullità, e mentre geme la carne tumefatta, l’anima umiliata e contrita cerca essa stessa le vie dell’infinito Amore di Dio. Allora la libertà è piena, e Dio l’ha dominata senza diminuirla.
Sotto questo aspetto i dolori umani sono la più poderosa armonia, sono come orchestre piene, come organi colossali le cui canne poggiano in terra, ma i suoni si espandono nella serena aura eterna. Prescindi dalla melodia di una orchestra e tu vedrai uno spettacolo penoso. L'aria geme nei somieri risucchiata e ricacciata dai cigolanti motori, pressata e contorta dai pesanti mantici che affannano; le corde sono tese, percosse, strappate, e nei ventri e nei seni delle loro oscillazioni non hanno riposo; sono flagellati i timpani, si azzuffano quasi i timballi l'uno contro l’altro in urti fragorosi..; Tutto è tormento, attanagliato a rigorose formole di armonia, eppure tutto è mirabile fusione di voci misteriose che osannano frementi o placide, fiere o soavi, all’infinita armonia della Triade divina! Discende dall'alto la divina sapienza che regola i suoni, sale dalla terra la meravigliosa melodia che glorifica l'Autore della legge dei suoni. Così si leva dai dolori umani il cantico della libertà che si slancia liberamente nell'infinito, e si leva dalle effimere gioie della libertà fatta schiava dei sensi l’urlo implacabile dell’anima che volontariamente s'inabissa.
Che cosa ammirabile è Dio ! Che cosa stupefacente è il suo amore! Quello che sorprende davvero è come l’uomo stretto dal gran dono del dolore, ancora non ami, ancora non si levi in alto, ancora non risponda liberamente all'infinito Amore.
Dio non ci dà tregua perché l’amore è forte come la morte, e non fa meraviglia che quando si effonde su tutta la terra con una misericordia eccezionale, Egli la prepari con una tribolazione universale. Con un sol colpo generale Egli allora muove l’umana libertà, e quando nell'angoscia comune tutte le creature sono tese anche inconsciamente verso le altezze, Egli manda come vento di amore la grazia che le solleva. Ed in questo è ammirabile ancora di più, poiché egli non manda il flagello come chi lancia le pietre, ma fa in modo che la stessa umana libertà deviata lo accumuli,
come terra acquitrinosa che svaporando forma poi la nube che la inonda e che disorienta le correnti dell'aria generando il vento che la rasciuga.
3. Un altro mistero : il potente che fugge.
Elia si presentò ad Acab e gli disse che Dio gli aveva dato il potere sulla pioggia del cielo; era un atto di coraggio sanzionato dal fatto, poiché veramente il cielo si chiuse. Or come mai Dio gli comanda subito dopo di fuggire dalla faccia del Re e di nascondersi presso il torrente Carit? Come mai Dio nello stesso tempo che lo fa fuggire mostra la sua divina potenza comandando ai corvi di nutrirlo portandogli pane e carni, mattina e sera? È un problema arduo. Noi abbiamo visto anzi qualche cosa di più stupefacente, abbiamo visto il Verbo umanato, l'infinita potenza, fuggire davanti ad Erode, davanti ai suoi avversari. Quel Dio che poteva chiudere il cielo e comandare ai corvi irragionevoli, e più ancora il Dio umanato che dominava tutto, non poteva conquidere un piccolo e miserabile uomo?
La ragione di questo mistero si trova nel rispetto che il Signore ha per l'umana libertà, e nella bontà misericordiosa che tende le mani alle sue creature. Il Signore preferisce nascondersi anziché forzarci, e lascia libere le nostre potenze perché vuole che si decidano al bene per mezzo della ragione illuminata da Lui con infinita delicatezza. Noi insistiamo tanto nel far rilevare il rispetto che Dio ha della nostra libertà perché in questo sta il segreto della nostra ascesa fino a Lui. Solo che l'uomo dubiti di non essere veramente libero, si dà immediatamente in balìa delle passioni, e cade vittima delle proprie miserie.
