giovedì 19 giugno 2014

19.06.2014 - Commento al vangelo di S. Matteo cap. 6, par. 4-6

4. La preghiera
I farisei avevano determinato ore di orazione e, dovunque si trovavano, si volgevano verso il tempio di Gerusalemme e pregavano. Essi cercavano però nelle ore di orazione di trovarsi nelle sinagoghe, nelle piazze o nei crocicchi delle vie, in cui maggiore era il concorso, per farsi riguardare come uomini di orazione, e raccogliere povere lodi umane. La loro preghiera in tal modo non era un'elevazione dell'anima in Dio, ma una coreografia di vanità, alla quale non poteva essere ricompensa che la vanità di un applauso o di una considerazione umana.
Gesù vuole che l'anima si raccolga innanzi a Dio solo e preghi nell'intimo raccoglimento che le faccia quasi sparire dagli occhi quelli che la circondano, come uno che si chiude in una stanza. Egli parlava contro l'ostentazione dei farisei, e perciò disse di entrare nella stanza e chiuderne la porta, cioè di cercare il nascondimento e non le piazze. Con questo non volle proibire la pubblica preghiera, che è un dovere sociale ed individuale, ma volle dire che l'anima, anche pregando in pubblico, fosse così lontana dallo sguardo umano, da sentirsi come rinchiusa in una stanza e pregare nel nascondimento interiore. Si prega in pubblico non per farsi vedere, ma per onorare Dio pubblicamente; allora tutto il popolo forma come un'anima sola, raccolta nella Chiesa o anche in pubblico, come in una stanza chiusa, dove Dio solo è presente ed ascolta i sospiri del cuore.
Gesù volle liberarci anche dalla preoccupazione dello sguardo altrui, che spesso c'impedisce di pregare in pubblico; chi prega deve riguardarsi come solo, raccolto in Dio, quasi fosse chiuso in una stanza; deve avere quindi la stessa libertà che avrebbe se fosse solo. Il mondo non fa il male in pubblico quasi fosse solo nel suo ambiente? E perché esso deve avere la libertà di fare il male, e noi non possiamo avere quella di fare il bene e di onorare Dio? Incediamo, dunque, anche nelle solenni processioni, con piena libertà di preghiera, riguardandoci quasi soli sotto lo sguardo di Dio, osannando a Lui per testimoniare la nostra fede, e per glorificare la sua grandezza. Non dobbiamo preoccuparci che gli altri ci vedano, e dobbiamo cercare il raccolto nascondimento interiore nella piena libertà dello spirito; non dobbiamo preoccuparci per rispetto umano che gli altri non ci vedano, quasi temendo che ci riguardino come bigotti, ma dobbiamo avere il cuore come lampada ardente che, consumandosi per Dio, lo glorifichi anche nel mondo che è tempio della sua gloria.
È facile nella preghiera ripetere le stesse cose macchinalmente e non preoccuparsi di elevare la mente a Dio; quelle invocazioni non sono allora che parole vuote. I pagani poi, pregando i loro idoli, gridavano e moltiplicavano le loro invocazioni, credendo così di essere ascoltati. Gesù Cristo vieta le molte parole nella preghiera, non però i ripetuti slanci del cuore che accompagnano le parole; non vuole parole vuote ma preghiere, e quindi non proibisce le ripetute invocazioni, ma, secondo la parola greca del testo, il balbettare, il biascicare macchinalmente le invocazioni; in questo caso è evidente che la preghiera si riduce a molte parole senza che da esse sbocci un solo affetto dell'anima.
Egli poi parla di quelle preghiere che si fanno per ottenere un beneficio temporale, come è chiaro dal contesto, e vuole ammonirci a pregare in modo da abbandonarci con fiducia alla divina bontà, con quelle poche e sincere espressioni dell'anima che sono lo slancio filiale di chi confida nella provvidenza e nella bontà del Signore, Dio sa quello che ci occorre prima che glielo domandiamo, ossia pensa a noi con amore paterno, ed ha cura di provvederci; basta quindi affidarsi a Lui pregando, senza necessità di dovergli esporre minutamente quello che ci occorre. Egli vuole che domandiamo prima il regno di Dio, come si vedrà appresso, e quindi, pur concedendo che si possa pregare per le cose temporali, vuole che lo si faccia con poche parole di fiducia.
5. Il Pater noster, preghiera dell'unità, preghiera universale
Per mostrare poi praticamente come si debba pregare, rivolgendosi a Dio, il Redentore amorosissimo dà una formula di preghiera, che non è esclusiva, ma è data come esemplare di ogni preghiera e come sintesi di ogni elevazione dell'anima.
Egli non vuole proibire le altre preghiere, com'è chiaro dal contesto, dal suo esempio e dalla pratica della Chiesa, ma vuole darci l'indirizzo pratico in tutte le forme di orazione, dall'umile preghiera vocale alle più alte contemplazioni. E questo uno dei segreti più profondi dell'ammirabile preghiera del Pater noster, preghiera universale, che hanno potuto recitare anche le genti pagane, anche quelle separate per loro sventura dalla Chiesa. E la preghiera dell'unità, diremmo quasi; è lo slancio della carità verso Dio, doveroso per ogni creatura; è la sintesi divina della nostra posizione in questo terreno, penoso pellegrinaggio verso gli eterni lidi.
