2. San Paolo si annuncia solennemente ai Galati apostolo di Gesù Cristo, veramente apostolo per diretta missione avutane da Dio, e immediatamente istruito da Gesù Cristo risorto nel Vangelo.
San Paolo comincia la sua lettera con un’introduzione più breve di quella delle altre lettere, e senza la solita azione di grazie a Dio, perché va subito all’argomento che vuole trattare contro quelli che svalutavano il suo apostolato per rendere vana la sua attività tra i fedeli da lui evangelizzati. Egli, perciò, esclama quasi ex abrupto: Paolo, apostolo non dagli uomini né per mezzo di un uomo, ma
per mezzo di Gesù Cristo e di Dio Padre che lo risuscitò da morte, e tutti i fratelli che sono con me, alle Chiese della Galazia. Egli è apostolo nel più stretto senso della parola, non perché ne abbia avuta la missione dagli uomini, come da causa principale, né per mezzo di un uomo, come da causa secondaria e immediata, ma da Gesù Cristo come da causa prossima e immediata, e da Dio Padre come da causa ultima. Egli, infatti, ricevette da Gesù Cristo medesimo la missione di evangelizzare tutti, e specialmente i pagani, e perciò è uguale agli altri apostoli, e dagli uomini non ricevette che la comunicazione episcopale (At 13,1).
Agli altri apostoli come a lui Gesù Cristo diede la missione di evangelizzare dopo la sua resurrezione, ed egli che non lo seguì quando ancora viveva sulla terra, lo seguì, poi, quando risorse da morte, essendosi a lui manifestato, ed avendolo istruito personalmente sulle verità da predicare ai popoli ed alle genti.
Scrivendo san Paolo a tutte le Chiese della Galazia, scrive anche in nome di tutti i fratelli che sono con lui, ossia dei suoi collaboratori, e in particolare di quelli che lo aiutarono nella fondazione di quelle Chiese, per dare maggiore importanza alle sue parole, e risvegliare nei Galati il ricordo dei primi tempi della loro vita cristiana. Invoca su di essi la grazia di Dio e la pace che viene dalla grazia di Dio, grazia e pace meritate a noi da Gesù Cristo con la sua morte, per la quale ci unì a se stesso e ci sottrasse al dominio del presente secolo maligno, ossia del mondo, il cui tristo principe è satana.
Il presente secolo è la vita transitoria in opposizione al secolo futuro che è la vita eterna; il presente secolo maligno è il regno del peccato in opposizione al futuro secolo
di giustizia e di santità. Essere liberato dal mondo e dal peccato è l’aspirazione di ogni cristiano ed è il grande beneficio meritatoci da Gesù Cristo, è la santa e vera libertà dei figli di Dio secondo il volere del nostro Dio e Padre che per il Figlio suo ce l’ha data, ed al quale ne ridonda la gloria nei secoli dei secoli.
Volubilità dei Galati
San Paolo dopo questa breve introduzione, senza dire ai Galati parole di benevolenza o di lode, come fa con i fedeli ai quali indirizza le altre lettere, entra subito in argomento con un biasimo accorato, che indica tutto il dolore deH’anima sua: Mi stupisco - egli esclama - che voi così presto passiate da Colui che per la grazia di Cristo vi ha chiamati, ad un altro Vangelo, sebbene non ce ne sia un altro, ma vi sono alcuni che vi conturbano e vogliono capovolgere il Vangelo di Cristo.
I Galati avevano abbracciato il Vangelo con grande trasporto di fede (4,13), e san Paolo aveva lasciato le loro Chiese in uno stato fiorentissimo (At 16,5); erano fermi nella fede e arricchiti di ogni dono spirituale (3,2). Ma, appena partito l’Apostolo, si erano fatti abbindolare da falsi apostoli giudaizzanti e, leggeri com’erano di carattere, erano passati da Dio che li aveva chiamati alla fede per la grazia di Gesù Cristo, ad un altro Vangelo, cioè ad una falsa dottrina, presentata loro dai turbolenti come un altro Vangelo, ossia come un nuovo annuncio di salvezza, che in realtà non è quello del Vangelo, ma ne è solo il capovolgimento, poiché non porta alla salvezza ma alla perdizione.