Nei gloriosi combattimenti dei Martiri tante volte Dio dominò le fiamme perché non bruciassero, le fiere perché deponessero la loro ferocia, le acque perché non inghiottissero il corpo che vi veniva gettato ; ma quando la spada dei carnefici si levò sui santi atleti della Fede, colpì ed uccise veramente, perché era mossa da una libera volontà. Rarissime volte la mano che si levava armata s’inaridì, 1' occhio che fulminava il Martire si spense ; ma anche allora quell’atto di potenza fu solo un richiamo, e Dio restituì subito alla sua creatura la libertà di liberamente agire come avvenne a Geroboamo (XIII, 6). Il Signore più spesso ha mostrato il suo sdegno con quelli che tentavano indurre al male i Martiri suoi; Egli allora stroncava l’attività di quegli scellerati, per tutelare nei Martiri l’innocenza e per salvaguardare una libertà più nobile.
Del resto un castigo improvviso e tremendo che paralizzasse l'uomo nelle vie dell’iniquità, sarebbe una grazia e supporrebbe la disposizione dell’anima ad accettarla; ora Dio non dispensa grazie a chi non le vuole e non ripone i suoi tesori là dove possono essere profanati. Era necessario che Acab conoscesse che il cielo si chiudeva per castigo divino, questo era richiesto perché la sua ragione intendesse la voce di Dio; ma qualunque atto di potenza violenta sarebbe stato lo stesso che trascinarlo ad agire sotto l’impero di una forza estranea a lui, ad agire per costrizione, e questo Dio non lo fa. Lasciandolo libero però, egli avrebbe potuto far male al Profeta, e perciò Dio ordinò al suo servo di nascondersi.
Ma c' è di più in questo nascondimento di Elia. Il Signore quando suscita nel mondo un uomo straordinario, lo rende vaso di elezione, cioè raccoglie in lui le grazie che vuol dispensare gradatamente agli altri ; Egli dunque ha bisogno di addestrarlo alla missione che gli affida in modo da non forzarlo; ha bisogno di spingerlo ad abbandonarsi maggiormente a Lui in modo da farsi docilmente guidare, ha bisogno sopratutto della sua attività interiore che è quella che vince le grandi battaglie dello spirito. Per ottenere questo, Dio segue un doppio cammino : pone il servo suo nelle angustie affinché ricorra a Lui, e lo soccorre miracolosamente perché confidi in Lui; lo isola dal mondo in modo che debba riguardare Lui solo, in modo che solo a Lui debba fare appello, e lo ricolma di grazie interiori perché preghi. Compie dei miracoli e nello stesso tempo lo pone nella prova perché il miracolo non gli tolga il merito della fede e non lo renda tracotantemente sicuro.
Dio mandò Elia al torrente di Carit ; nella solitudine doveva raccogliersi in preghiera, e compire la parte essenziale della sua missione. Lo mandò là pur sapendo che il torrente che gli doveva dare 1' acqua si sarebbe disseccato ; lo nutrì miracolosamente col ministero di uccelli voraci e maligni, per fargli toccare con mano la sua potenza, e permise che il torrente si disseccasse, affinché avesse provata quella salutare angustia che doveva fargli rivolgere a Lui solo il cuore. Elia era sicuro di bere, ma non era così sicuro di mangiare ; gli dava subcoscientemente più affidamento il torrente che scorreva per legge naturale anziché i corvi che venivano soprannaturalmente, poiché l'uomo è più inclinato a confidare nei mezzi umani e comuni. Dio, facendo disseccare il torrente, faceva intendere al Profeta che doveva affidarsi ai mezzi soprannaturali.
Solo chi è familiare col Signore può intendere la delicatezza di queste lezioni pratiche che Egli dà ai, suoi servi, per addestrarli senza costrizione alcuna ad una vita soprannaturale.