Il Pater contiene un'invocazione e sette domande, delle quali quattro riguardano Dio, e tre noi stessi. L'invocazione è uno slancio alla divina paternità: Padre nostro, che sei nei cieli, slancio che è proprio degli uomini redenti, fatti figli di adozione per il loro Redentore. Nell'Antico Testamento, infatti, Dio era anche riguardato come Padre, ma principalmente del popolo eletto che pur non osava chiamarlo ancora con questo tenero appellativo. Era Signore supremo e onnipotente, giudice giusto, Re dell'universo, ma non era chiamato Padre. Quando, poi, mandando il suo Verbo eterno, manifestò la sua eterna paternità, e ci accolse, tutti come figli suoi nel suo Figlio fatto uomo, allora era logico che fosse chiamato Padre.
Questa parola ci rivela l'infinita bontà di Dio, e distrugge la suggestione diabolica che tenta farci considerare Dio come terribile, severo, spietato, lontano da noi e quasi estraneo alla nostra vita. Bisogna confessare, dolorosamente, che il genere umano non s'è ancora liberato da questa suggestione menzognera, che pur ne avvelena tutta l'esistenza. Nell'Eden satana mostrò Dio come geloso e dispettoso, che imponeva all'uomo un precetto, per impedirgli di essere simile a Lui, e da allora ha mostrato il Signore come nemico della nostra elevazione, del nostro progresso e della nostra felicità. Questa spudorata menzogna l'ha detta prima velatamente, ed ha voluto poi renderla credibile deformando orribilmente il concetto di Dio per mezzo dell'idolatria, vera caricatura dell'Eterno fatta da satana; poi l'ha detta più svelatamente mostrando la Religione e la Chiesa come un impaccio, un'oppressione ed una schiavitù e gettando il vituperio su quanti rappresentano la paternità di Dio sulla terra, cominciando dal Papa, dai sacerdoti, dai re, dai superiori, dai capi di famiglia, e gettando con l'anarchia il disprezzo su ogni gerarchia e autorità. Infine s'è smascherato oggi con la lotta manifesta contro Dio, lotta che è opera spaventosamente satanica.
E penosissimo il pensare che l'umanità non crede ancora a Dio Padre dopo che Egli ci ha dato il suo Figlio, e dopo che l'ha immolato per nostro amore tra gli spasimi del Calvario! C'è una prevenzione contro Dio, inventata e fomentata da satana, che l'uomo si ostina a mantenere, nonostante la testimonianza di amore ricevuta sul Golgota, e le testimonianze ineffabili della divina provvidenza.
Satana produce tanti disastri per screditare il Signore, e tenta di dare incremento ai falsi progressi, per opprimere l'uomo negli stessi ingranaggi della meccanica, e sostituire la fiducia nella provvidenza con la fiducia nella macchina, e con l'adorazione delle forze brute come si è visto in Russia e nel bolscevismo bestiale. Nella sua atroce campagna contro Dio, satana avversa con particolare odio Maria Santissima, perché Essa è mirabile raggio della bontà del Signore, fatto uomo in Lei, Madre nostra amorosissima. Perciò ispira ai protestanti l'odio più o meno celato contro la Madre di Dio e si sforza almeno di affievolire la nostra devozione verso questa dolcissima Mamma. Gesù ci premunisce contro le insidie dello spirito infernale e ci fa invocare Dio come Padre e Padre supremo, che sta nei cieli, che tutto vede, tutto comprende, e a tutto provvede con infinita misericordia.
Questa invocazione è uno slancio di amore filiale verso il Signore, e perciò Gesù Cristo ci fa domandare prima di tutto che il Nome di Dio sia santificato, cioè sia riconosciuto, onorato e glorificato in tutta la terra con omaggi di adorazione profonda. Il Nome di Dio nel linguaggio biblico è Dio stesso in quanto si rivela e si manifesta a noi; quindi domandare che sia santificato, è lo stesso che domandare che sia onorato con gli atti del culto e dell'adorazione.
Venga il tuo regno, soggiunge Gesù, cioè gli atti di adorazione siano pubblici e sociali, di modo che non solo ti adorino i singoli uomini, ma ti riconoscano, ti adorino e ti glorifichino le nazioni, unificate e vivificate dalla Chiesa cattolica, che è regno di Dio in terra. Venga il tuo regno nell'eliminazione del peccato, nella dispersione e nella sconfitta dei perversi ostinati nel male, nel trionfo della Chiesa militante e trionfante. L'anima desidera e domanda che Dio sia riconosciuto, adorato e glorificato, perché questo è fonte di vero bene ed è testimonianza di amore dell'umanità verso di Lui, e domanda che la tua volontà sia fatta in terra come si fa in cielo, perché questo lo fa regnare nell'anima. Tre domande, tre campi della divina e regale paternità: sia santificato il tuo nome', la gloria di Dio nel mondo; venga il regno tuo: il suo pieno dominio di amore nella Chiesa cattolica; sia fatta la tua volontà; il regno di Dio nell'anima. La preghiera che Gesù ci fa fare è perciò un appello al Signore perché si degni di venire a noi ed elevarci a Lui; di possederci come sua eredità e di donarci la sua grazia perché siamo sua eredità; d'illuminarci colla sua luce e trarci nell'eterna gloria.
