4. Le direttive di Gesù ai suoi apostoli ed a quelli di tutti i secoli
Il Redentore come si è detto, mandò i suoi apostoli prima di tutti alle pecorelle perdute d'Israele, per prepararle ad accogliere il regno di Dio. In questa santa missione volle che la loro opera fosse non solo gratuita, ma prescindesse da tutti i ritrovati del prestigio umano. Egli raccomandò ad essi di non avere né oro, né argento, né denaro di bronzo nelle tasche delle cinture, né bisaccia, o, diremmo noi, valigia per il viaggio, né due vesti, né scarpe di ricambio, né bastone di apparenza, quasi ricco ornamento. Egli vuole che la loro fiducia sia in Dio solo, e comandando la povertà vuole che anche nel sostentamento e nelle cose della vita si affidino al Signore, quasi operai suoi, provveduti da Lui stesso. E un fondamento indispensabile ad ogni apostolato, poiché la verità e la grazia non si diffondono coi mezzi materiali e con le risorse umane.
I poveri protestanti che avanzano sempre ben fomiti di dollari o di sterline, con tutto l'apparato delle comodità della vita, e persino con la moglie, possono ben distinguersi e vedere da quale spirito vengono. Gli scellerati propagandisti del regno di satana, comunisti, socialisti, massoni, e simili traviati, possono intendere che solo il male, per propagarsi, ha bisogno di milioni, dei quali essi fanno sperpero a danno dell'umana società.
Dicendo Gesù: Non vogliate avere né oro, né argento, né denaro, non intende dire che non si possa avere il necessario alle spese del medesimo viaggio. Egli vieta il superfluo, come lo vieta nelle vesti. Se si sta poi al testo greco, le parole di Gesù hanno il significato di non ricevere denaro da quelli ai quali si predica, e questo senso risponde meglio a ciò che dice prima: Date gratuitamente ciò che gratuitamente avete ricevuto.
5. La Chiesa non riconosce l'oratoria vana: vuole l'istruzione del popolo
A questo proposito è indispensabile dire una parola che potrebbe sembrare un poco dura, ma è una necessaria conseguenza delle parole del Redentore: non sono apostoli i mercenari della divina parola, quelli che la riducono ad un mezzo per arricchirsi. Si potranno escogitare tutte le scuse per poter giustificare la propria condotta, ma non si potrà negare innanzi a Dio che la predicazione fatta, o peggio pattuita a suon di denaro, non è apostolato, ma è vana oratoria che non produce nulla di bene, e anzi produce spesso molto male perché accarezza solo l'udito. Dolorosamente la predicazione non è più apostolato; quando si è preoccupati della buona figura oratoria e, diciamo così, dell'arte, si lascia il tempo che si trova. Panegirici, discorsi di occasione, e spessissimo anche i quaresimali, i mesi di devozioni speciali, si riducono a vane spampanate oratorie, quando si ricerca il cosiddetto oratore di grido, e non l'apostolo.
La Chiesa non riconosce l'oratoria vana, vuole l'istruzione del popolo e l'annunzio dell'eterna verità, vuole l'apostolato, che si fa sempre per amore di Dio e per propagare il suo regno, contentandosi di ciò che serve al sostentamento e non badando ad altro.
Che cosa direbbe Gesù degli oratori che vanno accuratamente vestiti, pettinati e lisciati, e che pongono come base del loro prestigio quel fasto esterno di posa o di prestigio che è la morte dell'apostolato vero? Invece di formare gli oratori bisogna formare i santi e i dotti conoscitori della divina Parola, affinché predicando propaghino il regno di Dio.
Il demonio maledetto ha mutato molti pulpiti in trappole di sacerdoti e di anime, e spesso si sganascia dalle risa alle spalle del predicatore ascoltando quelle parole che non vengono dall'eterna verità, e quegli slanci di oratoria che non vengono dal fuoco dello Spirito Santo.
Che dire poi di quei predicatori che si credono dispensati dalla preghiera della Chiesa quando predicano, e che credono dover mangiare meglio e darsi riposo per assolvere bene il loro mandato? Se c'è un tempo nel quale bisogna pregare e far penitenza, è proprio quello nel quale si predica, perché allora bisogna vincere la durezza dei cuori ed attrarre su di essi la grazia, la misericordia e la pace!