L’umiltà è il grande segreto della vittoria dei Santi, e Dio e- leggendo un'anima ad una speciale missione, si preoccupa soprattutto di renderla umile. Egli pone quindi sempre il contrappeso alla gloria dell’elevazione, e non rende mai l'anima padrona della situazione. Volle che Elia fuggisse perché avesse sentito la sua insufficienza e la sua piccolezza; mentre il cielo gli obbediva, la minaccia di un uomo lo spaventava ; gli mancava il tempo e l'agio di considerare che il cielo gli era obbediente, poiché lo pressava l'angustia del pericolo. L'anima sua non era capace di gonfiarsi e di compiacersi, perché era schiacciata dal terrore. Com’è grande Dio nella placida azione della sua grazia !
Il Signore infine faceva fuggire Elia anche per una delicata misericordia verso Acab : toglieva a questi l'occasione di essere maggiormente reo, e gli dava il tempo di considerare lo stato dell'anima sua. Così Gesù Cristo fuggì e si nascose dai suoi nemici, e commiserando la loro cecità lasciò loro ancora tempo per far penitenza.
4. La vedova di Sarepta.
Elia, assetato, stava sulle sponde del disseccato torrente e rivolse certamente al Signore preghiere ardenti, implorando il suo aiuto. Dio gli parlò e gli disse di andare a Sarepta dei Sidoni, perché aveva ordinato ad una donna vedova di nutrirlo. Dal contesto non si rileva che Dio avesse parlato a quella donna, la quale in realtà più che nutrire il Profeta fu nutrita da lui miracolosamente; il Signore parlava quindi piuttosto dell’ordine provvidenziale e miracoloso col quale aveva disposto che quella donna con un atto di fede e di carità meritasse il miracolo della moltiplicazione della sua farina e del suo olio, e quindi nutrisse il Profeta. Dio stesso avrebbe potuto alimentare il suo servo, ma volle che si umiliasse innanzi ad una donna pagana, e riconoscesse in lei la semplicità della fede che a lui era mancata sulle rive del torrente.
Umanamente parlando, Elia a primo aspetto si trovò disingannato recandosi in Sarepta. Aveva creduto di dover trovare una donna facoltosa e ben provvista, e trovò invece una poveretta alla quale era rimasto un sol pugno di farina e pochissimo olio per formar
sene l’ultimo pane e poi abbandonarsi alla morte. La donna offeriva uno spettacolo di desolazione che nel Sacro Testo è mirabilmente descritto in poche parole ; andava raccogliendo mesta ed affranta gli aridi fuscelli di legno per cuocersi l’ultimo boccone; non aveva dunque più nulla, e raccoglieva dalla terra inaridita i ramoscelli disseccati, caduti dai desolati alberi.
Elia giunse assetato in Sarepta, e quindi domandò prima di tutto alla donna di portargli da bere ; mentre essa andava, le domandò anche del pane, ma la vedova gli prospettò qual era la sua triste condizione. Ispirato da Dio, il Profeta le disse di preparargli il pane con la farina che le era rimasta, perchè così quella farina non sarebbe venuta mai meno, 1' olio suo non sarebbe diminuito. La donna gli credette, e prima ancora che egli le avesse annunziato il miracolo pensò di dare a lui quello che le era rimasto. Dio volle esaudirla in tutte le preghiere eh' ella aveva fatto nelle angustie della fame, vedendo esaurirsi le ultime sue riserve, ma volle ancora che con un atto eroico di carità e di fede avesse meritato quel miracolo. Egli, nella sua infinita delicatezza, vuole che noi preghiamo, perché non vuole esaudirci dandoci un'elemosina, ma dandoci quello che abbiamo meritato.