Con parole energiche e sublimi san Paolo pronunzia una condanna di maledizione contro i mistificatori della verità, iniziando così gli anatema che in tutti i secoli pronunzierà nei suoi Concili e per autorità del Papa, contro i propagatori di false dottrine: Quand’anche noi stessi o un angelo del Cielo vi annunciasse un Vangelo diverso da quello che vi abbiamo annunciato, sia anatema. E ripete la maledizione perché s’imprima bene nell’anima dei Galati: Come vi dissi già per Vinnanzi a voce, quando ero tra voi, mettendovi in guardia contro le false dottrine, dico anche adesso: Se alcuno vi annuncerà un Vangelo diverso da quello che riceveste, sia anatema.
Nel pronunciare queste energiche parole, san Paolo sapeva di urtare la suscettibilità di quelli che si arrogavano autorità tra i Galati, ma egli non poteva avere tentenna- menti di rispetto umano di fronte all’integrità della dottrina fondamentale della fede, e perciò protesta che non gli importa nulla dell’ostilità dei suoi avversari esclamando: E forse il favore degli uomini che io cerco adesso, o quello di Dio? Ovvero cerco di piacere agli uomini? Ma se tuttora io piacessi agli uomini, non sarei servo di Cristo. Egli che si faceva tutto a tutti per guadagnare tutti a Gesù Cristo (1Cor 10,33; 2Cor 5,11) non poteva in nessun modo condiscendere all’errore, senza apostatare da Lui e cessare di servirlo nell’apostolato che gli aveva affidato.
Contro i mistificatori, san Paolo è vero apostolo
I falsi apostoli, per diffondere i loro errori, svalutavano l’apostolato di san Paolo, e logicamente egli comincia con lo stabilirne la saldezza soprannaturale, mostrando di
aver ricevuto il Vangelo e la missione di predicarlo, direttamente da Gesù Cristo: In verità vi dichiaro, o fratelli - egli esclama - che il Vangelo da me predicato non è opera umana, poiché non l’ho ricevuto né l’ho appreso da uomo, ma per rivelazione di Gesù Cristo.
Nessun cristiano può ricevere il Vangelo dagli uomini ma, all’infuori degli apostoli e di pochi discepoli, ogni cristiano lo riceve dalla bocca di quelli che hanno missione di annunciarlo. San Paolo dichiara di essere stato istruito come gli altri apostoli direttamente da Gesù Cristo (At 9,5ss; 26,15ss; 2Cor 12,1 ss), e lo conferma, ricordando la sua conversione, e il miracolo del suo profondo e radicale mutamento da persecutore in apostolo per Gesù Cristo medesimo che gli si manifestò, lo istruì e lo guidò.
Voi avete sentito dire - esclama san Paolo - quale fosse una volta la mia condotta nel giudaismo, cioè prima di convertirmi, come oltre ogni misura perseguitavo la Chiesa di Dio e la devastavo. Egli stesso aveva dovuto raccontarlo ai Galati nel suo apostolato fra loro, ma la fama della sua furibonda ira nel perseguitare la Chiesa si era sparsa dovunque, e i Galati ne avevano avuto notizia anche da altri, poiché egli aveva sparso il terrore tra i cristiani, dovunque era passato.
Il suo ardore nel perseguitare la Chiesa era stato uguale al suo ardore per la Legge di Mosè poiché egli si avanzava nel giudaismo sopra molti coetanei della sua nazione quando lo studiava e, giunto a maturità, sì era mostrato tutto acceso di zelo per le tradizioni dei suoi padri.
Nell’impeto maggiore di questo suo fanatico zelo fu chiamato da Gesù Cristo sulla via di Damasco, e fu chiamato perché Dio fin dal seno di sua madre e ab aeterno lo
aveva eletto e predestinato ad essere apostolo, per glorificarsi in lui e servirsene nell’opera della conversione dei pagani. Dio gli rivelò il Figlio suo, e gli fece conoscere l’ineffabile mistero della redenzione direttamente per Gesù Cristo, ed egli, ricevuta la divina rivelazione, non prese consiglio né dalla carne né dal sangue, cioè non si lasciò guidare dai lumi umani né sentì il bisogno del consiglio degli altri né andò a Gerusalemme da quelli che erano apostoli prima di lui, perché la missione la ricevette direttamente da Gesù Cristo, come la ricevettero gli altri apostoli.
