venerdì 2 maggio 2014

02.05.2014 - Commento al vangelo di S. Giovanni cap. 6, par. 2-3

2. Cinque pani di orzo e due pesci: ne mangiarono fino a sazietà cinquemila persone. Gesù cammina sulle acque: due miracoli che preparano l'annunzio dell'Eucaristia
Gesù Cristo s'era proclamato vita delle anime e giudice di tutti, ed aveva parlato della necessità di credere alle sue parole.
Ora Egli voleva mostrare come doveva essere vita, e come voleva giudicare le umane coscienze; gli ardeva nel Cuore un continuo desiderio di donarsi alle sue creature, e gli tardava il momento di far conoscere l'arcano dono che loro preparava, dono di amore immenso, non disgiunto dal suo giudizio per le coscienze, e per farlo conoscere aveva bisogno di renderlo credibile, giacché era un dono misterioso, degno di Dio. Perciò Egli parlò, nel capitolo precedente, della necessità di credere alle sue parole, e mostrò poi in due miracoli impressionanti la sua potenza, moltiplicando i pani ed i pesci, e l'indipendenza del suo corpo dalle comuni leggi della materia, camminando sulle acque.
Il dono che voleva fare all'umanità era fondato sulla sua parola onnipotente, e perciò esortò a credergli, donando i motivi di questa fede; era una moltiplicata diffusione della sua vita, per nutrimento delle anime, e perciò mostrò la potenza che aveva, moltiplicando un cibo materiale sotto gli occhi di tutti; era un dono fatto per un miracolo di amore che doveva dominare le leggi della materia, e perciò mostrò di poterle dominare camminando sulle acque.
Chi doveva riceverlo doveva purificarsi prima accuratamente per essere degno di Lui, doveva presentargli una coscienza pura, pena l'eterna perdizione, e perciò Egli si proclamò giudice nella nostra vita e giudice dei morti risuscitati.
C'è un ordine logico ammirabile nella preparazione che Gesù Cristo fa all'annunzio ed alla promessa dell'ineffabile dono eucaristico, una preparazione che ne mostra la grandiosità, e noi non ci stanchiamo di rifletterlo, perché rimanga bene impresso nell'anima nostra: il discorso fatto nel capitolo precedente stabiliva i fondamenti del dono ineffabile, in Gesù Cristo e in noi; i miracoli che meditiamo in questo capitolo ne stabilivano la credibilità, e la sua promessa, grandiosa ed ardua per l'umana intelligenza, diveniva ineffabilmente fondata per quelli che volevano prestargli fede.
Egli disse che operava come opera il Padre suo (5,17) ed alla irruente protesta dei capi del sinedrio, aggiunse che il Figlio non faceva da sé alcuna cosa se non la vedeva fare dal Padre, alludendo ad opere maggiori di qualunque miracolo, che avrebbero lasciato l'uomo stupefatto, ad opere fluenti dall'amore, come dall'amore del Padre veniva tutto quello che Egli aveva; e poi determinò che queste opere, cioè questa moltiplicata manifestazione di amore, si riducevano alla comunicazione della vita, vita di grazia col giudizio che restaura la coscienza, ossia con la penitenza e la confessione, e vita di amore con la comunione della sua vita, che trasforma la creatura in un cantico di amore, la sottrae al giudizio di condanna nell'ultimo giorno, e la fa passare dalla morte alla vita, nella gloriosa risurrezione.
Il giudizio che redime, ossia la Confessione, e la Comunione della vita che trasforma e dona l'eterna vita, ossia l'Eucaristia, erano veramente opere maggiori di ogni miracolo, e tali da far rimanere stupefatti gli uomini, ma richiedevano una fede incondizionata nella sua parola perché fuori di ogni legge naturale; per questo Gesù Cristo affermò che chi credeva alla sua parola credeva a Colui che lo aveva mandato (5,24), riconoscendolo Verbo eterno di Dio, e quindi Dio onnipotente come il Padre, che produceva ciò che diceva, aveva la vita eterna e la giustificazione, e provò la credibilità della sua parola con la stessa testimonianza del Battista, coi miracoli che il Padre gli faceva compiere, e con l'arcana e solenne testimonianza delle Scritture.