La vedova di Sarepta era pagana, ma aveva dovuto rivolgersi 1 al vero Dio nelle sue pene ; essa infatti al Profeta che gli domandava il pane, rispose con un giuramento vero : " Viva il Signore Dio tuo,, invocando a testimone della sua affermazione il Dio d'Israele. In quella sua espressione c'era anche un atto di umiltà, poiché non osava chiamare suo Dio, il Signore. Così in mezzo alla prevaricazione d’Israele questa povera donna straniera aveva l’onore di ricevere l’uomo di Dio e veniva soccorsa da un miracolo, meritandolo con la sua fede umile e sincera e con la sua carità eroica. Immagine viva e figura del popolo gentile che avrebbe accolto la fede, ed avrebbe meritato il Pane del Cielo, mentre il, popolo ebreo a- vrebbe perseguitato fino alla morte i messaggeri del Re d’Amore. Gesù Cristo medesimo (Lue. IV, 26), annunziando velatamente il passaggio della fede ai gentili, quando si recò in Nazaret, parlò della vedova di Sarepta come quella che a preferenza di tutti gl’israeliti meritò di accogliere l'inviato di Dio.
5. Una prova penosa ed una gioia ineffabile: la morte del figlio della vedova e la sua resurrezione.
Nella casa della vedova di Sarepta era ritornata la tranquillità ; ogni giorno essa andava alla sua idria e vi trovava la farina sufficiente al pasto di tutta la casa, andava alla sua ampolla di olio e la trovava rifornita. Ospitava poi 1' uomo di Dio e quella compagnia doveva esserle certamente di consolazione. Ma quale gioia è duratura sulla terra ?
Ecco che di un tratto il figlio le si ammalò gravemente. La desolata madre tentò tutti i mezzi che poteva avere a sua disposizione per strapparlo alla morte, ma inutilmente perché il fanciullo le spirò fra le braccia. Nell'impeto del suo dolore essa attribuì quella morte ad un castigo divino; pensò e disse che il Profeta era andato nella sua casa per rinnovare innanzi a Dio la memoria dei peccati da lei commessi e per punirla della sua iniquità. Non pensò, come avrebbero fatto tanti, che essa dopo aver fatto il bene ospitando il Profeta, aveva ricevuto in contraccambio il male, ma attribuì la venuta dell'uomo di Dio ad un rendiconto di giustizia, ad un castigo che essa aveva meritato per i suoi peccati e eh' egli era venuto ad infliggerle. Forse quella donna era stata peccatrice realmente, e per questo parlava così; forse quel figlio era stato frutto di peccato, e per questo la morte che lo aveva colpito gliene richiamava il ricordo.
Certo l'afflizione della povera vedova fu tanto grande che Elia stesso se ne sentì contrariato, perciò, preso il morto dalle braccia di lei, e condottolo nella sua camera, gridò al Signore lamentandosi con Lui. Dalle parole che disse si rileva ch’egli doveva essere affranto da un interno dolore che confinava con lo scoraggiamento. L’esclamare a Dio: "Signore mio Dio, hai tu dunque afflitto anche questa vedova presso la quale io iu qualsiasi modo sono nutrito,, equivaleva a dirgli : Ci voleva anche questa sventura ora che io avevo in qualunque modo trovato un rifugio ed un pane. Il Profeta doveva essere scoraggiato da quella sua vita raminga; questo non deve stupirci, giacché Dio non toglie ai Santi la pena che viene dalle loro angosce, ed essi possono avere delle debolezze nel loro penoso cammino. Il Signore anzi permise quella morte proprio per confortare l’animo del suo servo dopo averlo provato.
Ospite di quella donna, Elia aveva provata una grande pena nel sentirsi dire ch'egli era andato da lei per colpirla; in quell'angustia aveva vista tutta la sua vita come un intreccio di dolori; nella sua delicata sensibilità e nella sua umiltà, afflitto dallo spettacolo di fame, che desolava il popolo, si era riguardato come un uomo nefasto che portava sventura. C’era nell’animo del Profeta un insieme di confuso affanno che non gli faceva più guardare soprannaturalmente la sua vita, che non gli faceva più considerare che Dio aveva chiuso il cielo per i peccati del popolo; psicologicamente l'anima sua non si fermava che allo spettacolo doloroso che vedeva, e se ne lamentava con Dio. In questo momento angoscioso la misericordia divina lo soccorse : sentì d’un tratto il suo corpo come farsi leggero, diremmo quasi, morbido e tenue come un fiocco di lana; si sentì d’un tratto risollevato dal suo scoraggiamento, quasi si fosse ingigantito; una pace soave lo inondò e sentì in se stesso un profondo senso di bontà, misto ad un silenzio interiore dolcissimo, ad un senso di umiltà, ad una tenerezza di paternità. Era la grazia di Dio che lo inondava, era il segno evidente della potenza del Signore che lo prendeva come strumento di un'opera nuova, giacché fino allora nessun morto era risuscitato.