Egli sentì il bisogno, spintovi evidentemente da Gesù Cristo medesimo, di prepararsi nella solitudine alla grande missione, e Gesù volle che, come gli apostoli erano stati tre anni con Lui nella sua vita pubblica, egli pure fosse tre anni alla sua diretta scuola, e apprendesse così dalla sua bocca divina il Vangelo. Se ne andò in Arabia, probabilmente nell’Arabia Petrea, per sottrarsi agli sguardi degli altri, e soprattutto dai sacerdoti del tempio, che se ne erano serviti validamente per perseguitare la Chiesa. Non avrebbe potuto rimanere nella Giudea prima di essersi fortificato, consolidato e preparato al combattimento, e questo lo fece lontano da tutti i suoi antichi correligionari, nell’Arabia, recandosi solo di passaggio due volte a Damasco.
San Luca non ci parla negli Atti (9,19-28) di questo viaggio e di questa dimora dell’Apostolo, benché supponga che si sia fermato due volte a Damasco (9,19.22); evidentemente san Paolo visse completamente segregato nell’Arabia, e la sua preparazione spirituale durò tre anni.
Una conferma del primato di Pietro
Dopo questo lungo tempo, sentì il bisogno, prima di cominciare la sua attività, di andare a Gerusalemme per visitare san Pietro come capo della Chiesa. Il testo greco indica chiaramente lo scopo di questa visita di sottomissione e di omaggio al capo della Chiesa, poiché usa un verbo, istorèin, visitare, che si usa quando si tratta di persone o di cose che per la loro eccellenza meritano di essere vedute e conosciute da vicino.
È una conferma magnifica del primato di san Pietro, come riconoscono tutti i Padri. Stette presso san Pietro quindici giorni, non per apprendere il Vangelo, ma per sottoporre al capo della Chiesa la propria missione, e per confermarsi in tutto quello che aveva appreso da Gesù Cristo stesso. Fu in questa circostanza che egli conobbe anche san Giacomo di Alfeo, parente del Signore, ma lo conobbe di passaggio e non per apprendere da lui il Vangelo che già aveva appreso da Gesù Cristo. San Paolo annette tanta importanza al fatto di aver ricevuto direttamente dal Signore la missione dell’apostolato e la rivelazione del Vangelo, da sentire il bisogno di confermare con un solenne giuramento, che suole usare nelle cose più gravi ed importanti (Rm 1,9; 9,1; 2Cor 1,23; 10,10), sia la sua affermazione sia i fatti che la confermavano.
È logico, infatti, che una missione ricevuta diretta- mente da Dio, benché sempre col controllo e l’intesa del capo della Chiesa, abbia un’importanza e una sicurezza maggiore di qualunque missione ricevuta dagli uomini. Chi è mandato dagli uomini è un portavoce degli altri e può errare, ma chi è mandato direttamente da Dio ha doni particolari dello Spirito Santo, per i quali è diretto in ogni
passo della sua attività. La luce ricevuta per rivelazione certa di Dio è immensamente superiore a qualunque luce che ci venga per il tramite umano e per lo studio.
San Paolo conferma ancora una volta che non poté essere istruito dagli apostoli, dicendo che da Gerusalemme andò nelle regioni della Cilicia e della Siria. Fuggito, infatti, da Gerusalemme, perché cercato a morte per la sua conversione, andò a Cesarea, di dove poi si recò a Tarso nella Cilicia. Eccetto, quindi, che a Gerusalemme, dove era stato con san Pietro quindici giorni, egli era sconosciuto di persona dalle altre Chiese della Giudea, e quindi non aveva avuto contatto con altri apostoli. In quelle Chiese si era solo sparsa la notizia della sua conversione, e quindi della sua vocazione all’apostolato, e ne davano lode a Dio, riconoscendone anche con questa glorificazione del Signore l’autenticità. Come potevano, dunque, i falsi apostoli della Galazia svalutare l’apostolato suo, ricevuto direttamente e soprannaturalmente dal Signore?