Lo sguardo a Dio come a Padre supremo non ci può far desiderare altro che la sua gloria e il fare la sua volontà: il supremo bene che riempie il cielo ed il supremo bene partecipato a noi nella rivelazione della legge che riempie l'anima nostra unendola alla sua volontà. Questi solo sono beni immortali, unica meta della vita, unica gioia e felicità nostra, dalla quale scaturisce ogni bene.
La vita ci è data per conoscere, amare e servire Dio, e noi dobbiamo conservarla per donarla a Lui; dobbiamo conservarla spiritualmente e corporalmente; per questo domandiamo il pane necessario, quotidiano, supersustanziale, come dice il testo latino, cioè il Pane eucaristico che ci unisce al Redentore nel glorificare ed amare Dio, ed il pane quotidiano che è l'alimento per la vita del corpo, e nello stesso tempo la materia del Sacramento dell'amore. La vita corporale viene sostentata per il compimento della missione che Dio ci assegna nel pellegrinaggio di prova, la vita spirituale viene sostentata dal Pane eucaristico; non possiamo domandare un pane solamente materiale senza dell'altro, perché la vita corporale senza quella spirituale sarebbe una vita da bruti. L'Eucaristia è dunque il pane della nostra anima, necessario e quotidiano; è una grazia che noi domandiamo ogni giorno, perché è un dono ineffabile della Paternità di Dio che ci dona il suo stesso Figlio.
Quello che ci è di ostacolo a raggiungere Dio è il peccato maledetto, quello che turba la vita è la discordia, e quello che turba l'anima è satana con le sue suggestioni; perciò Gesù Cristo ci fa domandare il perdono dei nostri debiti verso Dio, e per tutelare la pace tra gli uomini ce lo fa domandare in proporzione del perdono che noi diamo ai nostri fratelli; ci fa implorare la forza contro le tentazioni di satana e la liberazione dalle sue insidie.
Noi siamo i grandi debitori di Dio, dal quale abbiamo tutto ricevuto, ed al quale non abbiamo reso che ingratitudini e peccati. Nessuno può dichiararsi innocente in questo campo. Eppure abbiamo la triste abitudine di considerare come nulla le nostre responsabilità; noi che siamo tanto severi nel giudicare e condannare quelle del prossimo verso di noi. Gesù Cristo, facendoci domandare il perdono delle nostre iniquità in proporzione del perdono che noi diamo a chi ci offende, richiama la nostra attenzione sulla spietatezza che abbiamo per chi ci ha offesi, per ponderare la misericordia di Dio da noi offeso.
Egli è l'Infinito e ogni ingiuria fatta a Lui ha una certa infinità, tanto è orribile per la dignità dell'offeso.
Egli ci ha redenti, ci ha dato il suo sangue, ed ogni peccato è un delitto di sangue divino, perché è crocifissione del Redentore.
Egli ci ha amati infinitamente, ed ogni peccato è una profanazione di questo amore, è un adulterio spirituale dell'anima, eppure la sua grandezza si abbassa a noi perdonandoci, il suo sangue ci lava, il suo amore ci avvolge! Basta un sospiro sincero di amore e di penitenza per ottenere questo miracolo di misericordia.
Noi, invece, pur essendo solo miseria e peccato siamo spietati e tenaci nei nostri odi, e ci sembra insufficiente ogni riparazione che ci si dona! Misuriamo da questo la grandezza della divina bontà per noi, ed imitiamola perdonando con generosità. L'Infinito potrebbe e dovrebbe fulminarci e ci perdona, e noi che potremmo e dovremmo compatire e perdonare perché siamo nullità e peccato, c'inalberiamo!
E un concetto sul quale Gesù Cristo insiste, perché l'efficacia della preghiera è legata alla carità per il prossimo. E un grande segreto che Egli ci rivela, ed è la spiegazione indiretta del mistero di tante preghiere inascoltate.
Ogni preghiera è una domanda di misericordia, perché è la domanda di una grazia; nessuna preghiera ci trova degni di essere esauditi, perché siamo peccatori, e suppone sempre l'elargizione di una misericordia. Ora se non usiamo misericordia perdonando, compatendo, usando la carità e beneficando, neppure Dio ci usa misericordia, perdonandoci ed esaudendoci.