Gesù richiede un sol prestigio nel predicatore: quello della vita onesta e santa; perciò comanda ai suoi apostoli che giungendo in una città non vadano a dimorare presso chiunque, ma ricerchino una persona degna, capace di non generare sospetti, anzi capace di aiutarli spiritualmente. Il predicatore sotto questo aspetto deve essere geloso della sua reputazione, perché egli non va a villeggiare, ma va a salvare anime, alle quali è debitore. Non può stare in un ambiente di comodità materiali o di fasto, non può mettere o far mettere la casa a soqquadro per provvedere alle proprie esigenze, dev'essere come messaggero di Dio, come angelo di purezza, come profumo sereno di virtù, e perciò Gesù dice ai suoi che entrando nella casa che li ospita debbono dire con le parole e coi fatti: La pace sia a questa casa.
6. La pace a questa casa
Questa espressione augurale era presso gli orientali il saluto ordinario, ma è evidente dal contesto che Gesù dà ad essa un senso più ampio e più soprannaturale; non vuole che si auguri la pace ma che si porti pace di anima, pace di cuore, pace di armonia familiare; vuole che all'augurio corrisponda la grazia e che questa sia attratta sulla casa dall'apostolo che vi entra, vuole che sia la prima effusione di bene spirituale che deve fare chi evangelizza in nome di Dio, e che equivalga alla riconciliazione di quella casa col Signore. Per questo soggiunge che, se non c'è alcuno che sia degno di accogliere la pace, essa ritorna su chi la effonde, ritorna come merito dell'opera di apostolato, e ritorna come tranquilla coscienza di aver compiuto il proprio dovere.
L'opera di apostolato non è mai vana, e quando non ha prodotto il frutto in una casa, per il dolore stesso che cagiona all'apostolo e per la conseguente umiliazione del suo animo diventa nelle sue mani un mezzo più efficace di conversione. È una sottigliezza spirituale che merita rilievo, perché è un mezzo per non scoraggiarsi nell'insuccesso: chi vuole convertire un'anima ha quasi sempre una certa occulta vanità o una certa mancanza di carità nel trattare con lei; si fonda sull'aiuto di Dio ma crede inconsciamente anche alle risorse della propria facondia.
L'insuccesso umilia profondamente lo spirito, e si muta in una benedizione che ritorna sull'anima dell'apostolo, la purifica, la feconda, e la rende più forte in un'altra opera di conversione. In generale nelle opere di apostolato la soddisfazione di ciò che si fa è proprio un segno negativo del successo; se si parla credendo di aver detto cose belle, persuasive e brillanti, si constata invece che non hanno approdato a nulla; se si raccolgono onori ed applausi non si raccolgono anime; è l'agonia dello spirito, l'umiliazione, la contraddizione che è segno vero di successo perché le umane industrie non giovano a nulla nelle vie dell'apostolato. È logico del resto, che colui che dona veramente si senta vuoto e chi genera spiritualmente provi, per così dire, i dolori del parto; chi si sente sazio di ciò che crede aver dato, s'è cibato lui, non ha cibato gli altri, e chi non geme nel generare un'anima non la genera veramente. L'apostolo genera per la crocifissione come Gesù Cristo, ed ogni croce deve consolarlo pensando che proprio allora la sua opera è feconda.
La croce viene quasi sempre dai cattivi, ed è causata dalla ripulsa alla grazia: è una benedizione ricacciata, che, secondo la parola di Gesù, ritorna sull'apostolo. È inutile illudersi: le grandi opere dell'apostolato si fanno nella luce del martirio; martirio di cuore e martirio di vita.
Le contraddizioni che si ricevono sono tutte come concimi che fecondano e sviluppano il germe buono, rassodandolo nella terra del soprannaturale. A noi non sembra, perché amiamo il successo immediato, eppure è così. L'opera contraddetta, ritardata, sfigurata dalla malignità o dall'incuria degli uomini è in realtà radicata, rassodata e sviluppata secondo il disegno di una vita perenne nei secoli e nell'eternità. La Chiesa, opera divina per eccellenza, ha avuto secoli di sangue, ed ha tuttora contraddizioni mortali dall'inferno, eppure si rassoda, e prepara sulla terra e nei secoli eterni il suo trionfo immortale.
La fecondità della tribolazione per l'apostolo non giustifica la malvagità di chi ne è causa, perché la fecondità viene dalla grazia di Dio, e perciò il Redentore vuole che gli apostoli mostrino anche con un gesto esterno la responsabilità gravissima di chi resiste alla grazia. I rabbini comandavano ai Giudei di scuotere dai loro piedi la polvere quando venivano da città pagane, per mostrare di non condividerne la responsabilità; Gesù Cristo, spiritualmente, comanda lo stesso contro quelle case o quelle città che non ricevono la divina parola, per indicare quanto è grande il peccato del quale si rendono ree.
L'apostolo scuote la polvere dei piedi, rimettendo al giudizio di Dio la responsabilità della perdita di un popolo o di una casa, quasi a testimonianza che egli ha fatto tutto ciò che poteva per la loro salvezza.