San Paolo comincia la sua lettera con un’introduzione più breve di quella delle altre lettere, e senza la solita azione di grazie a Dio, perché va subito all’argomento che vuole trattare contro quelli che svalutavano il suo apostolato per rendere vana la sua attività tra i fedeli da lui evangelizzati. Egli, perciò, esclama quasi ex abrupto: Paolo, apostolo non dagli uomini né per mezzo di un uomo, ma
per mezzo di Gesù Cristo e di Dio Padre che lo risuscitò da morte, e tutti i fratelli che sono con me, alle Chiese della Galazia. Egli è apostolo nel più stretto senso della parola, non perché ne abbia avuta la missione dagli uomini, come da causa principale, né per mezzo di un uomo, come da causa secondaria e immediata, ma da Gesù Cristo come da causa prossima e immediata, e da Dio Padre come da causa ultima. Egli, infatti, ricevette da Gesù Cristo medesimo la missione di evangelizzare tutti, e specialmente i pagani, e perciò è uguale agli altri apostoli, e dagli uomini non ricevette che la comunicazione episcopale (At 13,1).
Agli altri apostoli come a lui Gesù Cristo diede la missione di evangelizzare dopo la sua resurrezione, ed egli che non lo seguì quando ancora viveva sulla terra, lo seguì, poi, quando risorse da morte, essendosi a lui manifestato, ed avendolo istruito personalmente sulle verità da predicare ai popoli ed alle genti.
Scrivendo san Paolo a tutte le Chiese della Galazia, scrive anche in nome di tutti i fratelli che sono con lui, ossia dei suoi collaboratori, e in particolare di quelli che lo aiutarono nella fondazione di quelle Chiese, per dare maggiore importanza alle sue parole, e risvegliare nei Galati il ricordo dei primi tempi della loro vita cristiana. Invoca su di essi la grazia di Dio e la pace che viene dalla grazia di Dio, grazia e pace meritate a noi da Gesù Cristo con la sua morte, per la quale ci unì a se stesso e ci sottrasse al dominio del presente secolo maligno, ossia del mondo, il cui tristo principe è satana.
Il presente secolo è la vita transitoria in opposizione al secolo futuro che è la vita eterna; il presente secolo maligno è il regno del peccato in opposizione al futuro secolo
di giustizia e di santità. Essere liberato dal mondo e dal peccato è l’aspirazione di ogni cristiano ed è il grande beneficio meritatoci da Gesù Cristo, è la santa e vera libertà dei figli di Dio secondo il volere del nostro Dio e Padre che per il Figlio suo ce l’ha data, ed al quale ne ridonda la gloria nei secoli dei secoli.
Volubilità dei Galati
San Paolo dopo questa breve introduzione, senza dire ai Galati parole di benevolenza o di lode, come fa con i fedeli ai quali indirizza le altre lettere, entra subito in argomento con un biasimo accorato, che indica tutto il dolore deH’anima sua: Mi stupisco - egli esclama - che voi così presto passiate da Colui che per la grazia di Cristo vi ha chiamati, ad un altro Vangelo, sebbene non ce ne sia un altro, ma vi sono alcuni che vi conturbano e vogliono capovolgere il Vangelo di Cristo.
I Galati avevano abbracciato il Vangelo con grande trasporto di fede (4,13), e san Paolo aveva lasciato le loro Chiese in uno stato fiorentissimo (At 16,5); erano fermi nella fede e arricchiti di ogni dono spirituale (3,2). Ma, appena partito l’Apostolo, si erano fatti abbindolare da falsi apostoli giudaizzanti e, leggeri com’erano di carattere, erano passati da Dio che li aveva chiamati alla fede per la grazia di Gesù Cristo, ad un altro Vangelo, cioè ad una falsa dottrina, presentata loro dai turbolenti come un altro Vangelo, ossia come un nuovo annuncio di salvezza, che in realtà non è quello del Vangelo, ma ne è solo il capovolgimento, poiché non porta alla salvezza ma alla perdizione.