Chi è un poco familiare con le opere della grazia, intende anche meglio questo stato psicologico del Profeta, che risponde alla realtà. Elia figurava allora il futuro Redentore di fronte all' umanità morta alla grazia di Dio; era in quel momento come illuminato da quel futuro splendore tutto presente in Dio, e sentiva in se stesso la potenza arcana che lo faceva strumento di vita. Come il Redentore doveva distendersi sulla Croce, simbolo di morte che raccoglieva come in sintesi la morta umanità, come il Redentore distendendosi sulla Croce e rimanendovi per tre ore, doveva ridonare al mondo la vita, così Elia si distese sul morto fanciullo, vi si rannicchiò, vi si commisurò, bocca con bocca, mano con mano, piedi con piedi, quasi risucchiando in se stesso la morte, e debellandola con la divina potenza nell'atto stesso nel quale tentava opprimerlo. Egli gridò al Signore per tre volte, distendendosi sul morto tre volte : — Signore Dio mio, ti scongiuro che l'anima di questo fanciullo ritorni nelle sue viscere. — Tre volte si distese sul morto, significando i tre abbassamenti del Verbo umanato : nell'incarnazione, nella nascita e nella morte ; e tre volte gridò quasi per chiamare la vita dall’eterna potenza di Dio uno e trino.
La morte non resistette a quel grido : essa aveva ricoperto il fanciullo come di una funerea nube e lo aveva agghiacciato. La voce del Profeta fu come improvviso vento che la dissipò, il corpo suo disteso sul corpo morto gli ridonò il calore necessario a riattivare gli
organi spenti, l'anima del fanciullo al cenno di Dio ritornò ad informare quel corpo inerte, ed il grido del Profeta ne affermò solennemente l'immortalità.
Dov’era stata essa in quel tempo ? Certo s' era staccata dal corpo, e forse per divina disposizione gli era rimasto ancora vicino. Obbediente alla voce della potenza divina, rientrò nel carcere mortale ; quell'intelletto luminoso senza impacci di carne, ripigliò possesso del cervello, quasi uomo che rientra in un oscuro sotterraneo, dove faticosamente .produce la luce. Il sistema cerebro spinale fu il primo ad essere rivivificato, perché doveva essere il primo motore della novella vita. Il cuore si contrasse sotto la forza dei nervi, ed il sangue ristagnato rifluì nelle vene, e gli organi si risvegliarono come dal sonno. Il fanciullo riaprì gli occhi come intontito, guardò il Profeta reclinato su di lui e se ne impaurì, girò intorno lo sguardo per darsi conto di quello che avveniva, credette svegliarsi da un sogno del quale gli rimanevano vaghe ed imprecise impressioni ; non poteva ricordarsi del mondo nel quale era stato, giacché non ne trovava nella memoria e nella fantasia impressa nessuna specie. Forse scoppiò in un pianto, naturale conseguenza del riattivarsi delle funzioni delle sue glandole ; certo chiamò la mamma, perché Elia lo riprese nelle braccia, e lo ricondusse al piano inferiore, rimettendolo nelle braccia materne.
La Scrittura non ci dice nulla su ciò che avvenne in quel momento, non poteva dirci nulla perché la gioia di quella madre fu ineffabile. Dio dovette sostenerla con una forza particolare nella profonda emozione ch’essa provò, perché quella gioia poteva esserle mortale. Essa si contentò di riconoscere in Elia l'uomo di Dio, l’uomo che annunziava la verità ; non potette dire altro, e rimase tutta avvinta al suo figliuolo inondandolo di baci e di lagrime.
