venerdì 13 giugno 2014

13.06.2014 - Commento al vangelo di S. Matteo cap. 5, par. 21

21. L'adulterio
Dall'omicidio Gesù passa a parlare dell'adulterio, un altro peccato gravissimo, conseguenza di altri peccati. Non basta la legge che punisce l'adulterio, occorre la legge che ne evita le cause, e perciò il Redentore afferma che chiunque guarda una donna per desiderarla ha già commesso il peccato nel suo cuore, benché non l'abbia materialmente consumato. L'atto esterno, infatti, è conseguenza del peccato interno, e quando si è vigilanti sui propri occhi e sui desideri che suscitano, non c'è pericolo di cadere. Bisogna quindi evitare le occasioni, ed essere attenti a troncare energicamente quello che può attrarci al male. Gesù Cristo usa delle espressioni energiche, proprio per indicare che di fronte all'eterna salvezza, non ci si può indulgere in alcun modo con la natura.
Se una persona o un oggetto pericoloso ci fossero cari come l'occhio e la mano destra, non dovremmo esitare un momento solo a staccarcene, pur di evitare il peccato e la conseguente perdizione eterna. Non si può addurre come scusa della propria ostinazione la necessità e l'esigenza del cuore e della vita, perché per salvarsi eternamente bisogna avere il coraggio di recidere tutto quello che può farci cadere in peccato.
Tutto sta a non cedere alla natura, neppure per poco, soprattutto in quello che riguarda i peccati impuri; la più piccola condiscendenza all'occhio od alle mani, cioè al desiderio, all'immodestia ed al senso del tatto, può produrre una tentazione ed uno sconvolgimento tale, da non trattenere più l'anima sul precipizio. Bisogna essere fermi, soprattutto al principio delle tentazioni e nelle piccole cose, perché le piccole e continue vittorie sono quelle che ci attirano novelle grazie, e ci rendono tetragoni contro i maggiori assalti di satana.
Gesù Cristo va oltre, e per farci sfuggire anche le occasioni del male che potrebbero sembrare lecite, condanna quelle abitudini della medesima Legge ebraica, introdotte più come tolleranza che come regola di ordine. L'uomo che non voleva più convivere con la moglie, la rimandava con una dichiarazione detta libello del ripudio, con la quale la scioglieva dal vincolo coniugale. Era un uso che poteva anche sussistere quando i costumi erano corretti, e quando praticamente il libello del ripudio era una rara eccezione; ma col decadere della moralità, il libello del ripudio costituiva una vera occasione di pervertimento, e perciò Gesù lo condanna e lo abolisce. Chi ripudia la sua moglie, salvo il caso di fornicazione, cioè eccetto il caso che le sia legato con un vincolo di peccato, perché allora il ripudiarla sarebbe un dovere, la rende adultera lasciandola libera di stringere un nuovo legame, e chi sposa la ripudiata commette adulterio, profanando un vincolo che Dio non ha sciolto.
Gesù Cristo condanna così assolutamente il divorzio, come causa di peccati e di dissoluzione.
Egli riprova ogni degradazione di sensi, riconduce il matrimonio alla sua nobiltà, ridona alla donna la sua dignità, negando recisamente che essa sia oggetto di piacere, o termine di ammirazioni sensuali o sentimentali. Egli l'ammanta di maestoso pudore quando dice che chi la guarda semplicemente desiderandola, pecca, ed insiste con tanta forza sul dovere di allontanare ogni occasione di peccato, da usare quella similitudine tagliente di chi s'acceca d'un occhio o si mutila di una mano per evitare uno scandalo. Toglie ogni pretesto anche legale alla corruzione ed alla degradazione della donna, ed abolisce la legge del ripudio; vuole che la donna sia regina e madre nella casa e non sia come un oggetto di divertimento che si desidera e si abbandona come si vuole.
Ognuno vede come deve giudicare, non diciamo l'orrore dell'impurità cui si abbandonano oggi gli uomini e le donne, ma anche quello che si dice amore platonico, idealizzando così la degradazione dell'anima, e rendendo più tenace la degradazione dei sensi interni ed esterni, sfiorandoli di quello che potrebbe fame risaltare le brutture. Questi così detti amori platonici sono pieni di peccato di desiderio, sono catene di schiavitù spesso più tenaci, che nella stessa insoddisfazione dei sensi si ribadiscono e diventano perenni. Non c'è da illudersi: la creatura si può amare solo in Dio e per Dio, e per questo lo stesso amore coniugale è un Sacramento. Non si può amare una creatura concentrandosi in lei o attirandola a sé, perché noi siamo di Dio. Come? Tu uomo, avendo sposata una donna, la riguardi talmente come tua, da prendere le armi contro chi semplicemente la distrae da te, e credi di non commettere colpa attraendo a te una creatura di Dio e distraendola da Lui? Come puoi trarre la creatura nel tuo desolante vuoto, sottraendola alla pienezza soavissima del divino Amore? Che cosa le puoi dare tu se non parole, e spesso tempeste e pene spaventose? Se tu l'amassi veramente potresti tradirla fino al punto da devastarla? L'amore umano è sempre un ladro che ruba; è sempre un fuoco che consuma; è sempre un'inondazione che devasta, ruba a Dio ed all'anima, consuma ogni ricchezza del cuore e devasta ogni gioia ed ogni pace.
Sac. Dolindo Ruotolo

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