Il Redentore come si è detto, mandò i suoi apostoli prima di tutti alle pecorelle perdute d'Israele, per prepararle ad accogliere il regno di Dio. In questa santa missione volle che la loro opera fosse non solo gratuita, ma prescindesse da tutti i ritrovati del prestigio umano. Egli raccomandò ad essi di non avere né oro, né argento, né denaro di bronzo nelle tasche delle cinture, né bisaccia, o, diremmo noi, valigia per il viaggio, né due vesti, né scarpe di ricambio, né bastone di apparenza, quasi ricco ornamento. Egli vuole che la loro fiducia sia in Dio solo, e comandando la povertà vuole che anche nel sostentamento e nelle cose della vita si affidino al Signore, quasi operai suoi, provveduti da Lui stesso. E un fondamento indispensabile ad ogni apostolato, poiché la verità e la grazia non si diffondono coi mezzi materiali e con le risorse umane.
I poveri protestanti che avanzano sempre ben fomiti di dollari o di sterline, con tutto l'apparato delle comodità della vita, e persino con la moglie, possono ben distinguersi e vedere da quale spirito vengono. Gli scellerati propagandisti del regno di satana, comunisti, socialisti, massoni, e simili traviati, possono intendere che solo il male, per propagarsi, ha bisogno di milioni, dei quali essi fanno sperpero a danno dell'umana società.
Dicendo Gesù: Non vogliate avere né oro, né argento, né denaro, non intende dire che non si possa avere il necessario alle spese del medesimo viaggio. Egli vieta il superfluo, come lo vieta nelle vesti. Se si sta poi al testo greco, le parole di Gesù hanno il significato di non ricevere denaro da quelli ai quali si predica, e questo senso risponde meglio a ciò che dice prima: Date gratuitamente ciò che gratuitamente avete ricevuto.
5. La Chiesa non riconosce l'oratoria vana: vuole l'istruzione del popolo
A questo proposito è indispensabile dire una parola che potrebbe sembrare un poco dura, ma è una necessaria conseguenza delle parole del Redentore: non sono apostoli i mercenari della divina parola, quelli che la riducono ad un mezzo per arricchirsi. Si potranno escogitare tutte le scuse per poter giustificare la propria condotta, ma non si potrà negare innanzi a Dio che la predicazione fatta, o peggio pattuita a suon di denaro, non è apostolato, ma è vana oratoria che non produce nulla di bene, e anzi produce spesso molto male perché accarezza solo l'udito. Dolorosamente la predicazione non è più apostolato; quando si è preoccupati della buona figura oratoria e, diciamo così, dell'arte, si lascia il tempo che si trova. Panegirici, discorsi di occasione, e spessissimo anche i quaresimali, i mesi di devozioni speciali, si riducono a vane spampanate oratorie, quando si ricerca il cosiddetto oratore di grido, e non l'apostolo.
La Chiesa non riconosce l'oratoria vana, vuole l'istruzione del popolo e l'annunzio dell'eterna verità, vuole l'apostolato, che si fa sempre per amore di Dio e per propagare il suo regno, contentandosi di ciò che serve al sostentamento e non badando ad altro.
Che cosa direbbe Gesù degli oratori che vanno accuratamente vestiti, pettinati e lisciati, e che pongono come base del loro prestigio quel fasto esterno di posa o di prestigio che è la morte dell'apostolato vero? Invece di formare gli oratori bisogna formare i santi e i dotti conoscitori della divina Parola, affinché predicando propaghino il regno di Dio.
Il demonio maledetto ha mutato molti pulpiti in trappole di sacerdoti e di anime, e spesso si sganascia dalle risa alle spalle del predicatore ascoltando quelle parole che non vengono dall'eterna verità, e quegli slanci di oratoria che non vengono dal fuoco dello Spirito Santo.
Che dire poi di quei predicatori che si credono dispensati dalla preghiera della Chiesa quando predicano, e che credono dover mangiare meglio e darsi riposo per assolvere bene il loro mandato? Se c'è un tempo nel quale bisogna pregare e far penitenza, è proprio quello nel quale si predica, perché allora bisogna vincere la durezza dei cuori ed attrarre su di essi la grazia, la misericordia e la pace!
Gesù richiede un sol prestigio nel predicatore: quello della vita onesta e santa; perciò comanda ai suoi apostoli che giungendo in una città non vadano a dimorare presso chiunque, ma ricerchino una persona degna, capace di non generare sospetti, anzi capace di aiutarli spiritualmente. Il predicatore sotto questo aspetto deve essere geloso della sua reputazione, perché egli non va a villeggiare, ma va a salvare anime, alle quali è debitore. Non può stare in un ambiente di comodità materiali o di fasto, non può mettere o far mettere la casa a soqquadro per provvedere alle proprie esigenze, dev'essere come messaggero di Dio, come angelo di purezza, come profumo sereno di virtù, e perciò Gesù dice ai suoi che entrando nella casa che li ospita debbono dire con le parole e coi fatti: La pace sia a questa casa.