Se pensiamo che la nostra vita è un disgraziato intreccio di mancanze di carità, di mormorazioni, di soprusi, di atti d'ira, di giudizi, di avversioni e di odi, non ci possiamo meravigliare se pregando non siamo esauditi. Ponderiamolo bene; i versetti 14 e 15 che seguono la preghiera del Pater, sembrerebbero quasi fuori posto, eppure sono il completamento dell'istruzione sulla preghiera: Se voi perdonerete agli uomini i loro mancamenti, anche il Padre vostro celeste vi perdonerà i vostri delitti. Ma se non perdonerete agli uomini, neppure il Padre vostro celeste perdonerà a voi i vostri peccati. Gesù Cristo che perdonò fino al sacrificio della sua vita, e che strinse gli uomini al suo Cuore ferito, è esaudito sempre ed è il Mediatore; Maria Santissima, che nei suoi dolori cooperò alla nostra redenzione, fino al punto da essere chiamata nostra Corredentrice, è Mediatrice di grazie per la sua carità; noi possiamo ottenere grazie ed implorarle per gli altri solo se usiamo misericordia. La stessa efficacia dell'intercessione dei santi è proporzionata alla loro carità, e dove essa più abbondò ivi più abbonda la potenza.
Per questa profondissima ragione Gesù Cristo ci dice di lasciare il dono davanti all'altare, ed andare prima a riconciliarci col nostro fratello; come potrebbe essere impetratoria quella offerta senza la carità? Se ogni grazia è diffusione della divina bontà, come potrebbe questa diffondersi dove sta la durezza, la malvagità, la mancanza di carità?
La carità è fiamma che suscita nel cuore l'umiltà, poiché non si compatiscono le debolezze altrui se non si ha piena coscienza delle proprie, e l'umiltà forma in noi il vuoto che attira la divina misericordia.
Non ci lamentiamo dunque di non essere esauditi, noi che abbiamo sempre il cuore chiuso alla misericordia!
Stiamo sempre in pace con tutti, e siamo generosi, affinché il Cielo ci si apra. Tu tocchi un bottone elettrico, e questa piccolissima leva apre la chiusa di un lago e vi fa scaturire una cascata potente; ebbene, la carità e il perdono sono la leva che ha il segreto per aprire le chiuse dell'eterna misericordia. La preghiera senza perdono e senza carità è come lo sforzo di chi vuole aprire la chiusa a forza di braccia, senza la leva elettrica; le braccia non possono forzare le porte di ferro, occorre una corrente, e questa è la carità.
6. II Pater noster parafrasato da san Francesco
Riportiamo qui questa parafrasi che si trova nel volume V della Biblioteca dei Padri, perché, piena di unzione soprannaturale, rende in un colpo d'occhio la bellezza della preghiera insegnataci da Gesù Cristo:
«Santissimo Padre nostro, creatore, redentore nostro, salvatore nostro, consolatore nostro. Che sei nei cieli, negli angeli, nei santi, illuminandoli perché ti conoscano, essendo tu, Signore, luce che li infiamma del tuo divino amore. Tu infatti, o Signore, sei amore che abiti in loro e li ricolmi di beatitudine, tu sei il sommo e l'eterno bene da cui viene ogni bene, e senza del quale non c'è bene.
Sia santificato il tuo nome, sia luminosa in noi la tua cognizione, affinché conosciamo quale sia la larghezza dei tuoi benefici, quale la lunghezza delle promesse, quale la sublimità della maestà e la profondità dei tuoi giudizi. Venga il tuo regno affinché tu regni in noi per la grazia, e ci faccia venire al tuo regno, dov'è manifesta la tua visione, è perfetto l'amore verso di te, è beata l'unione con te, è eterna la tua fruizione.
Sìa fatta la tua volontà come in cielo così in terra, affinché ti amiamo con tutto il cuore, sempre pensando a te; con tutta l'anima, desiderandoti sempre; con tutta la mente, dirigendo a te le nostre intenzioni e cercando il tuo onore in tutto; con tutte le nostre forze, dando tutte le nostre energie e i sensi dell'anima e del corpo per tuo amore e non per altro, ed amando il nostro prossimo come noi stessi, traendolo con tutte le forze al tuo amore, godendo dei beni altrui come dei nostri, compatendo gli altri nei mali e non offendendo mai nessuno.
Donaci oggi il nostro pane quotidiano', donaci il diletto Figlio tuo, il nostro Signore Gesù Cristo, donacelo oggi nella memoria, nell'intelletto, e nel riconoscimento dell'amore che ci portò e di ciò che fece, disse e patì per noi. E rimetti a noi i nostri debiti per la tua misericordia, per l'ineffabile virtù della passione del diletto Figlio tuo e Signor nostro, Gesù Cristo, e per i meriti e la intercessione della beatissima Vergine Maria e di tutti i santi, come noi li rimettiamo ai nostri debitori.