Stabilito questo fondamento dottrinale remoto, indispensabile in un dono così misterioso e grandioso, Gesù Cristo mostra la sua onnipotenza nel cibare miracolosamente i corpi con la moltiplicazione di cinque pani e due pesci, e la sua indipendenza delle leggi naturali, camminando sulle acque. Egli moltiplica cinque volte i pani, moltiplicandoli uno ad uno, e due volte i due pesci, per adombrare quel dono ineffabile per il quale si sarebbe donato, moltiplicato a tutti gli uomini delle cinque parti del mondo, figurati nei cinquemila commensali del pane miracoloso; moltiplica cinque pani e due pesci perché si darà in cinque modi ineffabili; come cibo, come vittima, come amico, come re e come viatico per l'eternità, e si darà in tutte e due le sue nature, umana e divina, come in tutte e due le essenze della sua vita, Anima e Corpo, Corpo e Sangue.
Queste riflessioni, che fluiscono dal Sacro Testo, già ci mostrano l'immensità del dono che Gesù ci promette, e ci fanno capire l'ineffabile felicità nostra nel possederlo già, e nel possederlo con esuberanza incommensurabile. Siamo veramente stupefatti innanzi a tanto tesoro, e stupefatti innanzi al tesoro di misericordia che prepara ad esso all'anima nostra, poiché la remissione dei peccati nel giudizio del perdono è un dono inseparabile dalla vita eucaristica, dovendo l'uomo, come dice san Paolo, essere sicuro dello stato di grazia prima di mangiare del Pane divino. Possiamo dire anche di rimanere stupefatti innanzi all'incoscienza ed all'ingratitudine umana, poiché è veramente incredibile come si possa rimanere indifferenti innanzi a tanta esuberanza di misericordia e di amore, e come si possa marcire nel peccato ed in una vita insulsa, potendo vivere in grazia di Dio e soprannaturalmente, in piena unione con Gesù Cristo.
Pensare che vive con noi veramente il Redentore, che ci si dona come cibo, s'immola come vittima in un vero e grandioso sacrificio, regna dal suo trono d'amore per ascoltarci e benedirci, e viene a noi come viatico per darci la mano nel passo terribile dal tempo all'etemità; e pensare che la maggior parte degli uomini vive lontana da Lui, dimentica di tanto amore, immersa nello squallore e nell'infelicità, quando potrebbe sulla terra gustare anticipatamente le gioie del cielo, è cosa che stupisce, dolorosamente stupisce!
Il pensare poi agli eretici che, innanzi alla luce più splendente degli argomenti della verità, negano il dono dell'amore e si accontentano di mangiare il pane dell'irrisione invece di quello della vita, e di presumere di essere giustificati illudendosi, è cosa che fa rimanere agghiacciati dallo stupore!
Come diverso sarebbe il mondo da quello che è se regnasse in tutte le anime la grazia che riconcilia con Dio e il dono che ci rende una cosa sola con Gesù Cristo!
Quale aspetto giocondo avrà la terra, come fermamente speriamo che l'avrà, quando in ogni suo angolo regnerà dal trono eucaristico Gesù Cristo, fonte di pace e di amore!
Quale fisionomia profondamente diversa avranno le nazioni, pacificate non con gli effimeri trattati di pace, ma unite e pacificate come un sol corpo dalla Comunione eucaristica!
Quale carità vera divamperà fra tutti gli uomini, ora accecati dall'egoismo, dall'orgoglio e dalla violenza, allorquando si sentiranno affratellati alla stessa mensa, senza distinzione di nazionalità o di razza, pellegrini mortali che camminano sulla medesima via di esilio, bevono come colombe alla medesima fonte, per spiccare gli uni dopo gli altri, come aquile tratte dal desiderio delle alture, il volo verso i monti dell'eterna pace!
Venga il tuo regno eucaristico, o Gesù, venga e ci renda stupefatti di amore, poiché l'amo'r tuo nel donarsi non ha confini, e nel vivificarci non ha limiti! Venga il tuo regno eucaristico, perché allora soltanto splenderà nel mondo la luce della gloria di Dio e quella della pace fra gli uomini, la felicità di amare soprannaturalmente ed il fulgore delle eterne ed immortali speranze!
3. Un momento grandioso del miracolo della moltiplicazione dei pani
Gesù Cristo insieme coi suoi discepoli andò alla riva opposta del mare dì Galilea, cioè del lago di Genesaret, chiamato pure di Tiberiade da una città famosa per il commercio fatta edificare da Erode Antipa sulla riva occidentale del lago, e chiamata da lui Tiberiade in onore dell'imperatore romano Tiberio. L'evangelista omette di raccontare una quantità di fatti ricordati dai Sinottici, per unire il grandioso discorso di Gesù vero Dio che dona la vita, ai miracoli e al discorso che dovevano mostrare come voleva dare la vita.