6. La pace a questa casa
Questa espressione augurale era presso gli orientali il saluto ordinario, ma è evidente dal contesto che Gesù dà ad essa un senso più ampio e più soprannaturale; non vuole che si auguri la pace ma che si porti pace di anima, pace di cuore, pace di armonia familiare; vuole che all'augurio corrisponda la grazia e che questa sia attratta sulla casa dall'apostolo che vi entra, vuole che sia la prima effusione di bene spirituale che deve fare chi evangelizza in nome di Dio, e che equivalga alla riconciliazione di quella casa col Signore. Per questo soggiunge che, se non c'è alcuno che sia degno di accogliere la pace, essa ritorna su chi la effonde, ritorna come merito dell'opera di apostolato, e ritorna come tranquilla coscienza di aver compiuto il proprio dovere.
L'opera di apostolato non è mai vana, e quando non ha prodotto il frutto in una casa, per il dolore stesso che cagiona all'apostolo e per la conseguente umiliazione del suo animo diventa nelle sue mani un mezzo più efficace di conversione. È una sottigliezza spirituale che merita rilievo, perché è un mezzo per non scoraggiarsi nell'insuccesso: chi vuole convertire un'anima ha quasi sempre una certa occulta vanità o una certa mancanza di carità nel trattare con lei; si fonda sull'aiuto di Dio ma crede inconsciamente anche alle risorse della propria facondia.
L'insuccesso umilia profondamente lo spirito, e si muta in una benedizione che ritorna sull'anima dell'apostolo, la purifica, la feconda, e la rende più forte in un'altra opera di conversione. In generale nelle opere di apostolato la soddisfazione di ciò che si fa è proprio un segno negativo del successo; se si parla credendo di aver detto cose belle, persuasive e brillanti, si constata invece che non hanno approdato a nulla; se si raccolgono onori ed applausi non si raccolgono anime; è l'agonia dello spirito, l'umiliazione, la contraddizione che è segno vero di successo perché le umane industrie non giovano a nulla nelle vie dell'apostolato. È logico del resto, che colui che dona veramente si senta vuoto e chi genera spiritualmente provi, per così dire, i dolori del parto; chi si sente sazio di ciò che crede aver dato, s'è cibato lui, non ha cibato gli altri, e chi non geme nel generare un'anima non la genera veramente. L'apostolo genera per la crocifissione come Gesù Cristo, ed ogni croce deve consolarlo pensando che proprio allora la sua opera è feconda.
La croce viene quasi sempre dai cattivi, ed è causata dalla ripulsa alla grazia: è una benedizione ricacciata, che, secondo la parola di Gesù, ritorna sull'apostolo. È inutile illudersi: le grandi opere dell'apostolato si fanno nella luce del martirio; martirio di cuore e martirio di vita.
Le contraddizioni che si ricevono sono tutte come concimi che fecondano e sviluppano il germe buono, rassodandolo nella terra del soprannaturale. A noi non sembra, perché amiamo il successo immediato, eppure è così. L'opera contraddetta, ritardata, sfigurata dalla malignità o dall'incuria degli uomini è in realtà radicata, rassodata e sviluppata secondo il disegno di una vita perenne nei secoli e nell'eternità. La Chiesa, opera divina per eccellenza, ha avuto secoli di sangue, ed ha tuttora contraddizioni mortali dall'inferno, eppure si rassoda, e prepara sulla terra e nei secoli eterni il suo trionfo immortale.
La fecondità della tribolazione per l'apostolo non giustifica la malvagità di chi ne è causa, perché la fecondità viene dalla grazia di Dio, e perciò il Redentore vuole che gli apostoli mostrino anche con un gesto esterno la responsabilità gravissima di chi resiste alla grazia. I rabbini comandavano ai Giudei di scuotere dai loro piedi la polvere quando venivano da città pagane, per mostrare di non condividerne la responsabilità; Gesù Cristo, spiritualmente, comanda lo stesso contro quelle case o quelle città che non ricevono la divina parola, per indicare quanto è grande il peccato del quale si rendono ree.
L'apostolo scuote la polvere dei piedi, rimettendo al giudizio di Dio la responsabilità della perdita di un popolo o di una casa, quasi a testimonianza che egli ha fatto tutto ciò che poteva per la loro salvezza.
Sac. Dolindo Ruotolo
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