domenica 22 giugno 2014

22.06.2014 - Commento al Deuteronomio cap. 8 par. 2-4

2. La felicità della vita presente e lo scopo delle nostre tribolazioni.
Il fondamento della prosperità della nostra vita sta nell’osservanza della divina legge. L’anima che è fedele a Dio, vive, prospera, moltiplica la sua discendenza sulla terra, e raggiunge felicemente la. patria celeste. È questa la completa ed integra felicità che si può sperare: la vita tanto spirituale che corporale, la fecondità, la discendenza, ed il conseguimento dell'eterna gioia. La vita corporale suppone l'abbondanza ; la vita spirituale suppone i mezzi soprannaturali ; la numerosa discendenza tanto corporale che spirituale suppone la felicità della famiglia e la soddisfazione del frutto delle proprie attività ; la vita eterna è il gaudio, il riposo e la pace. Ecco sfatate con poche parole tutte le false idealità della vita terrena, tutte le felicità stolte e romantiche, create dall'umana fantasia. E falsissimo che la nostra vita debba essere per forza una vita da disperati, o che debba essere una vita di emozioni continue per essere felice. Noi siamo in una valle di lagrime, perché la nostra vita è un passaggio, e perché, di fronte alla vita eterna, è sempre una vita di prove; ma non è vero che essa sia tanto pesante e penosa da divenire stucchevole. Mettiamo come fondamento la fedeltà a Dio, e troveremo la pace nell'anima, l’abbondanza nel sostentamento, la tranquillità nella famiglia, la gioia delle anime innocenti che crescono, o delle anime rigenerate che prosperano, e la visuale magnifica dell'eterna vita, unica speranza nostra, unico ideale che supera qualunque aspirazione umana. Se nelle famiglie tutti temessero Dio e Lo amassero veramente, esse sarebbero ricche di beni anche temporali, e raggiungerebbero pure in terra la prosperità che conserva la pace e che fa tollerare più facilmente le pene giornaliere. Invece le famiglie hanno quasi sempre un peccatore, una spina che avvelena la loro prosperità; nelle famiglie le tribolazioni sono più gravi proprio per questi peccatori che le dissolvono.
I quarantanni passati dal popolo ebreo nel deserto sono un'immagine del nostro pellegrinaggio umano. Mosè esorta il popolo suo a ricordare il percorso di quegli anni ricchi dei miracoli della Divina Provvidenza, e dice che Dio lo ha condotto nel deserto per tribolarlo e per metterlo alla prova. Aggiunge poi che il Signore ha voluto così scoprire quello che Israele aveva nel cuore, per dire che il popolo attraverso le tribolazioni ha conosciuto l'indole sua e le sue inclinazioni, le sue disposizioni ed il suo animo, riguardo al Signore. Dio conosceva già l'indole del suo popolo e non aveva bisogno d’indagarla, mi Egli con le tribolazioni ha scoperto non a Sé, ma al popolo le disposizioni che avevano tutti nell'anima ; così si è manifestato ciò che era buono e ciò che era cattivo in Israele. Le tribolazioni del popolo ebreo furono di due specie: quelle prodotte dai suoi peccati e quelle permesse da Dio per manifestare la sua bontà, queste ultime in realtà furono la vera ragione delle consolazioni di quel popolo. Ebbe fame, è vero, ma vide discendere la manna dal cielo, un cibo completamente sconosciuto, nuovo, mirabile. Ebbe sete, è vero, ma l'acqua scaturì per lui dall'arida selce. Questo fatto ci rivela un segreto della nostra vita terrena : Dio permette certe tribolazioni per farci sperimentare la sua bontà, per esercitarci nella fiducia in Lui, per aprire l’anima nostra alla familiarità con Lui. La bontà che Dio ci dimostra ci fa intendere che le tribolazioni Egli ce le manda per correggerci (vers. 5), per ricordarci continuamente che dobbiamo osservare la sua legge (vers. 6), e per introdurci più facilmente nell’eterna vita, per farci meritare e per farci desiderare di uscire da questo mondo pieno di affanni (vers. 7).
