mercoledì 18 giugno 2014

18.06.2014 - Commento al vangelo di S. Matteo cap. 6, par. 2-3

2. Chi opera per Dio e chi opera per gli uomini
Gesù Cristo, dopo aver promulgato i precetti che compivano e perfezionavano l'antica Legge, passa a mostrare come si deve operare il bene, mettendo la creatura innanzi al Signore come figlia amorosa che cerca Lui solo sopra tutte le cose. La Legge, infatti, soprattutto per i farisei, era diventata tutta una pratica esteriore, alla quale l'anima era quasi compitamente estranea; la sua sterile osservanza costituiva un mezzo per farsi onorare e per gonfiarsi in una stupida vanità; era necessario perciò che la pratica della Legge diventasse vita dell'anima e relazione di amore col Signore, perché solo così poteva essere fonte di pace e di interiore felicità.
Che cosa si guadagna a fare le cose per gli uomini? Niente altro che un gonfiore fastidiosissimo di vanità, degna ricompensa di una opera vana. L'unzione interiore della grazia di Dio, la sazietà del bene, che appaga l'anima, la tranquilla pace di chi si è elevato in alto, là dove non si avverte più il soffio tempestoso delle passioni, l'amore soavissimo verso Dio che nelle opere buone s'infiamma di più, la libertà dello spirito, la calma e caritatevole relazione verso le creature, l'aspirazione al premio eterno che rende facile l'atto di virtù, tutto svanisce quando si fa il bene per rispetto umano. Chi opera per gli uomini perde ogni semplicità ed ogni libertà, è schiavo dei pregiudizi, è disingannato dagli apprezzamenti disparati che si fanno sulle sue azioni, rimane impigliato in una rete che lo soffoca e dalla quale non sa districarsi, è scontento di sé e rimane sempre scontento degli altri.
Operare per Dio solo, sentirlo Padre, dover rendere conto a Lui solo, rinchiudersi nel suo amore come in una cella di pace, quale felicità! Essere contenti di piacere a Lui solo, e nel medesimo tempo riguardare come nulla quello che si fa per Lui solo, umiliandosi, impiccolirsi fino a farsi quasi come un cristallo, una limpida goccia che riflette la sua luce e ne è tutta inondata, quale nobiltà! Operare per Dio, significa essere piante feconde che danno frutti abbondanti; operare per gli uomini significa essere parassiti dello spirito, erbacce d'apparenza, piante selvatiche che danno un fiore velenoso e muoiono senza frutto. Operare per Dio è la vita, perché allora l'anima è terra fertilissima, irrigata nella pienezza dei raggi solari; operare per gli uomini è la morte, poiché l'anima allora è come la terra umidiccia di sepoltura, che non produce nulla al lume dei moccoli fumiganti, o produce vermi di tabe cadaverica!
Dio solo, Dio solo! Che cosa può darci l'occhio umano? Nulla vede, nulla conosce, nulla apprezza per quello che è; passa magari sulle nostre opere con una sterile compiacenza, ma essa è come goccia di acido sul germoglio vivo; lo penetra per ucciderlo, è assorbito e lascia lo stelo intristito. L'occhio di Dio è sole splendente, è pioggia di grazie, è semente di novelle opere sante, è caldo di amore che fa sbocciare l'anima.
Dio solo, Dio solo! Chi tende alle creature le crede oasi di felicità e monti di gloria, mentre sono abissi tenebrosi, falsi gradini formati di ombre che non ci fanno salire, ma ci danno il sussulto di chi cade, ombre di nubi di tempesta, che passano sulla terra come montagne camminanti e sono oscurità vacue! Dio solo! Egli è l'altezza che ci trae, monte d'infinita gloria, anzi diremmo turbine di amore che ci solleva in alto appena ci abbandoniamo teneramente a Lui.
Dio solo! Diamo uno sguardo alla storia delle glorie umane, a ciò che è la massima espressione di quel che può dare l'uomo a chi opera per l'uomo. Poche pietre e pochi bronzi, segnali più di oblio che di ricordo, ingombri piuttosto che segni di vita, peso maggiore che grava sulle aride ossa, ancora anelanti alla libertà dello spirito ed alla vita! Dio ci pone sul trono, l'uomo ci seppellisce sotto la piramide; Dio ci fa volare, l'uomo ci schiaccia! Quanta sapienza sta dunque in queste parole di Gesù Cristo: Guardatevi dal fare le vostre opere buone innanzi agli uomini per essere veduti da loro, altrimenti non ne avrete la ricompensa dal Padre vostro che sta nei cieli.