Dal discorso sulla sua divinità a questo passò circa un anno, ma, nel disegno dell'amore di Gesù, un anno non era sufficiente a disgiungere le due grandi manifestazioni di luce, ed Egli, del resto, non mancava di ricordare e ripetere in ogni occasione quello che aveva detto, per radicare nel cuore dei suoi ascoltanti le verità fondamentali che dovevano dare od accrescere la loro fede. San Giovanni avvicina i due discorsi precisamente per il nesso divinamente logico che hanno.
Il Redentore dunque si ritirò all'altra riva del lago, come dice san Marco (6,31), per far riposare un poco i suoi discepoli, ma vistosi seguito da una gran turba per i miracoli che aveva fatti, s'appartò sul monte che sorgeva in quei pressi. L'affollamento era grande, giacché s'avvicinava la Pasqua, ed i pellegrini erano in movimento per andare a Gerusalemme; qualcuno notò che Gesù s'era appartato, dette la notizia agli altri, e ben presto la moltitudine lo raggiunse sulla spianata del monte. Con ogni probabilità Gesù Cristo ripetè al popolo le grandi parole che si riferivano alla sua divinità, ed il popolo pendeva dalle sue labbra senza curarsi della necessità che aveva di procurarsi del cibo e rifocillarsi.
Declinava il giorno, e gli apostoli, come nota san Matteo (14,14), furono essi per primi solleciti di dire al Signore ch'era necessario licenziare le turbe prima che annottasse, affinché avessero potuto comprare qualche cosa da mangiare. Al loro richiamo, Gesù levò gli occhi e, vedendo quella grande moltitudine, disse a Filippo: Dove compreremo i pani per dar da mangiare a questa gente? Egli sapeva bene quel che voleva fare, ma parlò così a Filippo per provarne la fede e, per far meglio rimarcare al popolo circostante il miracolo che voleva compiere. Filippo rispose che anche a spendere tutto il peculio che avevano valutato, duecento denari, cioè circa 156 lire non bastava a dare a ciascuno un piccolo pezzo di pane. Egli voleva così persuadere Gesù ch'era urgente rimandare la turba.
Andrea però, cui balenò la possibilità di un miracolo da parte di Gesù, soggiunse: C'è qui un ragazzo che ha due pani di orzo e due pesci, ma cos 'è mai questo per tanta gente? Evidentemente gli apostoli stessi non avevano alcuna provvista, avendola forse consumata sulla barca traghettando il lago. Gesù rispose al barlume di fede che aveva Andrea, ed ordinò che avessero fatto sedere a gruppi la gente sull'erba che era molto folta in quel luogo. Gesù Cristo volle così evitare la confusione nella distribuzione del cibo, ed avendo intenzione di dame in abbondanza, volle che la gente fosse stata comodamente riposata, ed avesse mangiato senza preoccuparsi della stanchezza, che doveva essere grande. Sedendosi a gmppi di cinquanta e di cento, come dice san Marco (6,40), fu possibile fame il computo: erano complessivamente cinquemila uomini, senza contare le donne e i ragazzi, come nota san Matteo (14,21).
I pani di farina d'orzo erano il cibo dei poveri, e i due pesci erano fritti, come indica l'espressione del testo greco. Gesù li prese nelle mani e tutti gli occhi si fermarono su di Lui. Pregò, ringraziò Dio, e cominciò a fare la distribuzione per mezzo degli apostoli.
Che cosa disse nel rendere grazie?
Si rivolse al Padre, e le sue mani onnipotenti furono più feconde della terra che riceve la semente e la moltiplica; il pane nelle sue mani cresceva, ed Egli lo spezzava e lo dava; lo stesso fece per i due pesci, contemporaneamente al pane, di modo che ciascuno ebbe il pane ed il companatico in abbondanza e potè saziarsi.
Finito il desinare, Gesù fece raccogliere gli avanzi perché non fossero andati sciupati, potendosi dare ai poveri, e per far meglio constatare il miracolo. Gli apostoli raccolsero così dodici canestri di pane avanzato. Di pesci non raccolsero nulla perché il companatico si mangia più volentieri del pane.
