sabato 7 giugno 2014

07.06.2014 - Commento al vangelo di S. Giovanni cap. 21 par. 4

4. Il cammino di Pietro e di Giovanni nel mondo: un'iperbole che non è iperbole
Quando Gesù disse a Pietro: Seguimi, egli andò appresso a Lui credendo che dovesse fargli delle particolari raccomandazioni. Era tutto compreso dell'ufficio assegnatogli, poiché aveva avvertito nell'anima una profonda trasformazione. Era anche tutto compreso dalla profezia fattagli, nella quale aveva capito che si accennava alla sua vecchiezza e, vedendo Giovanni che s'era messo anch'egli a seguire Gesù, ebbe la curiosità di sapere che cosa sarebbe stato di lui. Forse sentendosi dire che sarebbe giunto alla vecchiezza, si preoccupò di sopravvivere a Giovanni che amava di particolare amore, forse desiderò per lui qualche ufficio speciale; si ricordò che quel discepolo era prediletto da Gesù, che nella Cena gli aveva appoggiato il capo sul petto, domandando chi fosse il traditore, ed immaginò che dovesse avere un posto importante. Perciò rivolto a Gesù gli domandò: Signore, di questi che sarà?
Era una curiosità che non importava appagare, poiché quando un'anima è eletta ad una missione, deve pensare a compierla senza preoccuparsi dell'ufficio degli altri. Gesù poi per spiegare a Pietro che cosa sarebbe stato di Giovanni, avrebbe dovuto dirgli tante cose che l'avrebbero contristato, poiché certo san Giovanni ebbe a patire non poco sia per l'esilio a Patmos, sia per le persecuzioni che ebbe, sino ad essere gettato in una caldaia di olio bollente; perciò rispose evasivamente: Se voglio che rimanga fino a tanto che io venga, a te che importa? Gesù Cristo aveva detto altra volta agli apostoli: Quando sarò partito ed avrò preparato il luogo per voi, verrò di nuovo e vi prenderò con me, affinché dove io sono siate anche voi (14,3). Con queste parole aveva loro promesso di assisterli nella morte e portarli in Paradiso. Dicendo a Pietro: Se io voglio che rimanga, finché io venga, Gesù evidentemente non alludeva alla sua venuta finale, ma alla sua venuta amorosa nella morte di Giovanni. Egli voleva dire: lo farò rimanere sulla terra finché io verrò a prenderlo; a te che importa sapere quando verrò a prenderlo? Tu seguimi, cioè tu percorri la tua via appresso a me, e non ti curare di altro.
In questo, alla possibile curiosità di Pietro di conoscere quale ufficio avrebbe avuto Giovanni, Gesù non rispose che con quella parola: Tu seguimi, per indicare che era cosa indipendente dalla potestà di pascolare il gregge che allora allora gli aveva dato. San Giovanni infatti doveva essere profeta, e questo dono gratis dato, dipendeva da una grazia particolare dello Spirito Santo, e non da una comunicazione di grazia fattagli dal supremo ministero di Pietro. Gesù volle così riserbarsi sull'universale potere dato a Pietro quello di elargire Egli, per lo Spirito Santo, le grazie particolari alle anime privilegiate dal suo amore. Certo la risposta di Gesù è oscura, ma dal contesto sembra che questo ne sia il significato.
Gli apostoli e i fedeli aspettavano la venuta finale del Redentore nel giudizio, e la credevano vicina; ora quando si sparse la voce che Gesù aveva detto di Giovanni che sarebbe rimasto fino alla sua venuta, i fratelli, cioè i cristiani, credettero che avesse parlato dell'ultima venuta, e perciò si sparse fra loro la fiaba che quell'apostolo non sarebbe morto. Ma Giovanni ci tiene a smentirla, perché non rispondeva al pensiero del Maestro, e smentisce solo la parte della falsa interpretazione riguardante la durata della sua vita: Se io voglio che rimanga fino a tanto che io venga, a te che importa?, dicendo che Gesù non affermò che non sarebbe morto, ma solo riserbò a sé il conoscere e determinare il giorno della sua morte. L'altra parte della risposta di Gesù a Pietro: Tu seguimi, era chiara, e san Giovanni non ci si ferma sopra.