6. Per la nostra vita spirituale.
La divisione del regno d'Israele ed i peccati dei suoi Re produssero la siccità e la fame per tre anni e sei mesi, in mezzo al popolo. Questo stesso avviene nella Chiesa per le scissioni interne dei suoi figli e per le prevaricazioni degli eretici ; si chiude il cielo soprannaturale, non cade più né la- rugiada delle grazie, né la pioggia delle benedizioni, e si moltiplicano nel mondo i peccati. Così avvenne per la disgraziata sedizione protestante; il cielo si chiuse
su quelle nazioni che furono trascinate all’idolatria della ragione, e la vita divenne tutta naturalistica e materiale.
In mezzo allo sfacelo dell’idolatria, sorse Elia Tesbite, mandato da Dio per restaurare la vera Fede. Elia significa il Signore Dio, il Signore forte, e Tesbite significa chi conquide, chi converte. Nei tempi più tempestosi per la Chiesa Dio manda a lei i suoi Santi; essi vengono nel nome del Signore Dio, del Signore forte, conquidono le anime ribelli, e le convertono a Dio, riconducendole novellamente nel retto sentiero.
Elia pregò perché non piovesse, ed il cielo rimase arido; quando poi si recò al torrente Carit esso si disseccò; in fondo questo era effetto precisamente delle sue preghiere. Quante volte noi, pur non pregando per attrarci una sventura come castigo delle nostre colpe, peccando, invochiamo senza volerlo sopra di noi i flagelli di Dio! Siamo noi, proprio noi che facciamo disseccare le fonti delle grazie e le acque delle celesti consolazioni, e poi ci lamentiamo con Dio, quasi che Egli facesse capricciosamente ed ingiustamente discendere sopra di noi la tribolazione.
Dio disse ad Elia che aveva ordinato ad una donna di Sarepta di nutrirlo e di dissetarlo ; in realtà quella donna era vedova e povera e non poteva dargli nulla. Per divina potenza però la povera .vedova divenne aiuto del Profeta. Aiuto dell’anima nostra inaridita è la povertà e la tribolazione, figurata nella vedova di Sarepta ; quando siamo disseccati, quando la vita soprannaturale viene meno in noi, la povertà e le sventure della vita ci vengono in aiuto, poiché concorrono a riaccendere in noi la vita spirituale.
Dio alimentò il Profeta prima servendosi dei corvi, e poi della povera vedova; così nella nostra vita interiore il Signore si serve anche delle tentazioni e delle insidie del diavolo per purificarci e per farci compire atti di virtù. In tal modo il corvo vorace e nemico dell'uomo, diventa senza volerlo cooperatore del suo progresso spirituale. Che cosa è quella persona che ti fa esercitare la pazienza, 1’ umiltà e la carità? È un corvo abituato a predare, che ti porta il pane e la carne, cioè che ti arricchisce di nuovi meriti e sostenta l'anima tua con la tribolazione. Che cosa è quella tentazione violenta contro le verità eterne che ti sforza a dire a Dio in un atto di maggiore Fede io credo, se non un corvo rapace che ti nutrisce di Fede per divina disposizione? Utilizziamo tutte le angustie e tutte le tentazioni per alimentare l'anima nostra e per rifornirla di forze, poiché la virtù si perfeziona nel combattimento.
La vedova di Sarepta fu pronta a dare al Profeta l'ultimo pu
gno di farina e le ultime gocce d'olio che le erano rimaste, e Dio moltiplicò le sue sostanze, finché durò la fame sulla terra. Così o- pera la carità, e questi frutti produce. La parola di Gesù Cristo : Date e vi sarà dato in misura sovrabbondante, si sperimenta ogni giorno. Non abbiamo mai paura di fare la carità, poiché quando occorresse, Dio moltiplicherebbe le nostre sostanze ed i nostri provventi.