La folla vorrebbe proclamare Gesù re d'Israele
La folla s'accorse perfettamente del miracolo e ne fù tanto commossa che gridò: Questi è certamente il profeta che deve venire al mondo, ossia il Messia. Tutti pensarono di prenderlo con la forza, condurlo a Gerusalemme in occasione della Pasqua, proclamarlo re d'Israele, ed indurlo a scacciare i Romani, compiendo così i loro sogni di indipendenza nazionale.
Un re che poteva alimentarli miracolosamente, senza che essi avessero lavorato, costituiva per loro un re ideale, giacché il popolo non si preoccupa che del benessere materiale. Gesù Cristo conobbe questa loro intenzione prima che l'avessero manifestata, e per evitare che gli apostoli avessero potuto lasciarsi sedurre dal movimento popolare, li fece montare in barca perché fossero andati all'altra riva del lago, verso Cafarnao; Egli poi se ne fuggì solo sulla parte più remota del monte a pregare, aspettando così che la folla si fosse allontanata, essendo già sera.
Benché avesse avuto un'idea tutta materiale e naturale del Messia, e benché avesse pensato di proclamarlo re per un fine politico, pure, si può dire, che inconsciamente il popolo non si era ingannato che quel miracolo era come il preludio di una regalità. Gesù Cristo, infatti, l'aveva operato per preparare l'annunzio dell'immenso dono eucaristico, che doveva essere per i secoli il dono del suo regno di amore. Egli voleva nutrire il popolo, ma del Pane del cielo, e voleva scuotere il giogo della schiavitù, ma di quella del peccato. Aveva fatto assidere le turbe a gruppi, perché avessero rappresentato, come si disse, le cinque parti del mondo e l'universalità delle umane generazioni.
Moltiplicato per noi sui nostri altari il «vivo Pan del cielo»
Gesù aveva moltiplicato il pane di orzo ed i pesci, per indurre nell'anima di tutti l'idea d'una potenza che poteva moltiplicare per tutti il cibo della vita che voleva dare; Egli aveva il Cuore fragrante di amore, e l'aveva effuso per cominciare a fame conoscere la profondità, l'altezza, la lunghezza e la larghezza (Ef 3,18). Operò un miracolo grande, moltiplicando il pane ed i pesci, e dilatò, per così dire, ogni atomo di queste sostanze, ordinandole con la sua volontà alla folla che doveva alimentare, e quindi proporzionandole alla sua esigenza; operò ingrandendole e facendole crescere, per figurare il Pane del cielo che in tutti i secoli sarebbe stato sempre pronto per le anime pellegrine, desiderose di vivere soprannaturalmente in Lui e per Lui.
Noi assistiamo ogni giorno ad una moltiplicazione più grande, immensamente più grande sui nostri altari, e vediamo il Pane di vita distribuito a quanti ne hanno desiderio e, col Pane, Colui che non disdegnò d'essere raffigurato proprio in un pesce, e che ardendo di amore nella fiamma della sua carità, diventa cibo delle anime nostre!
Ma, ahimè, anche noi, come il popolo d'Israele, invece d'intendere perché Gesù ci si dona, corriamo a Lui per averne benefici temporali, e lo vogliamo re della nostra vita materiale; andiamo a Lui senza vero amore, con spirito venale ed interessato, anche spiritualmente parlando, e vorremmo che fosse nostro re per ottenere da Lui la gioia d'una vita beata solo in terra. È allora che Gesù fugge da noi e si nasconde, perché Egli vuol darci amore e vuole amore, amore purissimo che lo cerchi per glorificare Dio solo e farlo regnare nella nostra vita.
Un desiderio terreno sbanda, per così dire, tutta la nostra vita spirituale. Gesù si nasconde; gli apostoli, ossia quelli che possono curare l'anima nostra, si allontanano; la sera incombe su di noi, e le difficoltà dell'approdo alle eterne rive crescono. Mangiare il Pane del cielo per conquistare la terra non è un assurdo? Unirsi al Verbo Incarnato, gloria sostanziale di Dio per sospirare alla propria gloria non è un paradosso? Non c'immergiamo noi nell'oceano della vita per cadere nei gorghi delle nostre miserie, ma per superarli e giungere alla vita eterna; questo è il segreto del Pane del cielo.
Sac. Dolindo Ruotolo

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