E giacché non perdoniamo pienamente (per la nostra debolezza) tu, Signore, fa che perdoniamo pienamente, affinché per te amiamo i nostri nemici, e preghiamo devotamente per loro innanzi a te, non rendiamo a nessuno male per male, e ci studiamo di far bene a tutti. E non c 'indurre in tentazione, sia occulta, sia manifesta, subitanea ed importuna, ma liberaci dal male passato, presente e futuro. Così sia per tua misericordia e per tua grazia».4. La preghiera
I farisei avevano determinato ore di orazione e, dovunque si trovavano, si volgevano verso il tempio di Gerusalemme e pregavano. Essi cercavano però nelle ore di orazione di trovarsi nelle sinagoghe, nelle piazze o nei crocicchi delle vie, in cui maggiore era il concorso, per farsi riguardare come uomini di orazione, e raccogliere povere lodi umane. La loro preghiera in tal modo non era un'elevazione dell'anima in Dio, ma una coreografia di vanità, alla quale non poteva essere ricompensa che la vanità di un applauso o di una considerazione umana.
Gesù vuole che l'anima si raccolga innanzi a Dio solo e preghi nell'intimo raccoglimento che le faccia quasi sparire dagli occhi quelli che la circondano, come uno che si chiude in una stanza. Egli parlava contro l'ostentazione dei farisei, e perciò disse di entrare nella stanza e chiuderne la porta, cioè di cercare il nascondimento e non le piazze. Con questo non volle proibire la pubblica preghiera, che è un dovere sociale ed individuale, ma volle dire che l'anima, anche pregando in pubblico, fosse così lontana dallo sguardo umano, da sentirsi come rinchiusa in una stanza e pregare nel nascondimento interiore. Si prega in pubblico non per farsi vedere, ma per onorare Dio pubblicamente; allora tutto il popolo forma come un'anima sola, raccolta nella Chiesa o anche in pubblico, come in una stanza chiusa, dove Dio solo è presente ed ascolta i sospiri del cuore.
Gesù volle liberarci anche dalla preoccupazione dello sguardo altrui, che spesso c'impedisce di pregare in pubblico; chi prega deve riguardarsi come solo, raccolto in Dio, quasi fosse chiuso in una stanza; deve avere quindi la stessa libertà che avrebbe se fosse solo. Il mondo non fa il male in pubblico quasi fosse solo nel suo ambiente? E perché esso deve avere la libertà di fare il male, e noi non possiamo avere quella di fare il bene e di onorare Dio? Incediamo, dunque, anche nelle solenni processioni, con piena libertà di preghiera, riguardandoci quasi soli sotto lo sguardo di Dio, osannando a Lui per testimoniare la nostra fede, e per glorificare la sua grandezza. Non dobbiamo preoccuparci che gli altri ci vedano, e dobbiamo cercare il raccolto nascondimento interiore nella piena libertà dello spirito; non dobbiamo preoccuparci per rispetto umano che gli altri non ci vedano, quasi temendo che ci riguardino come bigotti, ma dobbiamo avere il cuore come lampada ardente che, consumandosi per Dio, lo glorifichi anche nel mondo che è tempio della sua gloria.
È facile nella preghiera ripetere le stesse cose macchinalmente e non preoccuparsi di elevare la mente a Dio; quelle invocazioni non sono allora che parole vuote. I pagani poi, pregando i loro idoli, gridavano e moltiplicavano le loro invocazioni, credendo così di essere ascoltati. Gesù Cristo vieta le molte parole nella preghiera, non però i ripetuti slanci del cuore che accompagnano le parole; non vuole parole vuote ma preghiere, e quindi non proibisce le ripetute invocazioni, ma, secondo la parola greca del testo, il balbettare, il biascicare macchinalmente le invocazioni; in questo caso è evidente che la preghiera si riduce a molte parole senza che da esse sbocci un solo affetto dell'anima.
Egli poi parla di quelle preghiere che si fanno per ottenere un beneficio temporale, come è chiaro dal contesto, e vuole ammonirci a pregare in modo da abbandonarci con fiducia alla divina bontà, con quelle poche e sincere espressioni dell'anima che sono lo slancio filiale di chi confida nella provvidenza e nella bontà del Signore, Dio sa quello che ci occorre prima che glielo domandiamo, ossia pensa a noi con amore paterno, ed ha cura di provvederci; basta quindi affidarsi a Lui pregando, senza necessità di dovergli esporre minutamente quello che ci occorre. Egli vuole che domandiamo prima il regno di Dio, come si vedrà appresso, e quindi, pur concedendo che si possa pregare per le cose temporali, vuole che lo si faccia con poche parole di fiducia.
5. Il Pater noster, preghiera dell'unità, preghiera universale
Per mostrare poi praticamente come si debba pregare, rivolgendosi a Dio, il Redentore amorosissimo dà una formula di preghiera, che non è esclusiva, ma è data come esemplare di ogni preghiera e come sintesi di ogni elevazione dell'anima.
Egli non vuole proibire le altre preghiere, com'è chiaro dal contesto, dal suo esempio e dalla pratica della Chiesa, ma vuole darci l'indirizzo pratico in tutte le forme di orazione, dall'umile preghiera vocale alle più alte contemplazioni. E questo uno dei segreti più profondi dell'ammirabile preghiera del Pater noster, preghiera universale, che hanno potuto recitare anche le genti pagane, anche quelle separate per loro sventura dalla Chiesa. E la preghiera dell'unità, diremmo quasi; è lo slancio della carità verso Dio, doveroso per ogni creatura; è la sintesi divina della nostra posizione in questo terreno, penoso pellegrinaggio verso gli eterni lidi.