Ma perché Gesù Cristo parla di ricompensa e non di amore? Non sarebbe più bello operare per amore di Dio, anziché per il premio? La ricompensa del Signore è precisamente l'amore, poiché in questo sta l'eterna felicità. Raggiungerlo, vederlo, apprezzarlo, amarlo! Operando per Lui sulla terra, Egli ci si comunica; si fa sentire come sommo Bene; si fa conoscere, e ci abbraccia con un amplesso di grazie. La ricompensa è Lui stesso, e perciò l'operare per Lui non è per noi un egoismo ma uno slancio di amore, non è un interesse ma una dedizione, e da parte di Dio non è misura del prezzo sulla stadera ma è effusione di carità benefica, è corrente che penetra ogni attività e la illumina, quasi lampada accesa dall'amore! Operare per Dio, dare tutto a Lui, impoverirsi di sé per Lui, è lo stesso che ricevere, arricchirsi, vivere, e perciò l'Amore che risponde al povero nostro amore è chiamato ricompensa, ossia scambio, flusso del calore nel gelo, della vita nella morte, del Tutto nel nulla! Guardatevi, dice Gesù, attendete, cioè ponderate bene quello che fate operando per gli uomini: Non avrete la ricompensa dal Padre vostro che sta nei cieli', chiudete il tesoro eterno per aprire il povero e nudo abisso umano! E una perdita immensa, è un barattare il brillante per la goccia di fango! Dio solo!
3. Quando l'elemosina è ipocrisia e orgoglio
Il nostro Redentore, volendoci persuadere praticamente, con qualche esempio, a cercare Dio solo, parla di quelle opere nelle quali è più facile il raccogliere la simpatia o il rispetto degli altri. E prima di tutto l'elemosina, che i farisei facevano con ostentazione orgogliosa nelle sinagoghe e nelle strade, per essere onorati come uomini benefici. L'orgoglio di questa gente non era solo una colpa innanzi a Dio, ma era anche uno scandalo perché guastava l'anima del popolo, e perciò Gesù lo bolla pubblicamente. Egli vuole tanta delicatezza e tanto riserbo in quest'opera di misericordia, che quasi esige che la mano sinistra non conosca ciò che fa la destra. E mirabilmente psicologico, poiché nel fare l'elemosina si può trovare l'ostacolo ad operare per Dio nella soddisfazione che prova chi la fa. E facilissimo ripensare con compiacimento all'opera buona, consolarsene, gonfiarsene, e tutto questo concentra l'anima in se stessa e la impoverisce. E necessario dare per amore di Dio, e distrarsi quasi dall'opera fatta, per non riflettervi e perderne così il merito.
Quale rimprovero al mondo che nelle sue opere di beneficenza suona letteralmente la tromba, annunziandole clamorosamente per averne lode e gloria! Quale riprovazione a quelle beneficenze fatte ipocritamente promuovendo feste da ballo e simili sconcezze; nelle quali l'ostentazione di se stessi diventa il turpe prezzo della carità che si dona! Quale condanna anche a quelle opere sociali, ispirate dalla politica, le quali mirano solo ad incatenare le reazioni del popolo affamato e si riducono praticamente a favoritismi, fatti molte volte a chi meno ne ha bisogno! Leggete il programma dell'assistenza dello stato e vi sembra di vedervi la risoluzione dell'assillante problema di tante miserie; andate a vedere praticamente chi ne benefica, e constaterete che i veri bisognosi ne sono molte volte esclusi per mancanza di sufficienti raccomandazioni, ossia ogni volta che un motivo tutto umano non induca ad elargire il soccorso .
Il Signore, comandandoci di fare l'elemosina per puro suo amore, ci ha dato modo di donare a Lui qualche cosa del nostro, pur essendo noi estrema miseria ed Egli infinita ricchezza. Tu dai al povero, e in realtà chi ti stende la mano è il Signore; se non dai per puro suo amore, tu elargisci a un bisognoso un soccorso e lo neghi a Dio, che si degna di domandartelo per bocca del povero, promettendoti i doni immensi della sua generosità!
Sac. Dolindo Ruotolo

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