Le tribolazioni in fondo non sono tali quando l'anima confida in Dio veramente, e servono solo a farci constatare la prontezza del suo intervento, la sua divina realtà e la sua bontà. L'invisibile Dio sarebbe per noi lontano ed inconoscibile senza questi punti d'incontro, senza questi misteriosi convegni nei quali l'anima geme ed Egli risponde : è questa l'esperienza che hanno di Dio tutte le creature. Egli non poteva manifestarsi in una maniera più facile e più proporzionata a tutti. Poche infatti sono le anime che hanno l'esperienza di Dio nelle vie sublimi della contemplazione e dell’amore, perché poche sono quelle che si fanno così piccole da es
sere capaci di elevarsi sino a Lui. Egli perciò discende a noi quando siamo tribolati, e noi ascendiamo a Lui quando facciamo appello alla sua carità ineffabile; èia contemplazione più facile e più comune di Dio. Sotto questo aspetto non si trova un'anima che non possa ricordare e raccontare qualche episodio della divina protezione su dì lei, e che non sia quindi testimone della divina realtà. Satana insidia le anime o con la disperazione o col prospettare il divino intervento nelle tribolazioni come un fatto casuale: è la terribile tentazione che rende apostate e miscredenti le nostre generazioni.
Anche le anime sante sono tribolate da Dio per far conoscere loro quello che esse sono e quello che è il Signore. Egli le porta nel deserto dell’interiore desolazione, le prova e le angustia perché allora esse rivolgono a Lui gli occhi, Lo ricercano e ne sperimentano la bontà. Fa loro sentire la fame spirituale per dar loro la manna, fa loro sentire sete per dare loro l'acqua della grazia abbondante, e le alimenta con un cibo d’interiore consolazione che è completamente ignoto al mondo. Dio le introduce così in una vita ricca di beni, in una regione magnifica dove sono le ubertose valli della santa umiltà, dove sono le fonti ed i gorghi delle acque della grazia nel piano e nei monti, nella vita comune e nella vita elevata, dove sono i frutti delle buone opere, la bontà, la dolcezza, la carità, l’amore.
3. Non di solo pane vive l’uomo, ma di ogni parola che procede dalla bocca di Dio.
Il Signore dice che fece sentire al popolo suo la fame per alimentarlo con la manna del cielo, per fargli conoscere che l'uomo non vive di solo pane, ma di ogni parola proferita dalla bocca del Signore. Letteralmente queste parole significano che l'uomo non si ciba soltanto di pane, cioè non è alimentato soltanto dai mezzi ordinari e naturali di sostentamento, ma che può essere alimentato da Dio anche con mezzi straordinari di Provvidenza e che deve perciò totalmente abbandonarsi a Lui. Significano pure questo: la vita dell’uomo non è soltanto materiale, ma si alimenta anche delle parole di Dio che sono il sostentamento dell'anima. Dio quindi fece sentire la fame agli Ebrei per muoverli alla preghiera, e per questo fece piovere loro dal cielo la manna; così essi capirono che non si provvede alla vita soltanto arando i campi, ma che ci si provvede anche
pregando. Era la rivelazione di una legge di Provvidenza per la quale la vita naturale sta in armonia con quella soprannaturale. L’uomo non può solo confidare nelle sue attività, ma con fiducia deve ricorrere a Dio dal quale dipende la prosperità dei campi e la prosperità materiale della vita. È un ammonimento prezioso per noi che ci affanniamo a disciplinare la cultura dei campi per ritrarne l’alimento, e dimentichiamo il Signore, menando una vita tutta materiale.
Di queste parole si servì Gesù Cristo per ribattere la tentazione di satana (Matt. IV, 4, Lue. IV, 4). Era andato nel deserto e vi aveva dimorato digiunando per quaranta giorni e per quaranta notti. Aveva riparata così l’ingordigia del popolo ebreo nei quarant’anni durante i quali dimorò nel deserto, e l’ingordigia dell'uomo nel suo pellegrinaggio mortale. Satana al termine dei quaranta giorni, vedendo ch'Egli aveva fame, Lo tentò spingendolo a mutare in pane le pietre del deserto. Era la sintesi di tutte le tentazioni con le quali satana spinge l' uomo a vivere di terra, mutando in proprio alimento le pietre aride di questo deserto. Gesù Cristo respinse la stolta tentazione riportando proprio le parole della legge.
L' alimento non viene all'uomo dalla sua industria, ma dalla Provvidenza di Dio che con una parola rese feconda la terra. L'uomo quando lavora i campi in realtà si sforza di ritrarre il pane dalle pietre, dalla terra, ma i suoi sforzi sono vani se non solleva in alto lo sguardo, e se, non fa appello alla divina bontà. L'uomo poi non è formato di corpo, ma ha anche l’anima, e quando desidera il nutrimento spirituale ed il regno di Dio, allora le cose necessarie alla vita gli vengono date per soprappiù. Il cibo viene a noi dalla terra, ma deve prima di tutto discendere dal cielo, proprio come la manna che scendeva dal cielo come rugiada e veniva raccolta da terra. Gesù Cristo non volle che il cibo del Cielo, quello che ci fa toccare con mano la bontà di Dio e c’immerge nella fiducia in Lui solo; per questo vennero gli Angeli e glielo somministrarono. Quando confidiamo nel Signore, Egli manda a noi gli angeli della carità, e ci fa somministrare tutto quello che occorre alla nostra vita terrena.