Il Pater contiene un'invocazione e sette domande, delle quali quattro riguardano Dio, e tre noi stessi. L'invocazione è uno slancio alla divina paternità: Padre nostro, che sei nei cieli, slancio che è proprio degli uomini redenti, fatti figli di adozione per il loro Redentore. Nell'Antico Testamento, infatti, Dio era anche riguardato come Padre, ma principalmente del popolo eletto che pur non osava chiamarlo ancora con questo tenero appellativo. Era Signore supremo e onnipotente, giudice giusto, Re dell'universo, ma non era chiamato Padre. Quando, poi, mandando il suo Verbo eterno, manifestò la sua eterna paternità, e ci accolse, tutti come figli suoi nel suo Figlio fatto uomo, allora era logico che fosse chiamato Padre.
Questa parola ci rivela l'infinita bontà di Dio, e distrugge la suggestione diabolica che tenta farci considerare Dio come terribile, severo, spietato, lontano da noi e quasi estraneo alla nostra vita. Bisogna confessare, dolorosamente, che il genere umano non s'è ancora liberato da questa suggestione menzognera, che pur ne avvelena tutta l'esistenza. Nell'Eden satana mostrò Dio come geloso e dispettoso, che imponeva all'uomo un precetto, per impedirgli di essere simile a Lui, e da allora ha mostrato il Signore come nemico della nostra elevazione, del nostro progresso e della nostra felicità. Questa spudorata menzogna l'ha detta prima velatamente, ed ha voluto poi renderla credibile deformando orribilmente il concetto di Dio per mezzo dell'idolatria, vera caricatura dell'Eterno fatta da satana; poi l'ha detta più svelatamente mostrando la Religione e la Chiesa come un impaccio, un'oppressione ed una schiavitù e gettando il vituperio su quanti rappresentano la paternità di Dio sulla terra, cominciando dal Papa, dai sacerdoti, dai re, dai superiori, dai capi di famiglia, e gettando con l'anarchia il disprezzo su ogni gerarchia e autorità. Infine s'è smascherato oggi con la lotta manifesta contro Dio, lotta che è opera spaventosamente satanica.
E penosissimo il pensare che l'umanità non crede ancora a Dio Padre dopo che Egli ci ha dato il suo Figlio, e dopo che l'ha immolato per nostro amore tra gli spasimi del Calvario! C'è una prevenzione contro Dio, inventata e fomentata da satana, che l'uomo si ostina a mantenere, nonostante la testimonianza di amore ricevuta sul Golgota, e le testimonianze ineffabili della divina provvidenza.
Satana produce tanti disastri per screditare il Signore, e tenta di dare incremento ai falsi progressi, per opprimere l'uomo negli stessi ingranaggi della meccanica, e sostituire la fiducia nella provvidenza con la fiducia nella macchina, e con l'adorazione delle forze brute come si è visto in Russia e nel bolscevismo bestiale. Nella sua atroce campagna contro Dio, satana avversa con particolare odio Maria Santissima, perché Essa è mirabile raggio della bontà del Signore, fatto uomo in Lei, Madre nostra amorosissima. Perciò ispira ai protestanti l'odio più o meno celato contro la Madre di Dio e si sforza almeno di affievolire la nostra devozione verso questa dolcissima Mamma. Gesù ci premunisce contro le insidie dello spirito infernale e ci fa invocare Dio come Padre e Padre supremo, che sta nei cieli, che tutto vede, tutto comprende, e a tutto provvede con infinita misericordia.
Questa invocazione è uno slancio di amore filiale verso il Signore, e perciò Gesù Cristo ci fa domandare prima di tutto che il Nome di Dio sia santificato, cioè sia riconosciuto, onorato e glorificato in tutta la terra con omaggi di adorazione profonda. Il Nome di Dio nel linguaggio biblico è Dio stesso in quanto si rivela e si manifesta a noi; quindi domandare che sia santificato, è lo stesso che domandare che sia onorato con gli atti del culto e dell'adorazione.
Venga il tuo regno, soggiunge Gesù, cioè gli atti di adorazione siano pubblici e sociali, di modo che non solo ti adorino i singoli uomini, ma ti riconoscano, ti adorino e ti glorifichino le nazioni, unificate e vivificate dalla Chiesa cattolica, che è regno di Dio in terra. Venga il tuo regno nell'eliminazione del peccato, nella dispersione e nella sconfitta dei perversi ostinati nel male, nel trionfo della Chiesa militante e trionfante. L'anima desidera e domanda che Dio sia riconosciuto, adorato e glorificato, perché questo è fonte di vero bene ed è testimonianza di amore dell'umanità verso di Lui, e domanda che la tua volontà sia fatta in terra come si fa in cielo, perché questo lo fa regnare nell'anima. Tre domande, tre campi della divina e regale paternità: sia santificato il tuo nome', la gloria di Dio nel mondo; venga il regno tuo: il suo pieno dominio di amore nella Chiesa cattolica; sia fatta la tua volontà; il regno di Dio nell'anima. La preghiera che Gesù ci fa fare è perciò un appello al Signore perché si degni di venire a noi ed elevarci a Lui; di possederci come sua eredità e di donarci la sua grazia perché siamo sua eredità; d'illuminarci colla sua luce e trarci nell'eterna gloria.