Con parole energiche e sublimi san Paolo pronunzia una condanna di maledizione contro i mistificatori della verità, iniziando così gli anatema che in tutti i secoli pronunzierà nei suoi Concili e per autorità del Papa, contro i propagatori di false dottrine: Quand’anche noi stessi o un angelo del Cielo vi annunciasse un Vangelo diverso da quello che vi abbiamo annunciato, sia anatema. E ripete la maledizione perché s’imprima bene nell’anima dei Galati: Come vi dissi già per Vinnanzi a voce, quando ero tra voi, mettendovi in guardia contro le false dottrine, dico anche adesso: Se alcuno vi annuncerà un Vangelo diverso da quello che riceveste, sia anatema.
Nel pronunciare queste energiche parole, san Paolo sapeva di urtare la suscettibilità di quelli che si arrogavano autorità tra i Galati, ma egli non poteva avere tentenna- menti di rispetto umano di fronte all’integrità della dottrina fondamentale della fede, e perciò protesta che non gli importa nulla dell’ostilità dei suoi avversari esclamando: E forse il favore degli uomini che io cerco adesso, o quello di Dio? Ovvero cerco di piacere agli uomini? Ma se tuttora io piacessi agli uomini, non sarei servo di Cristo. Egli che si faceva tutto a tutti per guadagnare tutti a Gesù Cristo (1Cor 10,33; 2Cor 5,11) non poteva in nessun modo condiscendere all’errore, senza apostatare da Lui e cessare di servirlo nell’apostolato che gli aveva affidato.
Contro i mistificatori, san Paolo è vero apostolo
I falsi apostoli, per diffondere i loro errori, svalutavano l’apostolato di san Paolo, e logicamente egli comincia con lo stabilirne la saldezza soprannaturale, mostrando di
aver ricevuto il Vangelo e la missione di predicarlo, direttamente da Gesù Cristo: In verità vi dichiaro, o fratelli - egli esclama - che il Vangelo da me predicato non è opera umana, poiché non l’ho ricevuto né l’ho appreso da uomo, ma per rivelazione di Gesù Cristo.
Nessun cristiano può ricevere il Vangelo dagli uomini ma, all’infuori degli apostoli e di pochi discepoli, ogni cristiano lo riceve dalla bocca di quelli che hanno missione di annunciarlo. San Paolo dichiara di essere stato istruito come gli altri apostoli direttamente da Gesù Cristo (At 9,5ss; 26,15ss; 2Cor 12,1 ss), e lo conferma, ricordando la sua conversione, e il miracolo del suo profondo e radicale mutamento da persecutore in apostolo per Gesù Cristo medesimo che gli si manifestò, lo istruì e lo guidò.
Voi avete sentito dire - esclama san Paolo - quale fosse una volta la mia condotta nel giudaismo, cioè prima di convertirmi, come oltre ogni misura perseguitavo la Chiesa di Dio e la devastavo. Egli stesso aveva dovuto raccontarlo ai Galati nel suo apostolato fra loro, ma la fama della sua furibonda ira nel perseguitare la Chiesa si era sparsa dovunque, e i Galati ne avevano avuto notizia anche da altri, poiché egli aveva sparso il terrore tra i cristiani, dovunque era passato.
Il suo ardore nel perseguitare la Chiesa era stato uguale al suo ardore per la Legge di Mosè poiché egli si avanzava nel giudaismo sopra molti coetanei della sua nazione quando lo studiava e, giunto a maturità, sì era mostrato tutto acceso di zelo per le tradizioni dei suoi padri.
Nell’impeto maggiore di questo suo fanatico zelo fu chiamato da Gesù Cristo sulla via di Damasco, e fu chiamato perché Dio fin dal seno di sua madre e ab aeterno lo
aveva eletto e predestinato ad essere apostolo, per glorificarsi in lui e servirsene nell’opera della conversione dei pagani. Dio gli rivelò il Figlio suo, e gli fece conoscere l’ineffabile mistero della redenzione direttamente per Gesù Cristo, ed egli, ricevuta la divina rivelazione, non prese consiglio né dalla carne né dal sangue, cioè non si lasciò guidare dai lumi umani né sentì il bisogno del consiglio degli altri né andò a Gerusalemme da quelli che erano apostoli prima di lui, perché la missione la ricevette direttamente da Gesù Cristo, come la ricevettero gli altri apostoli.