Dio dice che fece sentire al popolo la fame e lo alimentò con la manna, per fargli conoscere che l'uomo non si ciba di solo pane, ma di ogni parola che procede dalla bocca di Dio. Egli così annunziava il vero Pane di vita, il Verbo di Dio fatto carne, il Verbo di Dio generato dal seno del Padre, rivestito di umana carne, fatto vero cibo dell’uomo. Gesù medesimo spiegò questo profondo significato della manna discesa dal cielo al popolo affamato, per far conoscere all’uomo che Egli non si ciba solo di pane materiale, ma anche del Pane Eucaristico che è il Verbo di Dio fatto carne. Gesù Cristo disse: " Non diede a voi Mosè il pane del cielo, ma il Padre mio dà a voi il vero pane del cielo. Imperocché pane di Dio è quello che dal cielo è disceso e dà al mondo la vita... Io sono il pane di vita... Chi di un tal pane mangerà vivrà eternamente ed il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo... Se non mangerete la carne del Figliuolo dell’uomo e non berrete il suo Sangue non avrete in voi la vita. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna ed io lo risusciterò nell’ultimo giorno. Poiché la mia carne è veramente cibo ed il mio sangue è veramente bevanda. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me ed io in lui „. (Giov. VI, 32-57).
Queste parole così categoriche Gesù le disse indipendentemente dalla sua passione che era ancora tanto lontana.' Parlò assolutamente di Lui, pane di vita, pane che è vera sua carne e vero suo sangue. Parlò solo di pane e non di vino, eppure chiamò quel pane carne e sangue suo, vera carne e vero sangue. Non parlò dunque di una cena mistica, commemorativa della Passione, come dicono i protestanti, poiché la passione non ci entrava proprio nel suo discorso. Quel Pane di vita diventò poi la rinnovazione del sacrifizio della Croce, la sua essenza stava però nel cibare e nel dissetare le anime col Corpo e col Sangue vero del Redentore; dunque non era un simbolo, era il Verbo di Dio umanato fatto cibo vero dell’uomo. Era cibo e bevanda insieme, come crede la Chiesa Cattolica, poiché nel Pane Eucaristico c’è per concomitanza anche il Sangue. La specie del vino è necessaria al Sacrifizio, non al Cibo Eucaristico che fu chiamato da Gesù Cristo semplicemente il Pane di vita. L’anima nostra ha bisogno di questo Cibo divino; non può farne a meno ; e Dio le fa sentire una fame tormentosa perché essa intenda che non può saziarla niente di quello che è terreno. La nostra vita senza l’Eucaristia è insopportabile davvero, non può sostentarsi. L’infelicità del mondo è tutta causata dalla privazione del Cibo di vita; tutti i malanni del nostro pellegrinaggio dipendono dalla penuria di questo Cibo. Oh se l’uomo intendesse il grande tesoro che Dio ha dato all’affamato suo spirito, correrebbe all'Eucaristia come cervo assetato alla fonte !
4. Un arduo mistero nella vita Eucaristica.
Bisogna approfondire una parola che Mosè dice al popolo, e che potrebbe sembrare strana. Egli dice al vers. 16, secondo il testo originale : " Dio ti ha nutrito nel deserto con la manna, ignota ai tuoi padri, allo scopo di tribolarti e di metterti alla prova per indi trattarti bene alla fine E un’ inversione di quello che ha detto prima al vers. 3 : " Dio ti ha tribolato e ti ha fatto sentire la fame e ti ha nutrito della manna, ignota a te ed ai tuoi padri „. In questo passo Mosè dice che la tribolazione fu permessa per prova e per dare la manna; nel precedente invece dice che la manna fu data come tribolazione e come prova, per far meritare al popolo un trattamento buono alla fine. Sembrerebbe un controsenso, ed invece è un mistero d'infinito amore.