Lo sguardo a Dio come a Padre supremo non ci può far desiderare altro che la sua gloria e il fare la sua volontà: il supremo bene che riempie il cielo ed il supremo bene partecipato a noi nella rivelazione della legge che riempie l'anima nostra unendola alla sua volontà. Questi solo sono beni immortali, unica meta della vita, unica gioia e felicità nostra, dalla quale scaturisce ogni bene.
La vita ci è data per conoscere, amare e servire Dio, e noi dobbiamo conservarla per donarla a Lui; dobbiamo conservarla spiritualmente e corporalmente; per questo domandiamo il pane necessario, quotidiano, supersustanziale, come dice il testo latino, cioè il Pane eucaristico che ci unisce al Redentore nel glorificare ed amare Dio, ed il pane quotidiano che è l'alimento per la vita del corpo, e nello stesso tempo la materia del Sacramento dell'amore. La vita corporale viene sostentata per il compimento della missione che Dio ci assegna nel pellegrinaggio di prova, la vita spirituale viene sostentata dal Pane eucaristico; non possiamo domandare un pane solamente materiale senza dell'altro, perché la vita corporale senza quella spirituale sarebbe una vita da bruti. L'Eucaristia è dunque il pane della nostra anima, necessario e quotidiano; è una grazia che noi domandiamo ogni giorno, perché è un dono ineffabile della Paternità di Dio che ci dona il suo stesso Figlio.
Quello che ci è di ostacolo a raggiungere Dio è il peccato maledetto, quello che turba la vita è la discordia, e quello che turba l'anima è satana con le sue suggestioni; perciò Gesù Cristo ci fa domandare il perdono dei nostri debiti verso Dio, e per tutelare la pace tra gli uomini ce lo fa domandare in proporzione del perdono che noi diamo ai nostri fratelli; ci fa implorare la forza contro le tentazioni di satana e la liberazione dalle sue insidie.
Noi siamo i grandi debitori di Dio, dal quale abbiamo tutto ricevuto, ed al quale non abbiamo reso che ingratitudini e peccati. Nessuno può dichiararsi innocente in questo campo. Eppure abbiamo la triste abitudine di considerare come nulla le nostre responsabilità; noi che siamo tanto severi nel giudicare e condannare quelle del prossimo verso di noi. Gesù Cristo, facendoci domandare il perdono delle nostre iniquità in proporzione del perdono che noi diamo a chi ci offende, richiama la nostra attenzione sulla spietatezza che abbiamo per chi ci ha offesi, per ponderare la misericordia di Dio da noi offeso.
Egli è l'Infinito e ogni ingiuria fatta a Lui ha una certa infinità, tanto è orribile per la dignità dell'offeso.
Egli ci ha redenti, ci ha dato il suo sangue, ed ogni peccato è un delitto di sangue divino, perché è crocifissione del Redentore.
Egli ci ha amati infinitamente, ed ogni peccato è una profanazione di questo amore, è un adulterio spirituale dell'anima, eppure la sua grandezza si abbassa a noi perdonandoci, il suo sangue ci lava, il suo amore ci avvolge! Basta un sospiro sincero di amore e di penitenza per ottenere questo miracolo di misericordia.
Noi, invece, pur essendo solo miseria e peccato siamo spietati e tenaci nei nostri odi, e ci sembra insufficiente ogni riparazione che ci si dona! Misuriamo da questo la grandezza della divina bontà per noi, ed imitiamola perdonando con generosità. L'Infinito potrebbe e dovrebbe fulminarci e ci perdona, e noi che potremmo e dovremmo compatire e perdonare perché siamo nullità e peccato, c'inalberiamo!
E un concetto sul quale Gesù Cristo insiste, perché l'efficacia della preghiera è legata alla carità per il prossimo. E un grande segreto che Egli ci rivela, ed è la spiegazione indiretta del mistero di tante preghiere inascoltate.
Ogni preghiera è una domanda di misericordia, perché è la domanda di una grazia; nessuna preghiera ci trova degni di essere esauditi, perché siamo peccatori, e suppone sempre l'elargizione di una misericordia. Ora se non usiamo misericordia perdonando, compatendo, usando la carità e beneficando, neppure Dio ci usa misericordia, perdonandoci ed esaudendoci.