Egli sentì il bisogno, spintovi evidentemente da Gesù Cristo medesimo, di prepararsi nella solitudine alla grande missione, e Gesù volle che, come gli apostoli erano stati tre anni con Lui nella sua vita pubblica, egli pure fosse tre anni alla sua diretta scuola, e apprendesse così dalla sua bocca divina il Vangelo. Se ne andò in Arabia, probabilmente nell’Arabia Petrea, per sottrarsi agli sguardi degli altri, e soprattutto dai sacerdoti del tempio, che se ne erano serviti validamente per perseguitare la Chiesa. Non avrebbe potuto rimanere nella Giudea prima di essersi fortificato, consolidato e preparato al combattimento, e questo lo fece lontano da tutti i suoi antichi correligionari, nell’Arabia, recandosi solo di passaggio due volte a Damasco.
San Luca non ci parla negli Atti (9,19-28) di questo viaggio e di questa dimora dell’Apostolo, benché supponga che si sia fermato due volte a Damasco (9,19.22); evidentemente san Paolo visse completamente segregato nell’Arabia, e la sua preparazione spirituale durò tre anni.
Una conferma del primato di Pietro
Dopo questo lungo tempo, sentì il bisogno, prima di cominciare la sua attività, di andare a Gerusalemme per visitare san Pietro come capo della Chiesa. Il testo greco indica chiaramente lo scopo di questa visita di sottomissione e di omaggio al capo della Chiesa, poiché usa un verbo, istorèin, visitare, che si usa quando si tratta di persone o di cose che per la loro eccellenza meritano di essere vedute e conosciute da vicino.
È una conferma magnifica del primato di san Pietro, come riconoscono tutti i Padri. Stette presso san Pietro quindici giorni, non per apprendere il Vangelo, ma per sottoporre al capo della Chiesa la propria missione, e per confermarsi in tutto quello che aveva appreso da Gesù Cristo stesso. Fu in questa circostanza che egli conobbe anche san Giacomo di Alfeo, parente del Signore, ma lo conobbe di passaggio e non per apprendere da lui il Vangelo che già aveva appreso da Gesù Cristo. San Paolo annette tanta importanza al fatto di aver ricevuto direttamente dal Signore la missione dell’apostolato e la rivelazione del Vangelo, da sentire il bisogno di confermare con un solenne giuramento, che suole usare nelle cose più gravi ed importanti (Rm 1,9; 9,1; 2Cor 1,23; 10,10), sia la sua affermazione sia i fatti che la confermavano.
È logico, infatti, che una missione ricevuta diretta- mente da Dio, benché sempre col controllo e l’intesa del capo della Chiesa, abbia un’importanza e una sicurezza maggiore di qualunque missione ricevuta dagli uomini. Chi è mandato dagli uomini è un portavoce degli altri e può errare, ma chi è mandato direttamente da Dio ha doni particolari dello Spirito Santo, per i quali è diretto in ogni
passo della sua attività. La luce ricevuta per rivelazione certa di Dio è immensamente superiore a qualunque luce che ci venga per il tramite umano e per lo studio.
San Paolo conferma ancora una volta che non poté essere istruito dagli apostoli, dicendo che da Gerusalemme andò nelle regioni della Cilicia e della Siria. Fuggito, infatti, da Gerusalemme, perché cercato a morte per la sua conversione, andò a Cesarea, di dove poi si recò a Tarso nella Cilicia. Eccetto, quindi, che a Gerusalemme, dove era stato con san Pietro quindici giorni, egli era sconosciuto di persona dalle altre Chiese della Giudea, e quindi non aveva avuto contatto con altri apostoli. In quelle Chiese si era solo sparsa la notizia della sua conversione, e quindi della sua vocazione all’apostolato, e ne davano lode a Dio, riconoscendone anche con questa glorificazione del Signore l’autenticità. Come potevano, dunque, i falsi apostoli della Galazia svalutare l’apostolato suo, ricevuto direttamente e soprannaturalmente dal Signore?
Sac. Dolindo Ruotolo
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