sabato 21 giugno 2014

21.06.2014 - Commento al vangelo di S. Matteo cap. 6, par. 8

8. Non si può servire due padroni. Fiducia nella divina provvidenza
L'anima, che non cerca Dio solo sopra tutte le cose, è divisa dall'opportunismo, e facilmente accondiscende al mondo, pur pretendendo di conservarsi fedele al Signore. È questa la grande piaga che infetta il carattere cristiano, e che dà origine a quei fedeli smidollati, che, praticamente, si danno al male conservando solo la maschera del bene.
Eppure sono così opposti i principi di Gesù Cristo e quelli del mondo, che non è possibile riconciliarli neppure coi ritrovati più o meno dissimulati della viltà e delle passioni, e perciò il Redentore ci ammonisce recisamente che non si può servire a due padroni. È impossibile ancora concentrare la vita tutta nelle cure materiali e nella preoccupazione delle ricchezze, e pretendere di concentrarla contemporaneamente nelle aspirazioni del cielo, poiché quello che ci lega alla terra ci distacca da Dio.
Perciò Gesù Cristo soggiunge: Non potete servire a Dio e a mammona, cioè, secondo il significato caldaico della parola, a Dio ed alla ricchezza. Non dice: non potete avere Dio e la ricchezza, perché questo è stato possibile a tanti santi, ma non potete servire, cioè dedicarvi con l'anima e con le forze.
La premura che hanno gli uomini di accumulare ricchezze è giustificata dalla necessità della vita, e da questo pretesto comincia in noi quella terribile passione delle cose terrene che degenera ben presto in avarizia. Perciò Gesù Cristo tronca alla radice la pessima pianta dicendoci di non prenderci affanno dell'alimento e del vestito. Non dice di non pensarci, ma di non preoccuparcene fino al punto da dimenticarci di Dio e della fiducia che dobbiamo avere in Lui come Padre di tutte le sue creature. Dio vuole che lavoriamo per provvederci di cibo ed il vestito; ma il lavoro non può e non deve diventare così assillante da troncare o danneggiare la vita dell'anima. Servendo Dio, il lavoro diventa una via di provvidenza; trascurando Dio, s'isterilisce miseramente e diventa fonte di assillanti preoccupazioni, come dolorosamente si vede nelle famiglie e nelle nazioni che hanno dimenticato il Signore.
Gesù Cristo rafforza la nostra confidenza in Dio; richiamando la nostra attenzione su quelle creature che, pur non lavorando o non avendo cura delle loro necessità, sono soccorse dalla bontà divina. Gli uccelli non seminano, non mietono e non empiono granai, eppure trovano sempre il loro sostentamento; i gigli del campo, cioè quelli che crescono senza speciali cure del giardiniere, non lavorano e non filano, eppure Dio li veste così elegantemente, che neppure Salomone con tutta la sua gloria vestì come uno di essi.
Il Signore che provvede con tanto amore a queste creature che passano dopo breve tempo, provvede con amore immensamente più grande a quelle che passano sulla terra per andare a Lui e per possederlo eternamente.
Egli dunque vuole da noi questa testimonianza di filiale abbandono, e questa confessione della sua dolcissima padronanza, ed esige che mettiamo come fondamento della vita non già le preoccupazioni temporali, ma quelle spirituali, non già le nostre forze o la nostra abilità ma la benedizione divina, giacché noi, con tutta la nostra preoccupazione, non siamo capaci di aggiungere alla statura già sviluppata un cubito, cioè mezzo metro, od alla vita, secondo il testo greco, un tempo di più.
Siamo nelle mani di Dio e sottoposti alle sue leggi nello sviluppo fisico, e siamo nelle sue braccia paterne per ciò che riguarda l'alimento e ciò che è necessario ai bisogni quotidiani. Egli sa ciò che ci occorre, e solo chi non crede in Lui vivente, come i pagani, ed ha come divinità degli idoli, può credere di doversene preoccupare fino a ridurre la vita a una ricerca assillante del mangiare, del bere e del vestire.
Dio vive veramente, è veramente, e vuol dimostrare la sua realtà provvedendo a chi cerca prima il regno eterno e la sua giustizia, cioè la gloria divina e la santità della propria vita.
Basta dunque pensare a quello che può servire ai bisogni quotidiani, basta a ciascun giorno il suo affanno, senza pretendere di dover assorbire tutte le attività per crearsi una posizione di sicurezza assoluta, che praticamente non raggiunge neppure lo scopo di privarci dell'affanno quotidiano della vita.
L'insegnamento di Gesù Cristo è di una importanza grandissima e riguarda le basi medesime della vita cristiana e del carattere che deve distinguerla da quella dei pagani. Non si tratta soltanto di delicate esortazioni a confidare nella divina provvidenza, ma dell'indirizzo pratico della vita e della giornata, nel terreno pellegrinaggio; si tratta di porre come fondamento la vita dello spirito e come accessorio la vita del corpo, mentre il mondo o quelli che pretendono essere anche suoi servi, essendo servi di Dio, stabiliscono come accessorio ciò che è spirituale, credendo esagerato tutto quello che si fa per l'anima, e riducono la vita ad una preoccupazione assillante di guadagni, di ricchezze, di benessere, di divertimenti e di peccati, che sono la rovina della vita stessa. Potremmo dire che in questo problema e nella sua pratica risoluzione si vede qual è la bandiera dei figli di Dio, e perciò è necessario approfondirlo.
Certamente la vita materiale con i suoi bisogni e le sue necessità ci trae, e tenta prendere il sopravvento sulla vita spirituale. Se si pensa solo a quello che occorre in una casa, al cibo, alla bevanda, alla biancheria, al vestito, all'arredamento, alle più piccole cose, c'è da credere che ne rimanga assorbita la giornata. Se si cucina, per esempio, occorre fare prima la spesa, con le relative contrattazioni; poi bisogna preparare il cibo, e questo spesso assorbe ore intere; poi cuocerlo con cura, per evitare le possibili recriminazioni. Quando è pronto e va al desco familiare, dopo poco occorre ripulire le stoviglie, rimettere tutto a posto, e poi ricominciare per la cena. Se viene la sarta o il sarto, il calzolaio, il barbiere, ecc., la giornata viene assorbita tutta e, se vengono occupazioni straordinarie, sembra insufficiente. A questo si aggiungano il lavoro, l'ufficio, l'impiego, il commercio, e la vita appare attanagliata dalle premure temporali.
Che cosa si dà allo spirito e a Dio in tutto questo assillo quotidiano? Disgraziatamente nulla o quasi nulla, se non si crede addirittura la religione e la pietà una bega da teste vuote o da gente oziosa.
Sac. Dolindo Ruotolo

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