Se pensiamo che la nostra vita è un disgraziato intreccio di mancanze di carità, di mormorazioni, di soprusi, di atti d'ira, di giudizi, di avversioni e di odi, non ci possiamo meravigliare se pregando non siamo esauditi. Ponderiamolo bene; i versetti 14 e 15 che seguono la preghiera del Pater, sembrerebbero quasi fuori posto, eppure sono il completamento dell'istruzione sulla preghiera: Se voi perdonerete agli uomini i loro mancamenti, anche il Padre vostro celeste vi perdonerà i vostri delitti. Ma se non perdonerete agli uomini, neppure il Padre vostro celeste perdonerà a voi i vostri peccati. Gesù Cristo che perdonò fino al sacrificio della sua vita, e che strinse gli uomini al suo Cuore ferito, è esaudito sempre ed è il Mediatore; Maria Santissima, che nei suoi dolori cooperò alla nostra redenzione, fino al punto da essere chiamata nostra Corredentrice, è Mediatrice di grazie per la sua carità; noi possiamo ottenere grazie ed implorarle per gli altri solo se usiamo misericordia. La stessa efficacia dell'intercessione dei santi è proporzionata alla loro carità, e dove essa più abbondò ivi più abbonda la potenza.
Per questa profondissima ragione Gesù Cristo ci dice di lasciare il dono davanti all'altare, ed andare prima a riconciliarci col nostro fratello; come potrebbe essere impetratoria quella offerta senza la carità? Se ogni grazia è diffusione della divina bontà, come potrebbe questa diffondersi dove sta la durezza, la malvagità, la mancanza di carità?
La carità è fiamma che suscita nel cuore l'umiltà, poiché non si compatiscono le debolezze altrui se non si ha piena coscienza delle proprie, e l'umiltà forma in noi il vuoto che attira la divina misericordia.
Non ci lamentiamo dunque di non essere esauditi, noi che abbiamo sempre il cuore chiuso alla misericordia!
Stiamo sempre in pace con tutti, e siamo generosi, affinché il Cielo ci si apra. Tu tocchi un bottone elettrico, e questa piccolissima leva apre la chiusa di un lago e vi fa scaturire una cascata potente; ebbene, la carità e il perdono sono la leva che ha il segreto per aprire le chiuse dell'eterna misericordia. La preghiera senza perdono e senza carità è come lo sforzo di chi vuole aprire la chiusa a forza di braccia, senza la leva elettrica; le braccia non possono forzare le porte di ferro, occorre una corrente, e questa è la carità.
6. II Pater noster parafrasato da san Francesco
Riportiamo qui questa parafrasi che si trova nel volume V della Biblioteca dei Padri, perché, piena di unzione soprannaturale, rende in un colpo d'occhio la bellezza della preghiera insegnataci da Gesù Cristo:
«Santissimo Padre nostro, creatore, redentore nostro, salvatore nostro, consolatore nostro. Che sei nei cieli, negli angeli, nei santi, illuminandoli perché ti conoscano, essendo tu, Signore, luce che li infiamma del tuo divino amore. Tu infatti, o Signore, sei amore che abiti in loro e li ricolmi di beatitudine, tu sei il sommo e l'eterno bene da cui viene ogni bene, e senza del quale non c'è bene.
Sia santificato il tuo nome, sia luminosa in noi la tua cognizione, affinché conosciamo quale sia la larghezza dei tuoi benefici, quale la lunghezza delle promesse, quale la sublimità della maestà e la profondità dei tuoi giudizi. Venga il tuo regno affinché tu regni in noi per la grazia, e ci faccia venire al tuo regno, dov'è manifesta la tua visione, è perfetto l'amore verso di te, è beata l'unione con te, è eterna la tua fruizione.
Sìa fatta la tua volontà come in cielo così in terra, affinché ti amiamo con tutto il cuore, sempre pensando a te; con tutta l'anima, desiderandoti sempre; con tutta la mente, dirigendo a te le nostre intenzioni e cercando il tuo onore in tutto; con tutte le nostre forze, dando tutte le nostre energie e i sensi dell'anima e del corpo per tuo amore e non per altro, ed amando il nostro prossimo come noi stessi, traendolo con tutte le forze al tuo amore, godendo dei beni altrui come dei nostri, compatendo gli altri nei mali e non offendendo mai nessuno.
Donaci oggi il nostro pane quotidiano', donaci il diletto Figlio tuo, il nostro Signore Gesù Cristo, donacelo oggi nella memoria, nell'intelletto, e nel riconoscimento dell'amore che ci portò e di ciò che fece, disse e patì per noi. E rimetti a noi i nostri debiti per la tua misericordia, per l'ineffabile virtù della passione del diletto Figlio tuo e Signor nostro, Gesù Cristo, e per i meriti e la intercessione della beatissima Vergine Maria e di tutti i santi, come noi li rimettiamo ai nostri debitori.
E giacché non perdoniamo pienamente (per la nostra debolezza) tu, Signore, fa che perdoniamo pienamente, affinché per te amiamo i nostri nemici, e preghiamo devotamente per loro innanzi a te, non rendiamo a nessuno male per male, e ci studiamo di far bene a tutti. E non c 'indurre in tentazione, sia occulta, sia manifesta, subitanea ed importuna, ma liberaci dal male passato, presente e futuro. Così sia per tua misericordia e per tua grazia».
Sac. Dolindo Ruotolo

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