Dio ci fa sentire la fame per darci il cibo disceso dal cielo’; questo cibo non è fatto per appagarci, ma per nutrirci, e diventa anche un mezzo per tribolarci e per metterci alla prova. Noi non possiamo vivere senza l'Eucaristia, ma questo ineffabile Sacramento, a volte, mette a prova la nostra fede, e può darci delle interne angustie di aridità tormentose, di pene misteriose, e di affanni ineffabili che ci fanno unire alla Passione di Gesù Cristo e ci spingono a desiderarlo e ad amarlo per puro apprezzamento. È proprio nell'intima familiarità con questo augusto Sacramento che Gesù Cristo, a volte, più si nasconde e che l’anima meno lo scorge, sentendone quasi nausea, come gli Ebrei sentirono nausea per la manna. In questo sta la prova di Dio. L' anima fedele non fa come gli Ebrei che desiderarono i cibi della loro schiavitù, non si sgomenta, non lascia di cibarsi del Pane di vita, ancorché le sembri un cibo leggerissimo, come dicevano gli Ebrei della manna; continua a viverne e non corre appresso alle vane consolazioni che sono come quaglie nel loro basso volo, ma desidera solo la vita divina di Gesù, che è il volo magnifico librato nelle altezze dei cieli. Tante volte l'anima che più si avvicina all'Eucaristia, che più intimamente ne vive, meno ne sente la dolcezza. Essa però non può privarsene senza sentire la morte o il debilitamento. Corre appresso a Gesù perché Lo apprezza, Lo riceve perché è sua vita, Lo visita perché è suo amico, ed in questo consiste la suprema prova dell’amore che conduce l’animo al più lieto fine, unendola ed immedesimandola al suo dolcissimo Redentore e preparandole nel Cielo una vita più bella.
Tante volte i frutti meravigliosi della vita Eucaristica non si scorgono. Mosè fa riflettere agli Ebrei che nel lungo viaggio fatto le loro vesti non si logorarono, né si consumarono i loro sandali, né i piedi si deformarono per la fatica del lungo cammino. Era un miracolo al quale probabilmente gli Ebrei non avevano neppure badato. Mosè lo fa notare subito dopo aver parlato della manna, come un prodigio che completava quello del cibo celeste. Ebbene noi non ce ne accorgiamo neppure, ma l'Eucaristia fortifica gli abiti soprannaturali della virtù in noi, e ci libera dalla stanchezza nelle vie di Dio, facendo sì che noi camminiamo lungamente verso la vita eterna senza logorarci. È un dono tanto più. bello in quanto che spesso ci è nascosto.
Mosè soggiunge che il popolo ebreo deve riconoscere nel suo cuore che il Signore lo ha disciplinato come un padre disciplina il suo figliuolo. E' proprio quello che fa in noi Gesù Sacramentato; Egli come padre disciplina le nostre potenze interne, ordina le nostre aspirazioni, ci dà la sete dell’eterna vita, ci nutrisce abbondantemente di vita soprannaturale, ci rende forti, facendo sì che dalla nostra fragile creta venga il ferro ed il bronzo, come si cavava dalle pietre della Palestina. Tutti questi ammirabili frutti dell’Eucaristia sono nascosti, noi non li vediamo che raramente, vediamo solo la nostra miseria, e la vediamo di più, perché la luce stessa di Gesù rifulgendo nell'anima nostra ce la fa scorgere. Di. fronte a quel sole divino la nostra piccola fiammella apparisce sempre più scialba, e l'anima nostra si umilia sempre più, diventando così l’oggetto delle divine compiacenze.
Dopo una lunga familiarità con Gesù Eucaristia, l'anima si accorge del suo progresso, ma essa non se ne inorgoglisce; non può dire, come Mosè ne ammoniva gli Ebrei, “ la mia forza e la robustezza della mia mano mi ha procurata questa agiatezza „ ma deve confessare con profonda umiltà che Dio l'ha fatta ricca di beni spirituali per amore , di Gesù Cristo abitante in lei. Gesù la guidò per un orribile deserto infestato da tentazioni, dai serpenti di fuoco; e dai dipsadi, cioè dalla sete ardente del piacere, giacché i dipsadi erano serpenti che con la loro morsicatura cagionavano una sete insoffribile. Gesù Cristo la difese dal male, dagli scorpioni; la dissetò nell’arida terra con l'acqua del suo Cuore; la nutrì con i suoi pensieri, con i suoi desideri, con la sua vita; la unì alle sue immolazioni, ai suoi patimenti, ai suoi meriti, e la condusse al lieto* fine dell'eterna salvezza.
Non vive di Gesù Sacramentato chi concepisce la vita Eucaristica come un gioioso sentimentalismo umano, come un vano concentramento in godimenti interiori. Dio porta l'anima per il deserto, non la porta per i fioriti giardini del godimento spirituale, proprio perché la vuole provare e vuole essere Lui solo il suo cibo di vita, l’acqua che la disseta, la provvidenza che la conserva, la pace che la rasserena, la forza che la difende. Egli si fa sentire all'anima, ma in generale non le dà alcun godimento di sensibile fervore. Tutte le gioie le riserba per l'eterna vita, ed è là che bisogna attenderle con la speranza ardente dell'esule che sospira alla patria.
Sac. Dolindo Ruotolo

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