Si disseccò il torrente Carit, e Dio disse ad Elia di andare a Sarepta, la purificazione. Quando si dissecca in noi la vita spirituale non bisogna perdersi in vani lamenti, bisogna andare a Sarepta, cioè bisogna purificare il cuore di quello che lo inquina. Quando un uomo si mette in contatto con la macchina elettrica di Wimsurth o di Ramsden, si carica di elettricità e scoccano dal suo corpo le scintille. Se non scoccano più nonostante la carica elettrica è segno che quell’uomo non sta sullo sgabello isolante, ha contatti con la terra e vi scarica l’elettricità. Se il tuo cuore non dà più scintille d’ amore non ti perdere in angustie inutili, ma guarda bene quale contatto esso ha con la terra e risali sull'isolatore, cioè distaccati da tutto. In quante anime consacrate a Dio avviene questo penoso fenomeno! Si nascondono come Elia al torrente di Carità che significa incidere, trapassare, sterminare, si nascondono cioè all’ombra di Dio nella casa religiosa per uccidere e sterminare l’ uomo vecchio, per incidere quasi l'anima, lavorandola, per trapassarla con i dardi dell’amore, e dopo poco il torrente si dissecca, non lavorano più sul proprio cuore, non combattono, non vincono. Con i mezzi di perfezionamento che offre la vita religiosa, il rendimento della santità dovrebbe essere altissimo, quasi al cento per cento, ed invece è tanto basso che le anime veramente sante sono molto rare.
E necessario porre riparo a questa rovina, è necessario purificarsi di ogni miseria, è necessario alimentarsi del Pane Eucaristico in Sarepta, col cuore purificato, è necessario moltiplicare questo Pane nel proprio cuore, come si moltiplicò la farina della vedova nella sua idria, vivendo di intimità eucaristiche con Gesù. Quel Pane quotidiano di vita che ci viene misurato, quell’unzione di grazia che è limitata, può crescere in noi con gli affetti dell'anima, con le Comunioni spirituali, con le visite al Prigioniero d’Amore. E così che il piccolo Pane, l’Ostia divina, si moltiplica e ci ridona la vita che la siccità spirituale ci sottrae. Bisogna fermarsi innanzi a Gesù, anche se non si riesce a parlargli, bisogna offrirgli l’omaggio fervido della nostra piccolezza, come la vedova offriva generosamente l'unico pugno di farina che le era rimasto, anche quando la nostra offerta è meschina, perché allora i piccoli germi di grazia si moltiplicano e crescono.
Tante anime religiose sono minute nell'osservare gli usi e le regole particolari del loro Istituto, più nella lettera che nello spirito, e non ponderano che la formazione interiore dipende principalmente dalla vita liturgica, cioè dall’intima comunione con la Chiesa. Le anime che si formano all’ombra della Chiesa sono come bimbi congiunti alla madre; in esse circola la stessa vita materna che è santità, è verità, è eroismo di vere virtù soprannaturali. È necessario nelle comunità religiose formare i novizi principalmente con la vita liturgica, è necessario far loro assorbire interamente il nutrimento della Chiesa ; allora si edifica in loro un edifizio stabile che non crolla giammai.
Elia, Profeta di Dio, appena eletto alla sua missione cominciò a soffrire le persecuzioni di Acab, e dovette fuggire. Persuadiamoci che le opere di Dio non si fanno nei trionfi, ma si fanno nelle angustie delle tribolazioni e delle persecuzioni. Apriamo le braccia al Signore e confidiamo in Lui. Quando il bambino dà i primi passi ed inciampa, apre subito le piccole braccia quasi per sostenersi. Abbiamo nell'anima questo gesto spontaneo, apriamo le braccia al Signore, apriamole alla Vergine SS., e pregando sosteniamo la nostra debolezza. Apriamo anche fisicamente le braccia pregando, poiché in questo gesto c’è tutta l'espressione della nostra Fede e della nostra fiducia. Così pregavano i primi Cristiani, così prega il Sacerdote all'altare, come immagine vivente del Crocefisso, così preghiamo ancor noi implorando dal Signore e dalla Madonna la grazia e la pace.

Sac. Dolindo Ruotolo

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