Basta talvolta un nome straniero, qualche gutturale assonanza per inchinarci credendo superuomini dei poveri incitrulliti miscredenti
San Giovanni chiudendo il suo Vangelo, ci tiene ad affermare due cose: 1) che proprio lui è stato testimone e scrittore veritiero di ciò che ha raccontato; 2) che egli ha scritto solo alcune cose della vita e delle opere di Gesù, poiché, se avesse voluto scrivere tutto, il mondo intero non avrebbe potuto contenerne i volumi. Nel chiamarsi testimone e scrittore delle cose raccontate, Giovanni si appella anche alla testimonianza degli altri discepoli e per questo soggiunge: Noi sappiamo che la sua testimonianza è vera. Lo Spirito Santo sapeva quanti errori la miscredenza avrebbe sparso sull'autenticità del quarto Vangelo, e la prevenne con un'affermazione categorica che nessuna mente equilibrata può mettere in dubbio.
Quando l'evangelista medesimo afferma di avere scritto lui, e l'afferma innanzi ai contemporanei che avrebbero potuto smentirlo se non avesse detto il vero, la sua testimonianza è irrefragabile, e nessuno può presumere di creare la leggenda di un altro scrittore del quarto Vangelo. Quelli che hanno creato e tentato di propagare questa leggenda sono gli autentici ministri di satana, ai quali preme svalutare con un'affermazione cervellotica la testimonianza della divinità di Gesù Cristo che viene luminosa dal quarto Vangelo. I miscredenti, storici da strapazzo, pur di negare la verità, non esitano a negare la storia, e con arbitrarie affermazioni presumono svalutare la testimonianza. Il torto dei cattolici, grande torto, imperdonabile torto, è stato quello di dare troppa importanza a questi poveri fannulloni del pensiero e della scienza, e di rendere loro il servizio di propagandare le loro panzane che oramai si prendono con le molle. È bastato un nome straniero, un sentire qualche barbara gutturale assonanza, Kunkbauer, Kunkfling, Kunku, per credere che si trattasse di superuomini, quando si trattava di gente fossilizzata da preconcetti miscredenti. Quanti hanno avuto fiducia più in questi nomi di barbarie mentale che nell'armonia squillante e folgorante dello Spirito Santo! Quanti hanno fatto naufragio nella fede per accogliere le fantastiche affermazioni di folli paranoici, di miscredenti in mala fede che mentiscono sapendo di mentire!
Quanti volumi ci sarebbero voluti per scrivere tutti gli eventi della vita di Gesù!
L'evangelista, dicendo che se avesse voluto scrivere ad una ad una tutte le cose fatte da Gesù avrebbe dovuto scrivere tanti volumi che il mondo intero non avrebbe potuto contenere, non fa, strettamente parlando, un'iperbole. Egli ha proclamato nel suo Vangelo la divinità di Gesù Cristo, Verbo eterno di Dio, e le opere sue come Verbo e come Redentore sono immense. Se si volesse scrivere minutamente sul creato, su
tutte le singole sue parti, e su tutti i misteriosi ricami della salvezza e della santificazione delle anime, non basterebbe davvero il mondo a contenerne i volumi.
Questi misteriosi volumi però sono scritti già, sono squadernati, per così dire, nell'eternità, alla luce eterna di Dio, e sono l'oggetto della nostra eterna contemplazione e felicità. San Giovanni, con la sua affermazione, ha voluto darci proprio una vaga idea dell'immensa fecondità e meraviglia delle opere del Verbo eterno, fatto uomo per amore, Redentore e vita nostra per infinita misericordia; e noi alla sua affermazione dobbiamo cadere in ginocchio, adorando Colui che in principio era il Verbo, e che per amore si è fatto carne.
Sac. Dolindo Ruotolo

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